La "Bassvilliana"
una cantica fra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione
La Bassvilliana di Vincenzo Monti (1754-1828) è forse l’opera poetica più bella che sia stata ispirata in Europa dalla reazione contro la Rivoluzione del 1789, detta francese. La stessa Contro-Rivoluzione della Vandea, nel 1793, che fu uno degli episodi insurrezionali più drammatici e più eroici fra quelli che si verificarono in un paese a eccezionale vocazione letteraria come la Francia, probabilmente non può vantare di aver ispirato una rappresentazione poetica tanto vivace per le immagini, aderente e partecipata.
Il poema In morte di Ugo Bassville, detto comunemente dall’autore stesso Cantica Bassvilliana, è il suo capolavoro di quegli anni. Esso è scritto da Monti nel 1793, sotto l’incalzare delle impressioni suscitate in lui dalla morte, nello stesso anno, di Nicolas-Jean Hugou (1753-1793), detto Bassville. Gli eventi epocali che stavano cambiando il mondo duravano già dal 1789 e nel 1792, in particolare, il Regno di Francia era entrato in guerra con l’Impero Asburgico e con il Regno di Prussia; l’assemblea legislativa aveva proclamato la Repubblica e contro i nemici della Rivoluzione si erano scatenate quelle che sarebbero passate alla storia come le stragi di settembre. La gravità di quei fatti non poteva non avere riflessi anche sulla situazione romana, dove il corpo diplomatico francese aveva infatti rapporti sempre più difficili con il governo pontificio e con la stessa realtà cittadina di ogni giorno. Qualche accadimento clamoroso si "doveva" dunque produrre e si verifica infatti il 13 gennaio del 1793. Quel giorno Bassville, emissario del governo francese, ostenta per le strade della città la coccarda tricolore della Rivoluzione, quando un colpo di pistola, partito dalla sua carrozza, porta la provocazione al culmine e scatena all’inseguimento la folla, che lo raggiunge sulla scalinata della sua abitazione e lo finisce a morte. Di lì a qualche giorno Monti trae dall’episodio l’idea di un’opera in versi capace di raffigurarne il significato — che andava al di là del fatto di cronaca in sé — e impegnata a ricollegarsi addirittura a tutta la crisi che stava allora vivendo l’Europa. La bellezza dello scritto che si forma sotto la penna dell’autore consiste proprio in questo: la Cantica rappresenta diversi momenti della Rivoluzione francese, concentrandosi sulla loro valenza filosofica e religiosa, e li espone poeticamente — così favorendone una migliore comprensione — in un susseguirsi sorprendente d’immagini piene di forza.
Il successo dell’opera è enorme: "quattordici edizioni nello spazio di soli sei mesi" informa l’autore stesso. Ovviamente oggi esprimere in poesia una presa di posizione ideologica di fronte a fatti di cronaca sarebbe inconcepibile, ma due secoli fa, in un contesto di secolari tradizioni letterarie come quello italiano, e in una società dove i mass media ancora non hanno cambiato le modalità della comunicazione culturale, la scelta non è sbagliata. Come ha mostrato lo storico della cultura fiammingo francofono Paul Hazard (1878-1944), nell’Italia della fine del 1700, che s’indigna di fronte allo scoppio e agli sviluppi dei fatti dell’Ottantanove, l’influenza della letteratura rivoluzionaria francese, esercitatasi per lungo tempo, comincia a scemare: negli Stati di tutta la penisola, e soprattutto a Roma, sede del Papato, documenta ampiamente lo studioso, si diffondono libri, stampe, opere teatrali e opuscoli, che sono effetto e causa dell’odio antirivoluzionario che si manifesta come avversione antifrancese. "Nei momenti solenni della storia italiana, le lettere si sono sempre avvicinate alla nazione", nota Hazard. La Bassvilliana, sullo sfondo di questa produzione imponente, appare come la punta dell’iceberg, il capolavoro che esprime meglio di ogni altro scritto il contesto storico e culturale, che si è appena formato e che dà alla Contro-Rivoluzione in Italia l’opera migliore di uno dei "maggiori" della letteratura. Perché le opere di Monti sono state sempre apprezzate per la perfezione dello stile, ma spesso sono state giudicate anche come non altrettanto felici quanto al contenuto; mentre, se vi è una composizione montiana che non merita certamente una simile riserva, questa è appunto la Bassvilliana, e per un chiaro motivo: proprio per l’adesione contro-rivoluzionaria che l’ispira, Monti vi riesce pieno di mordente, impegnato verso il suo tempo, poeta insomma non d’evasione, ma che guarda all’uomo e gli si fa compagno discreto lungo il cammino accidentato della sua storia.
