71
Sonetto nel Caucaso
Temo che per morir non si migliora
lo stato uman; per questo io non m’uccido:
ché tanto è ampio di miserie il nido,
che, per lungo mutar, non si va fuora. 4
I guai cangiando, spesso si peggiora,
perch’ogni spiaggia è come il nostro lido;
per tutto è senso, ed io il presente grido
potrei obbliar, com’ho mill’altri ancora. 8
Ma chi sa quel che di me fia, se tace
Omnipotente? e s’io non so se guerra
ebbi quand’era altro ente, ovvero pace? 11
Filippo in peggior carcere mi serra
or che l’altr’ieri; e senza Dio nol face.
Stiamci come Dio vuol, poiché non erra. 14
Conforto infelice del corporeo senso atterrito dalla ragione, che non si uccida pensando scampare i guai; contra Seneca ed altri, che la morte chiamano «quiete», non sapendo che cosa è senso.
72
Lamentevole orazione profetale
dal profondo della fossa dove stava incarcerato
Canzone
Madrigale 1
A te tocca, o Signore,
se invan non m’hai creato,
d’esser mio salvatore.
Per questo notte e giorno
a te lagrimo e grido. 10
Quando ti parrà ben ch’io sia ascoltato?
Più parlar non mi fido,
ché i ferri, c’ho d’intorno,
ridonsi e fanmi scorno
del mio invano pregare, 10
degli occhi secchi e del rauco esclamare.
Madrigale 2
Questa dolente vita,
peggior di mille morti,
tant’anni è sepelita,
che al numero io mi trovo
delle perdute genti, 5
qual, senza aiuto, uom libero, tra morti,
di morte e non di stenti:
a’ quali il mio composto
sol vive sottoposto,
nel centro ad ogni pondo 10
di tutte le rovine, ahimè, del mondo.
Madrigale 3
Gli uccisi in sepoltura,
dati da te in obblio,
de’ quai non hai più cura,
de’ sotterranei laghi
nell’infimo rinchiuso 5
di morte fra le tenebre sembro io.
Qui un mar di guai confuso,
pien di mostri e di draghi,
. . . . . . . .
sopra di me si aduna, 10
e ’l tuo furor spirando aspra fortuna.
Madrigale 4
Dagli amici disgiunto
sono, e opprobrio al mio sangue,
di scorni e d’orror punto,
che fiutar non mi vuole;
né potrebbe, volendo, 5
me abbominato qual pestifero angue;
e ’l tradimento orrendo
lor fai apparir sole
verso cotanta mole
di paure e di affanni, 10
perch’io mendìco sol qui pianga gli anni.
Madrigale 5
Signor, a cui son figlie
le pietose preghiere,
le tue gran maraviglie
e grazie in me non mostri;
faraile a’ morti note? 5
o il fisico a cantar tue glorie altere
risuscitar gli puote?
o fia ne’ ciechi chiostri,
chi narri gli onor vostri?
o qui al buio alcun scerne, 10
tra obblio e perdizion, tue pruove eterne?
Madrigale 6
Quinci io pur sempre esclamo,
sera e dì ti prevengo:
– Libertà, Signor, bramo –
e tu pur non m’ascolti,
ma volgi gli occhi altrove. 5
Povero io nacqui, e di miserie vengo
nutrito in mille prove;
poscia, tra i saggi e stolti
alzato, mi trasvolti
con terribil prestezza 10
nella più spaventevole bassezza.
Madrigale 7
Sopra me si mostrâro
tutti gli sdegni tuoi,
tutti mi circondâro,
come acqua tutti insieme;
ahi come stansi fermi! 5
né che m’aiuti alcun permetter vuoi.
. . . . . . . . . .
La gente del mio seme
m’allontanasti, e preme
duro carcer gli amici; 10
altri raminghi vanno ed infelici.
Madrigale 8
Va’, amaro lamento,
tratto di salmodia,
ch’è d’altri profezia,
ma di me troppo assai vero argomento.
Vanne allo Spirto Santo, 5
di cui se’ parto santo:
forse avrà per sua figlia alcun contento,
che non merta il mio accento.
Questa canzone è parte cavata dal Salmo: «Domine deus, salutis meae» ecc., e la manda allo Spirto Santo.
73
Orazioni tre in salmodia metafisicale
congiunte insieme
Canzone prima
Madrigale 1
Omnipotente Dio, benché del Fato
invittissima legge e lunga pruova
d’esser non sol mie’ prieghi invano sparsi,
ma al contrario esauditi, mi rimuova
dal tuo cospetto, io pur torno ostinato, 5
tutti gli altri rimedi avendo scarsi.
Che s’altro Dio potesse pur trovarsi,
io certo per aiuto a quel n’andrei.
Né mi si potria dir mai ch’io fosse empio,
se da te, che mi scacci in tanto scempio, 10
a chi m’invita mi rivolgerei.
Deh, Signor, io vaneggio; aita, aita!
pria che del Senno il tempio
divenga di stoltizia una meschita.
In questo primo madrigale di questa canzone mirabile confessa che sempre fu esaudito al contrario da Dio; e che però e per la legge fatale, che non si rompe mai, non doverebbe più pregare: ma, vedendo che non ci è altro rimedio, né altro Dio a chi ricorrere, torna alle orazioni solite, con pentirsi di questo, di dire che, se ci fosse altro Dio, anderebbe a quello ecc. Egli par diventar pazzo; e che l’anima sua, tempio della Sapienza divina, si fa meschita di stoltizia.
Madrigale 2
Ben so che non si trovano parole
che muover possan te a benivolenza
di chi ab aeterno amar non destinasti;
ché ’l tuo consiglio non ha penitenza,
né può eloquenza di mondane scuole 5
piegarti a compassion, se decretasti
che ’l mio composto si disfaccia e guasti
fra miserie cotante ch’io patisco.
E se sa tutto ’l mondo il mio martoro,
il ciel, la terra e tutti i figli loro, 10
perché a te, che lo fai, l’istoria ordisco?
E s’ogni mutamento è qualche morte,
tu, Dio immortal, ch’io adoro,
come ti muterai a cangiar mia sorte?
Qua argomenta ch’e’ non dovesse pregare: primo, per lo Fato risoluto nell’eterna volontà; secondo, perché non ci è eloquenza che possa persuader Dio; terzo, perché quel che vuol dire, lo sa tutto il mondo, tanto più Dio che lo fa o permette, ecc.; quarto, perché non può mutarsi, s’egli ha così ordinato: perché ogni mutamento è qualche morte, secondo sant’Augustino; dunque ecc. Queste ragioni sono risolute in Metafisica e Teologia; ed appresso risponde in parte.
Madrigale 3
Io pur ritorno a dimandar mercede,
dove il bisogno e ’l gran dolor mi caccia.
Ma non ho tal retorica, né voce,
ch’a tanto tribunal poi si confaccia.
Né poca carità, né poca fede, 5
né la poca speranza è che mi nuoce.
E se, com’altri insegna, pena atroce,
che l’anima pulisca e renda degna
della tua grazia, si ritrova al mondo,
non han l’Alpe cristallo così mondo, 10
ch’alla mia puritade si convegna.
Cinquanta prigioni, sette tormenti
passai, e pur son nel fondo;
e dodici anni d’ingiurie e di stenti.
Dice che ritorna a pregare, confidato non in retorica né in argomenti, ma nella fede e speranza e carità, che non gli mancava, e ne’ tormenti lunghi ed atroci, che poteano averlo purificato e reso degno e congruo d’essere esaudito. E pure s’inganna, come mostra nella Canzone a Berillo.
Madrigale 4
Stavamo tutti al buio. Altri sopiti
d’ignoranza nel sonno; e i sonatori
pagati raddolcîro il sonno infame.
Altri vegghianti rapivan gli onori,
la robba, il sangue, o si facean mariti 5
d’ogni sesso, e schernian le genti grame.
Io accesi un lume: ecco, qual d’api esciame,
scoverti, la fautrice tolta notte
sopra me a vendicar ladri e gelosi,
e que’ le paghe, e i brutti sonnacchiosi 10
del bestial sonno le gioie interrotte:
le pecore co’ lupi fûr d’accordo
contra i can valorosi;
poi restâr preda di lor ventre ingordo.
Narra che, stando il mondo nello scuro, e facendo tanto male ognuno al prossimo, e che gli sofisti ed ippocriti, predicando adulazioni, fanno dormir il mondo in queste tenebre; egli, accendendo una luce, ebbe contro gli ingannati e l’ingannatori ecc.; e che quelli, come pecore accordate co’ lupi contra gli cani, son devorate poi da’ lupi, secondo la parabola di Demostene.
Madrigale 5
Deh! gran Pastor, il tuo can, la tua lampa,
da’ lupi omai difende e da’ ladroni.
Fa noto il tutto all’ignorante gregge;
ché se mia luce e voce, pur tuoi doni,
lasci spacciare per peccato in stampa, 5
più dannato fia il sole e la tua legge.
Ma, s’altra colpa è pur che mi corregge,
sai che non può volarsi senza penne
della tua grazia; né, senza, io le merto.
Pur sempr’ho l’occhio al tuo splendor aperto; 10
che fallo è il mio, se dentro egli non venne?
Ma sciogli Bocca, e fai tuo messaggero
Gilardo; e con qual merto?
Màncati la ragion forse o l’impero?
Prega che Dio manifesti al popolo ch’egli è luce e cane, e non larva e lupo ecc.; e che la luce solare e la legge divina pur saranno presi per oscurità e per nequizia, se chi dice il vero è talmente afflitto ecc. Poi dice che, se ci è qualche peccato ch’egli non vede in sé, per lo quale pate, che gli dia la grazia di uscirne; perché non si può volar senza l’ali della grazia di Dio, né si può la grazia meritare se non per grazia. E ch’egli solo s’apparecchia a riceverla. Poi s’ammira che liberò Bocca, e fece suo profeta un altro tristo senza meriti.
Madrigale 6
Parlo teco, Signor, che mi comprendi,
e dell’accuse altrui poco mi cale.
Io ben confesso che del mondo hai cura
e ch’a nulla sua parte vogli male;
quantunque, a ben del tutto che più intendi, 5
senza annullarle, le muti a misura:
in che consiste proprio la Natura;
e tal mutanza male e morte noi
di qualità o di essenza sogliam dire,
ch’è del tutto alma vita e bel gioire, 10
bench’alle parti tanto par ch’annoi.
Così del corpo mio più morti e vite
veggo andare e venire,
di parti a ben del tutto in vita unite.
Mostra che questi argomenti gli fa a Dio, che sa, quel che dice, non dirlo d’animo eretico. E poi confessa che Dio regge il tutto, e che muta le cose con misura, e che la mutazione pare male e morte a noi, che parti siamo del mondo, se bene al tutto è vita e giocondità; come nel corpo nostro più morti e vite ci sono, mentre il cibo si trasmuta in tante particelle, e parte del corpo esala in aere ecc., e pure fanno una vita del tutto composto.
Madrigale 7
Il mondo, dunque, non ha male; ed io
di mali innumerabili sto oppresso
per letizia del tutto e d’altre parti.
Ma, se alle particelle hai pur concesso
d’invocar chi l’aiuta «proprio Dio», 5
ché a tutti gli enti il tuo valor comparti
e le mutanze lor con segrete arti
addolcisci, amoroso temperando
Necessitate, Fato ed Armonia,
Possanza, Senno, Amor per ogni via; 10
m’è avviso, ch’a pregarti ritornando,
truovi rimedio alcun, che rallentarmi
possa la pena ria,
o ’l dolce crudo amor di vita trarmi.
Conchiude che, se ’l mondo non ha male, ma egli, ch’è parte di quello, patisce per ben del tutto e dell’altre parti (come la pecora per cibar il lupo, ed ogni parte del mondo offesa chiama in aiuto altre parti simili, come Dio proprio, perché Dio in quelle l’aiuta, mentre a tutte donò Potere, Sapere ed Amore, e le temperò con Fato, Necessità ed Armonia); dunque e’ deve pur pregare Dio, e non cessare, perché ci dia rimedio contra la pena, o ci tolga l’amor crudele del vivere, che gli dona più pena che la morte stessa ecc. Nota ch’è dolce l’amor della vita e crudele, perché, se quello non fusse, non ci dispiacerebbe la morte, né gli guai.
Madrigale 8
Cosa il mondo non ha che non si muti,
né che del suo mutarsi non si doglia,
né che del suo dolersi Dio non preghi.
Fra’ quali molti son cui avvenir soglia,
che, come tu ab aeterno vuoi, l’aiuti; 5
e molti ancora, a cui l’aiuto neghi.
Come dunque io saprò per cui ti pieghi,
s’io presente non fui al consiglio antico?
Argomento verace alfin m’addita
che quella orazïon sia esaudita, 10
che con ragione e puramente io dico.
Così spesso, non sempre, nel tuo volto
sentenza è diffinita,
che ’l campo frutti ben, s’egli è ben cólto.
Dice che tutti gli enti pregano Dio nel suo modo, che loro tolga le pene: onde san Paolo, Ad Romanos: «Omnis creatura ingemiscit et parturit usque adhuc». E che Dio esaudisce molti secondo ch’e’ destinò, e molti no; e che, non sapendo s’egli era destinato d’esser esaudito, s’appiglia al partito di pregare ancora. Perché per buon argomento conosce che la dimanda ragionevole e con purità deve essere esaudita, come il campo ben cultivato fa frutto; e si spera il frutto con ragione, benché Dio avesse disposto altrimenti, ma che Dio proprio pare che voglia anche tal fruttare ecc.
