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Comincia la terza cantica de la Commedia di Dante Alaghieri di Fiorenza, ne la quale si tratta de' beati e de la celestiale gloria e de' meriti e premi de' santi, e dividesi in nove parti. Canto primo, nel cui principio l'auttore proemizza a la seguente cantica; e sono ne lo elemento del fuoco e Beatrice solve a l'auttore una questione; nel quale canto l'auttore promette di trattare de le cose divine invocando la scienza poetica, cioè Appollo chiamato il deo de la Sapienza. _______________________ La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove. Nel ciel che più de la sua luce prende fu' io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende; perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non può ire. Veramente quant'io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto. O buono Appollo, a l'ultimo lavoro fammi del tuo valor sì fatto vaso, come dimandi a dar l'amato alloro. Infino a qui l'un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso. Entra nel petto mio, e spira tue sì come quando Marsïa traesti de la vagina de le membra sue. O divina virtù, se mi ti presti tanto che l'ombra del beato regno segnata nel mio capo io manifesti, vedra' mi al piè del tuo diletto legno venire, e coronarmi de le foglie che la materia e tu mi farai degno. Sì rade volte, padre, se ne coglie per trïunfare o cesare o poeta, colpa e vergogna de l'umane voglie, che parturir letizia in su la lieta delfica deïtà dovria la fronda peneia, quando alcun di sé asseta. Poca favilla gran fiamma seconda: forse di retro a me con miglior voci si pregherà perché Cirra risponda. Surge ai mortali per diverse foci la lucerna del mondo; ma da quella che quattro cerchi giugne con tre croci, con miglior corso e con migliore stella esce congiunta, e la mondana cera più a suo modo tempera e suggella. Fatto avea di là mane e di qua sera tal foce, e quasi tutto era là bianco quello emisperio, e l'altra parte nera, quando Beatrice in sul sinistro fianco vidi rivolta e riguardar nel sole: aguglia sì non li s'affisse unquanco. E sì come secondo raggio suole uscir del primo e risalire in suso, pur come pelegrin che tornar vuole, così de l'atto suo, per li occhi infuso ne l'imagine mia, il mio si fece, e fissi li occhi al sole oltre nostr'uso. Molto è licito là, che qui non lece a le nostre virtù, mercé del loco fatto per proprio de l'umana spece. Io nol soffersi molto, né sì poco, ch'io nol vedessi sfavillar dintorno, com' ferro che bogliente esce del foco; e di sùbito parve giorno a giorno essere aggiunto, come quei che puote avesse il ciel d'un altro sole addorno. Beatrice tutta ne l'etterne rote fissa con li occhi stava; e io in lei le luci fissi, di là sù rimote. Nel suo aspetto tal dentro mi fei, qual si fé Glauco nel gustar de l'erba che 'l fé consorto in mar de li altri dèi. Trasumanar significar per verba non si poria; però l'essemplo basti a cui esperïenza grazia serba. S'i' era sol di me quel che creasti novellamente, amor che 'l ciel governi, tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti. Quando la rota che tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso con l'armonia che temperi e discerni, parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso. La novità del suono e 'l grande lume di lor cagion m'accesero un disio mai non sentito di cotanto acume. Ond'ella, che vedea me sì com'io, a quïetarmi l'animo commosso, pria ch'io a dimandar, la bocca aprio e cominciò: "Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar, sì che non vedi ciò che vedresti se l'avessi scosso. Tu non se' in terra, sì come tu credi; ma folgore, fuggendo il proprio sito, non corse come tu ch'ad esso riedi". S'io fui del primo dubbio disvestito per le sorrise parolette brevi, dentro ad un nuovo più fu' inretito e dissi: "Già contento requïevi di grande ammirazion; ma ora ammiro com'io trascenda questi corpi levi". Ond'ella, appresso d'un pïo sospiro, li occhi drizzò ver' me con quel sembiante che madre fa sovra figlio deliro, e cominciò: "Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l'universo a Dio fa simigliante. Qui veggion l'alte creature l'orma de l'etterno valore, il qual è fine al quale è fatta la toccata norma. Ne l'ordine ch'io dico sono accline tutte nature, per diverse sorti, più al principio loro e men vicine; onde si muovono a diversi porti per lo gran mar de l'essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti. Questi ne porta il foco inver' la luna; questi ne' cor mortali è permotore; questi la terra in sé stringe e aduna; né pur le creature che son fore d'intelligenza quest'arco saetta, ma quelle c' hanno intelletto e amore. La provedenza, che cotanto assetta, del suo lume fa 'l ciel sempre quïeto nel qual si volge quel c' ha maggior fretta; e ora lì, come a sito decreto, cen porta la virtù di quella corda che ciò che scocca drizza in segno lieto. Vero è che, come forma non s'accorda molte fïate a l'intenzion de l'arte, perch'a risponder la materia è sorda, così da questo corso si diparte talor la creatura, c' ha podere di piegar, così pinta, in altra parte; e sì come veder si può cadere foco di nube, sì l'impeto primo l'atterra torto da falso piacere. Non dei più ammirar, se bene stimo, lo tuo salir, se non come d'un rivo se d'alto monte scende giuso ad imo. Maraviglia sarebbe in te se, privo d'impedimento, giù ti fossi assiso, com'a terra quïete in foco vivo". Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.
La luce gloriosa di Dio, colui che è la causa prima e il motore di tutto il creato, penetra e risplende sull’universo, in misura maggiore in un luogo e minore in un altro (a seconda che la cosa creata è più o meno perfetta e quindi più o meno disposta ad accogliere in sé la luce divina). Io fui nell’Empireo, il cielo che riceve in maggior quantità la luce divina, e vidi cose che colui al quale è consentito di ritornare da là in terra, non è capace, (poichè non se ne ricorda) né può (perchè ogni parola sarebbe inadeguata) descrivere; perchè avvicinandosi a Dio, che è oggetto del suo desiderio, la nostra mente si addentra così profondamente (nella sua conoscenza), che la memoria non può seguirla. Tuttavia quel tanto della visione del paradiso che io non ho potuto tesoreggiare nella mia memoria, sarà ora argomento della mia poesia. O eccellente Apollo, riversa in me tanto della tua virtù poetica per l’ultimo lavoro (la terza cantica), quanta tu ne richiedi per concedere l’ambito titolo di poeta. Fino ad ora mi è stato sufficiente l’aiuto delle Muse; ma adesso mi è necessario affrontare l’ultimo argomento con il soccorso di entrambi. Entra nel mio petto, e ispirami quella potenza d’ingegno di cui desti prova quando vincesti e scorticasti Marsia. O divina potenza, se ti concedi a me tanto che io possa esprimere la tenue immagine del paradiso che è rimasta impressa nella mia memoria, mi vedrai venire al tuo diletto alloro, e incoronarmi poi di quelle fronde di cui l’arduo argomento e il tuo aiuto mi renderanno degno. Così di rado, o padre (dei poeti), si colgono le foglie dell’alloro per il fatto che trionfi o un imperatore o un poeta, e ciò è colpa e vergogna dei pervertiti desideri degli uomini, che la fronda dell’alloro dovrebbe esser causa di letizia al già lieto Apollo, quando desta brama di sé in qualcuno. Un grande incendio può seguire una piccola favilla; forse dopo di me (da parte di poeti migliori) si innalzeranno preghiere con voci più efficaci per ottenere ispirazione da Apollo. Il sole (la lucerna del mondo) sorge per gli uomini (a seconda delle stagioni) da diversi punti dell'orizzonte; ma da quella zona in cui quattro cerchi si incontrano formando tre croci, esce con un corso più favorevole e congiunto con una costellazione più proprizia, e plasma e segna con la propria impronta la materia del mondo con maggiore efficacia. Il sole, sorgendo quasi in quello stesso punto, aveva recato il giorno nel purgatorio e la sera sulla terra, e l'emisfero australe era tutto illuminato, e quello boreale avvolto nelle tenebre, quando vidi Beatrice volta a sinistra che guardava con intensità il sole: mai aquila lo fissò così fermamente. E come il raggio riflesso suole aver origine da quello diretto e risalire in alto, a guisa di pellegrino che (giunto al termine del viaggio) vuole tornare (al luogo cui è partito), allo stesso modo dal suo atteggiamento, penetrato attraverso gli occhi nella mia facoltà immaginativa, trasse origine il mio, e fissai gli occhi sul sole oltre ogni nostra possibilità. Nel paradiso terrestre sono possibili molte cose, che non sono concesse in terra alle nostre facoltà, in grazia del luogo creato (da Dio) come dimora propria del genere umano (nel suo stato di perfezione originaria). Io non sostenni la vista del sole molto a lungo, ma neppure tanto poco, da non poter discernere che esso sfavillava all’intorno, come ferro che esce incandescente dal fuoco; e dopo un istante parve che la luce del giorno fosse raddoppiata come se l’Onnipotente avesse ornato il cielo di un altro sole. Beatrice guardava intensamente le sfere celesti; ed io fissai gli occhi in lei, dopo averli distolti dal sole. Osservandola divenni interiormente come si fece Glauco quando assaggiò l’erba che lo rese compagno delle divinità marine. Non si potrebbe esprimere a parole l’elevarsi oltre i limiti propri dell’uomo; perciò basti l’esempio (di Glauco) a colui al quale la grazia divina riserva l’esperienza diretta (poiché al cristiano è permesso l’accesso al paradiso) . Se io ero solo anima, la parte di me che creasti per ultima , Tu lo sai, o Dio, amore che governi il cielo, Tu che con la tua luce (riflessa in me attraverso gli occhi di Beatrice) mi sollevasti (attraverso gli spazi verso il cielo ) . Quando il ruotare delle sfere celesti che tu rendi perpetuo con l’ esser da quelle desiderato, attirò su di sé la mia attenzione con l’armonico suono che Tu regoli e moduli, mi apparve allora una cosi grande parte del cielo illuminata dalla luce del sole, che mai pioggia o fiume formarono un lago tanto ampio. La novità del suono e la grande luce accesero in me un desiderio di conosce, re la loro origine più intenso di qualsiasi desiderio prima avvertito. Perciò Beatrice, che vedeva nel mio intimo come potevo vedere io stesso, per tranquillizzare il mio animo turbato (da questo profondo desiderio), si preparò a parlare, prima che io formulassi la domanda. e disse: “ Tu stesso ti rendi incapace a comprendere con le tue errate supposizioni, cosi che non capisci ciò che capiresti da solo, se le avessi rimosse (dalla tua mente). Tu non sei in terra, cosi come credi; ma nessun fulmine, allontanandosi dalla sfera del fuoco (il proprio sito: la sua dimora naturale ), corse così rapidamente come tu che ritorni al luogo che ti è proprio (al cielo, al quale tende ogni uomo)”. Se io fui liberato dal primo dubbio ( quello relativo alla causa del suono e della luce) da quella breve spiegazione data sorridendo, fui inviluppato in uno nuovo e più grande, e dissi: “ Già mi sentivo tranquillo e soddisfatto riguardo a ciò che aveva provocato in me grande meraviglia; ma ora mi stupisco (ammiro) di come io possa (con il mio corpo) attraversare questi corpi lievi (la sfera dell’aria e quella del fuoco)”. Perciò ella, dopo aver emesso (di fronte alla mia ignoranza ) un pietoso sospiro, volse gli occhi verso di me con quell’atteggiamento che assume la madre verso il figlio che delira, e cominciò: “ Tutte quante le cose create sono armoniosamente ordinate fra loro e questo ordine è il principio informativo il quale rende l’universo simile a Dio (che è perfetto ordine e armonia). In questo ordine le creature superiori riconoscono l’impronta di Dio, ilquale è il fine ultimo dal quale è generato e verso il quale tende l’ordine prima detto. Nell’ordine di cui parlo tutti gli esseri viventi ricevono una particolare inclinazione, secondo le varie condizioni loro assegnate, (che li pongono) più o meno vicini al loro Creatore; perciò si indirizzano a diverse mete attraverso la sconfinata immensità dell’universo, e ciascuno (si muove) secondo un istinto specifico (a lei dato) che lo guida. Questo istinto naturale (questi) è quello che porta il fuoco verso la sua sfera circonda la terra, e la luna); questo è la forza che muove (verso il loro fine) gli animali privi di ragione; questo tiene insieme e mantiene compatta nelle sue varie parti la terra (manifestandosi come forza di gravità): né questo istinto indirizza (al loro fine particolare) solo le creature che sono prive di intelligenza, ma anche quelle ( angeli e uomini ) che sono dotate di intelligenza e di volontà (amore: inteso come la forza che opera una scelta consapevole ) . La provvidenza di Dio, che stabilisce quest’ordine di cose, appaga sempre con la sua luce l’Empireo, il cielo nel quale ruota il Primo Mobile, che si muove più rapidamente di tutti gli altri cieli; e ora verso l’Empireo, come al luogo stabilito per nostra meta, ci sospinge la forza di quella corda (cioè dell’istinto), che ciò che lancia indirizza a buon fine. Certo è che come la forma (di un’opera d’arte) non corrisponde molto spesso all’intenzione dell’artista, perché la materia non si presta ad accoglierla allo stesso modo talora si allontana dalla direzione indicata la creatura, che ha la possibilità di volgersi, pur essendo spinta verso il bene, in un’altra parte (cioè verso il male); e come si può vedere il fuoco del fulmine cadere dalla sua sfera verso la terra (mentre esso tenderebbe, per sua natura, a salire verso l’alto), allo stesso modo l’impulso naturale (che dovrebbe portare al cielo) si volge in basso deviato dall’ingannevole piacere dei beni terreni. Non devi meravigliarti, se giudico giustamente, per il fatto di ascendere verso l’alto, più di quanto non ti meraviglieresti di un ruscello che scenda dalla cima del monte verso il fondo della valle. Meraviglia dovrebbe nascere in te, se, privo ormai dell’impedimento (del peccato), fossi rimasto fermo sulla terra, come (sarebbe causa di stupore) una fiamma immobile al suolo in un fuoco acceso (essendo propria della fiamma salire verso l’alto)”. Dopo di ciò Beatrice rivolse lo sguardo verso il cielo.
Canto secondo, ove tratta come Beatrice e l'auttore pervegnono al cielo de la Luna, aprendo la veritade de l'ombra ch'appare in essa; e qui comincia questa terza parte de la Commedia quanto al proprio dire. _______________________ O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi d'ascoltar, seguiti dietro al mio legno che cantando varca, tornate a riveder li vostri liti: non vi mettete in pelago, ché forse, perdendo me, rimarreste smarriti. L'acqua ch'io prendo già mai non si corse; Minerva spira, e conducemi Appollo, e nove Muse mi dimostran l'Orse. Voialtri pochi che drizzaste il collo per tempo al pan de li angeli, del quale vivesi qui ma non sen vien satollo, metter potete ben per l'alto sale vostro navigio, servando mio solco dinanzi a l'acqua che ritorna equale. Que' glorïosi che passaro al Colco non s'ammiraron come voi farete, quando Iasón vider fatto bifolco. La concreata e perpetüa sete del deïforme regno cen portava veloci quasi come 'l ciel vedete. Beatrice in suso, e io in lei guardava; e forse in tanto in quanto un quadrel posa e vola e da la noce si dischiava, giunto mi vidi ove mirabil cosa mi torse il viso a sé; e però quella cui non potea mia cura essere ascosa, volta ver' me, sì lieta come bella, "Drizza la mente in Dio grata", mi disse, "che n' ha congiunti con la prima stella". Parev'a me che nube ne coprisse lucida, spessa, solida e pulita, quasi adamante che lo sol ferisse. Per entro sé l'etterna margarita ne ricevette, com'acqua recepe raggio di luce permanendo unita. S'io era corpo, e qui non si concepe com'una dimensione altra patio, ch'esser convien se corpo in corpo repe, accender ne dovria più il disio di veder quella essenza in che si vede come nostra natura e Dio s'unio. Lì si vedrà ciò che tenem per fede, non dimostrato, ma fia per sé noto a guisa del ver primo che l'uom crede. Io rispuosi: "Madonna, sì devoto com'esser posso più, ringrazio lui lo qual dal mortal mondo m' ha remoto. Ma ditemi: che son li segni bui di questo corpo, che là giuso in terra fan di Cain favoleggiare altrui?". Ella sorrise alquanto, e poi "S'elli erra l'oppinïon", mi disse, "d'i mortali dove chiave di senso non diserra, certo non ti dovrien punger li strali d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi vedi che la ragione ha corte l'ali. Ma dimmi quel che tu da te ne pensi". E io: "Ciò che n'appar qua sù diverso credo che fanno i corpi rari e densi". Ed ella: "Certo assai vedrai sommerso nel falso il creder tuo, se bene ascolti l'argomentar ch'io li farò avverso. La spera ottava vi dimostra molti lumi, li quali e nel quale e nel quanto notar si posson di diversi volti. Se raro e denso ciò facesser tanto, una sola virtù sarebbe in tutti, più e men distributa e altrettanto. Virtù diverse esser convegnon frutti di princìpi formali, e quei, for ch'uno, seguiterieno a tua ragion distrutti. Ancor, se raro fosse di quel bruno cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte fora di sua materia sì digiuno esto pianeto, o, sì come comparte lo grasso e 'l magro un corpo, così questo nel suo volume cangerebbe carte. Se 'l primo fosse, fora manifesto ne l'eclissi del sol, per trasparere lo lume come in altro raro ingesto. Questo non è: però è da vedere de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi, falsificato fia lo tuo parere. S'elli è che questo raro non trapassi, esser conviene un termine da onde lo suo contrario più passar non lassi; e indi l'altrui raggio si rifonde così come color torna per vetro lo qual di retro a sé piombo nasconde. Or dirai tu ch'el si dimostra tetro ivi lo raggio più che in altre parti, per esser lì refratto più a retro. Da questa instanza può deliberarti esperïenza, se già mai la provi, ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti. Tre specchi prenderai; e i due rimovi da te d'un modo, e l'altro, più rimosso, tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso ti stea un lume che i tre specchi accenda e torni a te da tutti ripercosso. Ben che nel quanto tanto non si stenda la vista più lontana, lì vedrai come convien ch'igualmente risplenda. Or, come ai colpi de li caldi rai de la neve riman nudo il suggetto e dal colore e dal freddo primai, così rimaso te ne l'intelletto voglio informar di luce sì vivace, che ti tremolerà nel suo aspetto. Dentro dal ciel de la divina pace si gira un corpo ne la cui virtute l'esser di tutto suo contento giace. Lo ciel seguente, c' ha tante vedute, quell'esser parte per diverse essenze, da lui distratte e da lui contenute. Li altri giron per varie differenze le distinzion che dentro da sé hanno dispongono a lor fini e lor semenze. Questi organi del mondo così vanno, come tu vedi omai, di grado in grado, che di sù prendono e di sotto fanno. Riguarda bene omai sì com'io vado per questo loco al vero che disiri, sì che poi sappi sol tener lo guado. Lo moto e la virtù d'i santi giri, come dal fabbro l'arte del martello, da' beati motor convien che spiri; e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello, de la mente profonda che lui volve prende l'image e fassene suggello. E come l'alma dentro a vostra polve per differenti membra e conformate a diverse potenze si risolve, così l'intelligenza sua bontate multiplicata per le stelle spiega, girando sé sovra sua unitate. Virtù diversa fa diversa lega col prezïoso corpo ch'ella avviva, nel qual, sì come vita in voi, si lega. Per la natura lieta onde deriva, la virtù mista per lo corpo luce come letizia per pupilla viva. Da essa vien ciò che da luce a luce par differente, non da denso e raro; essa è formal principio che produce, conforme a sua bontà, lo turbo e 'l chiaro".
Canto terzo, nel quale si tratta di quello medesimo cielo de la Luna e di certi spiriti che appariro in esso; e solve qui una questione: cioè se li spiriti che sono in cielo di sotto vorrebbero esser più sì ch'elli siano. ____________________________ Quel sol che pria d'amor mi scaldò 'l petto, di bella verità m'avea scoverto, provando e riprovando, il dolce aspetto; e io, per confessar corretto e certo me stesso, tanto quanto si convenne leva' il capo a proferer più erto; ma visïone apparve che ritenne a sé me tanto stretto, per vedersi, che di mia confession non mi sovvenne. Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, non sì profonde che i fondi sien persi, tornan d'i nostri visi le postille debili sì, che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille; tali vid'io più facce a parlar pronte; per ch'io dentro a l'error contrario corsi a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte. Sùbito sì com'io di lor m'accorsi, quelle stimando specchiati sembianti, per veder di cui fosser, li occhi torsi; e nulla vidi, e ritorsili avanti dritti nel lume de la dolce guida, che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. "Non ti maravigliar perch'io sorrida", mi disse, "appresso il tuo püeril coto, poi sopra 'l vero ancor lo piè non fida, ma te rivolve, come suole, a vòto: vere sustanze son ciò che tu vedi, qui rilegate per manco di voto. Però parla con esse e odi e credi; ché la verace luce che le appaga da sé non lascia lor torcer li piedi". E io a l'ombra che parea più vaga di ragionar, drizza' mi, e cominciai, quasi com'uom cui troppa voglia smaga: "O ben creato spirito, che a' rai di vita etterna la dolcezza senti che, non gustata, non s'intende mai, grazïoso mi fia se mi contenti del nome tuo e de la vostra sorte". Ond'ella, pronta e con occhi ridenti: "La nostra carità non serra porte a giusta voglia, se non come quella che vuol simile a sé tutta sua corte. I' fui nel mondo vergine sorella; e se la mente tua ben sé riguarda, non mi ti celerà l'esser più bella, ma riconoscerai ch'i' son Piccarda, che, posta qui con questi altri beati, beata sono in la spera più tarda. Li nostri affetti, che solo infiammati son nel piacer de lo Spirito Santo, letizian del suo ordine formati. E questa sorte che par giù cotanto, però n'è data, perché fuor negletti li nostri voti, e vòti in alcun canto". Ond'io a lei: "Ne' mirabili aspetti vostri risplende non so che divino che vi trasmuta da' primi concetti: però non fui a rimembrar festino; ma or m'aiuta ciò che tu mi dici, sì che raffigurar m'è più latino. Ma dimmi: voi che siete qui felici, disiderate voi più alto loco per più vedere e per più farvi amici?". Con quelle altr'ombre pria sorrise un poco; da indi mi rispuose tanto lieta, ch'arder parea d'amor nel primo foco: "Frate, la nostra volontà quïeta virtù di carità, che fa volerne sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta. Se disïassimo esser più superne, foran discordi li nostri disiri dal voler di colui che qui ne cerne; che vedrai non capere in questi giri, s'essere in carità è qui necesse, e se la sua natura ben rimiri. Anzi è formale ad esto beato esse tenersi dentro a la divina voglia, per ch'una fansi nostre voglie stesse; sì che, come noi sem di soglia in soglia per questo regno, a tutto il regno piace com'a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia. E 'n la sua volontade è nostra pace: ell'è quel mare al qual tutto si move ciò ch'ella crïa o che natura face". Chiaro mi fu allor come ogne dove in cielo è paradiso, etsi la grazia del sommo ben d'un modo non vi piove. Ma sì com'elli avvien, s'un cibo sazia e d'un altro rimane ancor la gola, che quel si chere e di quel si ringrazia, così fec'io con atto e con parola, per apprender da lei qual fu la tela onde non trasse infino a co la spuola. "Perfetta vita e alto merto inciela donna più sù", mi disse, "a la cui norma nel vostro mondo giù si veste e vela, perché fino al morir si vegghi e dorma con quello sposo ch'ogne voto accetta che caritate a suo piacer conforma. Dal mondo, per seguirla, giovinetta fuggi' mi, e nel suo abito mi chiusi e promisi la via de la sua setta. Uomini poi, a mal più ch'a bene usi, fuor mi rapiron de la dolce chiostra: Iddio si sa qual poi mia vita fusi. E quest'altro splendor che ti si mostra da la mia destra parte e che s'accende di tutto il lume de la spera nostra, ciò ch'io dico di me, di sé intende; sorella fu, e così le fu tolta di capo l'ombra de le sacre bende. Ma poi che pur al mondo fu rivolta contra suo grado e contra buona usanza, non fu dal vel del cor già mai disciolta. Quest'è la luce de la gran Costanza che del secondo vento di Soave generò 'l terzo e l'ultima possanza". Così parlommi, e poi cominciò 'Ave, Maria' cantando, e cantando vanio come per acqua cupa cosa grave. La vista mia, che tanto lei seguio quanto possibil fu, poi che la perse, volsesi al segno di maggior disio, e a Beatrice tutta si converse; ma quella folgorò nel mïo sguardo sì che da prima il viso non sofferse; e ciò mi fece a dimandar più tardo.