L’immagine conduttrice del poema raffigura Bassville morto riconciliato con la Chiesa, come storicamente accadde, che ora deve espiare la propria apostasìa andando in Francia, guidato da un angelo, a vedere gli orrori che la Rivoluzione vi sta perpetrando.
Nel canto primo stanno al centro della rappresentazione le stragi, le crudeltà, gli atti sacrileghi compiuti nel nome di quella Liberté che è stata posta a principio dell’abbattimento della vecchia società e a fondamento della nuova e che — mostra il poeta — è causa di un’esperienza di straordinaria prevaricazione sociale e religiosa: "la temeraria Libertà di Francia" (v. 95), "Libertà che stolta / in Dio medesmo l’empie mani adopra" (vv. 116-117).
Nel canto secondo è di scena ancora la Liberté rivoluzionaria come fattore che ha scatenato nel popolo francese abissi d’irresponsabilità e di efferatezza: "Parigi [...] tardi e mal si pente / della sovrana plebe cittadina" (vv. 23-24); ora il "barbaro celta" (v. 212) è "di sua libertà spietato e baldo" (v. 214). Il fatto che più clamorosamente ne deriva, l’uccisione di re Luigi XVI di Borbone (1754-1793) , il cui regno è il fulcro della Cristianità — "il re più grande" (v. 133); il "maggior de’ troni" (v. 191) — viene lucidamente ritratto come compiuto contro un’istituzione, la cui ragion d’essere fa tutt’uno con la religione: "la causa di Cristo e di Luigi" (v. 149).
Il canto terzo contrappone Rivoluzione e Contro-Rivoluzione nel modo più drammatico e allusivo. Papa Pio VI (1775-1799) vi appare come il difensore dell’onore italiano (v. 56) e la pietra angolare del sistema delle monarchie coalizzate contro la Francia (vv. 135-144; 151-165), mentre Luigi XVI è senz’altro presentato come un martire cristiano (vv. 106-144). Le responsabilità prime della Rivoluzione e del sacrificio del re vengono d’altronde attribuite agli esponenti della sovversione filosofica illuminista, ritratti come ombre che si affollano attorno al cadavere di Luigi: François Marie Arouet, detto Voltaire (1694- 1778), Denis Diderot (1713-1784), Jean-Claude-Adrien Helvétius (1715-1771), Jean Jacques Rousseau (1712-1778), Jean-Baptiste D’Alembert (1717-1783), Guillaume-Thomas-François Raynal (1713-1796), Pierre Bayle (1647-1706), Nicolas Frèret (1688-1749), Cornelius Giansenio (1588-1638) e i giansenisti e, capeggiante fra tutti per empietà, Paul Heinrich d’Holbach (1723-1789), che con "orribil voce" (v. 346) svela lui stesso il senso dissacratore dell’opera: "Dio distrussi" (v. 347). La loro attività intellettuale ha posto le principali premesse della demolizione delle due architravi della società cristiana, la Chiesa e la monarchia: "il soglio [...] e la fede" (v. 254); "trono" (v. 269) e "ara" (v. 269); "il diadema [...] e la tiara" (v. 273); "regi e sacerdoti" (v. 278); "Cesare e Dio" (v. 303); "lo scettro e le stole" (v. 336).
Il canto quarto introduce infine una descrizione decisiva degli avvenimenti — la Rivoluzione è demoniaca, angelica è la Contro-Rivoluzione (vv. 13-60) — e ritrae la Rivoluzione come opposizione ai valori fondamentali del mondo cristiano, la Fede e la Carità (vv. 109-126), mentre nella parte finale fa della coalizione antifrancese degli Stati europei l’oggetto delle speranze nella riscossa della civiltà tradita (vv. 322-351).