Madrigale 9
Del mio contrito e ben arato suolo
la coltura mi reca gran speranza,
ma più lo sol del Senno che ’l feconda,
che molte stelle forse sopravanza,
esser predestinato sopra il polo, 5
che la preghiera mia non si confonda,
e ch’abbia il fine, a cui di mezzi abbonda
pur da te infusi e previsti ab aeterno.
Con condizion pregò Cristo, sapendo
che schivar non potea il calice orrendo. 10
E l’angel suo rispose: al gran governo
convenir ch’egli muoia. Io senza prego,
risposta ricevendo
dal mio diversa, che sovente allego.
Conchiude che, sendo egli contrito e cultivato come il campo, può sperar aiuto da questa orazione; ma più lo certifica il senno che Dio l’infuse, o per profeti gli avvisa ecc., e ch’, avendo mezzi per gran fine, arriverà a quel fine che le virtù dategli da Dio ricercano. E che, se bene Cristo non fu esaudito nella morte, e l’angelo gli rispose che dovea morire, pregò con condizione: «si fieri potest». Ma e’ prega senza condizione, e l’angelo gli risponde che sarà esaudito. Questo fu inganno del Demonio, e non angelo. Nota quanto ci vuol a digiudicar se saremo esauditi.
Madrigale 10
Canzon, di’ al mio Signor: – Chi per te giace
tormentato in catena intra una fossa,
dimanda come possa
volar senza ale. O manda, o tu insegna
come la ruota fatale è ben mossa, 5
e se si truova in ciel lingua mendace. –
Ma parrai troppo audace,
senza l’altra, ch’or teco uscir disegna.
Manda la canzone a Dio, che gli dica che non può volare senza l’ali della sua grazia, e che gli mandi un angelo, od egli stesso l’insegni se la ruota della Fortuna va con ragione, poich’egli può patire senza ragione ed altri sguazzare senza merito ecc. E come, avendoli rivelato la libertà, si truova bugia in cielo. Questo fu ’l Diavolo, e non un angelo. Poi dice ch’aspetti la seconda canzone a questo proposito, più umile.
74
Canzone seconda
della medesima salmodia
Madrigale 1
Se ha’ destinato ch’io ben sparga il seme,
avrai forse voluto che ben mieta:
perché dunque sì tarda il giusto fine?
Perché le stelle fai e più d’un profeta,
i tuo’ doni e scïenze vani insieme? 5
Perché le forze e le voglie divine
il nemico schernisce? e le rovine,
ch’a lui si converrian, a me rivolve?
Perché tra ’l Fato un’animata terra
bestemmia e nega Dio, s’egli non erra, 10
e me che t’amo in tante pene involve?
Quando ignorai e negai, molto impetrai
con chi il tuo nome atterra;
or ch’io t’adoro, vo traendo guai.
Quattro dimande argute e dolenti fatte a Dio, difficili a sciôrre, come quella di Ieremia: «Iustus es, Domine, si disputem tecum» ecc. Ma più è questa: che sia nell’ordine fatale, bene ordinato da Dio, alcuno che bestemmia Dio; e come ciò possa essere. La risposta ci è nell’Antimacchiavellismo d’esso Autore. Poi dice che Dio l’esaudì in altri travagli, quando era poco cristiano; ed ora s’ammira che, risoluto ad essere buono, non è esaudito.
Madrigale 2
Se tu già m’esaudisti peccatore,
perch’or non m’esaudisci penitente?
Perch’a Bocca, il tuo Nume dispregiante,
le porte apristi, e me lasci dolente,
preda al nemico e riso al traditore? 5
Così m’hai dato il corridor volante?
Ogni tiranno è contra i tuoi costante,
e ’n ben trattar chi a’ suo’ piaceri applaude;
e tu gli amici tuoi sempre più aggravi,
e nel lor sangue l’altrui colpe lavi. 10
Che maraviglia se cresce la fraude,
moltiplicano i vizi e le peccata?
Ché, ad onta nostra, i pravi
si vantan, che dài lor vita beata.
Segue le medesime dimande. E come liberò quel tristo, che apostatò poi, ed egli fu ingannato da chi volea liberarlo. Poi dice che, sendo gli amici di Dio sempre afflitti, però sono pochi: il che disse Salomone in Ecclesiaste: «Quia eadem cunctis eveniunt, corda filiorum hominum implentur malitia» ecc., e perché «vidi iustos, quibus mala eveniunt, malos autem, qui ita securi sunt ac si bene egissent».
Madrigale 3
Io con gli amici pur sempre ti scuso
ch’altro secolo in premio a’ tuoi riserbi;
e che i malvagi in sé sieno infelici,
sempre affligendo gli animi superbi
sdegno, ignoranza e sospetto rinchiuso; 5
e che di lor fortune traditrici
traboccan sempre al fine. Ma gli amici,
se, quelli dentro e noi di fuor, siamo
tutti meschini, chieggon la cagione,
che fa nel nostro mal tue voglie buone; 10
che se gli altri enti e noi, figli d’Adamo,
doveamo trasmutarci a ben del tutto
di magione in magione,
perché non fai tal muta senza lutto?
Risponde che a’ buoni s’aspetta un’altra vita in premio. E che di più in questa vita gli tristi sono più puniti in verità, che gli buoni internamente, bench’e’ non paia; come pur disse san Piero a Simon mago ecc. Ma di ciò nasce maggior dubbio: perché Dio fa che ci sia tanta meschinità tra buoni e malvagi? E se la mutazione fa questo, perché non ordinò che le cose si mutino senza sentir dolore?
Madrigale 4
Senza lutto se fosse, senza senso
sarian le cose e senza godimento,
né l’un contrario l’altro sentirebbe,
né ci sarìa tra lor combattimento,
né generazïone, e ’l caos immenso 5
la bella distinzione assorbirebbe.
E pur nel punto che mutar si debbe
la cosa, uopo è che senta, perch’all’altra
resista e faccia ch’ella si muti anco,
secondo il Fato vuol, né più né manco, 10
chi regge il mondo. Or qui tuo senno scaltra.
Io, teco disputando, vinto e lasso
cancello, e metto in bianco
le mie ragioni; in altro conto passo.
Risponde che, se la mutazione fosse senza doglia, non ci sarebbe senso di piacere. E così non combatterebbono gli enti contrari, e non si farebbe generazione, e ’l mondo tornerebbe caos. E poi risponde, che pure nel punto del mutamento, quando par che Dio dovesse levare il senso del dolore, è necessario che ci sia, perché resista quel ch’è travagliato e muore al travagliante, e si temperi in quel modello che intende Dio operante con tale ordine del suo Fato. Stupenda risposta! E poi dice che non sa che dire a Dio, in questo; e passa in altre sue opinioni sopra ciò ecc.
Madrigale 5
Solevo io dir fra me dubbiando: – Come
d’erbe e di bruti uccisi per mia cena
non curo il mal, né a’ supplicanti vermi
dentro a me nati do favor, ma pena;
anzi il sol padre e terra madre il nome 5
struggon de’ figli e i lor composti infermi;
così Dio non sol pare che s’affermi
che del mal nostro pietade nol punga,
ma ch’egli sembri il tutto; onde ne goda
trarci di vita in vita con sua loda, 10
che fuor del cerchio suo mai non si giunga. –
O pur, che in Dio fosse divario dolce,
dissi ragion men soda,
come in Vertunno è, che ’l nostro soffolce.
Dice ch’e’ solea immaginarsi che Dio fa come noi a’ vermi nati dentro il corpo nostro; che gli uccidiamo e non sentiamo i prieghi loro; o come il sole e la terra uccidono gli secondi enti da lor generati. E che Dio sia il tutto, e gode che dentro a lui si mutino senza annullarsi le cose, ma passano sempre in vario essere vitale ecc. O che Dio pure si mutasse, ma con dolcezza, come si favoleggia di Vertunno e Proteo, e che dal suo mutamento dolce nasce il nostro mutamento; e così l’affanno per conseguenza a noi, sendo noi parti, e non il tutto.
Madrigale 6
Or ti rendo, Signor, fermezza intègra:
ché i prieghi e ’l varïar d’ogni ente fue
da te antevisto, e non ti è un iota nuovo,
ch’un tuo primo voler possa or far due.
D’essere e di non essere s’intègra: 5
per l’un la fermo, per l’altro la muovo,
che da te sia, da sé non sia, la truovo;
per sé si muta, e per te non s’annulla
la creatura; e stassi, te imitando;
e mutasi, tua idea rappresentando, 10
ché in infinite fogge la trastulla,
per non poterla tutta in un mostrare;
infinità mancando
a questa, nel cui male il tuo ben pare.
Corregge la falsa opinione predetta, dicendo che Dio è immutabile, e le orazioni non poter dal suo primo volere mutarlo, perché già avea antevisto i prieghi nostri, e determinato se era bene esaudirle o no. Poscia mostra che il mutamento non viene dall’essere, né da Dio, ma dal nostro non essere; e che, sendo noi composti di ente e niente, quello da Dio ricevuto e questo da noi, sempre torniamo al niente, e Dio ci tiene che non ci annulliamo. E questo ritenimento è figurarsi con nuova idea sempre; e che la creatura sendo finita, e l’idea infinita, non può in una sola mutazione tutta parteciparla; e però Dio lascia questa mutazione del niente, servendosi a bene dell’ente, ecc.
Madrigale 7
Le colpe di natura (ancor dichiaro),
in cui si fondan l’altre del costume,
per la continoa guerra, ch’indi avviene
che l’un l’altro non è, non dal tuo Nume,
ma dal nïente origine pigliâro. 5
Né toglier la discordia a te conviene,
né far che l’un sia l’altro, perché ’l bene
di tanti cangiamenti sarìa spento,
né la tua gloria nota in tante forme
gioiose mentre stanno a te conforme, 10
dogliose mentre vanno al mutamento,
dove il niente le chiama. Ond’io veggio
che il tuo Senno non dorme;
ma io, in niente assorbito, vaneggio.
Dichiara che gli peccati della natura, in cui sono fondati pur quelli del costume, ch’è abuso d’essa natura razionabile, non vengono da Dio, ma dalla guerra de’ contrari; e la guerra viene da niente, perché l’uno non è l’altro. Vedi la Metafisica per questo. E poi dice che non par bene, come alcuni Epicurei dicono, che Dio tolga la guerra tra gli elementi e tra gli elementati; perché mancherebbe la mutazione e la rappresentazione della gloria divina in tanti successi d’essere, li quali sono giocondi, mentre sono simili a Dio. Onde tutti bramano essere; e la doglia solo nasce quando vanno al non essere ed al morire, dove il niente gli chiama; e Dio non lascia annicchilarsi, ma passare in altri essere.
Madrigale 8
Sì come il ferro, di natura impuro,
sempre s’arruggia e ’l fabbro invita all’opra,
così le cose, dal nïente nate,
tornan sempre al nïente; e Dio sta sopra,
ché non s’annullin, ma di quel che fûro 5
in altro essere e vita sien recate.
S’ e’ fregia nostra colpa e nullitate,
Dio ringraziar debbiam, non lamentarci;
ed io, vie più che gli altri, che son meno,
onde di guai mi truovo sempre pieno. 10
Ma, se de’ pannilini i vecchi squarci
carta facciam, che noi di morte rape
d’eternitade al seno,
che fia di me, se Dio di noi più sape?
Séguita a mostrare che Dio si serve della nostra mutazione e nientità a mostrare altre ricchezze d’essere; e che non possiamo lamentarci di lui se siamo travagliati e muoiamo, perché questo viene dal nostro non essere, non dal suo essere. E poi dice che, sendo egli partecipe di molto niente, come gli guai mostrano, non deve lagnarsi. Alfine si conforta che, se de’ stracciati panni si fa da noi carta per scrivere ed eternarsi in scrittura, tanto più Dio de’ suoi maltrattamenti e stracciato corpo potrà fare cosa immortale, e glorificarlo in fama ed in vita celeste ecc., perché sarebbe sciocco, non sapendosi servire del male in bene più che noi ecc.
Madrigale 9
– Ma perché più degli altri io fui soggetto
alle doglienze della vita nostra?
– Ché in questa o in altra aspetti miglior sorte,
e in quelli forza e in te saper Dio mostra.
– Ma perché l’una e l’altro io non ho stretto? 5
– Ché se’ parte e non tutto. – E perché forte
fu e savio chi a Golia donò la morte?
– Quel ch’era in lui, in te non è or bisogno.
– Perché così? – Ché l’ordine fatale
ottimo il volle, che Dio fece tale. – 10
Miser, so men quanto saper più agogno!
Miserere di me, Signor, se puoi
far corto e lieve il male,
senza guastar gli alti consigli tuoi!
Fa un dubbio: perché fu più soggetto delli altri a’ guai? E risponde: perché aspetta miglior sorte in questa e nell’altra vita, e perché Dio negli altri mostra il suo potere, facendogli meno soggetti a’ guai, e ’n lui il suo sapere. E contra questa risposta argomenta: per che causa David fu sapiente e forte? Risponde che fu così necessario in quello, e non ora in esso Autore. E, replicando, dice che l’ordine fatale così portò, ordinato ab aeterno. E perché ciò poco s’intende, conchiude che quanto più vuol sapere di questi segreti, meno ne sa. Però si volta a pregare simplicemente che Dio l’aiuti senza guastare i suo’ disegni ecc.
Madrigale 10
Canzon, di’ al mio Signor, ch’io ben conosco
ch’ogni cosa esser puote
migliore a sé, ma non all’universo;
ch’ e’ già sarìa disperso,
se uguali al sol fussero l’altre ruote 5
del mio desir non vòte.