Canto IV, dove in quello medesimo cielo due veritadi si manifestano da Beatrice: l'una è del luogo de' beati, e l'altra si è de la voluntate mista e de la absuluta; e propone terza questione del voto e se si puote satisfare al voto rotto. _______________________ Intra due cibi, distanti e moventi d'un modo, prima si morria di fame, che liber'omo l'un recasse ai denti; sì si starebbe un agno intra due brame di fieri lupi, igualmente temendo; sì si starebbe un cane intra due dame: per che, s'i' mi tacea, me non riprendo, da li miei dubbi d'un modo sospinto, poi ch'era necessario, né commendo. Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto m'era nel viso, e 'l dimandar con ello, più caldo assai che per parlar distinto. Fé sì Beatrice qual fé Danïello, Nabuccodonosor levando d'ira, che l'avea fatto ingiustamente fello; e disse: "Io veggio ben come ti tira uno e altro disio, sì che tua cura sé stessa lega sì che fuor non spira. Tu argomenti: "Se 'l buon voler dura, la vïolenza altrui per qual ragione di meritar mi scema la misura?". Ancor di dubitar ti dà cagione parer tornarsi l'anime a le stelle, secondo la sentenza di Platone. Queste son le question che nel tuo velle pontano igualmente; e però pria tratterò quella che più ha di felle. D'i Serafin colui che più s'india, Moïsè, Samuel, e quel Giovanni che prender vuoli, io dico, non Maria, non hanno in altro cielo i loro scanni che questi spirti che mo t'appariro, né hanno a l'esser lor più o meno anni; ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l'etterno spiro. Qui si mostraro, non perché sortita sia questa spera lor, ma per far segno de la celestïal c' ha men salita. Così parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende ciò che fa poscia d'intelletto degno. Per questo la Scrittura condescende a vostra facultate, e piedi e mano attribuisce a Dio e altro intende; e Santa Chiesa con aspetto umano Gabrïel e Michel vi rappresenta, e l'altro che Tobia rifece sano. Quel che Timeo de l'anime argomenta non è simile a ciò che qui si vede, però che, come dice, par che senta. Dice che l'alma a la sua stella riede, credendo quella quindi esser decisa quando natura per forma la diede; e forse sua sentenza è d'altra guisa che la voce non suona, ed esser puote con intenzion da non esser derisa. S'elli intende tornare a queste ruote l'onor de la influenza e 'l biasmo, forse in alcun vero suo arco percuote. Questo principio, male inteso, torse già tutto il mondo quasi, sì che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse. L'altra dubitazion che ti commove ha men velen, però che sua malizia non ti poria menar da me altrove. Parere ingiusta la nostra giustizia ne li occhi d'i mortali, è argomento di fede e non d'eretica nequizia. Ma perché puote vostro accorgimento ben penetrare a questa veritate, come disiri, ti farò contento. Se vïolenza è quando quel che pate nïente conferisce a quel che sforza, non fuor quest'alme per essa scusate: ché volontà, se non vuol, non s'ammorza, ma fa come natura face in foco, se mille volte vïolenza il torza. Per che, s'ella si piega assai o poco, segue la forza; e così queste fero possendo rifuggir nel santo loco. Se fosse stato lor volere intero, come tenne Lorenzo in su la grada, e fece Muzio a la sua man severo, così l'avria ripinte per la strada ond'eran tratte, come fuoro sciolte; ma così salda voglia è troppo rada. E per queste parole, se ricolte l' hai come dei, è l'argomento casso che t'avria fatto noia ancor più volte. Ma or ti s'attraversa un altro passo dinanzi a li occhi, tal che per te stesso non usciresti: pria saresti lasso. Io t' ho per certo ne la mente messo ch'alma beata non poria mentire, però ch'è sempre al primo vero appresso; e poi potesti da Piccarda udire che l'affezion del vel Costanza tenne; sì ch'ella par qui meco contradire. Molte fïate già, frate, addivenne che, per fuggir periglio, contra grato si fé di quel che far non si convenne; come Almeone, che, di ciò pregato dal padre suo, la propria madre spense, per non perder pietà si fé spietato. A questo punto voglio che tu pense che la forza al voler si mischia, e fanno sì che scusar non si posson l'offense. Voglia assoluta non consente al danno; ma consentevi in tanto in quanto teme, se si ritrae, cadere in più affanno. Però, quando Piccarda quello spreme, de la voglia assoluta intende, e io de l'altra; sì che ver diciamo insieme". Cotal fu l'ondeggiar del santo rio ch'uscì del fonte ond'ogne ver deriva; tal puose in pace uno e altro disio. "O amanza del primo amante, o diva", diss'io appresso, "il cui parlar m'inonda e scalda sì, che più e più m'avviva, non è l'affezion mia tanto profonda, che basti a render voi grazia per grazia; ma quei che vede e puote a ciò risponda. Io veggio ben che già mai non si sazia nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra di fuor dal qual nessun vero si spazia. Posasi in esso, come fera in lustra, tosto che giunto l' ha; e giugner puollo: se non, ciascun disio sarebbe frustra. Nasce per quello, a guisa di rampollo, a piè del vero il dubbio; ed è natura ch'al sommo pinge noi di collo in collo. Questo m'invita, questo m'assicura con reverenza, donna, a dimandarvi d'un'altra verità che m'è oscura. Io vo' saper se l'uom può sodisfarvi ai voti manchi sì con altri beni, ch'a la vostra statera non sien parvi". Beatrice mi guardò con li occhi pieni di faville d'amor così divini, che, vinta, mia virtute diè le reni, e quasi mi perdei con li occhi chini.
Canto V, nel quale solve una questione premessa nel precedente canto e ammaestra li cristiani intorno a li voti ch'elli fanno a Dio; ed entrasi nel cielo di Mercurio, e qui comincia la seconda parte di questa cantica. __________________________ "S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore di là dal modo che 'n terra si vede, sì che del viso tuo vinco il valore, non ti maravigliar, ché ciò procede da perfetto veder, che, come apprende, così nel bene appreso move il piede. Io veggio ben sì come già resplende ne l'intelletto tuo l'etterna luce, che, vista, sola e sempre amore accende; e s'altra cosa vostro amor seduce, non è se non di quella alcun vestigio, mal conosciuto, che quivi traluce. Tu vuo' saper se con altro servigio, per manco voto, si può render tanto che l'anima sicuri di letigio". Sì cominciò Beatrice questo canto; e sì com'uom che suo parlar non spezza, continüò così 'l processo santo: "Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando, e a la sua bontate più conformato, e quel ch'e' più apprezza, fu de la volontà la libertate; di che le creature intelligenti, e tutte e sole, fuoro e son dotate. Or ti parrà, se tu quinci argomenti, l'alto valor del voto, s'è sì fatto che Dio consenta quando tu consenti; ché, nel fermar tra Dio e l'omo il patto, vittima fassi di questo tesoro, tal quale io dico; e fassi col suo atto. Dunque che render puossi per ristoro? Se credi bene usar quel c' hai offerto, di maltolletto vuo' far buon lavoro. Tu se' omai del maggior punto certo; ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, che par contra lo ver ch'i' t' ho scoverto, convienti ancor sedere un poco a mensa, però che 'l cibo rigido c' hai preso, richiede ancora aiuto a tua dispensa. Apri la mente a quel ch'io ti paleso e fermalvi entro; ché non fa scïenza, sanza lo ritenere, avere inteso. Due cose si convegnono a l'essenza di questo sacrificio: l'una è quella di che si fa; l'altr'è la convenenza. Quest'ultima già mai non si cancella se non servata; e intorno di lei sì preciso di sopra si favella: però necessitato fu a li Ebrei pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta si permutasse, come saver dei. L'altra, che per materia t'è aperta, puote ben esser tal, che non si falla se con altra materia si converta. Ma non trasmuti carco a la sua spalla per suo arbitrio alcun, sanza la volta e de la chiave bianca e de la gialla; e ogne permutanza credi stolta, se la cosa dimessa in la sorpresa come 'l quattro nel sei non è raccolta. Però qualunque cosa tanto pesa per suo valor che tragga ogne bilancia, sodisfar non si può con altra spesa. Non prendan li mortali il voto a ciancia; siate fedeli, e a ciò far non bieci, come Ieptè a la sua prima mancia; cui più si convenia dicer 'Mal feci', che, servando, far peggio; e così stolto ritrovar puoi il gran duca de' Greci, onde pianse Efigènia il suo bel volto, e fé pianger di sé i folli e i savi ch'udir parlar di così fatto cólto. Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch'ogne acqua vi lavi. Avete il novo e 'l vecchio Testamento, e 'l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida! Non fate com'agnel che lascia il latte de la sua madre, e semplice e lascivo seco medesmo a suo piacer combatte!". Così Beatrice a me com'ïo scrivo; poi si rivolse tutta disïante a quella parte ove 'l mondo è più vivo. Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante puoser silenzio al mio cupido ingegno, che già nuove questioni avea davante; e sì come saetta che nel segno percuote pria che sia la corda queta, così corremmo nel secondo regno. Quivi la donna mia vid'io sì lieta, come nel lume di quel ciel si mise, che più lucente se ne fé 'l pianeta. E se la stella si cambiò e rise, qual mi fec'io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise! Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura traggonsi i pesci a ciò che vien di fori per modo che lo stimin lor pastura, sì vid'io ben più di mille splendori trarsi ver' noi, e in ciascun s'udia: "Ecco chi crescerà li nostri amori". E sì come ciascuno a noi venìa, vedeasi l'ombra piena di letizia nel folgór chiaro che di lei uscia. Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia non procedesse, come tu avresti di più savere angosciosa carizia; e per te vederai come da questi m'era in disio d'udir lor condizioni, sì come a li occhi mi fur manifesti. "O bene nato a cui veder li troni del trïunfo etternal concede grazia prima che la milizia s'abbandoni, del lume che per tutto il ciel si spazia noi semo accesi; e però, se disii di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia". Così da un di quelli spirti pii detto mi fu; e da Beatrice: "Dì, dì sicuramente, e credi come a dii". "Io veggio ben sì come tu t'annidi nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, perch'e' corusca sì come tu ridi; ma non so chi tu se', né perché aggi, anima degna, il grado de la spera che si vela a' mortai con altrui raggi". Questo diss'io diritto a la lumera che pria m'avea parlato; ond'ella fessi lucente più assai di quel ch'ell'era. Sì come il sol che si cela elli stessi per troppa luce, come 'l caldo ha róse le temperanze d'i vapori spessi, per più letizia sì mi si nascose dentro al suo raggio la figura santa; e così chiusa chiusa mi rispuose nel modo che 'l seguente canto canta.
Canto VI, dove, nel cielo di Mercurio, Iustiniano imperadore sotto brevità narra tutti li grandi fatti operati per li Romani sotto la 'nsegna de l'aquila, da l'avvenimento di Enea in Italia infino al tempo di Longobardi; e alcune cose si dicono qui in laude di Romeo visconte del conte Ramondo Berlinghieri di Proenza. ________________________ "Poscia che Costantin l'aquila volse contr'al corso del ciel, ch'ella seguio dietro a l'antico che Lavina tolse, cento e cent'anni e più l'uccel di Dio ne lo stremo d'Europa si ritenne, vicino a' monti de' quai prima uscìo; e sotto l'ombra de le sacre penne governò 'l mondo lì di mano in mano, e, sì cangiando, in su la mia pervenne. Cesare fui e son Iustinïano, che, per voler del primo amor ch'i' sento, d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano. E prima ch'io a l'ovra fossi attento, una natura in Cristo esser, non piùe, credea, e di tal fede era contento; ma 'l benedetto Agapito, che fue sommo pastore, a la fede sincera mi dirizzò con le parole sue. Io li credetti; e ciò che 'n sua fede era, vegg'io or chiaro sì, come tu vedi ogne contradizione e falsa e vera. Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, a Dio per grazia piacque di spirarmi l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi; e al mio Belisar commendai l'armi, cui la destra del ciel fu sì congiunta, che segno fu ch'i' dovessi posarmi. Or qui a la question prima s'appunta la mia risposta; ma sua condizione mi stringe a seguitare alcuna giunta, perché tu veggi con quanta ragione si move contr'al sacrosanto segno e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone. Vedi quanta virtù l' ha fatto degno di reverenza; e cominciò da l'ora che Pallante morì per darli regno. Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora per trecento anni e oltre, infino al fine che i tre a' tre pugnar per lui ancora. E sai ch'el fé dal mal de le Sabine al dolor di Lucrezia in sette regi, vincendo intorno le genti vicine. Sai quel ch'el fé portato da li egregi Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, incontro a li altri principi e collegi; onde Torquato e Quinzio, che dal cirro negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi ebber la fama che volontier mirro. Esso atterrò l'orgoglio de li Aràbi che di retro ad Anibale passaro l'alpestre rocce, Po, di che tu labi. Sott'esso giovanetti trïunfaro Scipïone e Pompeo; e a quel colle sotto 'l qual tu nascesti parve amaro. Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle redur lo mondo a suo modo sereno, Cesare per voler di Roma il tolle. E quel che fé da Varo infino a Reno, Isara vide ed Era e vide Senna e ogne valle onde Rodano è pieno. Quel che fé poi ch'elli uscì di Ravenna e saltò Rubicon, fu di tal volo, che nol seguiteria lingua né penna. Inver' la Spagna rivolse lo stuolo, poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse sì ch'al Nil caldo si sentì del duolo. Antandro e Simeonta, onde si mosse, rivide e là dov'Ettore si cuba; e mal per Tolomeo poscia si scosse. Da indi scese folgorando a Iuba; onde si volse nel vostro occidente, ove sentia la pompeana tuba. Di quel che fé col baiulo seguente, Bruto con Cassio ne l'inferno latra, e Modena e Perugia fu dolente. Piangene ancor la trista Cleopatra, che, fuggendoli innanzi, dal colubro la morte prese subitana e atra. Con costui corse infino al lito rubro; con costui puose il mondo in tanta pace, che fu serrato a Giano il suo delubro. Ma ciò che 'l segno che parlar mi face fatto avea prima e poi era fatturo per lo regno mortal ch'a lui soggiace, diventa in apparenza poco e scuro, se in mano al terzo Cesare si mira con occhio chiaro e con affetto puro; ché la viva giustizia che mi spira, li concedette, in mano a quel ch'i' dico, gloria di far vendetta a la sua ira. Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replìco: poscia con Tito a far vendetta corse de la vendetta del peccato antico. E quando il dente longobardo morse la Santa Chiesa, sotto le sue ali Carlo Magno, vincendo, la soccorse. Omai puoi giudicar di quei cotali ch'io accusai di sopra e di lor falli, che son cagion di tutti vostri mali. L'uno al pubblico segno i gigli gialli oppone, e l'altro appropria quello a parte, sì ch'è forte a veder chi più si falli. Faccian li Ghibellin, faccian lor arte sott'altro segno, ché mal segue quello sempre chi la giustizia e lui diparte; e non l'abbatta esto Carlo novello coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli ch'a più alto leon trasser lo vello. Molte fïate già pianser li figli per la colpa del padre, e non si creda che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli! Questa picciola stella si correda d'i buoni spirti che son stati attivi perché onore e fama li succeda: e quando li disiri poggian quivi, sì disvïando, pur convien che i raggi del vero amore in sù poggin men vivi. Ma nel commensurar d'i nostri gaggi col merto è parte di nostra letizia, perché non li vedem minor né maggi. Quindi addolcisce la viva giustizia in noi l'affetto sì, che non si puote torcer già mai ad alcuna nequizia. Diverse voci fanno dolci note; così diversi scanni in nostra vita rendon dolce armonia tra queste rote. E dentro a la presente margarita luce la luce di Romeo, di cui fu l'ovra grande e bella mal gradita. Ma i Provenzai che fecer contra lui non hanno riso; e però mal cammina qual si fa danno del ben fare altrui. Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, Ramondo Beringhiere, e ciò li fece Romeo, persona umìle e peregrina. E poi il mosser le parole biece a dimandar ragione a questo giusto, che li assegnò sette e cinque per diece, indi partissi povero e vetusto; e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe mendicando sua vita a frusto a frusto, assai lo loda, e più lo loderebbe".
Canto VII, nel quale Beatrice mostra come la vendetta fatta per Tito de la morte di Gesù Cristo nostro Salvatore fue giusta, essendo la morte di Gesù Cristo giusta per ricomperamento de l'umana generazione e solvimento del peccato del primo padre. _______________________ "Osanna, sanctus Deus sabaòth, superillustrans claritate tua felices ignes horum malacòth!". Così, volgendosi a la nota sua, fu viso a me cantare essa sustanza, sopra la qual doppio lume s'addua; ed essa e l'altre mossero a sua danza, e quasi velocissime faville mi si velar di sùbita distanza. Io dubitava e dicea 'Dille, dille!' fra me, 'dille' dicea, 'a la mia donna che mi diseta con le dolci stille'. Ma quella reverenza che s'indonna di tutto me, pur per Be e per ice, mi richinava come l'uom ch'assonna. Poco sofferse me cotal Beatrice e cominciò, raggiandomi d'un riso tal, che nel foco faria l'uom felice: "Secondo mio infallibile avviso, come giusta vendetta giustamente punita fosse, t' ha in pensier miso; ma io ti solverò tosto la mente; e tu ascolta, ché le mie parole di gran sentenza ti faran presente. Per non soffrire a la virtù che vole freno a suo prode, quell'uom che non nacque, dannando sé, dannò tutta sua prole; onde l'umana specie inferma giacque giù per secoli molti in grande errore, fin ch'al Verbo di Dio discender piacque u' la natura, che dal suo fattore s'era allungata, unì a sé in persona con l'atto sol del suo etterno amore. Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona: questa natura al suo fattore unita, qual fu creata, fu sincera e buona; ma per sé stessa pur fu ella sbandita di paradiso, però che si torse da via di verità e da sua vita. La pena dunque che la croce porse s'a la natura assunta si misura, nulla già mai sì giustamente morse; e così nulla fu di tanta ingiura, guardando a la persona che sofferse, in che era contratta tal natura. Però d'un atto uscir cose diverse: ch'a Dio e a' Giudei piacque una morte; per lei tremò la terra e 'l ciel s'aperse. Non ti dee oramai parer più forte, quando si dice che giusta vendetta poscia vengiata fu da giusta corte. Ma io veggi' or la tua mente ristretta di pensiero in pensier dentro ad un nodo, del qual con gran disio solver s'aspetta. Tu dici: "Ben discerno ciò ch'i' odo; ma perché Dio volesse, m'è occulto, a nostra redenzion pur questo modo". Questo decreto, frate, sta sepulto a li occhi di ciascuno il cui ingegno ne la fiamma d'amor non è adulto. Veramente, però ch'a questo segno molto si mira e poco si discerne, dirò perché tal modo fu più degno. La divina bontà, che da sé sperne ogne livore, ardendo in sé, sfavilla sì che dispiega le bellezze etterne. Ciò che da lei sanza mezzo distilla non ha poi fine, perché non si move la sua imprenta quand'ella sigilla. Ciò che da essa sanza mezzo piove libero è tutto, perché non soggiace a la virtute de le cose nove. Più l'è conforme, e però più le piace; ché l'ardor santo ch'ogne cosa raggia, ne la più somigliante è più vivace. Di tutte queste dote s'avvantaggia l'umana creatura, e s'una manca, di sua nobilità convien che caggia. Solo il peccato è quel che la disfranca e falla dissimìle al sommo bene, per che del lume suo poco s'imbianca; e in sua dignità mai non rivene, se non rïempie, dove colpa vòta, contra mal dilettar con giuste pene. Vostra natura, quando peccò tota nel seme suo, da queste dignitadi, come di paradiso, fu remota; né ricovrar potiensi, se tu badi ben sottilmente, per alcuna via, sanza passar per un di questi guadi: o che Dio solo per sua cortesia dimesso avesse, o che l'uom per sé isso avesse sodisfatto a sua follia. Ficca mo l'occhio per entro l'abisso de l'etterno consiglio, quanto puoi al mio parlar distrettamente fisso. Non potea l'uomo ne' termini suoi mai sodisfar, per non potere ir giuso con umiltate obedïendo poi, quanto disobediendo intese ir suso; e questa è la cagion per che l'uom fue da poter sodisfar per sé dischiuso. Dunque a Dio convenia con le vie sue riparar l'omo a sua intera vita, dico con l'una, o ver con amendue. Ma perché l'ovra tanto è più gradita da l'operante, quanto più appresenta de la bontà del core ond'ell'è uscita, la divina bontà che 'l mondo imprenta, di proceder per tutte le sue vie, a rilevarvi suso, fu contenta. Né tra l'ultima notte e 'l primo die sì alto o sì magnifico processo, o per l'una o per l'altra, fu o fie: ché più largo fu Dio a dar sé stesso per far l'uom sufficiente a rilevarsi, che s'elli avesse sol da sé dimesso; e tutti li altri modi erano scarsi a la giustizia, se 'l Figliuol di Dio non fosse umilïato ad incarnarsi. Or per empierti bene ogne disio, ritorno a dichiararti in alcun loco, perché tu veggi lì così com'io. Tu dici: "Io veggio l'acqua, io veggio il foco, l'aere e la terra e tutte lor misture venire a corruzione, e durar poco; e queste cose pur furon creature; per che, se ciò ch'è detto è stato vero, esser dovrien da corruzion sicure". Li angeli, frate, e 'l paese sincero nel qual tu se', dir si posson creati, sì come sono, in loro essere intero; ma li alimenti che tu hai nomati e quelle cose che di lor si fanno da creata virtù sono informati. Creata fu la materia ch'elli hanno; creata fu la virtù informante in queste stelle che 'ntorno a lor vanno. L'anima d'ogne bruto e de le piante di complession potenzïata tira lo raggio e 'l moto de le luci sante; ma vostra vita sanza mezzo spira la somma beninanza, e la innamora di sé sì che poi sempre la disira. E quinci puoi argomentare ancora vostra resurrezion, se tu ripensi come l'umana carne fessi allora che li primi parenti intrambo fensi".