Lo studioso francese Bruno Toppan, titolare della cattedra di Lingua e Letteratura Italiana Moderna presso l’università Nancy 2, ha studiato proprio il versante contro-rivoluzionario della produzione montiana, ma ciò che sembra gli sfugga, a mio avviso, è appunto la profondità del giudizio espresso nella Bassvilliana sulla Rivoluzione dell’Ottantanove. Secondo il critico, la Cantica avrebbe gli stessi limiti della propaganda contro-rivoluzionaria della Roma e della Chiesa del tempo, da cui il poeta attinge le idee che animano l’opera. La Bassvilliana — sostiene lo studioso — "[...] non affronta le cause profonde, sociali ed economiche, di questa Rivoluzione. La sola spiegazione accolta è quella dell’erosione dei princìpi di autorità incarnati dalla monarchia e dalla religione. La sola controproposta è il ritorno ad una situazione — d’altronde mitica o utopica — da cui ogni velleità di emancipazione del pensiero sarebbe stata assente". Una critica dunque che, fra ascendenze marxiste da una parte e illuministe dall’altra, sembra trasferire su Monti e nell’ambito letterario giudizi analoghi a quelli che, a livello storiografico, sono stati spesso pronunciati sulla Contro-Rivoluzione italiana sotto il profilo storico-politico. Mi pare invece di poter rilevare che Monti, il quale ancora il 7 giugno 1794 dichiarava in una lettera di sentirsi "buon cattolico", semplicemente nel 1793, di fronte alla Rivoluzione, si trova non certo prigioniero degli schematismi di una propaganda, ma piuttosto in larga sintonìa con la coscienza nazionale dell’epoca. "Il radicamento del cattolicesimo, la presenza della Santa Sede, l’intensa opera di rinascita religiosa operata dalle congregazioni missionarie, la struttura politico-territoriale a base prevalentemente municipale, la varietà degli statuti locali, le differenze di costumi, [...] la relativa "leggerezza" degli Stati — che lasciava ancora notevole autonomia alle comunità particolari" stimolano, infatti, la reazione compatta delle popolazioni italiane. Anche l’episodio romano di Bassville è logicamente collocabile all’interno del grande, prolungato evento delle insorgenze contro-rivoluzionarie e più propriamente dell’Insorgenza italiana.
Va da sé che nello stendere la Bassvilliana Monti deve ovviamente comprendere di non potersi considerare del tutto esonerato dagli oneri metodologicamente più propri della ricerca storica, come quello di compiere ricognizioni esaurienti, di evitare semplicismi nelle interpretazioni o, nei giudizi, parzialità, moralismi, chiusure e via dicendo. Ma capisce certamente che il suo problema in quanto poeta era prima di tutto un altro: quello cioè di cogliere valore simbolico nella realtà, d’identificare "universali concreti" da rendere in immagine. Così dinanzi a un avvenimento complesso e oltretutto ancora in via di svolgimento come la Rivoluzione, Monti vede nella società tradizionale e nella società che si stava costruendo le due differenti concezioni dell’uomo, della storia, del mondo che ne stavano rispettivamente alle origini, e compie la scelta di stare dalla parte che gli appariva più vicina alla "verità delle cose". Infatti, molto chiara appare nell’autore la consapevolezza che la Rivoluzione francese è eminentemente una questione di concezione del mondo e che il concetto liberale di libertà e il filosofismo del secolo sono i punti chiave sui quali essa s’impegna, mentre la Chiesa e la monarchia sono le istituzioni contro cui essa si schiera.
Questa visione del poeta avrà d’altronde conferma nella sua produzione successiva, quando egli, passando dalla parte della Rivoluzione e accostandosi alla massoneria, non farà che parlare degli stessi argomenti delle sue composizioni precedenti, ma da un punto di vista esattamente opposto. Il 1797 già segna l’avvenuta "conversione" dell’autore che, tutto fervido ormai dei nuovi spiriti giacobini, razionalisti, anticlericali e anticattolici, imposta la parte più accesa, provocatoria della sua opera creativa sempre sui grandi problemi del dibattito culturale posto dalla Rivoluzione. Quello è inoltre l’anno in cui, all’avanzare dei francesi, Monti fugge da Roma e si trasferisce a Milano, allora capitale della neonata Repubblica Cisalpina (1797-1799), dove ormai vivrà quasi ininterrottamente fino alla fine dei suoi giorni.