Ma più ho da dirli. Aspetta
la tua terza sorella, che non tarda;
sarai in mezzo eletta
e più a grazia impetrar forse gagliarda. 10
Manda questa orazione a Dio, con dire che ben vede come per se stesso e’ potrebbe star meglio, ma non per tutto ’l mondo, perché il mondo sarebbe guasto, se tutti i pianeti e la terra fossero eguali al sole, e non patissero, come non pate il sole; talché il desiderio loro non s’adempie, né quello dell’Autore, per ordine divino. E poi si prepara alla terza canzone di questa medesima materia.
75
Canzone terza
della medesima salmodia
Madrigale 1
Vengo a te, potentissimo Signore,
sapientissimo Dio,
amorosissimo Ente primo ed uno:
miserere del nostro antico errore;
cessi omai l’uso rio; 5
non sia più l’uno all’altro uomo importuno;
tornin, dove io gli aduno,
alla prima Ragion tua; donde errando,
siamo trascorsi a diverse menzogne,
talché ognun par ch’agogne 10
farsi degli altri Dio, gli occhi abbagliando
al popol miserando,
già di cieca paura
sforzato a perseguir chi ben gli adduce;
ond’io sto in sepoltura, 15
perché lor predicai la prima luce.
Prega Dio che tutti torniamo tanto alla legge naturale, che [a] quella di Dio, e che cessi la idolatria, le sètte false e le guerre cominciate per ragione di Stato e la diversità de’ principati; e che sia una gregge, un pastore ed una fede. E narra i mali avvenuti dalla divisione d’essa fede naturale, e più gli proprii: per che fa ricorso a quella ecc.
Madrigale 2
Per l’Unità ti priego viva e vera,
per cui disfarsi stimo
la discordia, la morte e l’empio inganno;
per la Possanza universal primera,
e per lo Senno primo 5
e per lo primo Amor, ch’un ente fanno:
togliene omai quel danno,
che da valor, da senno e d’amor finti,
tirannide, sofismi, ipocrisia,
spande pur tuttavia; 10
che l’alme e i corpi a pugna cieca ha spinti
fra lacci e laberinti,
ove par che sia meglio
non veder l’uscio a chi forza non have;
e me n’hai fatto speglio,
quando senz’arme m’hai dato la chiave.
Lo prega per gli epiteti suoi eminentissimi: Unità, contraria alla discordia, alla morte ed allo tradimento; per la Possanza, Senno ed Amore; che ci toglia i danni venuti da finta possanza, finto senno e finto amore. Donde è nata la pugna cieca, che ci facciamo male l’un l’altro senza intendere perché, poiché spesso sono carcerati quegli che dicono il vero, e sono tenuti per eretici, come san Paolo da Nerone e san Piero ecc. E come in questo laberinto non giova vedere il vero a chi non è armato, perché più è afflitto dall’ingannati e dall’ingannatori, come disse nel sonetto «Gli astrologi» ecc.
Madrigale 3
Per le medesme eminenze ch’io soglio
dir di se stesse oggetti,
essenza, verità e bontade insieme,
ti prego, s’io di maschere le spoglio,
quella colpa rimetti, 5
che tôrre i falsi dèi dall’uman seme
vantansi, e più ci preme.
Chi vide ch’unquanco in terra si faccia
il tuo voler, sì come si fa in cielo?
chi d’ignoranza il velo, 10
chi il giogo sotto gli empi, che n’allaccia,
in fatti rompe o straccia?
Sol libertà può farci
forti, sagaci e lieti. E ’l suo contrario
valere a consumarci 15
di sei milla anni mostra il gran divario.
Prega per gli oggetti delle eminenze metafisicali già dette, le quali e’ spoglia di maschere, scoprendo la tirannia e la sofistica e la ipocrisia ecc., che Dio voglia perdonare a tutto il mondo, e far che si faccia in terra il suo volere come si fa in cielo, e che cessi l’ignoranza, la tirannia e la ipocrisia. E che questo non possa essere, se Dio non ci mette in libertà di peccato e di signoria, che possiamo e sappiamo dire il vero. E che gli falsi dèi promettano tutti la beatitudine, e mai non s’è vista ancora. Però debba provvedere il vero Dio.
Madrigale 4
Poi ti prego, ti supplico e scongiuro
per l’influenze magne,
Necessità, Fato, Armonia, che ’l regno
dell’universo mantengon sicuro,
tue figlie, non compagne; 5
per lo spazio, ch’è base al tuo disegno;
per la mole all’ingegno,
pel caldo e per lo freddo, d’elementi
gran fabbri, e per lo cielo e per la terra,
pe’ frutti di lor guerra; 10
pel tempo e per le statue tue viventi,
stelle, uomini ed armenti,
per tutte l’altre cose;
per Cristo, Senno tuo, Prima Ragione,
che dalle sorti ascose 15
spezzi la crudel mia lunga prigione.
Prega per l’influenze magne, Necessità, Fato ed Armonia, che guidano il mondo, come influenze ed effetti di Dio, e non come cause, né concause del suo governo. E questo dice contra i Gentili. Poi prega per tutti gli enti fisici, per lo spazio, per la materia, per lo caldo e freddo, per lo cielo e terra, per la generazione che fanno pugnando, per lo tempo, per le statue di Dio vive, che sono ecc., e per tutte le cose. Alfin conchiude come la Chiesa, per Cristo, Verbo e Sapienza di Dio, rompa la sua prigionia ecc.
Madrigale 5
Se mi sciogli, io far scuola ti prometto
di tutte nazïoni
a Dio liberator, verace e vivo,
s’a cotanto pensier non è disdetto
il fine a cui mi sproni; 5
gl’idoli abbatter, far di culto privo
ogni dio putativo
e chi di Dio si serve e a Dio non serve;
pôr di ragione il seggio e lo stendardo
contra il vizio codardo; 10
a libertà chiamar l’anime serve,
umiliar le proterve.
Né a’ tetti, ch’avvilisce
fulmine o belva, dir canzon novelle,
per cui Siòn languisce. 15
Ma tempio farò il cielo, altar le stelle.
Mira qual voto grande d’animo divinissimo! E’ pretende fare a Dio una scuola di tutto il mondo, se Dio lo aiuta. Nota che Dio si deve adorar in spiritu et veritate, e non in tetti di fango, che i fulmini e gli nidi d’uccelli scherniscono. E così Dio disse ad Isaia: «quam domum aedificabitis» ecc., e san Stefano. Ma la Chiesa di Cristo tiene questi, non perché Dio sia legato in loro, ma perché s’unisca il popolo in carità per la conoscenza e culto comune. «Beato chi intende come s’adora!» dice san Bernardo.
Madrigale 6
Deh! risorga a pietà l’Amor eterno,
e l’infinito Senno
proponga l’opra al gran Valor immenso,
che il duro scempio del mio lungo inferno
vede senza il mio cenno: 5
sei e sei anni che ’n pena dispenso,
l’afflizion d’ogni senso,
le membra sette volte tormentate,
le bestemmie e le favole de’ sciocchi,
il sol negato agli occhi, 10
i nervi stratti, l’ossa scontinoate,
le polpe lacerate,
i guai dove mi corco,
li ferri, il sangue sparso, e ’l timor crudo,
e ’l cibo poco e sporco; 15
in speme degna di tua lancia e scudo.
Narra ed amplifica la preghiera con tanti guai, che patia dentro quella fossa dopo dodici anni continovi ecc. I tormenti sono noti.
Madrigale 7
Farsi scanni gli uman corpi a’ giganti,
gli animi augei di gabbia,
bevanda il sangue, e di lor prave voglie
le carni oggetto, e le fatiche e i pianti
giuoco dell’empia rabbia, 5
maniche a’ ferri usati a nostre doglie
l’ossa, e le cuoia spoglie;
de’ nostri sensi, testimoni e spie
false contra noi stessi; e ch’ogni lingua
l’altrui virtute estingua, 10
e fregi i vizi lor con dicerie,
vedrai da queste arpie
più dal tuo tribunale.
Che pel tuo onor, mia angoscia se non basta,
ti muova il comun male, 15
a cui la providenza più sovrasta.
Narra tutti i guai, che da’ tiranni sono avvenuti a tutti uomini nel tempo presente e passato, e così da’ sofisti ed ipocriti. E nota che in senso mistico e metafisico dice assai, parlando di tutte le parti del nostro corpo serventi a quelli; ma con verità delle false adulazioni e testimonianze, e che Dio ne vede più ch’egli dice: e però si muova pel ben comune di tutti, se non per lui si muove ecc.
Madrigale 8
Se favor tanto a me non si dovea
per destino o per fallo,
sette monti, arti nuove e voglia ardente
perché m’hai dato a far la gran semblea,
e ’l primo albo cavallo, 5
con senno e pazienza tanta gente
vincere? Dunque, mente
tanto stuol di profeti che tu mandi?
ed ogn’anima santa, che già aspetta
veder la tua vendetta, 10
falsa sarà per gloria di nefandi?
Più prodigi e più grandi
il tuo Nume schernito,
qual muto idolo, agogna oggi, che quei
ch’ i mostri han sovvertito 15
di Samaria, d’Egitto e di Caldei.
Dice che Dio, avendogli fatto tanti favori di dargli nuove scienze, sette monti in testa prodigiosi, e volontà di fare la scuola del Primo Senno per divino instinto, e ’l cavallo bianco, ch’è l’ordine sacerdotale dominicano, e ’l vincere tanti tormenti e tormentatori, ciò è segno che Dio l’abbia da liberare per qualche gran cosa. E questo mostra da’ profeti e santi: vedi Brigida, Vincenzo, Catarina; e dal desiderio comune ecc. Poi dice che più miracoli ci vogliono a questo tempo, che non quando Moise ed Elia, e Daniele ecc. vinsero. Perché Dio è tenuto come idolo muto, secondo ch’ e’ dice a santa Brigida ecc.
Madrigale 9
Tre canzon, nate a un parto
da questa mia settimontana testa,
al suon dolente di pensosa squilla,
ch’ostetrice sortilla,
ite al Signor, con facce e voce mesta 5
gridando miserere
del duol, che ’l vostro padre ange e funesta.
Né sia chi rieda a darmi altra novella
dal Rettor delle sfere
che ’l fin promesso dell’istoria bella 10
(sia stato falso o vero il messaggiere),
cantando: – Viva, viva Campanella! –
Dà commiato a tutte le tre canzoni, fatte in un tempo stesso ed in un soggetto, come tre sorelle d’un parto ecc. Dice che non tornino senza il fine promesso in certe visioni, che si canterà – Viva Campanella – nel fine di questo suo carcere, e cose altre mirabili, ch’egli dice nell’Antimacchiavellismo; e ch’e’ fu deluso dal Diavolo ecc.
76
Quattro canzoni.
Dispregio della morte
Canzone prima
Madrigale 1
Anima mia, a che tanto disconforto?
forse temi perir tra immensi guai?
Tema il volgo. Tu sai
dirsi morir chi fuor del suo ben giace.
Se nulla in nulla si disfà giammai, 5
non può altronde, chi a sé pria non è morto,
morte patir o torto,
né temer guerra chi a se stesso ha pace.
Non ti muova argomento altro fallace.
Se ente alcuno non s’annicchila, bisogna dire che la morte sia mutazione; e che morto è ’n verità chi sta fuor del bene a sé conveniente, e non chi è mutato in altro ente.
Madrigale 2
Se nativa prigion te non legasse,
legar non ti potria l’empio tiranno,
ch’ e’ non può far tal danno
a’ sciolti venti, agli angeli, alle stelle.
Solo a lui male i tuoi tormenti fanno, 5
ma a te ben, come se ti liberasse,
o ti risuscitasse,
chi da sepolcro o da prigion ti svelle;
ché l’uno e l’altro son l’umane celle.
Il tiranno fa torto, ma non male, anzi ti sprigiona o risuscita; peroché il corpo è prigionia, secondo san Paolo e Trismegisto, e carcere oscuro. E perché siamo carcerati nel corpo, possono gli uomini carcerarsi ancora. Onde i venti e gli angeli non possono da noi essere carcerati. Talché non deve temersi il morire, ma stimarsi fine di prigionia e di morte ecc.
Madrigale 3
Dentro il gran spazio, in cui lo mondo siede
tutto consperso di serena luce,
che ’l sommo Ente produce,
e di vive magion lucenti adorno,
dove han gli spirti repubblica e duce, 5
in libertà felice: sol si vede
nera la nostra sede.
Dunque, de’ regni bianchi, ch’ella ha intorno,
fu a’ peccatori esilio e rio soggiorno.
Il mondo è tutto luminoso, e tutte le stelle in lui lucono, e sono stanze di angeli o di loro repubblica; e fra queste stelle solo la terra si vede in mezzo nera. Dunque questa terra è il carcere de’ demoni e dell’anime; e non fu fatta da Dio lucente per tal fine.
Madrigale 4
Il centro preme in sempiterna notte
sotto ogni pondo i più rubbelli; e ’l giro
or letizia, or martiro,
or tenebra ed or lume al mondo apporta,
che i proprii dal comun carcer sortîro; 5
né, quindi uscendo, in nulla son corrotte.
Ma chi scende alle grotte,
tornar non può, perché ivi al doppio è morta;
e chi va in alto, al carcer odio porta.
I demoni stanno nel centro, l’anime nella circonferenza tra il bene e ’l male, dove hanno sortito il carcere proprio, dalla terra pigliando il corpo suo, la quale è carcere comune; e però, morendo l’uomo, l’anime non muoiono. E se bene non tornano a farsi vedere da noi, questo è perché quelle che vanno al centro sono proibite, e quelle che vanno al cielo odiano di tornare a vedere i carceri e guai ecc., se Dio non l’arma di virtù contra quelli.