Canto VIII, nel quale si manifestano alcune questioni per Carlo giovane, re d'Ungheria, il quale si mostroe nel circulo di Venere; e qui comincia la terza parte. ________________________ Solea creder lo mondo in suo periclo che la bella Ciprigna il folle amore raggiasse, volta nel terzo epiciclo; per che non pur a lei faceano onore di sacrificio e di votivo grido le genti antiche ne l'antico errore; ma Dïone onoravano e Cupido, quella per madre sua, questo per figlio, e dicean ch'el sedette in grembo a Dido; e da costei ond'io principio piglio pigliavano il vocabol de la stella che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. Io non m'accorsi del salire in ella; ma d'esservi entro mi fé assai fede la donna mia ch'i' vidi far più bella. E come in fiamma favilla si vede, e come in voce voce si discerne, quand'una è ferma e altra va e riede, vid'io in essa luce altre lucerne muoversi in giro più e men correnti, al modo, credo, di lor viste interne. Di fredda nube non disceser venti, o visibili o no, tanto festini, che non paressero impediti e lenti a chi avesse quei lumi divini veduti a noi venir, lasciando il giro pria cominciato in li alti Serafini; e dentro a quei che più innanzi appariro sonava 'Osanna' sì, che unque poi di rïudir non fui sanza disiro. Indi si fece l'un più presso a noi e solo incominciò: "Tutti sem presti al tuo piacer, perché di noi ti gioi. Noi ci volgiam coi principi celesti d'un giro e d'un girare e d'una sete, ai quali tu del mondo già dicesti: 'Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete'; e sem sì pien d'amor, che, per piacerti, non fia men dolce un poco di quïete". Poscia che li occhi miei si fuoro offerti a la mia donna reverenti, ed essa fatti li avea di sé contenti e certi, rivolsersi a la luce che promessa tanto s'avea, e "Deh, chi siete?" fue la voce mia di grande affetto impressa. E quanta e quale vid'io lei far piùe per allegrezza nova che s'accrebbe, quando parlai, a l'allegrezze sue! Così fatta, mi disse: "Il mondo m'ebbe giù poco tempo; e se più fosse stato, molto sarà di mal, che non sarebbe. La mia letizia mi ti tien celato che mi raggia dintorno e mi nasconde quasi animal di sua seta fasciato. Assai m'amasti, e avesti ben onde; che s'io fossi giù stato, io ti mostrava di mio amor più oltre che le fronde. Quella sinistra riva che si lava di Rodano poi ch'è misto con Sorga, per suo segnore a tempo m'aspettava, e quel corno d'Ausonia che s'imborga di Bari e di Gaeta e di Catona, da ove Tronto e Verde in mare sgorga. Fulgeami già in fronte la corona di quella terra che 'l Danubio riga poi che le ripe tedesche abbandona. E la bella Trinacria, che caliga tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo che riceve da Euro maggior briga, non per Tifeo ma per nascente solfo, attesi avrebbe li suoi regi ancora, nati per me di Carlo e di Ridolfo, se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!". E se mio frate questo antivedesse, l'avara povertà di Catalogna già fuggeria, perché non li offendesse; ché veramente proveder bisogna per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca carcata più d'incarco non si pogna. La sua natura, che di larga parca discese, avria mestier di tal milizia che non curasse di mettere in arca". "Però ch'i' credo che l'alta letizia che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio, là 've ogne ben si termina e s'inizia, per te si veggia come la vegg'io, grata m'è più; e anco quest' ho caro perché 'l discerni rimirando in Dio. Fatto m' hai lieto, e così mi fa chiaro, poi che, parlando, a dubitar m' hai mosso com'esser può, di dolce seme, amaro". Questo io a lui; ed elli a me: "S'io posso mostrarti un vero, a quel che tu dimandi terrai lo viso come tien lo dosso. Lo ben che tutto il regno che tu scandi volge e contenta, fa esser virtute sua provedenza in questi corpi grandi. E non pur le nature provedute sono in la mente ch'è da sé perfetta, ma esse insieme con la lor salute: per che quantunque quest'arco saetta disposto cade a proveduto fine, sì come cosa in suo segno diretta. Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine producerebbe sì li suoi effetti, che non sarebbero arti, ma ruine; e ciò esser non può, se li 'ntelletti che muovon queste stelle non son manchi, e manco il primo, che non li ha perfetti. Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi?". E io: "Non già; ché impossibil veggio che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi". Ond'elli ancora: "Or dì: sarebbe il peggio per l'omo in terra, se non fosse cive?". "Sì", rispuos'io; "e qui ragion non cheggio". "E puot'elli esser, se giù non si vive diversamente per diversi offici? Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive". Sì venne deducendo infino a quici; poscia conchiuse: "Dunque esser diverse convien di vostri effetti le radici: per ch'un nasce Solone e altro Serse, altro Melchisedèch e altro quello che, volando per l'aere, il figlio perse. La circular natura, ch'è suggello a la cera mortal, fa ben sua arte, ma non distingue l'un da l'altro ostello. Quinci addivien ch'Esaù si diparte per seme da Iacòb; e vien Quirino da sì vil padre, che si rende a Marte. Natura generata il suo cammino simil farebbe sempre a' generanti, se non vincesse il proveder divino. Or quel che t'era dietro t'è davanti: ma perché sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t'ammanti. Sempre natura, se fortuna trova discorde a sé, com'ogne altra semente fuor di sua regïon, fa mala prova. E se 'l mondo là giù ponesse mente al fondamento che natura pone, seguendo lui, avria buona la gente. Ma voi torcete a la religïone tal che fia nato a cignersi la spada, e fate re di tal ch'è da sermone; onde la traccia vostra è fuor di strada".
Canto IX, nel quale parla madonna Cunizza di Romano, antidicendo alcuna cosa de la Marca di Trevigi; e parla Folco di Marsilia che fue vescovo d'essa. ___________________________ Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, m'ebbe chiarito, mi narrò li 'nganni che ricever dovea la sua semenza; ma disse: "Taci e lascia muover li anni"; sì ch'io non posso dir se non che pianto giusto verrà di retro ai vostri danni. E già la vita di quel lume santo rivolta s'era al Sol che la rïempie come quel ben ch'a ogne cosa è tanto. Ahi anime ingannate e fatture empie, che da sì fatto ben torcete i cuori, drizzando in vanità le vostre tempie! Ed ecco un altro di quelli splendori ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi significava nel chiarir di fori. Li occhi di Bëatrice, ch'eran fermi sovra me, come pria, di caro assenso al mio disio certificato fermi. "Deh, metti al mio voler tosto compenso, beato spirto", dissi, "e fammi prova ch'i' possa in te refletter quel ch'io penso!". Onde la luce che m'era ancor nova, del suo profondo, ond'ella pria cantava, seguette come a cui di ben far giova: "In quella parte de la terra prava italica che siede tra Rïalto e le fontane di Brenta e di Piava, si leva un colle, e non surge molt'alto, là onde scese già una facella che fece a la contrada un grande assalto. D'una radice nacqui e io ed ella: Cunizza fui chiamata, e qui refulgo perché mi vinse il lume d'esta stella; ma lietamente a me medesma indulgo la cagion di mia sorte, e non mi noia; che parria forse forte al vostro vulgo. Di questa luculenta e cara gioia del nostro cielo che più m'è propinqua, grande fama rimase; e pria che moia, questo centesimo anno ancor s'incinqua: vedi se far si dee l'omo eccellente, sì ch'altra vita la prima relinqua. E ciò non pensa la turba presente che Tagliamento e Adice richiude, né per esser battuta ancor si pente; ma tosto fia che Padova al palude cangerà l'acqua che Vincenza bagna, per essere al dover le genti crude; e dove Sile e Cagnan s'accompagna, tal signoreggia e va con la testa alta, che già per lui carpir si fa la ragna. Piangerà Feltro ancora la difalta de l'empio suo pastor, che sarà sconcia sì, che per simil non s'entrò in malta. Troppo sarebbe larga la bigoncia che ricevesse il sangue ferrarese, e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia, che donerà questo prete cortese per mostrarsi di parte; e cotai doni conformi fieno al viver del paese. Sù sono specchi, voi dicete Troni, onde refulge a noi Dio giudicante; sì che questi parlar ne paion buoni". Qui si tacette; e fecemi sembiante che fosse ad altro volta, per la rota in che si mise com'era davante. L'altra letizia, che m'era già nota per cara cosa, mi si fece in vista qual fin balasso in che lo sol percuota. Per letiziar là sù fulgor s'acquista, sì come riso qui; ma giù s'abbuia l'ombra di fuor, come la mente è trista. "Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia", diss'io, "beato spirto, sì che nulla voglia di sé a te puot'esser fuia. Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla sempre col canto di quei fuochi pii che di sei ali facen la coculla, perché non satisface a' miei disii? Già non attendere' io tua dimanda, s'io m'intuassi, come tu t'inmii". "La maggior valle in che l'acqua si spanda", incominciaro allor le sue parole, "fuor di quel mar che la terra inghirlanda, tra ' discordanti liti contra 'l sole tanto sen va, che fa meridïano là dove l'orizzonte pria far suole. Di quella valle fu' io litorano tra Ebro e Macra, che per cammin corto parte lo Genovese dal Toscano. Ad un occaso quasi e ad un orto Buggea siede e la terra ond'io fui, che fé del sangue suo già caldo il porto. Folco mi disse quella gente a cui fu noto il nome mio; e questo cielo di me s'imprenta, com'io fe' di lui; ché più non arse la figlia di Belo, noiando e a Sicheo e a Creusa, di me, infin che si convenne al pelo; né quella Rodopëa che delusa fu da Demofoonte, né Alcide quando Iole nel core ebbe rinchiusa. Non però qui si pente, ma si ride, non de la colpa, ch'a mente non torna, ma del valor ch'ordinò e provide. Qui si rimira ne l'arte ch'addorna cotanto affetto, e discernesi 'l bene per che 'l mondo di sù quel di giù torna. Ma perché tutte le tue voglie piene ten porti che son nate in questa spera, procedere ancor oltre mi convene. Tu vuo' saper chi è in questa lumera che qui appresso me così scintilla come raggio di sole in acqua mera. Or sappi che là entro si tranquilla Raab; e a nostr'ordine congiunta, di lei nel sommo grado si sigilla. Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta che 'l vostro mondo face, pria ch'altr'alma del trïunfo di Cristo fu assunta. Ben si convenne lei lasciar per palma in alcun cielo de l'alta vittoria che s'acquistò con l'una e l'altra palma, perch'ella favorò la prima gloria di Iosüè in su la Terra Santa, che poco tocca al papa la memoria. La tua città, che di colui è pianta che pria volse le spalle al suo fattore e di cui è la 'nvidia tanto pianta, produce e spande il maladetto fiore c' ha disvïate le pecore e li agni, però che fatto ha lupo del pastore. Per questo l'Evangelio e i dottor magni son derelitti, e solo ai Decretali si studia, sì che pare a' lor vivagni. A questo intende il papa e ' cardinali; non vanno i lor pensieri a Nazarette, là dove Gabrïello aperse l'ali. Ma Vaticano e l'altre parti elette di Roma che son state cimitero a la milizia che Pietro seguette, tosto libere fien de l'avoltero".
Canto X, nel quale santo Tommaso d'Aquino de l'ordine de' Frati Predicatori parla nel cielo del Sole; e qui comincia la quarta parte. Paradiso, Canto X (versi 1-148) _________________________ Guardando nel suo Figlio con l'Amore che l'uno e l'altro etternalmente spira, lo primo e ineffabile Valore quanto per mente e per loco si gira con tant'ordine fé, ch'esser non puote sanza gustar di lui chi ciò rimira. Leva dunque, lettore, a l'alte rote meco la vista, dritto a quella parte dove l'un moto e l'altro si percuote; e lì comincia a vagheggiar ne l'arte di quel maestro che dentro a sé l'ama, tanto che mai da lei l'occhio non parte. Vedi come da indi si dirama l'oblico cerchio che i pianeti porta, per sodisfare al mondo che li chiama. Che se la strada lor non fosse torta, molta virtù nel ciel sarebbe in vano, e quasi ogne potenza qua giù morta; e se dal dritto più o men lontano fosse 'l partire, assai sarebbe manco e giù e sù de l'ordine mondano. Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco, dietro pensando a ciò che si preliba, s'esser vuoi lieto assai prima che stanco. Messo t' ho innanzi: omai per te ti ciba; ché a sé torce tutta la mia cura quella materia ond'io son fatto scriba. Lo ministro maggior de la natura, che del valor del ciel lo mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura, con quella parte che sù si rammenta congiunto, si girava per le spire in che più tosto ognora s'appresenta; e io era con lui; ma del salire non m'accors'io, se non com'uom s'accorge, anzi 'l primo pensier, del suo venire. E' Bëatrice quella che sì scorge di bene in meglio, sì subitamente che l'atto suo per tempo non si sporge. Quant'esser convenia da sé lucente quel ch'era dentro al sol dov'io entra' mi, non per color, ma per lume parvente! Perch'io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami, sì nol direi che mai s'imaginasse; ma creder puossi e di veder si brami. E se le fantasie nostre son basse a tanta altezza, non è maraviglia; ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse. Tal era quivi la quarta famiglia de l'alto Padre, che sempre la sazia, mostrando come spira e come figlia. E Bëatrice cominciò: "Ringrazia, ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo sensibil t' ha levato per sua grazia". Cor di mortal non fu mai sì digesto a divozione e a rendersi a Dio con tutto 'l suo gradir cotanto presto, come a quelle parole mi fec'io; e sì tutto 'l mio amore in lui si mise, che Bëatrice eclissò ne l'oblio. Non le dispiacque, ma sì se ne rise, che lo splendor de li occhi suoi ridenti mia mente unita in più cose divise. Io vidi più folgór vivi e vincenti far di noi centro e di sé far corona, più dolci in voce che in vista lucenti: così cinger la figlia di Latona vedem talvolta, quando l'aere è pregno, sì che ritenga il fil che fa la zona. Ne la corte del cielo, ond'io rivegno, si trovan molte gioie care e belle tanto che non si posson trar del regno; e 'l canto di quei lumi era di quelle; chi non s'impenna sì che là sù voli, dal muto aspetti quindi le novelle. Poi, sì cantando, quelli ardenti soli si fuor girati intorno a noi tre volte, come stelle vicine a' fermi poli, donne mi parver, non da ballo sciolte, ma che s'arrestin tacite, ascoltando fin che le nove note hanno ricolte. E dentro a l'un senti' cominciar: "Quando lo raggio de la grazia, onde s'accende verace amore e che poi cresce amando, multiplicato in te tanto resplende, che ti conduce su per quella scala u' sanza risalir nessun discende; qual ti negasse il vin de la sua fiala per la tua sete, in libertà non fora se non com'acqua ch'al mar non si cala. Tu vuo' saper di quai piante s'infiora questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia la bella donna ch'al ciel t'avvalora. Io fui de li agni de la santa greggia che Domenico mena per cammino u' ben s'impingua se non si vaneggia. Questi che m'è a destra più vicino, frate e maestro fummi, ed esso Alberto è di Cologna, e io Thomas d'Aquino. Se sì di tutti li altri esser vuo' certo, di retro al mio parlar ten vien col viso girando su per lo beato serto. Quell'altro fiammeggiare esce del riso di Grazïan, che l'uno e l'altro foro aiutò sì che piace in paradiso. L'altro ch'appresso addorna il nostro coro, quel Pietro fu che con la poverella offerse a Santa Chiesa suo tesoro. La quinta luce, ch'è tra noi più bella, spira di tale amor, che tutto 'l mondo là giù ne gola di saper novella: entro v'è l'alta mente u' sì profondo saver fu messo, che, se 'l vero è vero, a veder tanto non surse il secondo. Appresso vedi il lume di quel cero che giù in carne più a dentro vide l'angelica natura e 'l ministero. Ne l'altra piccioletta luce ride quello avvocato de' tempi cristiani del cui latino Augustin si provide. Or se tu l'occhio de la mente trani di luce in luce dietro a le mie lode, già de l'ottava con sete rimani. Per vedere ogne ben dentro vi gode l'anima santa che 'l mondo fallace fa manifesto a chi di lei ben ode. Lo corpo ond'ella fu cacciata giace giuso in Cieldauro; ed essa da martiro e da essilio venne a questa pace. Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro d'Isidoro, di Beda e di Riccardo, che a considerar fu più che viro. Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri gravi a morir li parve venir tardo: essa è la luce etterna di Sigieri, che, leggendo nel Vico de li Strami, silogizzò invidïosi veri". Indi, come orologio che ne chiami ne l'ora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perché l'ami, che l'una parte e l'altra tira e urge, tin tin sonando con sì dolce nota, che 'l ben disposto spirto d'amor turge; così vid'ïo la gloriosa rota muoversi e render voce a voce in tempra e in dolcezza ch'esser non pò nota se non colà dove gioir s'insempra.
Canto XI, nel quale il detto frate in gloria di san Francesco sotto brevitate racconta la sua vita tutta, e riprende i suoi frati, ché pochi sono quelli che 'l seguitino. _____________________ O insensata cura de' mortali, quanto son difettivi silogismi quei che ti fanno in basso batter l'ali! Chi dietro a iura e chi ad amforismi sen giva, e chi seguendo sacerdozio, e chi regnar per forza o per sofismi, e chi rubare e chi civil negozio, chi nel diletto de la carne involto s'affaticava e chi si dava a l'ozio, quando, da tutte queste cose sciolto, con Bëatrice m'era suso in cielo cotanto glorïosamente accolto. Poi che ciascuno fu tornato ne lo punto del cerchio in che avanti s'era, fermossi, come a candellier candelo. E io senti' dentro a quella lumera che pria m'avea parlato, sorridendo incominciar, faccendosi più mera: "Così com'io del suo raggio resplendo, sì, riguardando ne la luce etterna, li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. Tu dubbi, e hai voler che si ricerna in sì aperta e 'n sì distesa lingua lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna, ove dinanzi dissi: "U' ben s'impingua", e là u' dissi: "Non nacque il secondo"; e qui è uopo che ben si distingua. La provedenza, che governa il mondo con quel consiglio nel quale ogne aspetto creato è vinto pria che vada al fondo, però che andasse ver' lo suo diletto la sposa di colui ch'ad alte grida disposò lei col sangue benedetto, in sé sicura e anche a lui più fida, due principi ordinò in suo favore, che quinci e quindi le fosser per guida. L'un fu tutto serafico in ardore; l'altro per sapïenza in terra fue di cherubica luce uno splendore. De l'un dirò, però che d'amendue si dice l'un pregiando, qual ch'om prende, perch'ad un fine fur l'opere sue. Intra Tupino e l'acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo, fertile costa d'alto monte pende, onde Perugia sente freddo e caldo da Porta Sole; e di rietro le piange per grave giogo Nocera con Gualdo. Di questa costa, là dov'ella frange più sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo talvolta di Gange. Però chi d'esso loco fa parole, non dica Ascesi, ché direbbe corto, ma Orïente, se proprio dir vuole. Non era ancor molto lontan da l'orto, ch'el cominciò a far sentir la terra de la sua gran virtute alcun conforto; ché per tal donna, giovinetto, in guerra del padre corse, a cui, come a la morte, la porta del piacer nessun diserra; e dinanzi a la sua spirital corte e coram patre le si fece unito; poscia di dì in dì l'amò più forte. Questa, privata del primo marito, millecent'anni e più dispetta e scura fino a costui si stette sanza invito; né valse udir che la trovò sicura con Amiclate, al suon de la sua voce, colui ch'a tutto 'l mondo fé paura; né valse esser costante né feroce, sì che, dove Maria rimase giuso, ella con Cristo pianse in su la croce. Ma perch'io non proceda troppo chiuso, Francesco e Povertà per questi amanti prendi oramai nel mio parlar diffuso. La lor concordia e i lor lieti sembianti, amore e maraviglia e dolce sguardo facieno esser cagion di pensier santi; tanto che 'l venerabile Bernardo si scalzò prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo. Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace. Indi sen va quel padre e quel maestro con la sua donna e con quella famiglia che già legava l'umile capestro. Né li gravò viltà di cuor le ciglia per esser fi' di Pietro Bernardone, né per parer dispetto a maraviglia; ma regalmente sua dura intenzione ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe primo sigillo a sua religïone. Poi che la gente poverella crebbe dietro a costui, la cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe, di seconda corona redimita fu per Onorio da l'Etterno Spiro la santa voglia d'esto archimandrita. E poi che, per la sete del martiro, ne la presenza del Soldan superba predicò Cristo e li altri che 'l seguiro, e per trovare a conversione acerba troppo la gente e per non stare indarno, redissi al frutto de l'italica erba, nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l'ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno. Quando a colui ch'a tanto ben sortillo piacque di trarlo suso a la mercede ch'el meritò nel suo farsi pusillo, a' frati suoi, sì com'a giuste rede, raccomandò la donna sua più cara, e comandò che l'amassero a fede; e del suo grembo l'anima preclara mover si volle, tornando al suo regno, e al suo corpo non volle altra bara. Pensa oramai qual fu colui che degno collega fu a mantener la barca di Pietro in alto mar per dritto segno; e questo fu il nostro patrïarca; per che qual segue lui, com'el comanda, discerner puoi che buone merce carca. Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote che per diversi salti non si spanda; e quanto le sue pecore remote e vagabunde più da esso vanno, più tornano a l'ovil di latte vòte. Ben son di quelle che temono 'l danno e stringonsi al pastor; ma son sì poche, che le cappe fornisce poco panno. Or, se le mie parole non son fioche, se la tua audïenza è stata attenta, se ciò ch'è detto a la mente revoche, in parte fia la tua voglia contenta, perché vedrai la pianta onde si scheggia, e vedra' il corrègger che argomenta "U' ben s'impingua, se non si vaneggia"".
Canto XII, nel quale frate Bonaventura da Bagnoregio in gloria di santo Dominico parla e brevemente la sua vita narra. _____________________ Sì tosto come l'ultima parola la benedetta fiamma per dir tolse, a rotar cominciò la santa mola; e nel suo giro tutta non si volse prima ch'un'altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse; canto che tanto vince nostre muse, nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel ch'e' refuse. Come si volgon per tenera nube due archi paralelli e concolori, quando Iunone a sua ancella iube, nascendo di quel d'entro quel di fori, a guisa del parlar di quella vaga ch'amor consunse come sol vapori, e fanno qui la gente esser presaga, per lo patto che Dio con Noè puose, del mondo che già mai più non s'allaga: così di quelle sempiterne rose volgiensi circa noi le due ghirlande, e sì l'estrema a l'intima rispuose. Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande, sì del cantare e sì del fiammeggiarsi luce con luce gaudïose e blande, insieme a punto e a voler quetarsi, pur come li occhi ch'al piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi; del cor de l'una de le luci nove si mosse voce, che l'ago a la stella parer mi fece in volgermi al suo dove; e cominciò: "L'amor che mi fa bella mi tragge a ragionar de l'altro duca per cui del mio sì ben ci si favella. Degno è che, dov'è l'un, l'altro s'induca: sì che, com'elli ad una militaro, così la gloria loro insieme luca. L'essercito di Cristo, che sì caro costò a rïarmar, dietro a la 'nsegna si movea tardo, sospeccioso e raro, quando lo 'mperador che sempre regna provide a la milizia, ch'era in forse, per sola grazia, non per esser degna; e, come è detto, a sua sposa soccorse con due campioni, al cui fare, al cui dire lo popol disvïato si raccorse. In quella parte ove surge ad aprire Zefiro dolce le novelle fronde di che si vede Europa rivestire, non molto lungi al percuoter de l'onde dietro a le quali, per la lunga foga, lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, siede la fortunata Calaroga sotto la protezion del grande scudo in che soggiace il leone e soggioga: dentro vi nacque l'amoroso drudo de la fede cristiana, il santo atleta benigno a' suoi e a' nemici crudo; e come fu creata, fu repleta sì la sua mente di viva vertute, che, ne la madre, lei fece profeta. Poi che le sponsalizie fuor compiute al sacro fonte intra lui e la Fede, u' si dotar di mutüa salute, la donna che per lui l'assenso diede, vide nel sonno il mirabile frutto ch'uscir dovea di lui e de le rede; e perché fosse qual era in costrutto, quinci si mosse spirito a nomarlo del possessivo di cui era tutto. Domenico fu detto; e io ne parlo sì come de l'agricola che Cristo elesse a l'orto suo per aiutarlo. Ben parve messo e famigliar di Cristo: ché 'l primo amor che 'n lui fu manifesto, fu al primo consiglio che diè Cristo. Spesse fïate fu tacito e desto trovato in terra da la sua nutrice, come dicesse: 'Io son venuto a questo'. Oh padre suo veramente Felice! oh madre sua veramente Giovanna, se, interpretata, val come si dice! Non per lo mondo, per cui mo s'affanna di retro ad Ostïense e a Taddeo, ma per amor de la verace manna in picciol tempo gran dottor si feo; tal che si mise a circüir la vigna che tosto imbianca, se 'l vignaio è reo. E a la sedia che fu già benigna più a' poveri giusti, non per lei, ma per colui che siede, che traligna, non dispensare o due o tre per sei, non la fortuna di prima vacante, non decimas, quae sunt pauperum Dei, addimandò, ma contro al mondo errante licenza di combatter per lo seme del qual ti fascian ventiquattro piante. Poi, con dottrina e con volere insieme, con l'officio appostolico si mosse quasi torrente ch'alta vena preme; e ne li sterpi eretici percosse l'impeto suo, più vivamente quivi dove le resistenze eran più grosse. Di lui si fecer poi diversi rivi onde l'orto catolico si riga, sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. Se tal fu l'una rota de la biga in che la Santa Chiesa si difese e vinse in campo la sua civil briga, ben ti dovrebbe assai esser palese l'eccellenza de l'altra, di cui Tomma dinanzi al mio venir fu sì cortese. Ma l'orbita che fé la parte somma di sua circunferenza, è derelitta, sì ch'è la muffa dov'era la gromma. La sua famiglia, che si mosse dritta coi piedi a le sue orme, è tanto volta, che quel dinanzi a quel di retro gitta; e tosto si vedrà de la ricolta de la mala coltura, quando il loglio si lagnerà che l'arca li sia tolta. Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio nostro volume, ancor troveria carta u' leggerebbe "I' mi son quel ch'i' soglio"; ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali a la scrittura, ch'uno la fugge e altro la coarta. Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che ne' grandi offici sempre pospuosi la sinistra cura. Illuminato e Augustin son quici, che fuor de' primi scalzi poverelli che nel capestro a Dio si fero amici. Ugo da San Vittore è qui con elli, e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, lo qual giù luce in dodici libelli; Natàn profeta e 'l metropolitano Crisostomo e Anselmo e quel Donato ch'a la prim'arte degnò porre mano. Rabano è qui, e lucemi dallato il calavrese abate Giovacchino di spirito profetico dotato. Ad inveggiar cotanto paladino mi mosse l'infiammata cortesia di fra Tommaso e 'l discreto latino; e mosse meco questa compagnia".