Madrigale 5
Se lo spirto corporeo, che ’l calore
ne’ bruti e pur negli uomini ha produtto,
sempre esala al suo tutto,
né riede a noi, quantunque esca a dispetto,
ignorando ch’a gaudio va dal lutto: 5
vie più la mente, che di lui men muore
tornando al suo Fattore,
poi, saggia e sciolta, fugge il nostro tetto:
avviso che non erri al coro eletto.
8. Qui pruova a minori ad maius che l’anima de’ morti non torna al cadavero, poiché lo spirito animale, ch’esce con lutto e si fa aria, pur non vuol tornare.
9. La bruttezza della terra fu avviso alli angeli che non errassero, se al suo centro non volean venire; e così è pure mo a noi.
Madrigale 6
È tutto opaco il corpo che ti cinge,
e sol ha due forami trasparenti;
né in lor le cose senti,
ma sol le specie, e non qua’ son, ché l’onda
le fa, il cristallo e ’l corno differenti, 5
che ’l lume che le porta àltera e tinge.
Né pur tuo specchio attinge
a veder l’aria sottil che ’l circonda,
né gli angeli, né cosa più gioconda.
Dice all’anima che il carcere suo è tutto opaco, e solo ha due forami trasparenti, che sono gli occhi; pe’ quali neanche le cose si veggono, ma le immagini, entranti con la luce di lor tinta, e di più alterata dalle tuniche degli occhi e dagli umori, cioè corneo, uveo, acqueo, cristallino; talché non si possono vedere come sono. Né pur vede l’aria sottile, né gli angeli, che ci stanno sempre avanti, per la grossezza di queste tuniche ecc.
Madrigale 7
Indebolite luci e moti e forze
delle cose, che batton la muraglia
del carcer che n’abbaglia,
sentiamo noi, non le possenti o dive;
perché sfarìan la nostra fragil maglia. 5
Né virtù occulta ammetton le sue scorze,
che per noi non si ammorze:
poche sembianze e di certezza prive
solo ha chi meglio tra noi parla e scrive.
Vuol dire che le cose manifeste a noi sono occulte, perché non siamo atti a sentire la luce del sole possente, né gli moti del cielo, né la possanza del fuoco senza consumarci, e molto meno di Dio e degli angeli. Né pur sentiamo le virtù occulte e deboli delle erbe, perché non possono arrivare a muover lo spirito serrato in tante scorze del corpo, pria che per noi si ammorzino, così che non si possano far sentire. Dunque il saper de’ più savi consiste in alcune sembianze, non nelle cose; e quelle, prive di certezza, perché mostrano poco e quasi di lontano e per mezzi grossi del corpo.
Madrigale 8
Qual uomo a volo non vorria levarsi,
o più saltar a giugner? Ma nol lascia
questa di morti cascia.
Va col pensiero a più parti del mondo,
dove esser brama; ma la grossa fascia 5
non vuol che vada, né possa internarsi
— — — — -
Dunque tien l’alma il tenebroso pondo,
l’allegrezza, i desiri e i sensi in fondo.
Ogni uomo vorrebbe arrivar col corpo dove va col pensiero, né può internarsi dentro le cose a saperle. Dunque ci proibisce il corpo il sapere, e ’l desiderio e ’l ben desiderato. Il perché e’ ci fa male tanto; e non lo conosciamo, desiderando vivere in lui ecc.
Madrigale 9
Di’: come al buio hai tu distinto l’ossa?
i nervi soprasteso alle giunture?
tante varie testure
di vene, arterie e muscoli formasti,
le viscere, le fibre e legature? 5
come il bodel si piega, stringe e ingrossa?
come, di carne rossa
vestendo il tutto, la testa scarnasti?
come il caldo obbedia? come il frenasti?
Se l’alma non sa come s’è fabbricato il corpo, né come fece tante membra a tanti usi, né come si frena il calore ecc., è segno ch’essa non fece il corpo.
Madrigale 10
Non mi risponder quel ch’impari altronde
e nell’anatomia, ché non è tuo
cotal saper, ma suo,
di chi t’avvisa: e pur t’inganni spesso,
come n’hai sperimenti più che duo. 5
Or, se [in] te ignori ciò che ’l corpo asconde
e in altri spii, risponde
non essere, a chi al buio sta, concesso
veder che fa, né il luogo, né se stesso.
Dice che l’alma non deve rispondere a tal dimanda, per quello ch’impara di fuori, ché non è suo sapere di quel che fa dentro a sé. Il che s’ella l’ignora, ignora se stessa, non sapendo che cosa è anima, né come sta nel corpo. Deve confessare che sta in carcere oscuro; e perché chi sta all’oscuro non vede se stesso, né il luogo dove sta, né quello ch’esso fa, così l’anima ignora sé, e ’l corpo, e l’opere sue proprie che fa in lui ecc.
Madrigale 11
Pur, se ’l vario nutrir t’ha fatto porre
la fabbrica in obblio, di’ mo: in che modo
il nutrimento sodo
all’ossa tiri, ed a’ nervi il viscoso,
ed agl’impuri vasi feccia e brodo? 5
Come odi, e vedi, e pensi, quando a scôrre
ten vai nell’alta torre?
Di’: il respirar, e ’l polso stretto e ondoso
come dài al spirto, fatica e riposo?
Non può dir l’anima che si scordò della fabbrica del corpo per la fatica del nutrimento, poiché neanche sa dire quello ch’essa fa in nutrire il corpo, e come seguestra il puro dallo impuro, e tira ad ogni membro quel che fa per sua sostanza, né come si respira o si dorme o si vigila. Dunque ecc.
Madrigale 12
Tu non sai quel che fai, ch’altri ti guida,
come al cieco chi vede apre ’l cammino.
Il tuo carcer sì fino
per tu’ avviso e suo giuoco il Sir compose.
Libera hai volontà sol, don divino, 5
per meritar, pigliando scorta fida,
no’ Macon, Cinghi o Amida,
ma chi formò tua stanza e l’altre cose;
e perché prezzi il ben, tra guai ti pose.
Dunque si conchiude che l’anima è guidata d’altri, come il cieco nell’opere sue. E ch’altri gli fabbricò il corpo, e ch’ella è soggetta in tutto, e solo libera di volontà per meritare, se scerrà la legge di Dio per scorta, e non quella di Macone, di Cinghi e d’Amida e di simili legislatori falsi. E però fu carcerata a operare, e non per pena sola, come pensò Origene. Vedi l’Antimacchiavellismo.
77
Canzone seconda
del medesimo tema
Madrigale 1
Quante prende dolcezze e meraviglia
l’anima, uscendo dal gravante e cieco
nostro terreno speco!
Snella per tutto il mondo e lieta vola,
riconosce l’essenze, e vede seco 5
gli ordini santi e l’eroica famiglia,
che la guida e consiglia,
e come il Primo Amor tutti consola,
e quanti mila n’ha una stella sola.
Quel che l’anima vede e conosce uscita dal corpo, contra quelli che nel corpo la fanno più scienziata.
Madrigale 2
Questo, ch’or temi di lasciar, albergo
tanto odierai, che, se: – Di ferro e vetro
per non sentir ferètro
né scurità, né doglia, – Dio dicesse –
tel renderò, ed in lui torna; – a tal metro, 5
crucciata, del voler voltando il tergo:
– In pianto mi sommergo –
risponderesti; salvo se ’l rendesse
tutto celeste, qual Cristo s’elesse.
Che l’anima, uscita dal corpo, non vuol tornare in lui, benché gli fosse fatto duro qual ferro e trasparente qual vetro, per non sentir morte né oscurità; e solo vorrebbe riaverlo, se fosse fatto glorioso come quello di Cristo risorgente: perché così non sarebbe all’alma impedimento, ma fregio ecc.
Madrigale 3
Mirando ’l mondo e le delizie sacre
e quanti onor a Dio fan gli almi spirti,
comincerai stupirti
come egli miri pur la nostra terra
picciola, nera, brutta e, più vo’ dirti, 5
dove ha tante biastemme orrende ed acre,
che par che si dissacre;
dove sta l’odio, la morte e la guerra,
e l’ignoranza troppo più l’afferra.
Che l’alma, scarcerata dal corpo, si stupisce come Dio tenga conto della terra nostra, avendo tante delizie divine in cielo ecc., e qua tante bruttezze e peccati ecc.
Madrigale 4
Vedrai pugnar contro la terra il cielo,
e ’l caldo bianco e la freddezza oscura,
e che d’essi Natura,
per trastullo de’ superi, ne forma
vento, acqua, pianta, metal, pietra dura; 5
del ciel scordarsi il caldo, e contra ’l gelo
vestirsi terren velo,
e come a suo’ bisogni lo conforma;
e che doglia e piacer gli enti trasforma.
Che l’alma sciolta vede la pugna degli elementi, e come la natura forma di essi tanti corpicelli per trastullo de’ superi, e come il caldo resta nel suo contrario a semenzire. E come la trasformazione è guidata dall’amore e dall’odio, ma non nel modo d’Empedocle, ma della Metafisica dell’Autore.
Madrigale 5
Possanza, Senno, Amor da Dio vedrai
participar il tutto ed ogni parte;
ed usar la Prima Arte
Necessitade, Fato ed Armonia,
per cui tanta comedia orna e comparte, 5
a Dio rappresentando giuochi gai;
e divin fiati e rai
(che son l’anime umane) a’ corpi invia
per far le scene con più leggiadria.
L’alma sciolta vede anche la dependenza degl’influssi magni dalle primalità; e come il Primo Senno ordina la comedia universale con tante maschere di corpi; e, per nobilitare le scene, ci traveste le alme immortali umane.
Madrigale 6
Fia aperto il dubbio, che torce ogn’ingegno:
perché i più savi e buoni han più flagelli,
e fortuna i più felli?
Ché Dio a que’ die’ le parti ardue del gioco,
per trarli a maggior ben da’ lordi avelli; 5
e del suo mal goder lascia chi è degno.
E n’ho visto pur segno,
più indotti e schiavi e impuri amar non poco
l’error, la prigionia e l’infame loco.
Risponde alla domanda di Epicuro e di tutti savi e di David e Ieremia: – Perché Dio dona travagli a’ buoni e fortuna a’ rei? – dicendo ch’a quelli diede la parte più ardua della comedia universale per premiargli poi, ed a questi lascia godere questa vita, perché è morte e degna di loro; e si pruova per esempio de’ vili, schiavi e carcerati, che si vendono più volte in galea, e non sanno vivere altrove, e godono di tal vita impura.
Madrigale 7
Il giuoco della cieca per noi fassi:
ride Natura, gli angeli e ’l gran Sire,
vedendo comparire
della primera idea modi infiniti,
premiando a chi più ben sa fare e dire. 5
Se i nostri affanni son divini spassi,
perché vincer ti lassi?
Miriamo i spettator, vinciam le liti
contra prìncipi finti, stravestiti.
Come tra gli uomini e le cose basse si fa il giuoco della cieca e si travestono l’idee in varie fogge; e ride Dio e la Natura e gli angeli, e preparano premio a chi più sa ben fare e dire. E non ci è risposta più acuta di questa tra savi. Dunque, solo i nostri affanni sono giuoco di Dio, e sperano premio, ed è stoltizia fuggirgli tanto.
Madrigale 8
Il carcere, che ’n tre morti mi tieni
con timor falso di morir, dispreggio.
Vanne al suolo, tuo seggio,
ch’io voglio a chi m’è più simile andarmi.
Né tu se’ quel che prima ebbi io, ma peggio, 5
che sempr’esali, e rifatto altro vieni
da quel che prandi e ceni:
onde lo spirto tuo nuovo ognor parmi.
Or perché temo in tutto io di sbrigarmi?
Si risolve sprezzare il corpo, che ci tiene in tre morti con timor di morir falso. E poi non è lo stesso corpo in cui fu posta l’alma, perché sempre altro si perde esalando, altro si rifà del cibo: e così lo spirto animale ancora. Però è pazzia far tanta stima di questo nostro vivo male ecc.
78
Canzone terza
del medesimo tema
Madrigale 1
Piangendo, dici: – Io ti levai, – mia testa;
le man: – Scrivemmo –; i piè: – T’abbiam portato.
Dispregiarne è peccato.
Di più, te il dolor stringe e ’l riso spande;
ti prende obblio ed inganno, ché se’ un fiato, 5
e la puzza greva, odor cresce e desta,
che sparso in aere resta;
perché noi, gloria, Venere e vivande
sprezzi, ove certo vivi, e molto, e grande?
Dopo la risoluzione di abbandonare il corpo, fatta nella canzone precedente, qua risponde in favore del corpo o di ogni membro, che sia peccato sprezzar tanto buon compagno; e poi gli vuol mostrare ch’essa sia un fiato mortale corporeo, poiché il riso e la doglia lo mostrano, e la puzza ch’aggrava lo spirito, e l’odor che lo cresce e sveglia. Però par bestialità sprezzare il corpo, ove si vive certo e ci è gusto e gloria, per un’altra vita incerta ecc.
Madrigale 2
– Compagno, se in obblio le doglie hai posto,
quando di terra in erba e in carne sei
fatto di membri miei,
pur questa obblierai, ch’or ti martìra,
di farti terra; e poi godrai di lei. 5
Per farne altri lavori ha Dio disposto
disfare il tuo composto;
ma in tutto il Primo Amor dolcezza spira.
Poi sarai mio, se ’l tutto al tutto aspira.
Risponde l’anima al corpo, consolandolo, che, se gli dispiace tanto il morire e scompagnarsi di lei, pur altre volte fu morto e trasmutato: quando si fece di terra erba, e d’erba cibo, e poi carne degli membri umani; ed in tutte queste trasmutazioni ha sentito dolore, perché ogni cosa sente. E se di tal dolore s’è scordato, gli dice che pure si scorderà di questo, ch’averà della separazione sua. E che, fattosi terra, goderà poi d’esser terra, come ogni ente del suo essere. Poi lo consola che sarà riunito nel fine del mondo, poiché ogni cosa desidera il suo tutto, e l’uomo tutto è in anima e corpo. Onde si pruova la resurrezione.
Madrigale 3
S’or debbo a ciò che fosti e sarai mio,
porterò un monte: ma l’Arte soprana
quanto ti trasumana,
staremo insieme: né pensar ch’io tema
disfarmi in nulla o in cosa da me strana. 5
L’animal spirto, in cui involto sono io,
prende inganno ed obblio,
ed io per lui: quando egli cresce e scema,
patisco anch’io, ma non mutanza estrema.
In questo madrigale segue a rispondere che l’alma non è obbligata al corpo, perché, se quanto fu e sarà suo corpo deve ella prezzare, sarebbe bisogno portare un monte grandissimo; perché, mangiando, nuove particelle si aggregano al corpo, ed altre esalano. Talché ella non può tutto quello che fu suo, seco avere, ma quanto l’arte divina risusciterà: vide divum Thomam, in tertia parte. Poi risponde all’argomento fatto contra la sua immortalità, dicendo che le passioni predette sono nello spirito corporeo, veicolo della mente da Dio infusa, e non nella mente, se bene essa ne partecipa da lui, ecc.
Madrigale 4
Desir immenso delle cose eterne
e ’l vigor, per cui sempr’alto più intendo,
e terra e ciel trascendo,
se nulla eccede di sue cause il fine,
mostran che d’aria e dal sol non dipendo, 5
né di cose caduche, ma superne.
Ecco che mi discerne
da te, ch’ami e sai solo il tuo confine;
e pur gran pruove d’altre alme divine.
L’intendere ed appetere l’infinito mostrano che l’anima non dipende dagli elementi, perché nessun effetto si leva sopra la sua causa, e che abbia origine da Ente infinito immortale. E pur le sperienze de’ santi e la religione vera comprovano lo stesso ecc. Nota che l’alma parla al corpo ancora, e gli fa questi argomenti, e ch’essa non è qual lui, ecc.
Madrigale 5
La morte è dolce a chi la vita è amara;
muoia ridendo chi piangendo nasce;
rendiam queste atre fasce
al Fato omai, ch’usura tanta esige,
ch’avanza il capital con tante ambasce. 5
L’udito, i denti vuol, la vista cara.
Prendi il tuo, terra avara,
perché me teco ancor non porti a Stige.
Beato chi del tempo si transige!
Chiaro e stupendo detto dell’anima risoluta a morire, come rende il corpo alla terra ed al Fato; ch’egli cerca l’usura della vita che imprestò al corpo: or vuole doglie, or l’udito, or la vista ecc.; e questa usura avanza il capitale. Vedi l’Axioco di Platone.
Madrigale 6
Tu, morte viva, nido d’ignoranza,
portatile sepolcro e vestimento
di colpa e di tormento,
peso d’affanni e di error laberinto,
mi tiri in giù con vezzi e con spavento, 5
perch’io non miri in ciel mia propria stanza,
e ’l ben ch’ogn’altro avanza:
onde, di sua beltà invaghito e vinto,
non sprezzi e lasci te, carbone estinto. –
Epiteti propriissimi del corpo; e contra le sue lusinghe e timori resoluzion veracissima dell’alma che gli parla.
79
Canzone quarta
del medesimo tema
Madrigale 1
Filosofia di fatti il Senno vuole,
che l’ultime due tuniche or mi spoglia,
ch’è del viver la voglia
e d’aver laude scrivendo e parlando.
Doglia è lasciarle. Ma smorza ogni doglia 5
chi nella mente sua il gran Senno cole,
seco vuole e disvòle,
di lui se stesso in se stesso beando.
Onor non ha chi d’altri il va cercando.
Mostra in questo madrigale primo, che il Senno, di cui è amor la filosofia, non vuole parole solamente, ma fatti; e che, per operar bene e sprezzare i guai e la morte, è necessario spogliarsi del desiderio della vita e della gloria, che sono le due ultime tuniche che lascia il filosofo, secondo Platone; e però chi di queste è spogliato, ogni travaglio piglia a bene, e la morte stessa. Onde in tal contentezza diventa beato, volendo e disvolendo con Dio ciò ch’adiviene. Conchiude che il vero onor è dentro la coscienza, e chi si conosce buono e savio non cerca l’onor d’altri, che dicano ch’egli è buono e savio, poich’esso lo sa, e Dio e gli angeli. Dunque gli ambiziosi sono senza onor proprio sempre.
Madrigale 2
Se fusse meglio a tutto l’universo,
alla gloria divina ed a me ancora,
ch’io di guai fosse fuora,
liberato m’avria l’Omnipotente;
ch’astuzia e forza contra lui non fôra. 5
Tiranno, incrudelisci ad ogni verso;
sbrani e mangi il perverso:
ché non è mal là dove Dio consente.
Non doni legge al medico il languente.
Vero argomento che, se non viene cosa senza Dio, il carcere di esso autore sarebbe già finito: perché contra Dio non può la violenza ed astuzia di quelli che lo tenevano carcerato in una fossa, dove fece queste quattro canzoni. Però si risolve voler la morte, se a Dio piace. I guai sono medicina. E ch’egli, infermo, non deve dar legge a Dio, suo medico.
Madrigale 3
Empio colui non sol, ma ancora stolto,
che, ’n croce giubilar Piero ed Andrea
veggendo, e che si bea
Attilio ne’ tormenti e Muzio e Polo,
non sa avanzar la setta epicurea, 5
che sol piacer ha del piacer raccolto,
traendo gaudio molto,
pur come fan gli amanti, anche dal duolo;
ché ’l Primo Amor ci leva a tanto volo.
Non solo eresia, ma pazzia pare che l’uomo, vedendo tanti santi ed eroi godere degli tormenti ed eternarsi in Dio e nella fama, non sa far lo stesso nell’occasione, e pigliar allegrezza anche dagli affanni, come gli apostoli: e gli innamorati godono patir per la loro diva. Dunque l’Amor divino più ci alza a questo gaudio anche ne’ travagli. Onde si condanna Epicuro e ’l macchiavellismo, che non sanno cavar piacere e gaudio dagli affanni, ma solo dalle prosperità, come le bestie, le quali deve avanzar l’uomo savio ecc.
Madrigale 4
Fuggite, amici, le scuole mondane;
alto filosofar a noi conviensi.
Or, c’han visto i miei sensi,
non più opinante son, ma testimonio,
né sciocche pruove ho de’ secreti immensi. 5
Già gusto quel che sia di Cristo il pane.
Deh! sien da noi lontane
quelle dottrine, che ’l celeste conio
non ha segnato; ch’io vidi il Demonio.
Richiama gli amici alla scuola di Cristo, poich’egli ha conosciuto per esperienza esser vero l’altro secolo dopo la morte, ed ebbe molte visioni manifeste al senso esteriore, e gli demoni lo travagliarono e vollero ingannarlo, fingendosi angeli. Ed allora fece questa canzone, e si dedicò tutto alla religione vera. E predica agli altri che la sua sperienza è vera, e non di femminella, né d’uomo deluso, ma di filosofo, ch’andò investigando questa verità, ed allora scrisse l’Antimacchiavellismo.
Madrigale 5
Credendosi i demòn malvagi e fieri
indiavolarmi con l’inganni loro,
benché con mio martoro,
m’han fatto certo ch’io sono immortale;
che sia invisibil più d’un consistoro; 5
che l’alme, uscendo, van co’ bianchi e neri,
e co’ fallaci e veri,
a cui più simil le fe’ il bene e il male,
che più studiâro in questa vita frale.
L’utilità, la quale e’ cavò d’aver visto gli diavoli e trattato con esso loro, è ch’egli s’accertò che ci sieno anche degli angeli ed un’altra vita; e che però trattano con gli uomini, perché alla schiera de’ buoni o rei ha l’uomo d’aggregarsi dopo la morte, secondo a chi si fece simile di loro con le operazioni buone o rie. Appartenghiamo dunque ad un’altra vita. Se no, perché tratterebbono con esso noi?
Madrigale 6
Altri spinge a servir Dio vil temenza,
altri ambizione di Paradiso,
altri ipocrito viso;
ma noi, ch’è Primo Senno e Sommo Bene
amabile per sé, tenemo avviso, 5
a cui farci conformi è preminenza,
bench’avessim scïenza
che n’abbia scritti alle tartaree pene.
Nel Primo Amor null’odio por conviene.
Che, datosi l’uomo al culto divino, non deve servir Dio per timore dell’inferno, né per amor della gloria ch’aspetta; che questo servire è vile, di schiavo o di mercenario, secondo che dice san Bernardo. Ma deve servire a Dio perch’è Sommo Bene, degno di sommo amore; e queste speranze debbono essere seconde, e non prime, secondo l’intenzione. E, se pure pensassimo andare all’inferno e lo sapessimo, dovremmo servire a Dio, perché questo è il vero Paradiso; se ben pare schifiamo l’inferno: perché chi s’accosta al Sommo Bene, non può cadere in male.
Madrigale 7
Chi dagli effetti Dio conoscer brama
per seco unirsi e lodarlo, sia certo,
come in me sono esperto,
delle sue colpe segreto perdono
conseguisce e scïenza dell’incerto. 5
Dio osserva la pariglia: ama chi l’ama,
e risponde a chi il chiama.
Odia, disprezza il mal, sendo uno e buono;
chi a lui si dona, lo guadagna in dono.
Conchiude quel che ha provato, che Dio perdona i peccati e l’esaudisce, ed invocato risponde, ed insegna con più amore che il padre, e più presto che gli diavoli. E che noi non siamo intesi né veggiamo, perché trascuriamo il suo culto, e non lo chiamiamo per ben nostro e per vero amore, né ci diamo in tutto e per tutto a lui. Ma chi si dà a Dio, guadagna Dio e se stesso.
Madrigale 8
Se mai fia ch’uomo ascolte
queste sotterra ed in silenzio nate
rime mie sventurate,
pria che nascan, sepolte,
pensier muti e costume; 5
ch’io non ragiono a caso,
ma sperïenza e Nume
e legge natural m’hanno persuaso.
Nel prender commiato dice che queste rime sono fatte in una fossa, e però sepolte avanti che nate; ed esorta le genti a mutar vita e sospetto, perché non si è mosso a parlar così, se non per esperienza, e per Nume divino che l’ha insegnato, e per ragion naturale filosofica; ed assicura tutti del vero.
80
Canzone a Berillo di pentimento
desideroso di confessione ecc.,
fatta nel Caucaso
Madrigale 1
Signor, troppo peccai, troppo, il conosco;
Signor, più non m’ammiro
del mio atroce martiro.
Né le mie abbominevoli preghiere
di medicina, ma di mortal tosco 5
fûr degne. Ahi, stolto e losco!
Dissi: – Giudica, Dio, – non – Miserere. –
Ma l’alta tua benigna sofferenza,
per cui più volte non mi fulminasti,
mi dà qualche credenza 10
che perdonanza alfin mi riserbasti.
Parla a Dio e riconosce quelli peccati che gli parean atti meritorii.
Madrigale 2
Quattordici anni invan patisco (ahi lasso!),
sempre errore accrescendo
a me stesso, ed agli altri persuadendo
ch’io per difender verità e giustizia
da Dio, c’ho sconosciuto, sia qua basso, 5
qual Cristo, eletto sasso
a franger l’ignoranza e la malizia.
Or ti vorrei pregar che, per discolpa
di tanti errori, accetti tante pene;
se non è nuova colpa 10
chieder ch’agli empi guai segua alcun bene.
Madrigale 3
Io merito in nïente esser disfatto,
Signor mio, quando penso
l’opere prave mie e ’l perverso senso.
Poi, mirando ch’io son pur tua fattura,
che tocca riconciarla a chi l’ha fatto, 5
ch’io bramo esser rifatto
nel tuo cospetto nuova creatura,
questa sola ragion sola mi resta.
Onde sol fine al mio lungo tormento
chieggio, non quella festa, 10
né del prodigo figlio il gran contento.
Madrigale 4
Io mi credevo Dio tener in mano,
non seguitando Dio,
ma l’argute ragion del senno mio,
che a me ed a tanti ministrâr la morte.
Benché sagace e pio, l’ingegno umano 5
divien cieco e profano,
se pensa migliorar la comun sorte,
pria che mostrarti a’ sensi suoi, Dio vero,
e mandarlo ed armarlo non ti degni,
come tuo messaggiero, 10
di miracolo e pruove e contrassegni.
Niuno deve predicare novità o cose donde pensa che s’abbia a migliorare la repubblica, se da Dio visibilmente non è mandato e, come Moise, armato di miracoli e contrassegni ecc.
Madrigale 5
Altri il Demonio, altri l’astuzia propia
spinse a far cose nuove,
permettente colui che ’l tutto muove,
per ragion parte chiare e parte oscure.
Laonde chi di senso ha maggior copia, 5
spesso sente più inopia,
empiendosi di false conghietture,
che i divi ambasciator sien anche tali;
e la bontà di Dio, che condescende
e si mostra a’ mortali, 10
disconosce, discrede e non intende.
Come quelli che predicarono novità, non tutti furon da Dio mandati, ma dal Demonio, come Macometto e Minos; altri dalla prudenza, come Pitagora ecc.; onde molti pensano che anche Moise e gli profeti sieno così venuti, e s’ingannano.
Madrigale 6
Osserva, uomo, osserva quella legge,
nella qual nato sei:
prencipe e sacerdoti sienti dèi,
e i lor precetti divini, quantunque
paiano ingiusti a te ed a tutto il gregge; 5
se Dio, per cui si regge,
diluvi, incendi e ferro usa quandunque
par giusto, e così que’ ministri d’ira.