Canto XIII, nel quale san Tommaso d'Aquino de l'ordine d'i frati predicatori solve una questione toccata di sopra da Salamone. _______________________ Imagini, chi bene intender cupe quel ch'i' or vidi - e ritegna l'image, mentre ch'io dico, come ferma rupe -, quindici stelle che 'n diverse plage lo cielo avvivan di tanto sereno che soperchia de l'aere ogne compage; imagini quel carro a cu' il seno basta del nostro cielo e notte e giorno, sì ch'al volger del temo non vien meno; imagini la bocca di quel corno che si comincia in punta de lo stelo a cui la prima rota va dintorno, aver fatto di sé due segni in cielo, qual fece la figliuola di Minoi allora che sentì di morte il gelo; e l'un ne l'altro aver li raggi suoi, e amendue girarsi per maniera che l'uno andasse al primo e l'altro al poi; e avrà quasi l'ombra de la vera costellazione e de la doppia danza che circulava il punto dov'io era: poi ch'è tanto di là da nostra usanza, quanto di là dal mover de la Chiana si move il ciel che tutti li altri avanza. Lì si cantò non Bacco, non Peana, ma tre persone in divina natura, e in una persona essa e l'umana. Compié 'l cantare e 'l volger sua misura; e attesersi a noi quei santi lumi, felicitando sé di cura in cura. Ruppe il silenzio ne' concordi numi poscia la luce in che mirabil vita del poverel di Dio narrata fumi, e disse: "Quando l'una paglia è trita, quando la sua semenza è già riposta, a batter l'altra dolce amor m'invita. Tu credi che nel petto onde la costa si trasse per formar la bella guancia il cui palato a tutto 'l mondo costa, e in quel che, forato da la lancia, e prima e poscia tanto sodisfece, che d'ogne colpa vince la bilancia, quantunque a la natura umana lece aver di lume, tutto fosse infuso da quel valor che l'uno e l'altro fece; e però miri a ciò ch'io dissi suso, quando narrai che non ebbe 'l secondo lo ben che ne la quinta luce è chiuso. Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo, e vedräi il tuo credere e 'l mio dire nel vero farsi come centro in tondo. Ciò che non more e ciò che può morire non è se non splendor di quella idea che partorisce, amando, il nostro Sire; ché quella viva luce che sì mea dal suo lucente, che non si disuna da lui né da l'amor ch'a lor s'intrea, per sua bontate il suo raggiare aduna, quasi specchiato, in nove sussistenze, etternalmente rimanendosi una. Quindi discende a l'ultime potenze giù d'atto in atto, tanto divenendo, che più non fa che brevi contingenze; e queste contingenze essere intendo le cose generate, che produce con seme e sanza seme il ciel movendo. La cera di costoro e chi la duce non sta d'un modo; e però sotto 'l segno idëale poi più e men traluce. Ond'elli avvien ch'un medesimo legno, secondo specie, meglio e peggio frutta; e voi nascete con diverso ingegno. Se fosse a punto la cera dedutta e fosse il cielo in sua virtù supprema, la luce del suggel parrebbe tutta; ma la natura la dà sempre scema, similemente operando a l'artista ch'a l'abito de l'arte ha man che trema. Però se 'l caldo amor la chiara vista de la prima virtù dispone e segna, tutta la perfezion quivi s'acquista. Così fu fatta già la terra degna di tutta l'animal perfezïone; così fu fatta la Vergine pregna; sì ch'io commendo tua oppinïone, che l'umana natura mai non fue né fia qual fu in quelle due persone. Or s'i' non procedesse avanti piùe, 'Dunque, come costui fu sanza pare?' comincerebber le parole tue. Ma perché paia ben ciò che non pare, pensa chi era, e la cagion che 'l mosse, quando fu detto "Chiedi", a dimandare. Non ho parlato sì, che tu non posse ben veder ch'el fu re, che chiese senno acciò che re sufficïente fosse; non per sapere il numero in che enno li motor di qua sù, o se necesse con contingente mai necesse fenno; non si est dare primum motum esse, o se del mezzo cerchio far si puote trïangol sì ch'un retto non avesse. Onde, se ciò ch'io dissi e questo note, regal prudenza è quel vedere impari in che lo stral di mia intenzion percuote; e se al "surse" drizzi li occhi chiari, vedrai aver solamente respetto ai regi, che son molti, e ' buon son rari. Con questa distinzion prendi 'l mio detto; e così puote star con quel che credi del primo padre e del nostro Diletto. E questo ti sia sempre piombo a' piedi, per farti mover lento com'uom lasso e al sì e al no che tu non vedi: ché quelli è tra li stolti bene a basso, che sanza distinzione afferma e nega ne l'un così come ne l'altro passo; perch'elli 'ncontra che più volte piega l'oppinïon corrente in falsa parte, e poi l'affetto l'intelletto lega. Vie più che 'ndarno da riva si parte, perché non torna tal qual e' si move, chi pesca per lo vero e non ha l'arte. E di ciò sono al mondo aperte prove Parmenide, Melisso e Brisso e molti, li quali andaro e non sapëan dove; sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti che furon come spade a le Scritture in render torti li diritti volti. Non sien le genti, ancor, troppo sicure a giudicar, sì come quei che stima le biade in campo pria che sien mature; ch'i' ho veduto tutto 'l verno prima lo prun mostrarsi rigido e feroce, poscia portar la rosa in su la cima; e legno vidi già dritto e veloce correr lo mar per tutto suo cammino, perire al fine a l'intrar de la foce. Non creda donna Berta e ser Martino, per vedere un furare, altro offerere, vederli dentro al consiglio divino; ché quel può surgere, e quel può cadere".
Canto XIV, nel quale Salamone solve alcuna cosa dubitata; e montasi ne la stella di Marte. La quinta parte comincia qui. _________________________ Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro movesi l'acqua in un ritondo vaso, secondo ch'è percosso fuori o dentro: ne la mia mente fé sùbito caso questo ch'io dico, sì come si tacque la glorïosa vita di Tommaso, per la similitudine che nacque del suo parlare e di quel di Beatrice, a cui sì cominciar, dopo lui, piacque: "A costui fa mestieri, e nol vi dice né con la voce né pensando ancora, d'un altro vero andare a la radice. Diteli se la luce onde s'infiora vostra sustanza, rimarrà con voi etternalmente sì com'ell'è ora; e se rimane, dite come, poi che sarete visibili rifatti, esser porà ch'al veder non vi nòi". Come, da più letizia pinti e tratti, a la fïata quei che vanno a rota levan la voce e rallegrano li atti, così, a l'orazion pronta e divota, li santi cerchi mostrar nova gioia nel torneare e ne la mira nota. Qual si lamenta perché qui si moia per viver colà sù, non vide quive lo refrigerio de l'etterna ploia. Quell'uno e due e tre che sempre vive e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno, non circunscritto, e tutto circunscrive, tre volte era cantato da ciascuno di quelli spirti con tal melodia, ch'ad ogne merto saria giusto muno. E io udi' ne la luce più dia del minor cerchio una voce modesta, forse qual fu da l'angelo a Maria, risponder: "Quanto fia lunga la festa di paradiso, tanto il nostro amore si raggerà dintorno cotal vesta. La sua chiarezza séguita l'ardore; l'ardor la visïone, e quella è tanta, quant' ha di grazia sovra suo valore. Come la carne glorïosa e santa fia rivestita, la nostra persona più grata fia per esser tutta quanta; per che s'accrescerà ciò che ne dona di gratüito lume il sommo bene, lume ch'a lui veder ne condiziona; onde la visïon crescer convene, crescer l'ardor che di quella s'accende, crescer lo raggio che da esso vene. Ma sì come carbon che fiamma rende, e per vivo candor quella soverchia, sì che la sua parvenza si difende; così questo folgór che già ne cerchia fia vinto in apparenza da la carne che tutto dì la terra ricoperchia; né potrà tanta luce affaticarne: ché li organi del corpo saran forti a tutto ciò che potrà dilettarne". Tanto mi parver sùbiti e accorti e l'uno e l'altro coro a dicer "Amme!", che ben mostrar disio d'i corpi morti: forse non pur per lor, ma per le mamme, per li padri e per li altri che fuor cari anzi che fosser sempiterne fiamme. Ed ecco intorno, di chiarezza pari, nascere un lustro sopra quel che v'era, per guisa d'orizzonte che rischiari. E sì come al salir di prima sera comincian per lo ciel nove parvenze, sì che la vista pare e non par vera, parvemi lì novelle sussistenze cominciare a vedere, e fare un giro di fuor da l'altre due circunferenze. Oh vero sfavillar del Santo Spiro! come si fece sùbito e candente a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! Ma Bëatrice sì bella e ridente mi si mostrò, che tra quelle vedute si vuol lasciar che non seguir la mente. Quindi ripreser li occhi miei virtute a rilevarsi; e vidimi translato sol con mia donna in più alta salute. Ben m'accors'io ch'io era più levato, per l'affocato riso de la stella, che mi parea più roggio che l'usato. Con tutto 'l core e con quella favella ch'è una in tutti, a Dio feci olocausto, qual conveniesi a la grazia novella. E non er'anco del mio petto essausto l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi esso litare stato accetto e fausto; ché con tanto lucore e tanto robbi m'apparvero splendor dentro a due raggi, ch'io dissi: "O Elïòs che sì li addobbi!". Come distinta da minori e maggi lumi biancheggia tra ' poli del mondo Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; sì costellati facean nel profondo Marte quei raggi il venerabil segno che fan giunture di quadranti in tondo. Qui vince la memoria mia lo 'ngegno; ché quella croce lampeggiava Cristo, sì ch'io non so trovare essempro degno; ma chi prende sua croce e segue Cristo, ancor mi scuserà di quel ch'io lasso, vedendo in quell'albor balenar Cristo. Di corno in corno e tra la cima e 'l basso si movien lumi, scintillando forte nel congiugnersi insieme e nel trapasso: così si veggion qui diritte e torte, veloci e tarde, rinovando vista, le minuzie d'i corpi, lunghe e corte, moversi per lo raggio onde si lista talvolta l'ombra che, per sua difesa, la gente con ingegno e arte acquista. E come giga e arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non è intesa, così da' lumi che lì m'apparinno s'accogliea per la croce una melode che mi rapiva, sanza intender l'inno. Ben m'accors'io ch'elli era d'alte lode, però ch'a me venìa "Resurgi" e "Vinci" come a colui che non intende e ode. Ïo m'innamorava tanto quinci, che 'nfino a lì non fu alcuna cosa che mi legasse con sì dolci vinci. Forse la mia parola par troppo osa, posponendo il piacer de li occhi belli, ne' quai mirando mio disio ha posa; ma chi s'avvede che i vivi suggelli d'ogne bellezza più fanno più suso, e ch'io non m'era lì rivolto a quelli, escusar puommi di quel ch'io m'accuso per escusarmi, e vedermi dir vero: ché 'l piacer santo non è qui dischiuso, perché si fa, montando, più sincero.
Canto XV, nel quale messere Cacciaguida fiorentino parla laudando l'antico costume di Fiorenza, in vituperio del presente vivere d'essa cittade di Fiorenza. ________________________ Benigna volontade in che si liqua sempre l'amor che drittamente spira, come cupidità fa ne la iniqua, silenzio puose a quella dolce lira, e fece quïetar le sante corde che la destra del cielo allenta e tira. Come saranno a' giusti preghi sorde quelle sustanze che, per darmi voglia ch'io le pregassi, a tacer fur concorde? Bene è che sanza termine si doglia chi, per amor di cosa che non duri etternalmente, quello amor si spoglia. Quale per li seren tranquilli e puri discorre ad ora ad or sùbito foco, movendo li occhi che stavan sicuri, e pare stella che tramuti loco, se non che da la parte ond'e' s'accende nulla sen perde, ed esso dura poco: tale dal corno che 'n destro si stende a piè di quella croce corse un astro de la costellazion che lì resplende; né si partì la gemma dal suo nastro, ma per la lista radïal trascorse, che parve foco dietro ad alabastro. Sì pïa l'ombra d'Anchise si porse, se fede merta nostra maggior musa, quando in Eliso del figlio s'accorse. "O sanguis meus, o superinfusa gratïa Deï, sicut tibi cui bis unquam celi ianüa reclusa?". Così quel lume: ond'io m'attesi a lui; poscia rivolsi a la mia donna il viso, e quinci e quindi stupefatto fui; ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo de la mia gloria e del mio paradiso. Indi, a udire e a veder giocondo, giunse lo spirto al suo principio cose, ch'io non lo 'ntesi, sì parlò profondo; né per elezïon mi si nascose, ma per necessità, ché 'l suo concetto al segno d'i mortal si soprapuose. E quando l'arco de l'ardente affetto fu sì sfogato, che 'l parlar discese inver' lo segno del nostro intelletto, la prima cosa che per me s'intese, "Benedetto sia tu", fu, "trino e uno, che nel mio seme se' tanto cortese!". E seguì: "Grato e lontano digiuno, tratto leggendo del magno volume du' non si muta mai bianco né bruno, solvuto hai, figlio, dentro a questo lume in ch'io ti parlo, mercé di colei ch'a l'alto volo ti vestì le piume. Tu credi che a me tuo pensier mei da quel ch'è primo, così come raia da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei; e però ch'io mi sia e perch'io paia più gaudïoso a te, non mi domandi, che alcun altro in questa turba gaia. Tu credi 'l vero; ché i minori e ' grandi di questa vita miran ne lo speglio in che, prima che pensi, il pensier pandi; ma perché 'l sacro amore in che io veglio con perpetüa vista e che m'asseta di dolce disïar, s'adempia meglio, la voce tua sicura, balda e lieta suoni la volontà, suoni 'l disio, a che la mia risposta è già decreta!". Io mi volsi a Beatrice, e quella udio pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno che fece crescer l'ali al voler mio. Poi cominciai così: "L'affetto e 'l senno, come la prima equalità v'apparse, d'un peso per ciascun di voi si fenno, però che 'l sol che v'allumò e arse, col caldo e con la luce è sì iguali, che tutte simiglianze sono scarse. Ma voglia e argomento ne' mortali, per la cagion ch'a voi è manifesta, diversamente son pennuti in ali; ond'io, che son mortal, mi sento in questa disagguaglianza, e però non ringrazio se non col core a la paterna festa. Ben supplico io a te, vivo topazio che questa gioia prezïosa ingemmi, perché mi facci del tuo nome sazio". "O fronda mia in che io compiacemmi pur aspettando, io fui la tua radice": cotal principio, rispondendo, femmi. Poscia mi disse: "Quel da cui si dice tua cognazione e che cent'anni e piùe girato ha 'l monte in la prima cornice, mio figlio fu e tuo bisavol fue: ben si convien che la lunga fatica tu li raccorci con l'opere tue. Fiorenza dentro da la cerchia antica, ond'ella toglie ancora e terza e nona, si stava in pace, sobria e pudica. Non avea catenella, non corona, non gonne contigiate, non cintura che fosse a veder più che la persona. Non faceva, nascendo, ancor paura la figlia al padre, ché 'l tempo e la dote non fuggien quinci e quindi la misura. Non avea case di famiglia vòte; non v'era giunto ancor Sardanapalo a mostrar ciò che 'n camera si puote. Non era vinto ancora Montemalo dal vostro Uccellatoio, che, com'è vinto nel montar sù, così sarà nel calo. Bellincion Berti vid'io andar cinto di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio la donna sua sanza 'l viso dipinto; e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio esser contenti a la pelle scoperta, e le sue donne al fuso e al pennecchio. Oh fortunate! ciascuna era certa de la sua sepultura, e ancor nulla era per Francia nel letto diserta. L'una vegghiava a studio de la culla, e, consolando, usava l'idïoma che prima i padri e le madri trastulla; l'altra, traendo a la rocca la chioma, favoleggiava con la sua famiglia d'i Troiani, di Fiesole e di Roma. Saria tenuta allor tal maraviglia una Cianghella, un Lapo Salterello, qual or saria Cincinnato e Corniglia. A così riposato, a così bello viver di cittadini, a così fida cittadinanza, a così dolce ostello, Maria mi diè, chiamata in alte grida; e ne l'antico vostro Batisteo insieme fui cristiano e Cacciaguida. Moronto fu mio frate ed Eliseo; mia donna venne a me di val di Pado, e quindi il sopranome tuo si feo. Poi seguitai lo 'mperador Currado; ed el mi cinse de la sua milizia, tanto per bene ovrar li venni in grado. Dietro li andai incontro a la nequizia di quella legge il cui popolo usurpa, per colpa d'i pastor, vostra giustizia. Quivi fu' io da quella gente turpa disviluppato dal mondo fallace, lo cui amor molt'anime deturpa; e venni dal martiro a questa pace".
Canto XVI, nel quale il sopradetto messer Cacciaguida racconta intorno di quaranta famiglie onorabili al suo tempo ne la cittade di Fiorenza, de le quali al presente non è ricordo né fama. _______________________ O poca nostra nobiltà di sangue, se glorïar di te la gente fai qua giù dove l'affetto nostro langue, mirabil cosa non mi sarà mai: ché là dove appetito non si torce, dico nel cielo, io me ne gloriai. Ben se' tu manto che tosto raccorce: sì che, se non s'appon di dì in die, lo tempo va dintorno con le force. Dal 'voi' che prima a Roma s'offerie, in che la sua famiglia men persevra, ricominciaron le parole mie; onde Beatrice, ch'era un poco scevra, ridendo, parve quella che tossio al primo fallo scritto di Ginevra. Io cominciai: "Voi siete il padre mio; voi mi date a parlar tutta baldezza; voi mi levate sì, ch'i' son più ch'io. Per tanti rivi s'empie d'allegrezza la mente mia, che di sé fa letizia perché può sostener che non si spezza. Ditemi dunque, cara mia primizia, quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni che si segnaro in vostra püerizia; ditemi de l'ovil di San Giovanni quanto era allora, e chi eran le genti tra esso degne di più alti scanni". Come s'avviva a lo spirar d'i venti carbone in fiamma, così vid'io quella luce risplendere a' miei blandimenti; e come a li occhi miei si fé più bella, così con voce più dolce e soave, ma non con questa moderna favella, dissemi: "Da quel dì che fu detto 'Ave' al parto in che mia madre, ch'è or santa, s'allevïò di me ond'era grave, al suo Leon cinquecento cinquanta e trenta fiate venne questo foco a rinfiammarsi sotto la sua pianta. Li antichi miei e io nacqui nel loco dove si truova pria l'ultimo sesto da quei che corre il vostro annüal gioco. Basti d'i miei maggiori udirne questo: chi ei si fosser e onde venner quivi, più è tacer che ragionare onesto. Tutti color ch'a quel tempo eran ivi da poter arme tra Marte e 'l Batista, erano il quinto di quei ch'or son vivi. Ma la cittadinanza, ch'è or mista di Campi, di Certaldo e di Fegghine, pura vediesi ne l'ultimo artista. Oh quanto fora meglio esser vicine quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo e a Trespiano aver vostro confine, che averle dentro e sostener lo puzzo del villan d'Aguglion, di quel da Signa, che già per barattare ha l'occhio aguzzo! Se la gente ch'al mondo più traligna non fosse stata a Cesare noverca, ma come madre a suo figlio benigna, tal fatto è fiorentino e cambia e merca, che si sarebbe vòlto a Simifonti, là dove andava l'avolo a la cerca; sariesi Montemurlo ancor de' Conti; sarieno i Cerchi nel piovier d'Acone, e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade, come del vostro il cibo che s'appone; e cieco toro più avaccio cade che cieco agnello; e molte volte taglia più e meglio una che le cinque spade. Se tu riguardi Luni e Orbisaglia come sono ite, e come se ne vanno di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, udir come le schiatte si disfanno non ti parrà nova cosa né forte, poscia che le cittadi termine hanno. Le vostre cose tutte hanno lor morte, sì come voi; ma celasi in alcuna che dura molto, e le vite son corte. E come 'l volger del ciel de la luna cuopre e discuopre i liti sanza posa, così fa di Fiorenza la Fortuna: per che non dee parer mirabil cosa ciò ch'io dirò de li alti Fiorentini onde è la fama nel tempo nascosa. Io vidi li Ughi e vidi i Catellini, Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, già nel calare, illustri cittadini; e vidi così grandi come antichi, con quel de la Sannella, quel de l'Arca, e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. Sovra la porta ch'al presente è carca di nova fellonia di tanto peso che tosto fia iattura de la barca, erano i Ravignani, ond'è disceso il conte Guido e qualunque del nome de l'alto Bellincione ha poscia preso. Quel de la Pressa sapeva già come regger si vuole, e avea Galigaio dorata in casa sua già l'elsa e 'l pome. Grand'era già la colonna del Vaio, Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci e Galli e quei ch'arrossan per lo staio. Lo ceppo di che nacquero i Calfucci era già grande, e già eran tratti a le curule Sizii e Arrigucci. Oh quali io vidi quei che son disfatti per lor superbia! e le palle de l'oro fiorian Fiorenza in tutt'i suoi gran fatti. Così facieno i padri di coloro che, sempre che la vostra chiesa vaca, si fanno grassi stando a consistoro. L'oltracotata schiatta che s'indraca dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente o ver la borsa, com'agnel si placa, già venìa sù, ma di picciola gente; sì che non piacque ad Ubertin Donato che poï il suocero il fé lor parente. Già era 'l Caponsacco nel mercato disceso giù da Fiesole, e già era buon cittadino Giuda e Infangato. Io dirò cosa incredibile e vera: nel picciol cerchio s'entrava per porta che si nomava da quei de la Pera. Ciascun che de la bella insegna porta del gran barone il cui nome e 'l cui pregio la festa di Tommaso riconforta, da esso ebbe milizia e privilegio; avvegna che con popol si rauni oggi colui che la fascia col fregio. Già eran Gualterotti e Importuni; e ancor saria Borgo più quïeto, se di novi vicin fosser digiuni. La casa di che nacque il vostro fleto, per lo giusto disdegno che v' ha morti e puose fine al vostro viver lieto, era onorata, essa e suoi consorti: o Buondelmonte, quanto mal fuggisti le nozze süe per li altrui conforti! Molti sarebber lieti, che son tristi, se Dio t'avesse conceduto ad Ema la prima volta ch'a città venisti. Ma conveniesi, a quella pietra scema che guarda 'l ponte, che Fiorenza fesse vittima ne la sua pace postrema. Con queste genti, e con altre con esse, vid'io Fiorenza in sì fatto riposo, che non avea cagione onde piangesse. Con queste genti vid'io glorïoso e giusto il popol suo, tanto che 'l giglio non era ad asta mai posto a ritroso, né per divisïon fatto vermiglio".