Dove Dio tace e vuole, taci e vogli;
con voti al porto aspira, 10
schifando via, non offendendo, i scogli.
Che l’uomo deve comportare i tiranni, mentre da Dio sono permessi, il quale usa questi flagelli e fuoco e peste e guerra; e dove non ti dice altro, sta chieto, prega ecc., e non ti mettere ad aiutare con novità ecc.
Madrigale 7
Chi schernisce i decreti, ovvero ammenda,
o col peccato scherza,
o di quel gode, o per la prima sferza
da errar non fugge più che dal colùbro,
o l’occulta giustizia non gli è orrenda: 5
costui misero intenda
ch’è preso all’ami; e que’ ch’al lido rubro
ostinati perîr, giungi al mio esempio.
Quanto ha il peccato in sé bruttezza e puzza
pria non conosce l’empio 10
che, qual Antioco, inverminisce e puzza.
8. Grande avvertimento e chiaro.
11. Mira quando uno empio arriva a conoscer il peccato.
Madrigale 8
Ma tu quei miri, che peccano impune,
lieti e tranquilli sempre;
ma non penètri le segrete tempre
dell’uomo interïor, e però sparli;
ché forse è di quel mal, che pensi, immune; 5
o pene ha più importune,
sdegno, sospetto, zelo, interni tarli;
né guardi il fine, né le divine ire,
quanto più tarde, tanto più gagliarde.
O ciò ne forza a dire: 10
– Necessario è l’Inferno, che sempre arde. –
Nota che non segue, perché non si vede la pena de’ malvagi, che però ella non ci sia, sendo o occulta o futura; o e’ non sono tristi come a te pare. O vero questo è, perché conosciamo che ci resta la giustizia dell’altro secolo, e crediamo l’Inferno ecc.
Madrigale 9
Tardi, Padre, ritorno al tuo consiglio,
tardi il medico invoco;
tanto aggravato, il morbo non dà loco.
Quanto più alzar vo’ gli occhi al tuo splendore,
più mi sento abbagliar, gravarmi il ciglio. 5
Poi con fiero periglio
dal lago inferïor tento uscir fuore
con quelle forze che non ho, meschino.
Meschino me, per me stesso perduto!
Ché l’aiuto divino, 10
che sol salvarmi può, bramo e rifiuto!
Mira come la risoluzione di viver bene è impedita da’ mali abiti; come cerca con la prudenza umana uscir da quel male, donde non può umanamente.
Madrigale 10
Desio di desiar tue grazie tengo:
certa, evidente vita,
quando voglia possente a te m’invita,
e quando è fiacca, avaccio sento il danno;
su l’ale del voler non mi sostengo 5
rotte e bagnate. Vengo
a que’ favor, che sì pregar mi fanno:
– Deh! pregate per me voi, ch’io non posso,
voi, Piero e Paolo, luminar del cielo,
Radamante e Minosso 10
della celeste legge e del Vangelo. –
Vedendo che ha il desiderio di desiderare, ma non del desiderato aiuto, e che quando si movea a Dio, subito sentia aiuto, e quando la voglia era lenta, sentia il danno, si risolve di dimandare aiuto ecc.
Madrigale 11
Merti non ho per quelli gran peccata,
che contra te ho commesso.
Madre di Cristo, e voi che state appresso,
spirti beati, abitator del lume,
che ’l mondo adempie e sol la terra ingrata 5
ancor non ha purgata;
prego contra ragion, contra il costume,
ch’al vostro capital fiero inimico
impetrate da lui qualche perdono,
ch’ a’ peccator fu amico; 10
poiché tra gli empi il maggior empio io sono.
Madrigale 12
Ah, come mi sta sempre innanzi agli occhi,
come mi fere e punge!
Come l’alma dal corpo mi disgiunge,
e la fiducia dall’alma mi svelle
il gran fallo mio, gli atti miei sciocchi! 5
– Tu, chi mi senti e tocchi,
aria, tu, vivo ciel, voi, sacre stelle,
e voi, spirti volanti dentro a loro,
ch’or m’ascoltate, ed io non veggio voi,
mirate al mio martoro; 10
di voi sicuri, pregate per noi. –
Madrigale 13
Canzon grave e dolente
delle mie iniquitati,
corri a Berillo vivo, da Dio eletto
a purgar l’alme da’ brutti peccati.
Di’ che la mia si pente; 5
ch’ e’ faccia il sacro effetto,
invocando per me l’Omnipotente.
3. Berillo è don Basilio di Pavia, di santità e carità ed amicizia singolare con esso lui.
81
Della prima possanza
Canzone
Madrigale 1
Le potestati umane tanto m’hanno
travagliato, ch’omai vengo a pensare,
ch’io peccai contra te, Possanza Prima;
però che di Saturno più d’un anno
tutto del Senno Primo a contemplare 5
mi diedi, e al Primo Amor volsi ogni rima,
di te tanto scrivendo
quanto per lor ti intendo,
di cui dovevo far principal stima.
Or io volgo il mio stile 10
alla tua dignitade,
perdon chiedendo umìle
ed aiuto, o Suprema Podestade.
Dovea l’Autore, per ordine metafisico, scrivere della Prima Possanza avanti che del Primo Senno. Ma non ne parlò mai, senon in questa canzone, pentitosi d’aver in trenta anni, ch’èl’anno saturnino, scritto e parlato solo d’Amore e del Senno. Ed ora chiede perdono e domanda aiuto alla Possanza dentro la stessa fossa ecc.
Madrigale 2
Dove manca possanza, il patimento
ch’al non esser le cose sempre tira,
abbonda, e ’l caso avverso, ed ogni male;
onde io tant’anni mi truovo scontento.
A te, Valor, dunque, oggi alzo la mira, 5
a cui soggiace ogni forza fatale:
ché ’l Senno e l’Amor pio,
com’or ben confesso io,
senza la tua difesa poco vale.
Può amar chi ha potenza 10
e sa chi può sapere,
ed è chi aver può essenza;
dunque, ogni quiddità vien dal Potere.
4. I guai che vengono per mancanza di Potere.
13. E’ pruova che dal Potere viene l’Essere, l’Amare e ’l Sapere.
Madrigale 3
L’intrinseco poter fa che sossista
ogn’essere; e l’estrinseco il difende,
si è d’altri, o parte, e non da sé, né tutto.
Sta il mondo e gli enti magni in questa lista,
a cui precede chi da nullo pende, 5
Dio, che interno valor solo ha per tutto.
Ma può, se poter vuole
e se poter sa; e suole
(in sé volgendo quel che ’n lui è produtto)
saper, se puote ed ama; 10
e voler, se può e sape.
Dunque «tre in un» si chiama,
e distinzion d’origine sol cape.
Ha bisogno di poter estrinseco chi è parte e non tutto, o procede d’altri, e non da sé. Intrinseco l’ha il mondo, e forse gli angeli in parte: se bene da Dio hanno l’essere, e ’l potere per conseguenza, pure possono sempre essere, per quel che Dio gli donò essere, come totale e come da sé. Ma Dio solo è vero potere interno. Ma, perché Dio può volendo e sapendo, e sa potendo e volendo, e vòle potendo e sapendo, per questo è in tre uno, e solo si distingue per le relazioni d’origine. Vedi questa sottile disputa nella seconda parte della Metafisica dell’Autore.
Madrigale 4
Possanza e Senno producono Amore
unitamente; e però tutte cose
aman l’esser, però che sanno e ponno,
ma sanno perché ponno solo. Autore
dunque del Senno primo ben si pose 5
il primario Poter, degli enti donno.
Ma, perché regge amando
ed opera insegnando,
e l’esser, quando è desto e quando è in sonno,
d’essi tre si compone, 10
saran tre preminenze,
d’ogni effetto e cagione
semplici metafisiche semenze.
L’Amor procede dalla Conoscenza e dalla Potenza, ma la Conoscenza dalla Potenza. Dunque la Potenza precede tutte le primalità metafisiche; ma, perch’essa non è Potenza senza Senno e senza Amore, però sono tutti tre preminenze, e semi, e cause metafisicali di tutte le cause e causati fisici ecc. Vedi la Metafisica.
Madrigale 5
È, ciò ch’è, perché puote, sape ed ama;
non è, quel ch’esser non può, ignora o abborre,
per sé, o per forza d’altri, o del Primo Ente,
ch’è monotriade. E quel ch’all’esser chiama,
partecipando tre eminenze, corre, 5
pur limitato sempre dal nïente,
all’esser suo finito,
che sta in quello infinito
esser, eterno, solo, independente,
che creò, come base 10
d’ogni essenza seconda,
lo spazio, immenso vase,
ch’è penetrato, penetra e circonda.
Pruova che l’essere viene dal potere, sapere ed amare, e ’l non-essere dal non-potere, non-sapere ed odiare per sé, ma dal Primo Ente per accidente, in quanto toglie il potere o il sapere o l’amore, ma non lo annichila. E che, nascendo da lui, piglia ogni ente partecipazione di queste tre primalità; ma, finite, vengono a lui per la partecipazion del niente, che ha le sue opposte primalità; e che pure l’ente nato sta nel Primo Ente, e non fuori. E che il luogo è base dell’essere delli secondi enti, che penetra incorporalmente, e penetrato è corporalmente e cinge tutto.
Madrigale 6
Quando di contener virtù donasti
al luogo, e dal tuo Senno senso prese,
e dall’Amor amor di farsi pieno,
la gran mole corporea ingenerasti,
delle virtuti agenti atta all’imprese, 5
in due triadi consimili a quel seno.
Poscia i maschi, possenti,
che di lei due elementi,
cielo e terra, formâro: e del più e meno
di lor gare e rovine 10
ogni mistura uscìa,
Dio influendo a tal fine
Necessitate, Fato ed Armonia.
Dice come Dio prima fece lo spazio, composto pure di Potenza, Sapienza ed Amore; e che dentro a quello pose la materia, ch’è la mole corporea, consimile al seno, cioè al luogo, in due triadi, cioè nel potere, sapere ed amare, e nella lunghezza, larghezza e profondità, ecc. Nella materia poi Dio seminò due maschi principii, cioè gli attivi, caldo e freddo, perché la materia e ’l luogo sono femmine, passivi principii. E questi maschi d’essa materia divisa, combattendo, formâro due elementi, cielo e terra, gli quali combattendo tra loro, della languida fatta virtù loro nascono i secondi enti, per guida avendo della generazione le tre influenze, Necessità, Fato ed Armonia, che portan l’idea.
Madrigale 7
La vita, agli enti varii che seguiva,
era virtute, in quanto da te nacque.
Ma quel che dal non esser timor venne,
ogni vizio produsse, e la nociva
ragion di Stato, e poi ’l mal proprio piacque, 5
che ’l senso indi impotente a ciò s’attenne.
Ma, se ti svegli omai,
in meglio muterai
natura madre e i figli, come accenne.
L’impotenza e ’l peccato 10
tôrrai da’ senni umani;
tutti in un lieto stato
gl’imperii adducerai varii profani.
Che la virtù venga dall’entità, che sono Valore, Senno ed Amore, e gli vizi dal timore del non-essere, perché da questo è nata la pugna degli elementi, e poi la ragion di Stato, ogni ente volendo esser sempre, e distruggere quel che l’impedisce l’essere in qualche modo. Quindi piacque a tutti il proprio male, perché il senso, partecipando il non-essere proprio, non conosce gli altri modi d’essere, e crede solo il suo essere ottimo, e sprezza per il suo anche il divino essere. Poi dice alla Prima Potenza che si pieghi a migliorare la natura e gli enti naturali, e levar l’impotenza, l’ignoranza ed odio, onde nasce il peccato; e condurre il mondo sotto una legge ed uno imperio, perché così cessa la ragion ria di Stato.
Madrigale 8
Darai alla vita di durar virtute,
forza alla legge, che ’l gran Senno mise,
vigor all’amicizie, d’amor prole.
Senza te gli enti han le bontà perdute;
venner l’insidie e l’unità divise, 5
ch’invidia partorîro e false scuole:
timidità e pigrizia,
sconfidenza, avarizia,
viltate e crudeltà, che starsi sole
non san l’una dall’altra. 10
Ma, dove è tua fortezza,
ogni natura è scaltra,
né teme il male, onde di farne sprezza.
Mirabilmente mostra come, tornando il Valore, dona vita all’essere da lui nato, forza alla legge nata dal Senno, vigor all’amicizia nata d’Amore. E che la bontà è perduta per mancamento di essa potenza senza valore; perché chi non ha valore, s’appiglia all’insidie; e la divisione, che disunisce lo essere e la possanza, genera invidia fra gli enti impotenti e divisi, e diverse sètte e scuole false; poi il timore, la pigrizia, la sconfidenza, l’avarizia, la viltà, che sempre è accompagnata con la crudeltà, perché teme da ogni cosa e vorrebbe tutti gli enti morti ed estinti, perché non gli dien paura. Ma dove ci è valore, v’è industria e coraggio, e chi non teme il male d’altri, neanche ne fa ad altri. Nota che da’ mali degli elementi passa a’ mali degli uomini, perché questi in quegli si fondano.
Madrigale 9
Canzon, di’ al Poter Primo
che per mancanza sua sto in tal paura,
che meditar non posso la Scrittura.
Traggami da questo imo
inferno. Ed in effetto, 5
se tutto il mio soggetto
ei non sarà, me stesso empio condanno
da mo al perpetuo lagrimoso affanno.
Scrisse nella fossa questa canzone, e non tanto lunga quanto quella d’Amore e del Senno, perché stava quasi disfatto. E promette, uscendo, complire; e n’è uscito otto mesi da poi, se bene ci stette tre anni ed otto mesi. Non so se ha poi serbato questo voto, se bene so che in Metafisica scrisse assai della Potenza, e di Dio cose altissime ecc.
82
Sonetto
della Providenza
La fabbrica del mondo e di sue parti,
e di lor particelle e parti loro
gli usi accertati, il mirabil lavoro
pòn, saggio Autor, buon senza fin provarti. 4
Poi gli abusi de’ bruti e di nostre arti,
de’ mali il gaudio e de’ buoni il martoro,
l’errar ciascun dal fine, a me ch’ignoro,
dicon che ’l Fabbro dal Rettor s’apparti. 8
Possanza, Senno, Amor, dunque, infinito
commette altrui il governo e si riposa:
dunque si invecchia o si fa negligente? 11
Ma un solo è Dio, da cui sarà finito
tanto scompiglio, e la ragion nascosa
aperta, onde peccò cotanta gente. 14
Dice in questo mirabile sonetto che la costruzione del mondo e delle parti e l’uso loro mostrano che sia Fattor loro un infinito Senno ottimo. Ma poi gli abusi de’ bruti e nostri ecc. mostrano ch’altro ci governi men savio principe. E questo lo dice dubitando. E poi argomenta che non può essere. E conchiude che questi mali sono per qualche disegno di Dio, e che saranno da quello tolti, e levato l’argomento donde pecca Epicuro e tanti filosofi e nazioni intere.
83
Della possanza dell’uomo
Gloria a colui che ’l tutto sape e puote!
O arte mia, nipote – al Primo Senno,
fa’ qualche cenno – di su’ immagin bella,
ch’uomo s’appella.
Uomo s’appella chi di fango nacque, 5
senza ingegno soggiacque, – inerme, ignudo:
patrigno crudo – a lui parve il Primo Ente,
d’altri parente.
D’altri parente, a’ cui nati die’ forza
bastante, industria, scorza, – pelo e squame. 10
Vincon la fame, – han corso, artiglio e corno
contra ogni scorno.
Ma ad ogni scorno l’uomo cede e plora;
del suo saper vien l’ora – troppo tarda;
ma sì gagliarda, – che del basso mondo 15
par dio secondo.
E, dio secondo, miracol del primo,
egli comanda all’imo, – e ’n ciel sormonta
senz’ali, e conta – i suoi moti e misure
e le nature. 20
Sa le nature delle stelle e ’l nome,
perch’altra ha le chïome – ed altra è calva;
chi strugge o salva – e pur quando l’eclisse
a lor venisse,
quando venisse all’aria, all’acqua, all’humo. 25
Il vento e ’l mar ha domo, – e ’l terren globbo
con legno gobbo – accerchia, vince e vede,
merca e fa prede.
Merca e fa prede; a lui poca è una terra.
Tuona, qual Giove, in guerra – un nato inerme; 30
porta sue inferme – membra e sottogiace
cavallo audace.
Cavallo audace e possente elefante;
piega il leon innante – a lui il ginocchio;
già tirò il cocchio – del roman guerriero: 35
ardir ben fiero!
Ogni ardir fiero ed ogni astuzia abbatte,
con lor s’orna e combatte, – s’arma e corre.
Giardino, torre – e gran città compone
e leggi pone. 40
Ei leggi pone, come un dio. Egli astuto
ha dato al cuoio muto – ed alle carte
di parlar arte; – e che i tempi distingua
dà al rame lingua.
Dà al rame lingua, perch’ha divina alma. 45
La scimia e l’orso han palma, – e non sì industre,
che ’l fuoco illustre – maneggiasse; ei solo
si alzò a tal volo.
S’alzò a tal volo, e dal pianeta il tolse;
con questo i monti sciolse, – ammazza il ferro, 50
accende un cerro, – e se ne scalda, e cuoce
vivanda atroce;
vivanda atroce d’animai che guasta.
Latte ed acqua non basta, – ogn’erba e seme
per lui; ma preme – l’uve e ne fa vino, 55
liquor divino.
Liquor divino, che gli animi allegra.
Con sale ed oglio intègra – il cibo, e sana.
Fa alla sua tana – giorno quando è notte:
oh, leggi rotte! 60
Oh, leggi rotte! ch’un sol verme sia
re, epilogo, armonia, – fin d’ogni cosa.
O virtù ascosa, – di tua gloria propia
pur gli fai copia.
Pur gli fai copia, se altri avviva il morto; 65
passa altri, e non è assorto, – l’Eritreo:
canta Eliseo – il futuro; Elia sen vola
alla tua scuola:
alla tua scuola Paolo ascende, e truova
con manifesta pruova – Cristo a destra 70
della maestra – Potestade immensa.
Pensa, uomo, pensa!
Pensa, uomo, pensa; giubila ed esalta
la Prima Cagion alta; – quella osserva,
perch’a te serva – ogn’altra sua fattura, 75
seco ti unisca gentil fede pura,
e ’l tuo canto del lor vada in più altura.
71. Fare miracoli è proprio di Dio; e pure ciò ha concesso all’uomo; e così l’andare in Cielo.
77. Finalmente dice all’uomo che conosca la propria nobiltà, e che s’unisca a Dio, se vuole essere signore di tutte le cose create, sendo amico d’esso vero Signore. E però dobbiamo lodarlo più che le altre creature, perché siamo di loro più nobili ecc.
84
Salmodia che invita le creature in commune
e gli primi enti fisici a lodar Dio
Belle, buone e felici e senza ammenda,
onde laude si renda – al Creatore,
che tanto amore – ed arte in farle pose,
son tutte cose.
Voi, tutte cose, a celebrar invito 5
colui, che n’ha largito – ciò che siamo,
poi che eravamo – nulla. E per memoria,
cantiamo in gloria.
Cantiamo in gloria Dio, Prima Potenza,
Dio, Prima Sapïenza, – Amor Primero, 10
Ben vivo e vero, – senza fin giocondo.
Cominci il mondo,
cominci il mondo, statua altèra e degna
di lui che sempre regna – e gran trofeo,
di ciò che feo – armario sacrosanto, 15
un nuovo canto.
Di’ un nuovo canto tu, che l’universo
penetri, ad ogni verso – penetrato,
spazio, al creato – esser base immota,
che giace o mota. 20
Se giace o mota, la corporea mole,
unita o sparta, cole – l’alta Idea,
per cui si bea – di forme ognor novelle,
soavi e belle.
Soavi e belle pompe del gran Dio, 25
lodate il vostro e mio – Signor, di cui
uscendo nui, – fu il tempo, ch’è il successo
degli enti, espresso.
Fu agli enti impresso anche ’l vigor nativo
che dal nascer descrivo – poi Natura, 30
interna cura – ed arte, che dà loro
quel Dio ch’adoro.
Quel Dio, ch’adoro, a voi laudar conviensi,
calor e freddo, immensi – di possanza,
per cui sostanza, – guerreggiando, fue 35
partita in due.
Partite in due dunque i vostri accenti,
magnifici elementi, – Cielo e Terra,
dalla cui guerra – poi nasce ogni misto,
che Dio ha provvisto. 40
Dio ha pur provvisto che l’un porti ’l giorno,
l’altro la notte, intorno – raggirando,
manifestando – il Creator sovrano
di mano in mano.
Di mano in mano, voi, tenebre e luce, 45
cantate il sommo Duce, – e voi, quiete
e moto, avete – parte in tanto carme
per più svegliarme.
Per più svegliarme, raro e denso, estreme
tempre, mentre uno teme – e l’altro spera, 50
prendete sfera – di sorti diverse,
e cause avverse.
Fra cause avverse e simili, adornate,
Fato, Necessitate – ed Armonia,
che Dio v’invia – in ogni parte e tutto 55
ciò che ha costrutto.
Ciò che ha costrutto in Dio si sta e si muove,
e con secrete pruove – ancora sente
la Prima Mente – e, come sa, l’adora;
ed in lui vive, benché par che mora, 60
grazie a colui che sempre mi ristora.
61. Conchiude ch’ogni ente sta in Dio e conosce Dio nel suo modo, chi naturale, chi razionale, chi più, chi meno ecc.; e così l’adorano, e non muoiono mai, ma solo si trasmutano, vivendo sempre in lui.
85
Salmodia che invita il cielo e le sue parti
ed abitatori a lodar Dio benedetto
Dal ciel la gloria del gran Dio rimbomba:
egli è sonora tromba – a pregi tanti;
i lumi stanti – e que’ ch’errando vanno
musica fanno.
Musica fanno per ogni confino, 5
dove il calor divino – il ciel dispiega,
ed Amor lega – tante luci, e muove
altronde altrove.
Altronde altrove tutti van correndo,
te, Dio, benedicendo – e predicando, 10
dolce sonando, – ch’ogni moto è suono,
come io ragiono.
Così io ragiono. Ahimè! ch’udir non posso;
ch’innato rumor grosso – è, che m’occùpa
l’orecchia cupa, – ed un molino vivo 15
me ne fa privo.
Se mi fa privo, voi, spiriti eletti,
che non siete soggetti – a corpo sordo,
fate un accordo – al suon di tai strumenti
co’ vostri accenti. 20
Co’ vostri accenti sacri, intellettuali,
d’una spiegando l’ali – in altra stella,
vostra favella: – Santo, santo, santo! –
dicete intanto.
Dicete intanto, ardenti Serafini, 25
sagaci Cherubini, – e giusti Troni,
Dominazioni, – Virtù e Potestati
e Principati;
principïate, Arcangeli, e seguite,
Angeli, che venite – a darmi aiuto. 30
Da voi, perduto – il corpo, in Cielo accolte
son l’alme sciolte.
O alme sciolte, o patriarchi grandi,
profeti venerandi, – in cortesia,
la salmodia – di Davide canoro 35
dicete in coro.
Dicete in coro, apostoli, che ’l mondo
vinto e reso fecondo – di virtuti,
e risoluti – fatto avete noi
di seguir voi. 40
Di seguir voi gli martiri non tardi,
con l’animo gagliardi – e sparso sangue,
fan che non langue – la musica nostra
nell’alta chiostra.
Dall’alta chiostra, con varie dottrine, 45
anime pellegrine – confessare
odo per mare, – per terra e per cielo
vero il Vangelo.
Vero il Vangelo voi, vergini caste,
virilmente provaste – a chi udir vuole: 50
l’eterea mole – or per questo e le stelle
son vostre celle.
Oh sante celle, murate di luce,
che ’l passar vi conduce, – non ritiene,
ad ogni bene! – E quelle vie di latte 55
per voi son fatte.
Per voi son fatte le scene e l’istorie
delle divine glorie, – ché a mirarle
e celebrarle – vi dà il primo fuoco
possanza e luoco. 60
Per ogni luoco Dio quant’have in mente
vuol che si rappresente – in cielo. E poi
de’ segni suoi – tu, suolo e mar, ti adempi
di tempi in tempi.
Di tempi in tempi Ariete, Cancro e Libra 65
e Capricorno vibra – l’alte idee,
quante si dèe – all’arte; a la natura
virtù e figura,
virtù e figura per il sol deriva,
statua, immagin più diva – del Monarca, 70
lucerna ed arca – di deitate in suso,
padre quaggiuso.
Padre è quaggiuso, che la terra impregna,
perch’ a’ figli sovvegna. – Poi la luna
virtute aduna – d’ogni stella, e dice 75
esser nutrice.
È ben nutrice amorosa e veloce:
se ’l gielo e l’ardor nuoce, – il fa soave.
Or sembra nave, – or globo, or mezzo tondo
per ben del mondo. 80
Per ben del mondo ne’ splendor superni
degli enti non eterni – è misurato
la vita e ’l stato; – e nelli sacri giri
parmi che ’l miri.
Parmi ch’io miri quella provvidenza, 85
chi da tanta eloquenza – si celèbra.
Mia squilla è ebra – per troppo desio
di cantar vosco, o stelle, il grande Dio:
gloria all’omnipotente Signor mio!
16. Perché non si sente da noi la musica del cielo, come il molinaro non ode le parole ecc.
17. Parla agli angeli.
25. I nove cori degli angeli secondo san Dionigi, e conformi alle metafisiche primalità.
30. Gli angeli della ultima ierarchia amministrano le cose nostre.
34. Parla a’ santi del Vecchio Testamento.
37. Poi a quegli del Nuovo. Mirabile encomio degli apostoli.
41. A’ martiri.
46. A’ confessori.
49. Alle vergini.
52. Le stelle sono celle dell’anime beate, che non ritengono né il moto né la vista, ma più la aiutano.
56. La Galassia essere fatta per via de’ santi spiriti, fu opi- nione anche di Pitagora; e ’nvero senza tal fine non par che si possa di lei dire cosa probabile, oltre quello che dice l’Autore per la varietà degli enti inferiori in Filosofia.
57. Scene ed istorie chiama l’esistenza e la diversità degli enti.
64. Nota come le cose si multiplicano da Dio negli angeli, dagli angeli nel cielo, dal cielo in terra e mare.
66. Pe’ quattro segni cardinali le influenze più scendono con l’idea.
74. Encomio vero del sole in cielo e ’n terra.
77. Della luna l’uso ecc.
80. La luna col calor blando apre e fa esalare il calor robusto, e mitiga il freddo grande, e con la varietà di sue facce lucenti fa la varietà in terra, e gli tempi ecc.
84. Che ne’ moti delle stelle stia la misura delle cose e vite inferiori, altrove s’è detto, e Platone ed Aristotile lo confermano.
89. Commiato della canzone, parlando alle cose chiamate alla glorificazion di Dio.
86
Salmodia che invita la terra e le cose
in quella nate a lodar Dio, e declara
lor fine e la providenza divina
La terra nostra di far giuoco e festa
nullo tempo si resta – al sommo Dio;
da che l’unìo – l’amor, pésola in mezzo,
gioisce al rezzo.