Canto XVII, nel quale il predetto messer Cacciaguida solve l'animo de l'auttore da una paura e confortalo a fare questa opera. ________________________ Qual venne a Climenè, per accertarsi di ciò ch'avëa incontro a sé udito, quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi; tal era io, e tal era sentito e da Beatrice e da la santa lampa che pria per me avea mutato sito. Per che mia donna "Manda fuor la vampa del tuo disio", mi disse, "sì ch'ella esca segnata bene de la interna stampa: non perché nostra conoscenza cresca per tuo parlare, ma perché t'ausi a dir la sete, sì che l'uom ti mesca". "O cara piota mia che sì t'insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in trïangol due ottusi, così vedi le cose contingenti anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti; mentre ch'io era a Virgilio congiunto su per lo monte che l'anime cura e discendendo nel mondo defunto, dette mi fuor di mia vita futura parole gravi, avvegna ch'io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura; per che la voglia mia saria contenta d'intender qual fortuna mi s'appressa: ché saetta previsa vien più lenta". Così diss'io a quella luce stessa che pria m'avea parlato; e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa. Né per ambage, in che la gente folle già s'inviscava pria che fosse anciso l'Agnel di Dio che le peccata tolle, ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso: "La contingenza, che fuor del quaderno de la vostra matera non si stende, tutta è dipinta nel cospetto etterno; necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende. Da indi, sì come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s'apparecchia. Qual si partio Ipolito d'Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene. Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dì si merca. La colpa seguirà la parte offensa in grido, come suol; ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa. Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l'arco de lo essilio pria saetta. Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale. E quel che più ti graverà le spalle, sarà la compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle; che tutta ingrata, tutta matta ed empia si farà contr'a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n'avrà rossa la tempia. Di sua bestialitate il suo processo farà la prova; sì ch'a te fia bello averti fatta parte per te stesso. Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello sarà la cortesia del gran Lombardo che 'n su la scala porta il santo uccello; ch'in te avrà sì benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia primo quel che tra li altri è più tardo. Con lui vedrai colui che 'mpresso fue, nascendo, sì da questa stella forte, che notabili fier l'opere sue. Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età, ché pur nove anni son queste rote intorno di lui torte; ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni, parran faville de la sua virtute in non curar d'argento né d'affanni. Le sue magnificenze conosciute saranno ancora, sì che ' suoi nemici non ne potran tener le lingue mute. A lui t'aspetta e a' suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici; e portera' ne scritto ne la mente di lui, e nol dirai"; e disse cose incredibili a quei che fier presente. Poi giunse: "Figlio, queste son le chiose di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie che dietro a pochi giri son nascose. Non vo' però ch'a' tuoi vicini invidie, poscia che s'infutura la tua vita via più là che 'l punir di lor perfidie". Poi che, tacendo, si mostrò spedita l'anima santa di metter la trama in quella tela ch'io le porsi ordita, io cominciai, come colui che brama, dubitando, consiglio da persona che vede e vuol dirittamente e ama: "Ben veggio, padre mio, sì come sprona lo tempo verso me, per colpo darmi tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona; per che di provedenza è buon ch'io m'armi, sì che, se loco m'è tolto più caro, io non perdessi li altri per miei carmi. Giù per lo mondo sanza fine amaro, e per lo monte del cui bel cacume li occhi de la mia donna mi levaro, e poscia per lo ciel, di lume in lume, ho io appreso quel che s'io ridico, a molti fia sapor di forte agrume; e s'io al vero son timido amico, temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico". La luce in che rideva il mio tesoro ch'io trovai lì, si fé prima corusca, quale a raggio di sole specchio d'oro; indi rispuose: "Coscïenza fusca o de la propria o de l'altrui vergogna pur sentirà la tua parola brusca. Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, tutta tua visïon fa manifesta; e lascia pur grattar dov'è la rogna. Ché se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nodrimento lascerà poi, quando sarà digesta. Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote; e ciò non fa d'onor poco argomento. Però ti son mostrate in queste rote, nel monte e ne la valle dolorosa pur l'anime che son di fama note, che l'animo di quel ch'ode, non posa né ferma fede per essempro ch'aia la sua radice incognita e ascosa, né per altro argomento che non paia".
Canto XVIII, nel quale si monta ne la stella di Giove, e narrasi come li luminari spirituali figuravano mirabilmente. ________________________ Già si godeva solo del suo verbo quello specchio beato, e io gustava lo mio, temprando col dolce l'acerbo; e quella donna ch'a Dio mi menava disse: "Muta pensier; pensa ch'i' sono presso a colui ch'ogne torto disgrava". Io mi rivolsi a l'amoroso suono del mio conforto; e qual io allor vidi ne li occhi santi amor, qui l'abbandono: non perch'io pur del mio parlar diffidi, ma per la mente che non può redire sovra sé tanto, s'altri non la guidi. Tanto poss'io di quel punto ridire, che, rimirando lei, lo mio affetto libero fu da ogne altro disire, fin che 'l piacere etterno, che diretto raggiava in Bëatrice, dal bel viso mi contentava col secondo aspetto. Vincendo me col lume d'un sorriso, ella mi disse: "Volgiti e ascolta; ché non pur ne' miei occhi è paradiso". Come si vede qui alcuna volta l'affetto ne la vista, s'elli è tanto, che da lui sia tutta l'anima tolta, così nel fiammeggiar del folgór santo, a ch'io mi volsi, conobbi la voglia in lui di ragionarmi ancora alquanto. El cominciò: "In questa quinta soglia de l'albero che vive de la cima e frutta sempre e mai non perde foglia, spiriti son beati, che giù, prima che venissero al ciel, fuor di gran voce, sì ch'ogne musa ne sarebbe opima. Però mira ne' corni de la croce: quello ch'io nomerò, lì farà l'atto che fa in nube il suo foco veloce". Io vidi per la croce un lume tratto dal nomar Iosuè, com'el si feo; né mi fu noto il dir prima che 'l fatto. E al nome de l'alto Macabeo vidi moversi un altro roteando, e letizia era ferza del paleo. Così per Carlo Magno e per Orlando due ne seguì lo mio attento sguardo, com'occhio segue suo falcon volando. Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo e 'l duca Gottifredi la mia vista per quella croce, e Ruberto Guiscardo. Indi, tra l'altre luci mota e mista, mostrommi l'alma che m'avea parlato qual era tra i cantor del cielo artista. Io mi rivolsi dal mio destro lato per vedere in Beatrice il mio dovere, o per parlare o per atto, segnato; e vidi le sue luci tanto mere, tanto gioconde, che la sua sembianza vinceva li altri e l'ultimo solere. E come, per sentir più dilettanza bene operando, l'uom di giorno in giorno s'accorge che la sua virtute avanza, sì m'accors'io che 'l mio girare intorno col cielo insieme avea cresciuto l'arco, veggendo quel miracol più addorno. E qual è 'l trasmutare in picciol varco di tempo in bianca donna, quando 'l volto suo si discarchi di vergogna il carco, tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto, per lo candor de la temprata stella sesta, che dentro a sé m'avea ricolto. Io vidi in quella giovïal facella lo sfavillar de l'amor che lì era segnare a li occhi miei nostra favella. E come augelli surti di rivera, quasi congratulando a lor pasture, fanno di sé or tonda or altra schiera, sì dentro ai lumi sante creature volitando cantavano, e faciensi or D, or I, or L in sue figure. Prima, cantando, a sua nota moviensi; poi, diventando l'un di questi segni, un poco s'arrestavano e taciensi. O diva Pegasëa che li 'ngegni fai glorïosi e rendili longevi, ed essi teco le cittadi e ' regni, illustrami di te, sì ch'io rilevi le lor figure com'io l' ho concette: paia tua possa in questi versi brevi! Mostrarsi dunque in cinque volte sette vocali e consonanti; e io notai le parti sì, come mi parver dette. 'DILIGITE IUSTITIAM', primai fur verbo e nome di tutto 'l dipinto; 'QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai. Poscia ne l'emme del vocabol quinto rimasero ordinate; sì che Giove pareva argento lì d'oro distinto. E vidi scendere altre luci dove era il colmo de l'emme, e lì quetarsi cantando, credo, il ben ch'a sé le move. Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi surgono innumerabili faville, onde li stolti sogliono agurarsi, resurger parver quindi più di mille luci e salir, qual assai e qual poco, sì come 'l sol che l'accende sortille; e quïetata ciascuna in suo loco, la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi rappresentare a quel distinto foco. Quei che dipinge lì, non ha chi 'l guidi; ma esso guida, e da lui si rammenta quella virtù ch'è forma per li nidi. L'altra bëatitudo, che contenta pareva prima d'ingigliarsi a l'emme, con poco moto seguitò la 'mprenta. O dolce stella, quali e quante gemme mi dimostraro che nostra giustizia effetto sia del ciel che tu ingemme! Per ch'io prego la mente in che s'inizia tuo moto e tua virtute, che rimiri ond'esce il fummo che 'l tuo raggio vizia; sì ch'un'altra fïata omai s'adiri del comperare e vender dentro al templo che si murò di segni e di martìri. O milizia del ciel cu' io contemplo, adora per color che sono in terra tutti svïati dietro al malo essemplo! Già si solea con le spade far guerra; ma or si fa togliendo or qui or quivi lo pan che 'l pïo Padre a nessun serra. Ma tu che sol per cancellare scrivi, pensa che Pietro e Paulo, che moriro per la vigna che guasti, ancor son vivi. Ben puoi tu dire: "I' ho fermo 'l disiro sì a colui che volle viver solo e che per salti fu tratto al martiro, ch'io non conosco il pescator né Polo".
Canto XIX, nel quale li spiriti ch'erano ne la stella di Iove insieme conglutinati in forma d'aguglia, ad una voce solvono uno grande dubbio, e abominano e infamano tutti li re cristiani che regnavano ne l'anno di Cristo MCCC. ______________________ Parea dinanzi a me con l'ali aperte la bella image che nel dolce frui liete facevan l'anime conserte; parea ciascuna rubinetto in cui raggio di sole ardesse sì acceso, che ne' miei occhi rifrangesse lui. E quel che mi convien ritrar testeso, non portò voce mai, né scrisse incostro, né fu per fantasia già mai compreso; ch'io vidi e anche udi' parlar lo rostro, e sonar ne la voce e "io" e "mio", quand'era nel concetto e 'noi' e 'nostro'. E cominciò: "Per esser giusto e pio son io qui essaltato a quella gloria che non si lascia vincere a disio; e in terra lasciai la mia memoria sì fatta, che le genti lì malvage commendan lei, ma non seguon la storia". Così un sol calor di molte brage si fa sentir, come di molti amori usciva solo un suon di quella image. Ond'io appresso: "O perpetüi fiori de l'etterna letizia, che pur uno parer mi fate tutti vostri odori, solvetemi, spirando, il gran digiuno che lungamente m' ha tenuto in fame, non trovandoli in terra cibo alcuno. Ben so io che, se 'n cielo altro reame la divina giustizia fa suo specchio, che 'l vostro non l'apprende con velame. Sapete come attento io m'apparecchio ad ascoltar; sapete qual è quello dubbio che m'è digiun cotanto vecchio". Quasi falcone ch'esce del cappello, move la testa e con l'ali si plaude, voglia mostrando e faccendosi bello, vid'io farsi quel segno, che di laude de la divina grazia era contesto, con canti quai si sa chi là sù gaude. Poi cominciò: "Colui che volse il sesto a lo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto, non poté suo valor sì fare impresso in tutto l'universo, che 'l suo verbo non rimanesse in infinito eccesso. E ciò fa certo che 'l primo superbo, che fu la somma d'ogne creatura, per non aspettar lume, cadde acerbo; e quinci appar ch'ogne minor natura è corto recettacolo a quel bene che non ha fine e sé con sé misura. Dunque vostra veduta, che convene essere alcun de' raggi de la mente di che tutte le cose son ripiene, non pò da sua natura esser possente tanto, che suo principio non discerna molto di là da quel che l'è parvente. Però ne la giustizia sempiterna la vista che riceve il vostro mondo, com'occhio per lo mare, entro s'interna; che, ben che da la proda veggia il fondo, in pelago nol vede; e nondimeno èli, ma cela lui l'esser profondo. Lume non è, se non vien dal sereno che non si turba mai; anzi è tenèbra od ombra de la carne o suo veleno. Assai t'è mo aperta la latebra che t'ascondeva la giustizia viva, di che facei question cotanto crebra; ché tu dicevi: "Un uom nasce a la riva de l'Indo, e quivi non è chi ragioni di Cristo né chi legga né chi scriva; e tutti suoi voleri e atti buoni sono, quanto ragione umana vede, sanza peccato in vita o in sermoni. Muore non battezzato e sanza fede: ov'è questa giustizia che 'l condanna? ov'è la colpa sua, se ei non crede?". Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna, per giudicar di lungi mille miglia con la veduta corta d'una spanna? Certo a colui che meco s'assottiglia, se la Scrittura sovra voi non fosse, da dubitar sarebbe a maraviglia. Oh terreni animali! oh menti grosse! La prima volontà, ch'è da sé buona, da sé, ch'è sommo ben, mai non si mosse. Cotanto è giusto quanto a lei consuona: nullo creato bene a sé la tira, ma essa, radïando, lui cagiona". Quale sovresso il nido si rigira poi c' ha pasciuti la cicogna i figli, e come quel ch'è pasto la rimira; cotal si fece, e sì leväi i cigli, la benedetta imagine, che l'ali movea sospinte da tanti consigli. Roteando cantava, e dicea: "Quali son le mie note a te, che non le 'ntendi, tal è il giudicio etterno a voi mortali". Poi si quetaro quei lucenti incendi de lo Spirito Santo ancor nel segno che fé i Romani al mondo reverendi, esso ricominciò: "A questo regno non salì mai chi non credette 'n Cristo, né pria né poi ch'el si chiavasse al legno. Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo!", che saranno in giudicio assai men prope a lui, che tal che non conosce Cristo; e tai Cristian dannerà l'Etïòpe, quando si partiranno i due collegi, l'uno in etterno ricco e l'altro inòpe. Che poran dir li Perse a' vostri regi, come vedranno quel volume aperto nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? Lì si vedrà, tra l'opere d'Alberto, quella che tosto moverà la penna, per che 'l regno di Praga fia diserto. Lì si vedrà il duol che sovra Senna induce, falseggiando la moneta, quel che morrà di colpo di cotenna. Lì si vedrà la superbia ch'asseta, che fa lo Scotto e l'Inghilese folle, sì che non può soffrir dentro a sua meta. Vedrassi la lussuria e 'l viver molle di quel di Spagna e di quel di Boemme, che mai valor non conobbe né volle. Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme segnata con un i la sua bontate, quando 'l contrario segnerà un emme. Vedrassi l'avarizia e la viltate di quei che guarda l'isola del foco, ove Anchise finì la lunga etate; e a dare ad intender quanto è poco, la sua scrittura fian lettere mozze, che noteranno molto in parvo loco. E parranno a ciascun l'opere sozze del barba e del fratel, che tanto egregia nazione e due corone han fatte bozze. E quel di Portogallo e di Norvegia lì si conosceranno, e quel di Rascia che male ha visto il conio di Vinegia. O beata Ungheria, se non si lascia più malmenare! e beata Navarra, se s'armasse del monte che la fascia! E creder de' ciascun che già, per arra di questo, Niccosïa e Famagosta per la lor bestia si lamenti e garra, che dal fianco de l'altre non si scosta".
Canto XX, nel quale ancora suonano nel becco de l'Aquila certe parole per le quali apprende di conoscere alcuni di quelli spirti de li quali quella Aquila è composta. _________________________ Quando colui che tutto 'l mondo alluma de l'emisperio nostro sì discende, che 'l giorno d'ogne parte si consuma, lo ciel, che sol di lui prima s'accende, subitamente si rifà parvente per molte luci, in che una risplende; e questo atto del ciel mi venne a mente, come 'l segno del mondo e de' suoi duci nel benedetto rostro fu tacente; però che tutte quelle vive luci, vie più lucendo, cominciaron canti da mia memoria labili e caduci. O dolce amor che di riso t'ammanti, quanto parevi ardente in que' flailli, ch'avieno spirto sol di pensier santi! Poscia che i cari e lucidi lapilli ond'io vidi ingemmato il sesto lume puoser silenzio a li angelici squilli, udir mi parve un mormorar di fiume che scende chiaro giù di pietra in pietra, mostrando l'ubertà del suo cacume. E come suono al collo de la cetra prende sua forma, e sì com'al pertugio de la sampogna vento che penètra, così, rimosso d'aspettare indugio, quel mormorar de l'aguglia salissi su per lo collo, come fosse bugio. Fecesi voce quivi, e quindi uscissi per lo suo becco in forma di parole, quali aspettava il core ov'io le scrissi. "La parte in me che vede e pate il sole ne l'aguglie mortali", incominciommi, "or fisamente riguardar si vole, perché d'i fuochi ond'io figura fommi, quelli onde l'occhio in testa mi scintilla, e' di tutti lor gradi son li sommi. Colui che luce in mezzo per pupilla, fu il cantor de lo Spirito Santo, che l'arca traslatò di villa in villa: ora conosce il merto del suo canto, in quanto effetto fu del suo consiglio, per lo remunerar ch'è altrettanto. Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, colui che più al becco mi s'accosta, la vedovella consolò del figlio: ora conosce quanto caro costa non seguir Cristo, per l'esperïenza di questa dolce vita e de l'opposta. E quel che segue in la circunferenza di che ragiono, per l'arco superno, morte indugiò per vera penitenza: ora conosce che 'l giudicio etterno non si trasmuta, quando degno preco fa crastino là giù de l'odïerno. L'altro che segue, con le leggi e meco, sotto buona intenzion che fé mal frutto, per cedere al pastor si fece greco: ora conosce come il mal dedutto dal suo bene operar non li è nocivo, avvegna che sia 'l mondo indi distrutto. E quel che vedi ne l'arco declivo, Guiglielmo fu, cui quella terra plora che piagne Carlo e Federigo vivo: ora conosce come s'innamora lo ciel del giusto rege, e al sembiante del suo fulgore il fa vedere ancora. Chi crederebbe giù nel mondo errante che Rifëo Troiano in questo tondo fosse la quinta de le luci sante? Ora conosce assai di quel che 'l mondo veder non può de la divina grazia, ben che sua vista non discerna il fondo". Quale allodetta che 'n aere si spazia prima cantando, e poi tace contenta de l'ultima dolcezza che la sazia, tal mi sembiò l'imago de la 'mprenta de l'etterno piacere, al cui disio ciascuna cosa qual ell'è diventa. E avvegna ch'io fossi al dubbiar mio lì quasi vetro a lo color ch'el veste, tempo aspettar tacendo non patio, ma de la bocca, "Che cose son queste?", mi pinse con la forza del suo peso: per ch'io di coruscar vidi gran feste. Poi appresso, con l'occhio più acceso, lo benedetto segno mi rispuose per non tenermi in ammirar sospeso: "Io veggio che tu credi queste cose perch'io le dico, ma non vedi come; sì che, se son credute, sono ascose. Fai come quei che la cosa per nome apprende ben, ma la sua quiditate veder non può se altri non la prome. Regnum celorum vïolenza pate da caldo amore e da viva speranza, che vince la divina volontate: non a guisa che l'omo a l'om sobranza, ma vince lei perché vuole esser vinta, e, vinta, vince con sua beninanza. La prima vita del ciglio e la quinta ti fa maravigliar, perché ne vedi la regïon de li angeli dipinta. D'i corpi suoi non uscir, come credi, Gentili, ma Cristiani, in ferma fede quel d'i passuri e quel d'i passi piedi. Ché l'una de lo 'nferno, u' non si riede già mai a buon voler, tornò a l'ossa; e ciò di viva spene fu mercede: di viva spene, che mise la possa ne' prieghi fatti a Dio per suscitarla, sì che potesse sua voglia esser mossa. L'anima glorïosa onde si parla, tornata ne la carne, in che fu poco, credette in lui che potëa aiutarla; e credendo s'accese in tanto foco di vero amor, ch'a la morte seconda fu degna di venire a questo gioco. L'altra, per grazia che da sì profonda fontana stilla, che mai creatura non pinse l'occhio infino a la prima onda, tutto suo amor là giù pose a drittura: per che, di grazia in grazia, Dio li aperse l'occhio a la nostra redenzion futura; ond'ei credette in quella, e non sofferse da indi il puzzo più del paganesmo; e riprendiene le genti perverse. Quelle tre donne li fur per battesmo che tu vedesti da la destra rota, dinanzi al battezzar più d'un millesmo. O predestinazion, quanto remota è la radice tua da quelli aspetti che la prima cagion non veggion tota! E voi, mortali, tenetevi stretti a giudicar: ché noi, che Dio vedemo, non conosciamo ancor tutti li eletti; ed ènne dolce così fatto scemo, perché il ben nostro in questo ben s'affina, che quel che vole Iddio, e noi volemo". Così da quella imagine divina, per farmi chiara la mia corta vista, data mi fu soave medicina. E come a buon cantor buon citarista fa seguitar lo guizzo de la corda, in che più di piacer lo canto acquista, sì, mentre ch'e' parlò, sì mi ricorda ch'io vidi le due luci benedette, pur come batter d'occhi si concorda, con le parole mover le fiammette.
Canto XXI, nel quale si monta ne la stella di Saturno, che è il settimo pianeto; e qui comincia la settima parte, e come Pietro Dammiano solve alcune questioni. ________________________ Già eran li occhi miei rifissi al volto de la mia donna, e l'animo con essi, e da ogne altro intento s'era tolto. E quella non ridea; ma "S'io ridessi", mi cominciò, "tu ti faresti quale fu Semelè quando di cener fessi: ché la bellezza mia, che per le scale de l'etterno palazzo più s'accende, com' hai veduto, quanto più si sale, se non si temperasse, tanto splende, che 'l tuo mortal podere, al suo fulgore, sarebbe fronda che trono scoscende. Noi sem levati al settimo splendore, che sotto 'l petto del Leone ardente raggia mo misto giù del suo valore. Ficca di retro a li occhi tuoi la mente, e fa di quelli specchi a la figura che 'n questo specchio ti sarà parvente". Qual savesse qual era la pastura del viso mio ne l'aspetto beato quand'io mi trasmutai ad altra cura, conoscerebbe quanto m'era a grato ubidire a la mia celeste scorta, contrapesando l'un con l'altro lato. Dentro al cristallo che 'l vocabol porta, cerchiando il mondo, del suo caro duce sotto cui giacque ogne malizia morta, di color d'oro in che raggio traluce vid'io uno scaleo eretto in suso tanto, che nol seguiva la mia luce. Vidi anche per li gradi scender giuso tanti splendor, ch'io pensai ch'ogne lume che par nel ciel, quindi fosse diffuso. E come, per lo natural costume, le pole insieme, al cominciar del giorno, si movono a scaldar le fredde piume; poi altre vanno via sanza ritorno, altre rivolgon sé onde son mosse, e altre roteando fan soggiorno; tal modo parve me che quivi fosse in quello sfavillar che 'nsieme venne, sì come in certo grado si percosse. E quel che presso più ci si ritenne, si fé sì chiaro, ch'io dicea pensando: 'Io veggio ben l'amor che tu m'accenne. Ma quella ond'io aspetto il come e 'l quando del dire e del tacer, si sta; ond'io, contra 'l disio, fo ben ch'io non dimando'. Per ch'ella, che vedëa il tacer mio nel veder di colui che tutto vede, mi disse: "Solvi il tuo caldo disio". E io incominciai: "La mia mercede non mi fa degno de la tua risposta; ma per colei che 'l chieder mi concede, vita beata che ti stai nascosta dentro a la tua letizia, fammi nota la cagion che sì presso mi t' ha posta; e dì perché si tace in questa rota la dolce sinfonia di paradiso, che giù per l'altre suona sì divota". "Tu hai l'udir mortal sì come il viso", rispuose a me; "onde qui non si canta per quel che Bëatrice non ha riso. Giù per li gradi de la scala santa discesi tanto sol per farti festa col dire e con la luce che mi ammanta; né più amor mi fece esser più presta, ché più e tanto amor quinci sù ferve, sì come il fiammeggiar ti manifesta. Ma l'alta carità, che ci fa serve pronte al consiglio che 'l mondo governa, sorteggia qui sì come tu osserve". "Io veggio ben", diss'io, "sacra lucerna, come libero amore in questa corte basta a seguir la provedenza etterna; ma questo è quel ch'a cerner mi par forte, perché predestinata fosti sola a questo officio tra le tue consorte". Né venni prima a l'ultima parola, che del suo mezzo fece il lume centro, girando sé come veloce mola; poi rispuose l'amor che v'era dentro: "Luce divina sopra me s'appunta, penetrando per questa in ch'io m'inventro, la cui virtù, col mio veder congiunta, mi leva sopra me tanto, ch'i' veggio la somma essenza de la quale è munta. Quinci vien l'allegrezza ond'io fiammeggio; per ch'a la vista mia, quant'ella è chiara, la chiarità de la fiamma pareggio. Ma quell'alma nel ciel che più si schiara, quel serafin che 'n Dio più l'occhio ha fisso, a la dimanda tua non satisfara, però che sì s'innoltra ne lo abisso de l'etterno statuto quel che chiedi, che da ogne creata vista è scisso. E al mondo mortal, quando tu riedi, questo rapporta, sì che non presumma a tanto segno più mover li piedi. La mente, che qui luce, in terra fumma; onde riguarda come può là giùe quel che non pote perché 'l ciel l'assumma". Sì mi prescrisser le parole sue, ch'io lasciai la quistione e mi ritrassi a dimandarla umilmente chi fue. "Tra ' due liti d'Italia surgon sassi, e non molto distanti a la tua patria, tanto che ' troni assai suonan più bassi, e fanno un gibbo che si chiama Catria, di sotto al quale è consecrato un ermo, che suole esser disposto a sola latria". Così ricominciommi il terzo sermo; e poi, continüando, disse: "Quivi al servigio di Dio mi fe' sì fermo, che pur con cibi di liquor d'ulivi lievemente passava caldi e geli, contento ne' pensier contemplativi. Render solea quel chiostro a questi cieli fertilemente; e ora è fatto vano, sì che tosto convien che si riveli. In quel loco fu' io Pietro Damiano, e Pietro Peccator fu' ne la casa di Nostra Donna in sul lito adriano. Poca vita mortal m'era rimasa, quando fui chiesto e tratto a quel cappello, che pur di male in peggio si travasa. Venne Cefàs e venne il gran vasello de lo Spirito Santo, magri e scalzi, prendendo il cibo da qualunque ostello. Or voglion quinci e quindi chi rincalzi li moderni pastori e chi li meni, tanto son gravi, e chi di rietro li alzi. Cuopron d'i manti loro i palafreni, sì che due bestie van sott'una pelle: oh pazïenza che tanto sostieni!". A questa voce vid'io più fiammelle di grado in grado scendere e girarsi, e ogne giro le facea più belle. Dintorno a questa vennero e fermarsi, e fero un grido di sì alto suono, che non potrebbe qui assomigliarsi; né io lo 'ntesi, sì mi vinse il tuono.