Gioisce al rezzo, e ’l circondante caldo 5
schifando, viver saldo – e freddo gode;
rendendo lode – all’Eterno, eternarsi
vuol, non disfarsi.
Vuol non disfarsi; e ’l sol vorria disfarla
non per odio; per farla – mole amica, 10
seco l’intrica, – e con focose braccia
cinge ed abbraccia.
Cinge ed abbraccia anch’ella lui nel seno:
ché, schifandolo, pieno – pur se ’l vede
di calor: fede, – che al destin più incorre 15
chi più l’abborre.
Chi più l’abborre, poscia più l’aggrada;
che sua fuga sia strada – a quel s’ammira.
Ch’alla sua mira – e gloria gli rivolge
chi il mondo volge. 20
Chi il mondo volge così fece madre
la terra, e ’l sole padre – d’infinita
prole, ch’addita – del Primero Ingegno
l’arte e ’l disegno.
L’arte e ’l disegno su esaltate, o monti, 25
della gran madre pronti – alle difese,
ossa distese, – e fini a’ regni nostri:
stanza a’ gran mostri.
Stanze a’ gran mostri e piccioli prestate,
acque, che circondate – il nostro suolo: 30
voi date il volo – a’ pesci ed alle navi,
sì in terra gravi.
La terra aggravi, e pur non la sommergi,
tu, ocean, che t’ergi – sì superbo.
Per divin verbo – dal suo ventre uscisti, 35
e ’l mondo unisti.
Tu ’l mondo unisti, ch’è il primo animale.
Tra l’etra spiritale – e ’l terren grosso
sangue ti posso – dir, che nutre, e viene,
va tra le vene. 40
Va tra le vene e per li fonti spiccia,
dove la terra arsiccia – ha più bevuto;
indi il perduto – alle campagne rende;
poi in alto ascende.
In alto ascende a far giuoco al Signore 45
col terrestre vapore – insieme misto;
or stella è visto, – ed or, come bombarde,
rimbomba ed arde.
Rimbomba ed arde ed atterrisce gli empii.
Non perdona agli tempii, – o vivi o morti. 50
Tu, Dio, n’esorti – a be’ celesti nidi
con questi gridi.
Con questi gridi gli animai richiami,
perché non restin grami – alle tempeste.
Gioconde feste – agli angeli, a’ demòni 55
fatiche doni.
Fatiche doni con saper immenso
sotterra al fuoco accenso, – che fracassa,
cuoce e relassa, – e dentro fa i metalli,
fuor monti e valli. 60
Co’ monti e valli, e fiumi e mar, distingui
i paesi: altri impingui, – altri fai macri,
e dolci ed acri – agli abitanti vari
più necessari;
più necessari e più capaci ancora 65
di vite, che si fôra – ugual per tutto;
e perché tutto – pur le cose stesse
non producesse;
ma producesse biade la campagna,
s’alzasse alla montagna – il fummo e l’onda: 70
arte profonda – di doppi lambicchi
per farci ricchi.
Per farci ricchi altrove oro ed argento
nasce; altrove frumento, – augelli e fiere,
rivi e peschiere, – macchie, salti e boschi, 75
perch’io ’l conoschi.
Perch’io conoschi, l’alta Cagion Prima
fa mancar al mio clima – molte cose.
Commerzio puose, – amor e conoscenza
tal Providenza. 80
Tal Providenza in due quadranti opposti
fa che in su il mar s’accosti: – in uno bolle,
l’altro s’estolle – per l’acque pendenti,
là concorrenti.
Son concorrenti di diversi fianchi 85
in cui avvien che manchi: – e in tutti lidi
sei ore vidi – alzarsi e sei abbassarsi,
per più avvivarsi.
Per più avvivarsi fa il medesmo l’aria,
e pur qual mar si varia, – dove accolti 90
son vapor molti, – che capir non ponno,
e spazio vonno.
E spazio vonno, e spazio van cercando,
purgando, ventilando, – trasferendo
e convertendo – il fummo in util pioggia: 95
stupenda foggia!
Stupenda foggia, ch’a più parti giove.
Fiere ed augelli altrove – e pesci porta:
le navi esorta – al corso, noi a consulta;
altri sepulta. 100
Altri sepulta in sonno ed altri in sabbia;
svelle arbori con rabbia – e gran citati.
Son fecondati – i campi, ove dolce aura
il verde innaura.
Fa verdi, innaura e purpuree le nubbi 105
il sol, perch’io non dubbi – or, che più pèra
la nostra sfera – in mare: in suo ben vale
ciò che in su sale.
Quando in su sale, in grandini s’ingroppa
grosso vapor, che scoppia – in caldo loco; 110
ma non a poco a poco, – qual la neve,
che il freddo beve.
Il freddo beve, e si congela in brina
quel ch’aura mattutina – o sera agguaglia,
come si quaglia – in pioggia il fummo, e cade 115
dolce alle biade.
Per far le biade e’ manca nell’Egitto,
onde il Nil fu prescritto – che inondasse,
che Assur fruttasse – e l’India in questa guisa,
che Dio n’avvisa. 120
Dio pur n’avvisa, che l’Arabia ottenne
solo rugiada, e fenne – incenso e manna,
nettarea canna, – e ragia, di che degni
fûr i miei regni.
Tutti anche i regni han piani, balze e selve, 125
pasto e casa di belve. – Oh, maraviglia!
quanta famiglia – per te, Signor, nasce,
si cresce e pasce.
Si cresce e pasce di liquor terrestre
il ferro, il sasso alpestre; – un grasso e molle 130
l’erbe satolle, – immobili animali.
Fa’ a que’ c’han l’ali,
a que’ c’han l’ali, a chi serpe, a chi anda
foglie, radici, ghianda, – grani e pomi;
altri ne domi, – altri armi, altri fai inermi, 135
né senza schermi.
Hanno per schermi i ricci e gli arboscelli
spine contra gli augelli, – asini e bovi;
altura trovi – in querce, abbeti e faggi
per tali oltraggi. 140
Per tali oltraggi han le quaquiglie e i pini
guscio; e vesti d’uncini – contra i colpi,
che ghiro non le spolpi, – han le castagne;
ma pur le fragne.
Però le fragne, ché Dio ha destinato 145
ch’ogni ente non sol nato – sia d’ogn’altro,
ma l’uno all’altro – sia cibo ed avello,
or questo, or quello.
Ma questo e quello, resistendo, addita
godersi in ogni vita, – che Dio dona: 150
e, perch’è buona – ogn’altra viva norma,
pur si trasforma.
Chi la trasforma con tanta sua laude,
che sieno molti gaude – gl’innocenti:
pochi possenti – orsi e leon vedrai, 155
pecore assai.
Pecore assai, che dal caldo e dal gelo
solo difende il pelo. – Frutti e fiori,
tu, fronda, onori: – a’ timidi è soccorso
la tana e ’l corso. 160
Le tane e ’l corso ha il cervo, il lepre, il capro:
corna il bue: sanne l’apro: – onghie il cavallo:
vivezza il gallo, – ch’al fiero leone
spavento pone.
Spavento pone all’elefante il drago. 165
Oh, spettacolo vago – di lor gesti!
Falcon, tu avesti – rostro, e duro artiglio
l’aquila e ’l niglio.
L’aquila e ’l niglio han pur la vista acuta,
come il can lunge fiuta – la sua preda; 170
perché provveda – ode lontano il lupo
al ventre cupo.
Pel ventre cupo ha forza la balena,
molta astuzia ha la iena, – industria l’ape.
Oh, come sape – politìa e governo, 175
d’està e d’inverno!
D’està e d’inverno han città le formiche;
stanze altri sempre apriche – si procaccia;
va il ragno a caccia, – e si fa rete [e] stanza
di sua sostanza. 180
Di sua sostanza si circonda e cova,
prende l’ali, e fa uova – quindi uscendo,
varie vivendo – vite un verme: ahi lasso!
Oltre io non passo.
Oltre io non passo, non posso; assai ignoro 185
l’anatomia, il lavoro, – fraudi ed ire,
gioie e martìre – di quanti il mar serra,
l’aria e la terra.
O aria, o terra, o mar, mirar potrei
ne’ vostri colisei – ta’ giuochi io sciolto! 190
Ma chi è sepolto – in corpo, sol s’accorge
che poco scorge.
Se poco scorge, potrà dirne meno.
Ma il sermon vostro appieno – a tutti è aperto;
non è coperto – a nazïone alcuna 195
sotto la luna.
Sotto la luna il nostro dir trascenda
al Re della tremenda – maestate.
Transumanate – menti, voci e note:
ite al Signor, che tutto sape e puote. 200
6. La terra sta pésola in mezzo al mondo, unita dall’amor della conservazione, e gode del freddo per contrastare al sole caldo, che vuol disfarla.
8. Le cose, volendo esser sempre, com’è Dio, lodano ed amano Dio in questo atto.
10. Il sole, non per odio per sé, ma per amore, age contra la terra.
12. Nota come il sole abbraccia la terra per farla cielo, e come ella abbraccia il sole, mentre lo fugge e combatte, perché unisce il calor dentro sé; circondandolo col freddo, più lo rinforza; dal che si vede ch’ella, fuggendo il fato, incorre in quello, e così tutti gli enti ecc.
20. Stupenda cosa, che poi aggrada quel che prima abborre, perché diventa natura, e si perde il senso d’altro miglior essere; e pure s’ammira che, fuggendo, incorre nel mal fuggito e poi amato. E questo è per divino ordinamento, onde adiviene che il sole sia padre e la terra madre del mondo e delle cose, nelle quali riluce l’arte divina.
25. Parla a’ monti, che, con tante utilità a chi servono, mostrano i primi la divina arte.
32. L’uso dell’acque. Le navi in esse leggiere sono, e gravi in terra.
36. Nota come l’oceano esce dalla terra come sudore; e per legge naturale del Verbo Eterno non sommerge la terra, ma non per miracolo nuovo, com’altri dicono. E come il mare unisce le nazioni con la navigazione.
40. Nota che di più unisce il cielo con la terra esso mare, perché, se quello non fosse, non si farebbono vapori, e si spartirebbe l’un dall’altro. E come e’ nutrica la terra e l’etera.
44. Vedi come si lambica, e va sopra i monti, e poi scende per fiumi e piogge, e ritorna in circolo.
48. Non fa consistenze di comete e di tuoni e di piogge, se non è misto il vapor acqueo col terreo, cioè il sottile col grosso. Vedi la Filosofia.
52. Nota l’uso de’ tuoni, da nullo così altamente cantato; e come l’Autore truovò la causa finale di tutti gli enti secondi, ignota alli antichi, assai desiderata da Socrate. Vedi Platone in Phaedone.
60. Uso del fuoco intra la terra.
64. Come la varietà della terra sia utile alla varia vita di vari enti.
66. Come è più capace, sendo montuosa ed avvallata, che piana o tonda.
68. Mira che i diversi climi per diverso calore variati, e gli diversi siti producono la diversità degli enti, onde noi conoschiamo la divina arte, di virtù multiplicissima.
72. Nota come del fummo si fa l’acqua nelle caverne de’ monti, e più dell’acqua del mare lambicata come per spogna o per feltro.
80. Come Dio dispose che non in ogni paese ogni cosa necessaria nasca, perché andassimo cercando, e così conoscessi- mo Dio in tante opere sue, e con le altre genti facessimo commerzio.
84. Dell’uso mirabile del flusso e reflusso del mare e dell’aria, secondo la nostra Filosofia, non inteso dagli antichi come si faccia, né per che fine.
95. L’uso de’ venti.
102. Il vento, portando gli odori e ’l freddo e ’l caldo, tira gli animali a’ diversi paesi, e di più le navigazioni; ed invita a consulta il vento freddo e forte, che unisce i spiriti dentro. Ma il grosso australe fa dormire, ed in Libia atterra nel sabbione i passaggieri.
104. Uso dell’aura.
107. Come il sole fa l’iride, segno di pace.
112. De’ grandini e loro differenza dalle nevi.
116. Della rugiada e brina.
120. Providenza divina che nell’Egitto, mancando vapor atto a farsi pioggia, ci sia l’inondazione del Nilo, e così nell’Indie del Pegù e Menan, e ’l Tigri in Assiria.
124. Come l’Arabia solo ha la rugiada, e però fa incenso, manna ecc.; e che la Calabria ha la stessa grazia della manna e zuccaro.
130. Donde si nutrisce il ferro e li metalli.
131. E donde l’erbe, le quali sono fatte per gli animali, e questi per gli uomini, e l’uomo per gli angeli, e questi per Dio. E nota come le piante altre son domestiche, altre silvestri, altre armate di spine, altre disarmate ecc.
145. Come non giova la difesa, se non quanto Dio ha destinato, così agli animali com’agli arbori.
147. E come l’uno è sepolcro dell’altro, che si mangia.
152. E che la resistenza degli enti al morire sia argomento che ogni vita sia buona; e come finalmente pure si muta in altra vita, perché in tutto riluce l’Idea divina.
156. Nota che gli animali crudeli sono pochi, e gli innocenti assai.
168. Nota la difesa di tutti animali e piante in che consista.
180. Quale animale di che sensi prevale.
183. Questo verme è quello che fa la seta, e si serra nel cucullo, e poi esce alato ecc.
185. Essere impossibile dire de’ costumi de tutti gli animali ecc., e delle loro parti ed uso.
192. Dice che, stando l’alma sepolta nel corpo, non può sapere le cose del cielo e della terra e l’uso loro; ma assai scorge, mentre conosce che non può sapere e non presume di dire quello che non sa, come se ’l sapesse. Vedi la canzone del Primo Senno.
199. Commiato.