Canto XXII, nel quale si tratta di quelli medesimi che nel precedente capitolo, qui sotto il titolo di Santo Maccario e di Santo Romoaldo; e infine dispitta il mondo e la sua picciolezza e le cose mondane, ripetendo e mostrando tutti li pianeti per li quali è intrato; ed entra con Beatrice nel segno d'i Gemini; e qui prende l'ottava parte di questa terza cantica. _______________________ Oppresso di stupore, a la mia guida mi volsi, come parvol che ricorre sempre colà dove più si confida; e quella, come madre che soccorre sùbito al figlio palido e anelo con la sua voce, che 'l suol ben disporre, mi disse: "Non sai tu che tu se' in cielo? e non sai tu che 'l cielo è tutto santo, e ciò che ci si fa vien da buon zelo? Come t'avrebbe trasmutato il canto, e io ridendo, mo pensar lo puoi, poscia che 'l grido t' ha mosso cotanto; nel qual, se 'nteso avessi i prieghi suoi, già ti sarebbe nota la vendetta che tu vedrai innanzi che tu muoi. La spada di qua sù non taglia in fretta né tardo, ma' ch'al parer di colui che disïando o temendo l'aspetta. Ma rivolgiti omai inverso altrui; ch'assai illustri spiriti vedrai, se com'io dico l'aspetto redui". Come a lei piacque, li occhi ritornai, e vidi cento sperule che 'nsieme più s'abbellivan con mutüi rai. Io stava come quei che 'n sé repreme la punta del disio, e non s'attenta di domandar, sì del troppo si teme; e la maggiore e la più luculenta di quelle margherite innanzi fessi, per far di sé la mia voglia contenta. Poi dentro a lei udi': "Se tu vedessi com'io la carità che tra noi arde, li tuoi concetti sarebbero espressi. Ma perché tu, aspettando, non tarde a l'alto fine, io ti farò risposta pur al pensier, da che sì ti riguarde. Quel monte a cui Cassino è ne la costa fu frequentato già in su la cima da la gente ingannata e mal disposta; e quel son io che sù vi portai prima lo nome di colui che 'n terra addusse la verità che tanto ci soblima; e tanta grazia sopra me relusse, ch'io ritrassi le ville circunstanti da l'empio cólto che 'l mondo sedusse. Questi altri fuochi tutti contemplanti uomini fuoro, accesi di quel caldo che fa nascere i fiori e ' frutti santi. Qui è Maccario, qui è Romoaldo, qui son li frati miei che dentro ai chiostri fermar li piedi e tennero il cor saldo". E io a lui: "L'affetto che dimostri meco parlando, e la buona sembianza ch'io veggio e noto in tutti li ardor vostri, così m' ha dilatata mia fidanza, come 'l sol fa la rosa quando aperta tanto divien quant'ell' ha di possanza. Però ti priego, e tu, padre, m'accerta s'io posso prender tanta grazia, ch'io ti veggia con imagine scoverta". Ond'elli: "Frate, il tuo alto disio s'adempierà in su l'ultima spera, ove s'adempion tutti li altri e 'l mio. Ivi è perfetta, matura e intera ciascuna disïanza; in quella sola è ogne parte là ove sempr'era, perché non è in loco e non s'impola; e nostra scala infino ad essa varca, onde così dal viso ti s'invola. Infin là sù la vide il patriarca Iacobbe porger la superna parte, quando li apparve d'angeli sì carca. Ma, per salirla, mo nessun diparte da terra i piedi, e la regola mia rimasa è per danno de le carte. Le mura che solieno esser badia fatte sono spelonche, e le cocolle sacca son piene di farina ria. Ma grave usura tanto non si tolle contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto che fa il cor de' monaci sì folle; ché quantunque la Chiesa guarda, tutto è de la gente che per Dio dimanda; non di parenti né d'altro più brutto. La carne d'i mortali è tanto blanda, che giù non basta buon cominciamento dal nascer de la quercia al far la ghianda. Pier cominciò sanz'oro e sanz'argento, e io con orazione e con digiuno, e Francesco umilmente il suo convento; e se guardi 'l principio di ciascuno, poscia riguardi là dov'è trascorso, tu vederai del bianco fatto bruno. Veramente Iordan vòlto retrorso più fu, e 'l mar fuggir, quando Dio volse, mirabile a veder che qui 'l soccorso". Così mi disse, e indi si raccolse al suo collegio, e 'l collegio si strinse; poi, come turbo, in sù tutto s'avvolse. La dolce donna dietro a lor mi pinse con un sol cenno su per quella scala, sì sua virtù la mia natura vinse; né mai qua giù dove si monta e cala naturalmente, fu sì ratto moto ch'agguagliar si potesse a la mia ala. S'io torni mai, lettore, a quel divoto trïunfo per lo quale io piango spesso le mie peccata e 'l petto mi percuoto, tu non avresti in tanto tratto e messo nel foco il dito, in quant'io vidi 'l segno che segue il Tauro e fui dentro da esso. O glorïose stelle, o lume pregno di gran virtù, dal quale io riconosco tutto, qual che si sia, il mio ingegno, con voi nasceva e s'ascondeva vosco quelli ch'è padre d'ogne mortal vita, quand'io senti' di prima l'aere tosco; e poi, quando mi fu grazia largita d'entrar ne l'alta rota che vi gira, la vostra regïon mi fu sortita. A voi divotamente ora sospira l'anima mia, per acquistar virtute al passo forte che a sé la tira. "Tu se' sì presso a l'ultima salute", cominciò Bëatrice, "che tu dei aver le luci tue chiare e acute; e però, prima che tu più t'inlei, rimira in giù, e vedi quanto mondo sotto li piedi già esser ti fei; sì che 'l tuo cor, quantunque può, giocondo s'appresenti a la turba trïunfante che lieta vien per questo etera tondo". Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante; e quel consiglio per migliore approbo che l' ha per meno; e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo. Vidi la figlia di Latona incensa sanza quell'ombra che mi fu cagione per che già la credetti rara e densa. L'aspetto del tuo nato, Iperïone, quivi sostenni, e vidi com' si move circa e vicino a lui Maia e Dïone. Quindi m'apparve il temperar di Giove tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro il varïar che fanno di lor dove; e tutti e sette mi si dimostraro quanto son grandi e quanto son veloci e come sono in distante riparo. L'aiuola che ci fa tanto feroci, volgendom'io con li etterni Gemelli, tutta m'apparve da' colli a le foci; poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
Canto XXIII, dove si tratta come l'auttore vide la Beata Virgine Maria e li abitatori de la celestiale corte, de la quale mirabilmente favella in questo canto; e qui si prende la nona parte di questa terza cantica. _________________________ Come l'augello, intra l'amate fronde, posato al nido de' suoi dolci nati la notte che le cose ci nasconde, che, per veder li aspetti disïati e per trovar lo cibo onde li pasca, in che gravi labor li sono aggrati, previene il tempo in su aperta frasca, e con ardente affetto il sole aspetta, fiso guardando pur che l'alba nasca; così la donna mïa stava eretta e attenta, rivolta inver' la plaga sotto la quale il sol mostra men fretta: sì che, veggendola io sospesa e vaga, fecimi qual è quei che disïando altro vorria, e sperando s'appaga. Ma poco fu tra uno e altro quando, del mio attender, dico, e del vedere lo ciel venir più e più rischiarando; e Bëatrice disse: "Ecco le schiere del trïunfo di Cristo e tutto 'l frutto ricolto del girar di queste spere!". Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto, e li occhi avea di letizia sì pieni, che passarmen convien sanza costrutto. Quale ne' plenilunïi sereni Trivïa ride tra le ninfe etterne che dipingon lo ciel per tutti i seni, vid'i' sopra migliaia di lucerne un sol che tutte quante l'accendea, come fa 'l nostro le viste superne; e per la viva luce trasparea la lucente sustanza tanto chiara nel viso mio, che non la sostenea. Oh Bëatrice, dolce guida e cara! Ella mi disse: "Quel che ti sobranza è virtù da cui nulla si ripara. Quivi è la sapïenza e la possanza ch'aprì le strade tra 'l cielo e la terra, onde fu già sì lunga disïanza". Come foco di nube si diserra per dilatarsi sì che non vi cape, e fuor di sua natura in giù s'atterra, la mente mia così, tra quelle dape fatta più grande, di sé stessa uscìo, e che si fesse rimembrar non sape. "Apri li occhi e riguarda qual son io; tu hai vedute cose, che possente se' fatto a sostener lo riso mio". Io era come quei che si risente di visïone oblita e che s'ingegna indarno di ridurlasi a la mente, quand'io udi' questa proferta, degna di tanto grato, che mai non si stingue del libro che 'l preterito rassegna. Se mo sonasser tutte quelle lingue che Polimnïa con le suore fero del latte lor dolcissimo più pingue, per aiutarmi, al millesmo del vero non si verria, cantando il santo riso e quanto il santo aspetto facea mero; e così, figurando il paradiso, convien saltar lo sacrato poema, come chi trova suo cammin riciso. Ma chi pensasse il ponderoso tema e l'omero mortal che se ne carca, nol biasmerebbe se sott'esso trema: non è pareggio da picciola barca quel che fendendo va l'ardita prora, né da nocchier ch'a sé medesmo parca. "Perché la faccia mia sì t'innamora, che tu non ti rivolgi al bel giardino che sotto i raggi di Cristo s'infiora? Quivi è la rosa in che 'l verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino". Così Beatrice; e io, che a' suoi consigli tutto era pronto, ancora mi rendei a la battaglia de' debili cigli. Come a raggio di sol, che puro mei per fratta nube, già prato di fiori vider, coverti d'ombra, li occhi miei; vid'io così più turbe di splendori, folgorate di sù da raggi ardenti, sanza veder principio di folgóri. O benigna vertù che sì li 'mprenti, sù t'essaltasti per largirmi loco a li occhi lì che non t'eran possenti. Il nome del bel fior ch'io sempre invoco e mane e sera, tutto mi ristrinse l'animo ad avvisar lo maggior foco; e come ambo le luci mi dipinse il quale e il quanto de la viva stella che là sù vince come qua giù vinse, per entro il cielo scese una facella, formata in cerchio a guisa di corona, e cinsela e girossi intorno ad ella. Qualunque melodia più dolce suona qua giù e più a sé l'anima tira, parrebbe nube che squarciata tona, comparata al sonar di quella lira onde si coronava il bel zaffiro del quale il ciel più chiaro s'inzaffira. "Io sono amore angelico, che giro l'alta letizia che spira del ventre che fu albergo del nostro disiro; e girerommi, donna del ciel, mentre che seguirai tuo figlio, e farai dia più la spera supprema perché lì entre". Così la circulata melodia si sigillava, e tutti li altri lumi facean sonare il nome di Maria. Lo real manto di tutti i volumi del mondo, che più ferve e più s'avviva ne l'alito di Dio e nei costumi, avea sopra di noi l'interna riva tanto distante, che la sua parvenza, là dov'io era, ancor non appariva: però non ebber li occhi miei potenza di seguitar la coronata fiamma che si levò appresso sua semenza. E come fantolin che 'nver' la mamma tende le braccia, poi che 'l latte prese, per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma; ciascun di quei candori in sù si stese con la sua cima, sì che l'alto affetto ch'elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser lì nel mio cospetto, 'Regina celi' cantando sì dolce, che mai da me non si partì 'l diletto. Oh quanta è l'ubertà che si soffolce in quelle arche ricchissime che fuoro a seminar qua giù buone bobolce! Quivi si vive e gode del tesoro che s'acquistò piangendo ne lo essilio di Babillòn, ove si lasciò l'oro. Quivi trïunfa, sotto l'alto Filio di Dio e di Maria, di sua vittoria, e con l'antico e col novo concilio, colui che tien le chiavi di tal gloria.
Canto XXIV, dove si tratta de la nona e ultima parte di questa ultima cantica; nel quale san Pietro Appostolo a priego di Beatrice essamina l'auttore sopra la fede cattolica. ________________________ "O sodalizio eletto a la gran cena del benedetto Agnello, il qual vi ciba sì, che la vostra voglia è sempre piena, se per grazia di Dio questi preliba di quel che cade de la vostra mensa, prima che morte tempo li prescriba, ponete mente a l'affezione immensa e roratelo alquanto: voi bevete sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa". Così Beatrice; e quelle anime liete si fero spere sopra fissi poli, fiammando, volte, a guisa di comete. E come cerchi in tempra d'orïuoli si giran sì, che 'l primo a chi pon mente quïeto pare, e l'ultimo che voli; così quelle carole, differente- mente danzando, de la sua ricchezza mi facieno stimar, veloci e lente. Di quella ch'io notai di più carezza vid'ïo uscire un foco sì felice, che nullo vi lasciò di più chiarezza; e tre fïate intorno di Beatrice si volse con un canto tanto divo, che la mia fantasia nol mi ridice. Però salta la penna e non lo scrivo: ché l'imagine nostra a cotai pieghe, non che 'l parlare, è troppo color vivo. "O santa suora mia che sì ne prieghe divota, per lo tuo ardente affetto da quella bella spera mi disleghe". Poscia fermato, il foco benedetto a la mia donna dirizzò lo spiro, che favellò così com'i' ho detto. Ed ella: "O luce etterna del gran viro a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, ch'ei portò giù, di questo gaudio miro, tenta costui di punti lievi e gravi, come ti piace, intorno de la fede, per la qual tu su per lo mare andavi. S'elli ama bene e bene spera e crede, non t'è occulto, perché 'l viso hai quivi dov'ogne cosa dipinta si vede; ma perché questo regno ha fatto civi per la verace fede, a glorïarla, di lei parlare è ben ch'a lui arrivi". Sì come il baccialier s'arma e non parla fin che 'l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla, così m'armava io d'ogne ragione mentre ch'ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione. "Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: fede che è?". Ond'io levai la fronte in quella luce onde spirava questo; poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte sembianze femmi perch'ïo spandessi l'acqua di fuor del mio interno fonte. "La Grazia che mi dà ch'io mi confessi", comincia' io, "da l'alto primipilo, faccia li miei concetti bene espressi". E seguitai: "Come 'l verace stilo ne scrisse, padre, del tuo caro frate che mise teco Roma nel buon filo, fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi; e questa pare a me sua quiditate". Allora udi': "Dirittamente senti, se bene intendi perché la ripuose tra le sustanze, e poi tra li argomenti". E io appresso: "Le profonde cose che mi largiscon qui la lor parvenza, a li occhi di là giù son sì ascose, che l'esser loro v'è in sola credenza, sopra la qual si fonda l'alta spene; e però di sustanza prende intenza. E da questa credenza ci convene silogizzar, sanz'avere altra vista: però intenza d'argomento tene". Allora udi': "Se quantunque s'acquista giù per dottrina, fosse così 'nteso, non lì avria loco ingegno di sofista". Così spirò di quello amore acceso; indi soggiunse: "Assai bene è trascorsa d'esta moneta già la lega e 'l peso; ma dimmi se tu l' hai ne la tua borsa". Ond'io: "Sì ho, sì lucida e sì tonda, che nel suo conio nulla mi s'inforsa". Appresso uscì de la luce profonda che lì splendeva: "Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda, onde ti venne?". E io: "La larga ploia de lo Spirito Santo, ch'è diffusa in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia, è silogismo che la m' ha conchiusa acutamente sì, che 'nverso d'ella ogne dimostrazion mi pare ottusa". Io udi' poi: "L'antica e la novella proposizion che così ti conchiude, perché l' hai tu per divina favella?". E io: "La prova che 'l ver mi dischiude, son l'opere seguite, a che natura non scalda ferro mai né batte incude". Risposto fummi: "Dì, chi t'assicura che quell'opere fosser? Quel medesmo che vuol provarsi, non altri, il ti giura". "Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo", diss'io, "sanza miracoli, quest'uno è tal, che li altri non sono il centesmo: ché tu intrasti povero e digiuno in campo, a seminar la buona pianta che fu già vite e ora è fatta pruno". Finito questo, l'alta corte santa risonò per le spere un 'Dio laudamo' ne la melode che là sù si canta. E quel baron che sì di ramo in ramo, essaminando, già tratto m'avea, che a l'ultime fronde appressavamo, ricominciò: "La Grazia, che donnea con la tua mente, la bocca t'aperse infino a qui come aprir si dovea, sì ch'io approvo ciò che fuori emerse; ma or convien espremer quel che credi, e onde a la credenza tua s'offerse". "O santo padre, e spirito che vedi ciò che credesti sì, che tu vincesti ver' lo sepulcro più giovani piedi", comincia' io, "tu vuo' ch'io manifesti la forma qui del pronto creder mio, e anche la cagion di lui chiedesti. E io rispondo: Io credo in uno Dio solo ed etterno, che tutto 'l ciel move, non moto, con amore e con disio; e a tal creder non ho io pur prove fisice e metafisice, ma dalmi anche la verità che quinci piove per Moïsè, per profeti e per salmi, per l'Evangelio e per voi che scriveste poi che l'ardente Spirto vi fé almi; e credo in tre persone etterne, e queste credo una essenza sì una e sì trina, che soffera congiunto 'sono' ed 'este.' De la profonda condizion divina ch'io tocco mo, la mente mi sigilla più volte l'evangelica dottrina. Quest'è 'l principio, quest'è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla". Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch'el si tace; così, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, sì com'io tacqui, l'appostolico lume al cui comando io avea detto: sì nel dir li piacqui!
Canto XXV, che tratta come l'auttore parla con Beatrice e con santo Iacopo Maggiore sopra certe questioni de le quali santo Iacopo solve la prima. _________________________ Se mai continga che 'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m' ha fatto per molti anni macro, vinca la crudeltà che fuor mi serra del bello ovile ov'io dormi' agnello, nimico ai lupi che li danno guerra; con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta, e in sul fonte del mio battesmo prenderò 'l cappello; però che ne la fede, che fa conte l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi Pietro per lei sì mi girò la fronte. Indi si mosse un lume verso noi di quella spera ond'uscì la primizia che lasciò Cristo d'i vicari suoi; e la mia donna, piena di letizia, mi disse: "Mira, mira: ecco il barone per cui là giù si vicita Galizia". Sì come quando il colombo si pone presso al compagno, l'uno a l'altro pande, girando e mormorando, l'affezione; così vid'ïo l'un da l'altro grande principe glorïoso essere accolto, laudando il cibo che là sù li prande. Ma poi che 'l gratular si fu assolto, tacito coram me ciascun s'affisse, ignito sì che vincëa 'l mio volto. Ridendo allora Bëatrice disse: "Inclita vita per cui la larghezza de la nostra basilica si scrisse, fa risonar la spene in questa altezza: tu sai, che tante fiate la figuri, quante Iesù ai tre fé più carezza". "Leva la testa e fa che t'assicuri: ché ciò che vien qua sù del mortal mondo, convien ch'ai nostri raggi si maturi". Questo conforto del foco secondo mi venne; ond'io leväi li occhi a' monti che li 'ncurvaron pria col troppo pondo. "Poi che per grazia vuol che tu t'affronti lo nostro Imperadore, anzi la morte, ne l'aula più secreta co' suoi conti, sì che, veduto il ver di questa corte, la spene, che là giù bene innamora, in te e in altrui di ciò conforte, dì quel ch'ell'è, dì come se ne 'nfiora la mente tua, e dì onde a te venne". Così seguì 'l secondo lume ancora. E quella pïa che guidò le penne de le mie ali a così alto volo, a la risposta così mi prevenne: "La Chiesa militante alcun figliuolo non ha con più speranza, com'è scritto nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: però li è conceduto che d'Egitto vegna in Ierusalemme per vedere, anzi che 'l militar li sia prescritto. Li altri due punti, che non per sapere son dimandati, ma perch'ei rapporti quanto questa virtù t'è in piacere, a lui lasc'io, ché non li saran forti né di iattanza; ed elli a ciò risponda, e la grazia di Dio ciò li comporti". Come discente ch'a dottor seconda pronto e libente in quel ch'elli è esperto, perché la sua bontà si disasconda, "Spene", diss'io, "è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. Da molte stelle mi vien questa luce; ma quei la distillò nel mio cor pria che fu sommo cantor del sommo duce. 'Sperino in te', ne la sua tëodia dice, 'color che sanno il nome tuo': e chi nol sa, s'elli ha la fede mia? Tu mi stillasti, con lo stillar suo, ne la pistola poi; sì ch'io son pieno, e in altrui vostra pioggia repluo". Mentr'io diceva, dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo sùbito e spesso a guisa di baleno. Indi spirò: "L'amore ond'ïo avvampo ancor ver' la virtù che mi seguette infin la palma e a l'uscir del campo, vuol ch'io respiri a te che ti dilette di lei; ed emmi a grato che tu diche quello che la speranza ti 'mpromette". E io: "Le nove e le scritture antiche pongon lo segno, ed esso lo mi addita, de l'anime che Dio s' ha fatte amiche. Dice Isaia che ciascuna vestita ne la sua terra fia di doppia vesta: e la sua terra è questa dolce vita; e 'l tuo fratello assai vie più digesta, là dove tratta de le bianche stole, questa revelazion ci manifesta". E prima, appresso al fin d'este parole, 'Sperent in te' di sopr'a noi s'udì; a che rispuoser tutte le carole. Poscia tra esse un lume si schiarì sì che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo, l'inverno avrebbe un mese d'un sol dì. E come surge e va ed entra in ballo vergine lieta, sol per fare onore a la novizia, non per alcun fallo, così vid'io lo schiarato splendore venire a' due che si volgieno a nota qual conveniesi al loro ardente amore. Misesi lì nel canto e ne la rota; e la mia donna in lor tenea l'aspetto, pur come sposa tacita e immota. "Questi è colui che giacque sopra 'l petto del nostro pellicano, e questi fue di su la croce al grande officio eletto". La donna mia così; né però piùe mosser la vista sua di stare attenta poscia che prima le parole sue. Qual è colui ch'adocchia e s'argomenta di vedere eclissar lo sole un poco, che, per veder, non vedente diventa; tal mi fec'ïo a quell'ultimo foco mentre che detto fu: "Perché t'abbagli per veder cosa che qui non ha loco? In terra è terra il mio corpo, e saragli tanto con li altri, che 'l numero nostro con l'etterno proposito s'agguagli. Con le due stole nel beato chiostro son le due luci sole che saliro; e questo apporterai nel mondo vostro". A questa voce l'infiammato giro si quïetò con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro, sì come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria ne l'acqua ripercossi, tutti si posano al sonar d'un fischio. Ahi quanto ne la mente mi commossi, quando mi volsi per veder Beatrice, per non poter veder, benché io fossi presso di lei, e nel mondo felice!
Canto XXVI, nel quale l'auttore ne conforta seguitare lo innefabile amore, e dove trova Adamo il nostro primo padre, dicente a lui il tempo de la sua felicitade e infelicitade. __________________________ Mentr'io dubbiava per lo viso spento, de la fulgida fiamma che lo spense uscì un spiro che mi fece attento, dicendo: "Intanto che tu ti risense de la vista che haï in me consunta, ben è che ragionando la compense. Comincia dunque; e dì ove s'appunta l'anima tua, e fa ragion che sia la vista in te smarrita e non defunta: perché la donna che per questa dia regïon ti conduce, ha ne lo sguardo la virtù ch'ebbe la man d'Anania". Io dissi: "Al suo piacere e tosto e tardo vegna remedio a li occhi, che fuor porte quand'ella entrò col foco ond'io sempr'ardo. Lo ben che fa contenta questa corte, Alfa e O è di quanta scrittura mi legge Amore o lievemente o forte". Quella medesma voce che paura tolta m'avea del sùbito abbarbaglio, di ragionare ancor mi mise in cura; e disse: "Certo a più angusto vaglio ti conviene schiarar: dicer convienti chi drizzò l'arco tuo a tal berzaglio". E io: "Per filosofici argomenti e per autorità che quinci scende cotale amor convien che in me si 'mprenti: ché 'l bene, in quanto ben, come s'intende, così accende amore, e tanto maggio quanto più di bontate in sé comprende. Dunque a l'essenza ov'è tanto avvantaggio, che ciascun ben che fuor di lei si trova altro non è ch'un lume di suo raggio, più che in altra convien che si mova la mente, amando, di ciascun che cerne il vero in che si fonda questa prova. Tal vero a l'intelletto mïo sterne colui che mi dimostra il primo amore di tutte le sustanze sempiterne. Sternel la voce del verace autore, che dice a Moïsè, di sé parlando: 'Io ti farò vedere ogne valore'. Sternilmi tu ancora, incominciando l'alto preconio che grida l'arcano di qui là giù sovra ogne altro bando". E io udi': "Per intelletto umano e per autoritadi a lui concorde d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. Ma dì ancor se tu senti altre corde tirarti verso lui, sì che tu suone con quanti denti questo amor ti morde". Non fu latente la santa intenzione de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi dove volea menar mia professione. Però ricominciai: "Tutti quei morsi che posson far lo cor volgere a Dio, a la mia caritate son concorsi: ché l'essere del mondo e l'esser mio, la morte ch'el sostenne perch'io viva, e quel che spera ogne fedel com'io, con la predetta conoscenza viva, tratto m' hanno del mar de l'amor torto, e del diritto m' han posto a la riva. Le fronde onde s'infronda tutto l'orto de l'ortolano etterno, am'io cotanto quanto da lui a lor di bene è porto". Sì com'io tacqui, un dolcissimo canto risonò per lo cielo, e la mia donna dicea con li altri: "Santo, santo, santo!". E come a lume acuto si disonna per lo spirto visivo che ricorre a lo splendor che va di gonna in gonna, e lo svegliato ciò che vede aborre, sì nescïa è la sùbita vigilia fin che la stimativa non soccorre; così de li occhi miei ogne quisquilia fugò Beatrice col raggio d'i suoi, che rifulgea da più di mille milia: onde mei che dinanzi vidi poi; e quasi stupefatto domandai d'un quarto lume ch'io vidi tra noi. E la mia donna: "Dentro da quei rai vagheggia il suo fattor l'anima prima che la prima virtù creasse mai". Come la fronda che flette la cima nel transito del vento, e poi si leva per la propria virtù che la soblima, fec'io in tanto in quant'ella diceva, stupendo, e poi mi rifece sicuro un disio di parlare ond'ïo ardeva. E cominciai: "O pomo che maturo solo prodotto fosti, o padre antico a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, divoto quanto posso a te supplìco perché mi parli: tu vedi mia voglia, e per udirti tosto non la dico". Talvolta un animal coverto broglia, sì che l'affetto convien che si paia per lo seguir che face a lui la 'nvoglia; e similmente l'anima primaia mi facea trasparer per la coverta quant'ella a compiacermi venìa gaia. Indi spirò: "Sanz'essermi proferta da te, la voglia tua discerno meglio che tu qualunque cosa t'è più certa; perch'io la veggio nel verace speglio che fa di sé pareglio a l'altre cose, e nulla face lui di sé pareglio. Tu vuogli udir quant'è che Dio mi puose ne l'eccelso giardino, ove costei a così lunga scala ti dispuose, e quanto fu diletto a li occhi miei, e la propria cagion del gran disdegno, e l'idïoma ch'usai e che fei. Or, figliuol mio, non il gustar del legno fu per sé la cagion di tanto essilio, ma solamente il trapassar del segno. Quindi onde mosse tua donna Virgilio, quattromilia trecento e due volumi di sol desiderai questo concilio; e vidi lui tornare a tutt'i lumi de la sua strada novecento trenta fïate, mentre ch'ïo in terra fu' mi. La lingua ch'io parlai fu tutta spenta innanzi che a l'ovra inconsummabile fosse la gente di Nembròt attenta: ché nullo effetto mai razïonabile, per lo piacere uman che rinovella seguendo il cielo, sempre fu durabile. Opera naturale è ch'uom favella; ma così o così, natura lascia poi fare a voi secondo che v'abbella. Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia, I s'appellava in terra il sommo bene onde vien la letizia che mi fascia; e El si chiamò poi: e ciò convene, ché l'uso d'i mortali è come fronda in ramo, che sen va e altra vene. Nel monte che si leva più da l'onda, fu' io, con vita pura e disonesta, da la prim'ora a quella che seconda, come 'l sol muta quadra, l'ora sesta".
Canto XXVII, dove tratta sì come santo Pietro appostolo, proverbiando li suoi successori papi, adempie l'animo de l'auttore di questo libro. __________________________ 'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo', cominciò, 'gloria!', tutto 'l paradiso, sì che m'inebrïava il dolce canto. Ciò ch'io vedeva mi sembiava un riso de l'universo; per che mia ebbrezza intrava per l'udire e per lo viso. Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! oh vita intègra d'amore e di pace! oh sanza brama sicura ricchezza! Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incominciò a farsi più vivace, e tal ne la sembianza sua divenne, qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne. La provedenza, che quivi comparte vice e officio, nel beato coro silenzio posto avea da ogne parte, quand'ïo udi': "Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, ché, dicend'io, vedrai trascolorar tutti costoro. Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, fatt' ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza; onde 'l perverso che cadde di qua sù, là giù si placa". Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane, vid'ïo allora tutto 'l ciel cosperso. E come donna onesta che permane di sé sicura, e per l'altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane, così Beatrice trasmutò sembianza; e tale eclissi credo che 'n ciel fue quando patì la supprema possanza. Poi procedetter le parole sue con voce tanto da sé trasmutata, che la sembianza non si mutò piùe: "Non fu la sposa di Cristo allevata del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d'oro usata; ma per acquisto d'esto viver lieto e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano sparser lo sangue dopo molto fleto. Non fu nostra intenzion ch'a destra mano d'i nostri successor parte sedesse, parte da l'altra del popol cristiano; né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse; né ch'io fossi figura di sigillo a privilegi venduti e mendaci, ond'io sovente arrosso e disfavillo. In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua sù per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci? Del sangue nostro Caorsini e Guaschi s'apparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi! Ma l'alta provedenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo, soccorrà tosto, sì com'io concipio; e tu, figliuol, che per lo mortal pondo ancor giù tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch'io non ascondo". Sì come di vapor gelati fiocca in giuso l'aere nostro, quando 'l corno de la capra del ciel col sol si tocca, in sù vid'io così l'etera addorno farsi e fioccar di vapor trïunfanti che fatto avien con noi quivi soggiorno. Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e seguì fin che 'l mezzo, per lo molto, li tolse il trapassar del più avanti. Onde la donna, che mi vide assolto de l'attendere in sù, mi disse: "Adima il viso e guarda come tu se' vòlto". Da l'ora ch'ïo avea guardato prima i' vidi mosso me per tutto l'arco che fa dal mezzo al fine il primo clima; sì ch'io vedea di là da Gade il varco folle d'Ulisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco. E più mi fora discoverto il sito di questa aiuola; ma 'l sol procedea sotto i mie' piedi un segno e più partito. La mente innamorata, che donnea con la mia donna sempre, di ridure ad essa li occhi più che mai ardea; e se natura o arte fé pasture da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o ne le sue pitture, tutte adunate, parrebber nïente ver' lo piacer divin che mi refulse, quando mi volsi al suo viso ridente. E la virtù che lo sguardo m'indulse, del bel nido di Leda mi divelse e nel ciel velocissimo m'impulse. Le parti sue vivissime ed eccelse sì uniforme son, ch'i' non so dire qual Bëatrice per loco mi scelse. Ma ella, che vedëa 'l mio disire, incominciò, ridendo tanto lieta, che Dio parea nel suo volto gioire: "La natura del mondo, che quïeta il mezzo e tutto l'altro intorno move, quinci comincia come da sua meta; e questo cielo non ha altro dove che la mente divina, in che s'accende l'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove. Luce e amor d'un cerchio lui comprende, sì come questo li altri; e quel precinto colui che 'l cinge solamente intende. Non è suo moto per altro distinto, ma li altri son mensurati da questo, sì come diece da mezzo e da quinto; e come il tempo tegna in cotal testo le sue radici e ne li altri le fronde, omai a te può esser manifesto. Oh cupidigia, che i mortali affonde sì sotto te, che nessuno ha podere di trarre li occhi fuor de le tue onde! Ben fiorisce ne li uomini il volere; ma la pioggia continüa converte in bozzacchioni le sosine vere. Fede e innocenza son reperte solo ne' parvoletti; poi ciascuna pria fugge che le guance sian coperte. Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna; e tal, balbuzïendo, ama e ascolta la madre sua, che, con loquela intera, disïa poi di vederla sepolta. Così si fa la pelle bianca nera nel primo aspetto de la bella figlia di quel ch'apporta mane e lascia sera. Tu, perché non ti facci maraviglia, pensa che 'n terra non è chi governi; onde sì svïa l'umana famiglia. Ma prima che gennaio tutto si sverni per la centesma ch'è là giù negletta, raggeran sì questi cerchi superni, che la fortuna che tanto s'aspetta, le poppe volgerà u' son le prore, sì che la classe correrà diretta; e vero frutto verrà dopo 'l fiore".
Canto XXVIII, nel quale Beatrice distingue a l'auttore li nove ordini de li angeli gloriosi che sono nel nono cielo e il loro offizio. ________________________ Poscia che 'ncontro a la vita presente d'i miseri mortali aperse 'l vero quella che 'mparadisa la mia mente, come in lo specchio fiamma di doppiero vede colui che se n'alluma retro, prima che l'abbia in vista o in pensiero, e sé rivolge per veder se 'l vetro li dice il vero, e vede ch'el s'accorda con esso come nota con suo metro; così la mia memoria si ricorda ch'io feci riguardando ne' belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda. E com'io mi rivolsi e furon tocchi li miei da ciò che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s'adocchi, un punto vidi che raggiava lume acuto sì, che 'l viso ch'elli affoca chiuder conviensi per lo forte acume; e quale stella par quinci più poca, parrebbe luna, locata con esso come stella con stella si collòca. Forse cotanto quanto pare appresso alo cigner la luce che 'l dipigne quando 'l vapor che 'l porta più è spesso, distante intorno al punto un cerchio d'igne si girava sì ratto, ch'avria vinto quel moto che più tosto il mondo cigne; e questo era d'un altro circumcinto, e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. Sopra seguiva il settimo sì sparto già di larghezza, che 'l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto. Così l'ottavo e 'l nono; e ciascheduno più tardo si movea, secondo ch'era in numero distante più da l'uno; e quello avea la fiamma più sincera cui men distava la favilla pura, credo, però che più di lei s'invera. La donna mia, che mi vedëa in cura forte sospeso, disse: "Da quel punto depende il cielo e tutta la natura. Mira quel cerchio che più li è congiunto; e sappi che 'l suo muovere è sì tosto per l'affocato amore ond'elli è punto". E io a lei: "Se 'l mondo fosse posto con l'ordine ch'io veggio in quelle rote, sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto; ma nel mondo sensibile si puote veder le volte tanto più divine, quant'elle son dal centro più remote. Onde, se 'l mio disir dee aver fine in questo miro e angelico templo che solo amore e luce ha per confine, udir convienmi ancor come l'essemplo e l'essemplare non vanno d'un modo, ché io per me indarno a ciò contemplo". "Se li tuoi diti non sono a tal nodo sufficïenti, non è maraviglia: tanto, per non tentare, è fatto sodo!". Così la donna mia; poi disse: "Piglia quel ch'io ti dicerò, se vuo' saziarti; e intorno da esso t'assottiglia. Li cerchi corporai sono ampi e arti secondo il più e 'l men de la virtute che si distende per tutte lor parti. Maggior bontà vuol far maggior salute; maggior salute maggior corpo cape, s'elli ha le parti igualmente compiute. Dunque costui che tutto quanto rape l'altro universo seco, corrisponde al cerchio che più ama e che più sape: per che, se tu a la virtù circonde la tua misura, non a la parvenza de le sustanze che t'appaion tonde, tu vederai mirabil consequenza di maggio a più e di minore a meno, in ciascun cielo, a süa intelligenza". Come rimane splendido e sereno l'emisperio de l'aere, quando soffia Borea da quella guancia ond'è più leno, per che si purga e risolve la roffia che pria turbava, sì che 'l ciel ne ride con le bellezze d'ogne sua paroffia; così fec'ïo, poi che mi provide la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide. E poi che le parole sue restaro, non altrimenti ferro disfavilla che bolle, come i cerchi sfavillaro. L'incendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che 'l numero loro più che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla. Io sentiva osannar di coro in coro al punto fisso che li tiene a li ubi, e terrà sempre, ne' quai sempre fuoro. E quella che vedëa i pensier dubi ne la mia mente, disse: "I cerchi primi t' hanno mostrato Serafi e Cherubi. Così veloci seguono i suoi vimi, per somigliarsi al punto quanto ponno; e posson quanto a veder son soblimi. Quelli altri amori che 'ntorno li vonno, si chiaman Troni del divino aspetto, per che 'l primo ternaro terminonno; e dei saper che tutti hanno diletto quanto la sua veduta si profonda nel vero in che si queta ogne intelletto. Quinci si può veder come si fonda l'esser beato ne l'atto che vede, non in quel ch'ama, che poscia seconda; e del vedere è misura mercede, che grazia partorisce e buona voglia: così di grado in grado si procede. L'altro ternaro, che così germoglia in questa primavera sempiterna che notturno Arïete non dispoglia, perpetüalemente 'Osanna' sberna con tre melode, che suonano in tree ordini di letizia onde s'interna. In essa gerarcia son l'altre dee: prima Dominazioni, e poi Virtudi; l'ordine terzo di Podestadi èe. Poscia ne' due penultimi tripudi Principati e Arcangeli si girano; l'ultimo è tutto d'Angelici ludi. Questi ordini di sù tutti s'ammirano, e di giù vincon sì, che verso Dio tutti tirati sono e tutti tirano. E Dïonisio con tanto disio a contemplar questi ordini si mise, che li nomò e distinse com'io. Ma Gregorio da lui poi si divise; onde, sì tosto come li occhi aperse in questo ciel, di sé medesmo rise. E se tanto secreto ver proferse mortale in terra, non voglio ch'ammiri: ché chi 'l vide qua sù gliel discoperse con altro assai del ver di questi giri".
Canto XXIX, ove si tratta de la superbia e cacciamento de li rei e malvagi angeli e de la dilezione e gloria de' buoni; e infine si riprende tutti coloro che predicando si partono dal santo Evangelio e dicono favole; e contiencisi in questo canto certe declaragioni di certe oscuritadi del celestiale regno. ________________________ Quando ambedue li figli di Latona, coperti del Montone e de la Libra, fanno de l'orizzonte insieme zona, quant'è dal punto che 'l cenìt inlibra infin che l'uno e l'altro da quel cinto, cambiando l'emisperio, si dilibra, tanto, col volto di riso dipinto, si tacque Bëatrice, riguardando fiso nel punto che m'avëa vinto. Poi cominciò: "Io dico, e non dimando, quel che tu vuoli udir, perch'io l' ho visto là 've s'appunta ogne ubi e ogne quando. Non per aver a sé di bene acquisto, ch'esser non può, ma perché suo splendore potesse, risplendendo, dir "Subsisto", in sua etternità di tempo fore, fuor d'ogne altro comprender, come i piacque, s'aperse in nuovi amor l'etterno amore. Né prima quasi torpente si giacque; ché né prima né poscia procedette lo discorrer di Dio sovra quest'acque. Forma e materia, congiunte e purette, usciro ad esser che non avia fallo, come d'arco tricordo tre saette. E come in vetro, in ambra o in cristallo raggio resplende sì, che dal venire a l'esser tutto non è intervallo, così 'l triforme effetto del suo sire ne l'esser suo raggiò insieme tutto sanza distinzïone in essordire. Concreato fu ordine e costrutto a le sustanze; e quelle furon cima nel mondo in che puro atto fu produtto; pura potenza tenne la parte ima; nel mezzo strinse potenza con atto tal vime, che già mai non si divima. Ieronimo vi scrisse lungo tratto di secoli de li angeli creati anzi che l'altro mondo fosse fatto; ma questo vero è scritto in molti lati da li scrittor de lo Spirito Santo, e tu te n'avvedrai se bene agguati; e anche la ragione il vede alquanto, che non concederebbe che ' motori sanza sua perfezion fosser cotanto. Or sai tu dove e quando questi amori furon creati e come: sì che spenti nel tuo disïo già son tre ardori. Né giugneriesi, numerando, al venti sì tosto, come de li angeli parte turbò il suggetto d'i vostri alimenti. L'altra rimase, e cominciò quest'arte che tu discerni, con tanto diletto, che mai da circüir non si diparte. Principio del cader fu il maladetto superbir di colui che tu vedesti da tutti i pesi del mondo costretto. Quelli che vedi qui furon modesti a riconoscer sé da la bontate che li avea fatti a tanto intender presti: per che le viste lor furo essaltate con grazia illuminante e con lor merto, sì c' hanno ferma e piena volontate; e non voglio che dubbi, ma sia certo, che ricever la grazia è meritorio secondo che l'affetto l'è aperto. Omai dintorno a questo consistorio puoi contemplare assai, se le parole mie son ricolte, sanz'altro aiutorio. Ma perché 'n terra per le vostre scole si legge che l'angelica natura è tal, che 'ntende e si ricorda e vole, ancor dirò, perché tu veggi pura la verità che là giù si confonde, equivocando in sì fatta lettura. Queste sustanze, poi che fur gioconde de la faccia di Dio, non volser viso da essa, da cui nulla si nasconde: però non hanno vedere interciso da novo obietto, e però non bisogna rememorar per concetto diviso; sì che là giù, non dormendo, si sogna, credendo e non credendo dicer vero; ma ne l'uno è più colpa e più vergogna. Voi non andate giù per un sentiero filosofando: tanto vi trasporta l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero! E ancor questo qua sù si comporta con men disdegno che quando è posposta la divina Scrittura o quando è torta. Non vi si pensa quanto sangue costa seminarla nel mondo e quanto piace chi umilmente con essa s'accosta. Per apparer ciascun s'ingegna e face sue invenzioni; e quelle son trascorse da' predicanti e 'l Vangelio si tace. Un dice che la luna si ritorse ne la passion di Cristo e s'interpuose, per che 'l lume del sol giù non si porse; e mente, ché la luce si nascose da sé: però a li Spani e a l'Indi come a' Giudei tale eclissi rispuose. Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi quante sì fatte favole per anno in pergamo si gridan quinci e quindi: sì che le pecorelle, che non sanno, tornan del pasco pasciute di vento, e non le scusa non veder lo danno. Non disse Cristo al suo primo convento: 'Andate, e predicate al mondo ciance'; ma diede lor verace fondamento; e quel tanto sonò ne le sue guance, sì ch'a pugnar per accender la fede de l'Evangelio fero scudo e lance. Ora si va con motti e con iscede a predicare, e pur che ben si rida, gonfia il cappuccio e più non si richiede. Ma tale uccel nel becchetto s'annida, che se 'l vulgo il vedesse, vederebbe la perdonanza di ch'el si confida: per cui tanta stoltezza in terra crebbe, che, sanza prova d'alcun testimonio, ad ogne promession si correrebbe. Di questo ingrassa il porco sant'Antonio, e altri assai che sono ancor più porci, pagando di moneta sanza conio. Ma perché siam digressi assai, ritorci li occhi oramai verso la dritta strada, sì che la via col tempo si raccorci. Questa natura sì oltre s'ingrada in numero, che mai non fu loquela né concetto mortal che tanto vada; e se tu guardi quel che si revela per Danïel, vedrai che 'n sue migliaia determinato numero si cela. La prima luce, che tutta la raia, per tanti modi in essa si recepe, quanti son li splendori a chi s'appaia. Onde, però che a l'atto che concepe segue l'affetto, d'amar la dolcezza diversamente in essa ferve e tepe. Vedi l'eccelso omai e la larghezza de l'etterno valor, poscia che tanti speculi fatti s' ha in che si spezza, uno manendo in sé come davanti".
Canto XXX, ove narra come l'auttore vidde per conducimento di Beatrice li splendori de la divinità e le seggie de l'anime de li uomini, tra le quali vide già collocata quella de lo imperadore Arrigo di Lunzimborgo con la sua corona. ______________________ Forse semilia miglia di lontano ci ferve l'ora sesta, e questo mondo china già l'ombra quasi al letto piano, quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo, comincia a farsi tal, ch'alcuna stella perde il parere infino a questo fondo; e come vien la chiarissima ancella del sol più oltre, così 'l ciel si chiude di vista in vista infino a la più bella. Non altrimenti il trïunfo che lude sempre dintorno al punto che mi vinse, parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude, a poco a poco al mio veder si stinse: per che tornar con li occhi a Bëatrice nulla vedere e amor mi costrinse. Se quanto infino a qui di lei si dice fosse conchiuso tutto in una loda, poca sarebbe a fornir questa vice. La bellezza ch'io vidi si trasmoda non pur di là da noi, ma certo io credo che solo il suo fattor tutta la goda. Da questo passo vinto mi concedo più che già mai da punto di suo tema soprato fosse comico o tragedo: ché, come sole in viso che più trema, così lo rimembrar del dolce riso la mente mia da me medesmo scema. Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso in questa vita, infino a questa vista, non m'è il seguire al mio cantar preciso; ma or convien che mio seguir desista più dietro a sua bellezza, poetando, come a l'ultimo suo ciascuno artista. Cotal qual io la lascio a maggior bando che quel de la mia tuba, che deduce l'ardüa sua matera terminando, con atto e voce di spedito duce ricominciò: "Noi siamo usciti fore del maggior corpo al ciel ch'è pura luce: luce intellettüal, piena d'amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogne dolzore. Qui vederai l'una e l'altra milizia di paradiso, e l'una in quelli aspetti che tu vedrai a l'ultima giustizia". Come sùbito lampo che discetti li spiriti visivi, sì che priva da l'atto l'occhio di più forti obietti, così mi circunfulse luce viva, e lasciommi fasciato di tal velo del suo fulgor, che nulla m'appariva. "Sempre l'amor che queta questo cielo accoglie in sé con sì fatta salute, per far disposto a sua fiamma il candelo". Non fur più tosto dentro a me venute queste parole brievi, ch'io compresi me sormontar di sopr'a mia virtute; e di novella vista mi raccesi tale, che nulla luce è tanto mera, che li occhi miei non si fosser difesi; e vidi lume in forma di rivera fulvido di fulgore, intra due rive dipinte di mirabil primavera. Di tal fiumana uscian faville vive, e d'ogne parte si mettien ne' fiori, quasi rubin che oro circunscrive; poi, come inebrïate da li odori, riprofondavan sé nel miro gurge, e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. "L'alto disio che mo t'infiamma e urge, d'aver notizia di ciò che tu vei, tanto mi piace più quanto più turge; ma di quest'acqua convien che tu bei prima che tanta sete in te si sazi": così mi disse il sol de li occhi miei. Anche soggiunse: "Il fiume e li topazi ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe son di lor vero umbriferi prefazi. Non che da sé sian queste cose acerbe; ma è difetto da la parte tua, che non hai viste ancor tanto superbe". Non è fantin che sì sùbito rua col volto verso il latte, se si svegli molto tardato da l'usanza sua, come fec'io, per far migliori spegli ancor de li occhi, chinandomi a l'onda che si deriva perché vi s'immegli; e sì come di lei bevve la gronda de le palpebre mie, così mi parve di sua lunghezza divenuta tonda. Poi, come gente stata sotto larve, che pare altro che prima, se si sveste la sembianza non süa in che disparve, così mi si cambiaro in maggior feste li fiori e le faville, sì ch'io vidi ambo le corti del ciel manifeste. O isplendor di Dio, per cu' io vidi l'alto trïunfo del regno verace, dammi virtù a dir com'ïo il vidi! Lume è là sù che visibile face lo creatore a quella creatura che solo in lui vedere ha la sua pace. E' si distende in circular figura, in tanto che la sua circunferenza sarebbe al sol troppo larga cintura. Fassi di raggio tutta sua parvenza reflesso al sommo del mobile primo, che prende quindi vivere e potenza. E come clivo in acqua di suo imo si specchia, quasi per vedersi addorno, quando è nel verde e ne' fioretti opimo, sì, soprastando al lume intorno intorno, vidi specchiarsi in più di mille soglie quanto di noi là sù fatto ha ritorno. E se l'infimo grado in sé raccoglie sì grande lume, quanta è la larghezza di questa rosa ne l'estreme foglie! La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza non si smarriva, ma tutto prendeva il quanto e 'l quale di quella allegrezza. Presso e lontano, lì, né pon né leva: ché dove Dio sanza mezzo governa, la legge natural nulla rileva. Nel giallo de la rosa sempiterna, che si digrada e dilata e redole odor di lode al sol che sempre verna, qual è colui che tace e dicer vole, mi trasse Bëatrice, e disse: "Mira quanto è 'l convento de le bianche stole! Vedi nostra città quant'ella gira; vedi li nostri scanni sì ripieni, che poca gente più ci si disira. E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni per la corona che già v'è sù posta, prima che tu a queste nozze ceni, sederà l'alma, che fia giù agosta, de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia verrà in prima ch'ella sia disposta. La cieca cupidigia che v'ammalia simili fatti v' ha al fantolino che muor per fame e caccia via la balia. E fia prefetto nel foro divino allora tal, che palese e coverto non anderà con lui per un cammino. Ma poco poi sarà da Dio sofferto nel santo officio: ch'el sarà detruso là dove Simon mago è per suo merto, e farà quel d'Alagna intrar più giuso".
Canto XXXI, il quale tratta come l'auttore fue lasciato da Beatrice e trovò Santo Bernardo, per lo cui conducimento rivide Beatrice ne la sua gloria; poi pone una orazione che Dante fece a Beatrice che pregasse per lui lo nostro Segnore Iddio e la nostra Donna sua Madre; e come vide la Divina Maestà. _______________________ In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa; ma l'altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la 'nnamora e la bontà che la fece cotanta, sì come schiera d'ape che s'infiora una fïata e una si ritorna là dove suo laboro s'insapora, nel gran fior discendeva che s'addorna di tante foglie, e quindi risaliva là dove 'l süo amor sempre soggiorna. Le facce tutte avean di fiamma viva e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco, che nulla neve a quel termine arriva. Quando scendean nel fior, di banco in banco porgevan de la pace e de l'ardore ch'elli acquistavan ventilando il fianco. Né l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore di tanta moltitudine volante impediva la vista e lo splendore: ché la luce divina è penetrante per l'universo secondo ch'è degno, sì che nulla le puote essere ostante. Questo sicuro e gaudïoso regno, frequente in gente antica e in novella, viso e amore avea tutto ad un segno. Oh trina luce che 'n unica stella scintillando a lor vista, sì li appaga! guarda qua giuso a la nostra procella! Se i barbari, venendo da tal plaga che ciascun giorno d'Elice si cuopra, rotante col suo figlio ond'ella è vaga, veggendo Roma e l'ardüa sua opra, stupefaciensi, quando Laterano a le cose mortali andò di sopra; ïo, che al divino da l'umano, a l'etterno dal tempo era venuto, e di Fiorenza in popol giusto e sano, di che stupor dovea esser compiuto! Certo tra esso e 'l gaudio mi facea libito non udire e starmi muto. E quasi peregrin che si ricrea nel tempio del suo voto riguardando, e spera già ridir com'ello stea, su per la viva luce passeggiando, menava ïo li occhi per li gradi, mo sù, mo giù e mo recirculando. Vedëa visi a carità süadi, d'altrui lume fregiati e di suo riso, e atti ornati di tutte onestadi. La forma general di paradiso già tutta mïo sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso; e volgeami con voglia rïaccesa per domandar la mia donna di cose di che la mente mia era sospesa. Uno intendëa, e altro mi rispuose: credea veder Beatrice e vidi un sene vestito con le genti glorïose. Diffuso era per li occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio quale a tenero padre si convene. E "Ov'è ella?", sùbito diss'io. Ond'elli: "A terminar lo tuo disiro mosse Beatrice me del loco mio; e se riguardi sù nel terzo giro dal sommo grado, tu la rivedrai nel trono che suoi merti le sortiro". Sanza risponder, li occhi sù levai, e vidi lei che si facea corona reflettendo da sé li etterni rai. Da quella regïon che più sù tona occhio mortale alcun tanto non dista, qualunque in mare più giù s'abbandona, quanto lì da Beatrice la mia vista; ma nulla mi facea, ché süa effige non discendëa a me per mezzo mista. "O donna in cui la mia speranza vige, e che soffristi per la mia salute in inferno lasciar le tue vestige, di tante cose quant'i' ho vedute, dal tuo podere e da la tua bontate riconosco la grazia e la virtute. Tu m' hai di servo tratto a libertate per tutte quelle vie, per tutt'i modi che di ciò fare avei la potestate. La tua magnificenza in me custodi, sì che l'anima mia, che fatt' hai sana, piacente a te dal corpo si disnodi". Così orai; e quella, sì lontana come parea, sorrise e riguardommi; poi si tornò a l'etterna fontana. E 'l santo sene: "Acciò che tu assommi perfettamente", disse, "il tuo cammino, a che priego e amor santo mandommi, vola con li occhi per questo giardino; ché veder lui t'acconcerà lo sguardo più al montar per lo raggio divino. E la regina del cielo, ond'ïo ardo tutto d'amor, ne farà ogne grazia, però ch'i' sono il suo fedel Bernardo". Qual è colui che forse di Croazia viene a veder la Veronica nostra, che per l'antica fame non sen sazia, ma dice nel pensier, fin che si mostra: 'Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, or fu sì fatta la sembianza vostra?'; tal era io mirando la vivace carità di colui che 'n questo mondo, contemplando, gustò di quella pace. "Figliuol di grazia, quest'esser giocondo", cominciò elli, "non ti sarà noto, tenendo li occhi pur qua giù al fondo; ma guarda i cerchi infino al più remoto, tanto che veggi seder la regina cui questo regno è suddito e devoto". Io levai li occhi; e come da mattina la parte orïental de l'orizzonte soverchia quella dove 'l sol declina, così, quasi di valle andando a monte con li occhi, vidi parte ne lo stremo vincer di lume tutta l'altra fronte. E come quivi ove s'aspetta il temo che mal guidò Fetonte, più s'infiamma, e quinci e quindi il lume si fa scemo, così quella pacifica oriafiamma nel mezzo s'avvivava, e d'ogne parte per igual modo allentava la fiamma; e a quel mezzo, con le penne sparte, vid'io più di mille angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d'arte. Vidi a lor giochi quivi e a lor canti ridere una bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi; e s'io avessi in dir tanta divizia quanta ad imaginar, non ardirei lo minimo tentar di sua delizia. Bernardo, come vide li occhi miei nel caldo suo caler fissi e attenti, li suoi con tanto affetto volse a lei, che ' miei di rimirar fé più ardenti.
Canto XXXII, ove tratta come santo Bernardo mostrò a Dante ordinatamente li luoghi de' beati del Vecchio e del Nuovo Testamento; e come a la voce de l'Arcangelo Gabriello laudavano nostra Madonna, cioè la Virgine Maria. _________________________ Affetto al suo piacer, quel contemplante libero officio di dottore assunse, e cominciò queste parole sante: "La piaga che Maria richiuse e unse, quella ch'è tanto bella da' suoi piedi è colei che l'aperse e che la punse. Ne l'ordine che fanno i terzi sedi, siede Rachel di sotto da costei con Bëatrice, sì come tu vedi. Sarra e Rebecca, Iudìt e colei che fu bisava al cantor che per doglia del fallo disse 'Miserere mei', puoi tu veder così di soglia in soglia giù digradar, com'io ch'a proprio nome vo per la rosa giù di foglia in foglia. E dal settimo grado in giù, sì come infino ad esso, succedono Ebree, dirimendo del fior tutte le chiome; perché, secondo lo sguardo che fée la fede in Cristo, queste sono il muro a che si parton le sacre scalee. Da questa parte onde 'l fiore è maturo di tutte le sue foglie, sono assisi quei che credettero in Cristo venturo; da l'altra parte onde sono intercisi di vòti i semicirculi, si stanno quei ch'a Cristo venuto ebber li visi. E come quinci il glorïoso scanno de la donna del cielo e li altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno, così di contra quel del gran Giovanni, che sempre santo 'l diserto e 'l martiro sofferse, e poi l'inferno da due anni; e sotto lui così cerner sortiro Francesco, Benedetto e Augustino e altri fin qua giù di giro in giro. Or mira l'alto proveder divino: ché l'uno e l'altro aspetto de la fede igualmente empierà questo giardino. E sappi che dal grado in giù che fiede a mezzo il tratto le due discrezioni, per nullo proprio merito si siede, ma per l'altrui, con certe condizioni: ché tutti questi son spiriti asciolti prima ch'avesser vere elezïoni. Ben te ne puoi accorger per li volti e anche per le voci püerili, se tu li guardi bene e se li ascolti. Or dubbi tu e dubitando sili; ma io discioglierò 'l forte legame in che ti stringon li pensier sottili. Dentro a l'ampiezza di questo reame casüal punto non puote aver sito, se non come tristizia o sete o fame: ché per etterna legge è stabilito quantunque vedi, sì che giustamente ci si risponde da l'anello al dito; e però questa festinata gente a vera vita non è sine causa intra sé qui più e meno eccellente. Lo rege per cui questo regno pausa in tanto amore e in tanto diletto, che nulla volontà è di più ausa, le menti tutte nel suo lieto aspetto creando, a suo piacer di grazia dota diversamente; e qui basti l'effetto. E ciò espresso e chiaro vi si nota ne la Scrittura santa in quei gemelli che ne la madre ebber l'ira commota. Però, secondo il color d'i capelli, di cotal grazia l'altissimo lume degnamente convien che s'incappelli. Dunque, sanza mercé di lor costume, locati son per gradi differenti, sol differendo nel primiero acume. Bastavasi ne' secoli recenti con l'innocenza, per aver salute, solamente la fede d'i parenti; poi che le prime etadi fuor compiute, convenne ai maschi a l'innocenti penne per circuncidere acquistar virtute; ma poi che 'l tempo de la grazia venne, sanza battesmo perfetto di Cristo tale innocenza là giù si ritenne. Riguarda omai ne la faccia che a Cristo più si somiglia, ché la sua chiarezza sola ti può disporre a veder Cristo". Io vidi sopra lei tanta allegrezza piover, portata ne le menti sante create a trasvolar per quella altezza, che quantunque io avea visto davante, di tanta ammirazion non mi sospese, né mi mostrò di Dio tanto sembiante; e quello amor che primo lì discese, cantando 'Ave, Maria, gratïa plena', dinanzi a lei le sue ali distese. Rispuose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte, sì ch'ogne vista sen fé più serena. "O santo padre, che per me comporte l'esser qua giù, lasciando il dolce loco nel qual tu siedi per etterna sorte, qual è quell'angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina, innamorato sì che par di foco?". Così ricorsi ancora a la dottrina di colui ch'abbelliva di Maria, come del sole stella mattutina. Ed elli a me: "Baldezza e leggiadria quant'esser puote in angelo e in alma, tutta è in lui; e sì volem che sia, perch'elli è quelli che portò la palma giuso a Maria, quando 'l Figliuol di Dio carcar si volse de la nostra salma. Ma vieni omai con li occhi sì com'io andrò parlando, e nota i gran patrici di questo imperio giustissimo e pio. Quei due che seggon là sù più felici per esser propinquissimi ad Agusta, son d'esta rosa quasi due radici: colui che da sinistra le s'aggiusta è 'l padre per lo cui ardito gusto l'umana specie tanto amaro gusta; dal destro vedi quel padre vetusto di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi raccomandò di questo fior venusto. E quei che vide tutti i tempi gravi, pria che morisse, de la bella sposa che s'acquistò con la lancia e coi clavi, siede lungh'esso, e lungo l'altro posa quel duca sotto cui visse di manna la gente ingrata, mobile e retrosa. Di contr'a Pietro vedi sedere Anna, tanto contenta di mirar sua figlia, che non move occhio per cantare osanna; e contro al maggior padre di famiglia siede Lucia, che mosse la tua donna quando chinavi, a rovinar, le ciglia. Ma perché 'l tempo fugge che t'assonna, qui farem punto, come buon sartore che com'elli ha del panno fa la gonna; e drizzeremo li occhi al primo amore, sì che, guardando verso lui, penètri quant'è possibil per lo suo fulgore. Veramente, ne forse tu t'arretri movendo l'ali tue, credendo oltrarti, orando grazia conven che s'impetri grazia da quella che puote aiutarti; e tu mi seguirai con l'affezione, sì che dal dicer mio lo cor non parti". E cominciò questa santa orazione:
Canto XXXIII, il quale è l'ultimo de la terza cantica e ultima; nel quale canto santo Bernardo in figura de l'auttore fa una orazione a la Vergine Maria, pregandola che sé e la Divina Maestade si lasci vedere visibilemente. _______________________ "Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz'ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. Or questi, che da l'infima lacuna de l'universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l'ultima salute. E io, che mai per mio veder non arsi più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co' prieghi tuoi, sì che 'l sommo piacer li si dispieghi. Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi. Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!". Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l'orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati; indi a l'etterno lume s'addrizzaro, nel qual non si dee creder che s'invii per creatura l'occhio tanto chiaro. E io ch'al fine di tutt'i disii appropinquava, sì com'io dovea, l'ardor del desiderio in me finii. Bernardo m'accennava, e sorridea, perch'io guardassi suso; ma io era già per me stesso tal qual ei volea: ché la mia vista, venendo sincera, e più e più intrava per lo raggio de l'alta luce che da sé è vera. Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio. Qual è colüi che sognando vede, che dopo 'l sogno la passione impressa rimane, e l'altro a la mente non riede, cotal son io, ché quasi tutta cessa mia visïone, e ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa. Così la neve al sol si disigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla. O somma luce che tanto ti levi da' concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi, e fa la lingua mia tanto possente, ch'una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente; ché, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, più si conceperà di tua vittoria. Io credo, per l'acume ch'io soffersi del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi. E' mi ricorda ch'io fui più ardito per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi l'aspetto mio col valore infinito. Oh abbondante grazia ond'io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi! Nel suo profondo vidi che s'interna, legato con amore in un volume, ciò che per l'universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch'i' dico è un semplice lume. La forma universal di questo nodo credo ch'i' vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch'i' godo. Un punto solo m'è maggior letargo che venticinque secoli a la 'mpresa che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta, e sempre di mirar faceasi accesa. A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta; però che 'l ben, ch'è del volere obietto, tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella è defettivo ciò ch'è lì perfetto. Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante che bagni ancor la lingua a la mammella. Non perché più ch'un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch'io mirava, che tal è sempre qual s'era davante; ma per la vista che s'avvalorava in me guardando, una sola parvenza, mutandom'io, a me si travagliava. Ne la profonda e chiara sussistenza de l'alto lume parvermi tre giri di tre colori e d'una contenenza; e l'un da l'altro come iri da iri parea reflesso, e 'l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi, è tanto, che non basta a dicer 'poco'. O luce etterna che sola in te sidi, sola t'intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che 'l mio viso in lei tutto era messo. Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond'elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle.
Dante Alighieri - Divina Commedia - PARADISO
O lettori, che in una piccola barca (cioè dotati di una intelligenza e di una cultura inadeguate all’altezza di contenuto della terza cantica), desiderosi di ascoltare (il mio canto), avete seguitola nave del mio ingegno che cantando si apre un varco, ritornate ai luoghi dai quali siete partiti: non arrischiatevi ad entrare in mare aperto, perché, forse, non avendo la forza necessaria per seguirmi, vi trovereste smarriti. L’acqua che mi accingo a solcare non è mai stata percorsa da alcuno: Minerva (dea della sapienza) col suo fiato gonfia le vele della mia nave, e Apollo (dio della poesia) è il mio nocchiero e le nove Muse (protettrici delle scienze e della tecnica artistica) mi mostrano la direzione indicandomi l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore. (Invece) voi pochi che fin da giovani rivolgeste la mente alla scienza delle cose divine, della quale sulla terra ci si può nutrire ma senza potersi mai saziare (come, invece, avviene in cielo), voi sì potete spingere per il mare profondo il naviglio (della vostra intelligenza), seguendo la scia (sollevata dalla mia nave) prima che l’acqua torni ad appianarsi. Gli Argonauti che varcarono il mare per recarsi nella Colchide non si meravigliarono, quando videro Giasone trasformarsi in contadino, nella misura in cui vi meraviglierete voi (di fronte alle mirabili cose che io vi esporrò). Il desiderio innato è incessante dell’Empireo, il cielo che riceve la sua forma da Dio, ci portava (in alto) veloci quasi come vedete (girare veloce) il cielo stellato (nel suo moto intorno alla terra). Beatrice fissava lo sguardo in alto, ed io fissavo il mio in lei; e forse nel tempo in cui una freccia è posta sulla corda dell’arco e vola dopo essersi staccata dall’osso della balestra, mi vidi giunto dove una cosa meravigliosa attrasse a se i miei occhi; e perciò Beatrice, alla quale nessun mio pensiero poteva rimanere nascosto, voltasi verso di me, con espressione tanto lieta quanto bella, mi disse: “ Innalza con riconoscenza la tua mente a Dio, che ci ha fatto giungere al cielo della Luna”. Mi sembrava che fossimo avvolti da una nube luminosa, densa, compatta e liscia, simile a diamante colpito dalla luce del sole. Quella gemma incorruttibile ci accolse dentro di se, come l’acqua riceve, senza che la sua superficie si rompa, un raggio di luce. Poiché io ero un corpo, e poiché sulla terra non è pensabile che una materia estesa possa compenetrarsi con un’altra (senza spezzarne la compattezza), il che avviene di necessità se un corpo penetra in un altro, (questo prodigio) dovrebbe maggiormente accendere in noi il desiderio di contemplare (in cielo) l’essenza di Cristo, nella quale si vede come la natura umana si sia compenetrata con la natura divina. In cielo vedremo quei misteri che ora accettiamo per fede, ma saranno noti per la loro evidenza immediata, non perché dimostrati razionalmente, come i principi fondamentali che l’uomo crede ( per intuizione, senza poterli dimostrare ) . Io risposi: “ Madonna, con la maggior devozione possibile, ringrazio Dio che mi ha allontanato dal mondo mortale Ma ditemi: che cosa sono le macchie scure della superficie lunare, le quali laggiù sulla terra fanno credere agli uomini che si tratti di Caino? Beatrice sorrise alquanto. e poi mi disse: “ Se la conoscenza dei mortali sbaglia là dove i sensi non offrono la chiave capace di aprire (la porta alle verità soprasensibili ), ormai non dovrebbero davvero più pungerti gli strali della meraviglia, dal momento che vedi come la ragione seguendo i sensi può compiere solo un breve cammino . Ma dimmi quello che pensi per conto tuo di queste macchie”. Ed io: “ Ciò che a noi (sulla terra) appare variamente luminoso nelle sfere celesti, credo dipenda dalla diversa rarità o densità della materia di questi corpi “ Ed ella: “ Senza’ dubbio riconoscerai che la tua opinione è profondamente erronea, se ascolterai attentamente la dimostrazione che farò contro di essa. L’ottavo cielo (quello delle stelle fisse) vi presenta molti astri, che per la qualità e quantità della loro luce mostrano aspetti diversi. Se soltanto la rarefazione e la densità della materia causassero tale diversità, in tutte le stelle vi sarebbe una sola virtù, distribuita in quantità maggiore o minore o uguale. Ora virtù diverse devono necessariamente derivare da principi formali diversi, e questi principi, eccetto uno, verrebbero ad essere distrutti secondo il tuo ragionamento Inoltre se la rarità della materia fosse la causa di quelle macchie di cui tu chiedi spiegazione, (ne deriverebbe che) o in qualche punto sarebbe privo della sua materia fino alla parte opposta (presentando, cioè, dei buchi) questo pianeta, oppure come un corpo animale alterna parti grasse e parti magre, allo stesso modo il corpo lunare nei suoi strati cambierebbe come i fogli (più o meno sottili di un libro). Se fosse vera la prima ipotesi, essa si renderebbe manifesta durante l’eclissi di sole, perché si vedrebbe per trasparenza la luce solare come quando essa è introdotta in qualsiasi altro corpo di materia rarefatta. Ma questo non succede: perciò è da discutere l’ altra ipotesi; e se accadrà che io confuti anch’essa, la tua opinione (sulla causa delle macchie lunari) sarà dimostrata falsa. Se avviene che questa rarefazione non passa da parte a parte, deve esserci un punto al di là del quale la densità della materia non lascia più passare la luce; e da questo punto il raggio solare viene riflesso come un’immagine con i suoi colori è riflessa dal vetro che nasconde dietro di se una lamina di piombo ( cioè dallo specchio). Ora tu obietterai che il raggio appare più oscuro nel punto di maggiore rarefazione che nelle altre parti, perché lì è riflesso da uno strato più interno del corpo lunare. Da questa obiezione può liberarti un esperimento, se qualche volta vorrai farlo, uno di quelli che costituiscono il fondamento delle varie parti in cui si dividono le scienze umane. Prendi tre specchi; e disponi due di essi alla stessa distanza da te, e il terzo, posto più lontano, incontri i tuoi occhi in mezzo ai primi due. Dopo esserti rivolto verso di essi, fa in modo che dietro le tue spalle sia posta una luce che illumini i tre specchi e ritorni a te riflessa dai medesimi. Benché l’immagine riflessa dallo specchio più lontano non sia estesa in grandezza come quella degli altri due, vedrai come, pur da una maggior distanza, risplenda necessariamente di una luminosità qualitativamente uguale a quella delle altre due. Ora come sotto i colpi dei caldi raggi solari la materia prima della neve (cioè l’acqua) rimane priva (nudo) e del colore bianco e del freddo di cui prima era costituita, allo stesso modo la tua mente è rimasta (sgombra delle erronee opinioni di prima) e voglio infondervi una nuova forma mediante una verità così luminosa, che nel suo rivelarsi scintillerà davanti a te come luce di stelle. Entro l’Empireo, il cielo immobile , ruota un cielo nella cui potenza attiva prende fondamento la vita di tutto ciò che e contenuto nel suo giro. Il cielo successivo, che si adorna di tante stelle visibili, distribuisce quella vita (ricevuta dal Primo Mobile) alle diverse stelle, da esso distinte e in esso contenute. Gli altri sette cieli dispongono in maniera differente le essenze distinte che hanno in se in modo che esse conseguano i loro effetti e attuino i loro influssi. Perché la virtute del Primo Mobile sia pienamente adatta ad agire sulla materia del mondo infralunare, creata informe da Dio, occorre che gli altri sette cieli, dopo aver ricevuto, attraverso il cielo ottavo, questa influenza, la sottopongano a ulteriori differenziazioni (corrispondenti alla diversa natura di ciascuno), moltiplicandone gli effetti. I cieli, questi organi dell'universo, operano cosi, come ormai tu comprendi, di gradino in gradino, in modo che ciascuno riceve l’influenza del cielo superiore e trasmette la sua influenza a quello inferiore. Ora osserva bene come io per mezzo di questo ragionamento giungo alla verità che desideri conoscere, affinché tu poi da solo sappia compiere il passaggio (che conduce alla soluzione del tuo problema). Il movimento e l’influenza delle sfere celesti, come l’azione del martello deriva dal fabbro che lo usa, devono derivare dalle intelligenze angeliche che le muovono; e il cielo che è abbellito da tante stelle (cioè l’ottava sfera), riceve l’impronta dall’alta intelligenza angelica che lo fa muovere e la imprime come suggello (nei cieli sottostanti). E come l’anima dentro il vostro corpo corruttibile dispiega la sua virtù in membra diverse e ordinate alle diverse facoltà sensitive, così l’intelligenza angelica (che muove il Cielo Stellato) svolge la sua azione nelle stelle manifestandola in molteplici modi, continuando il suo movimento nella propria sostanziale unità. Le diversità che appaiono nel Cielo Stellato non sono altro che il riflesso o image delle idee presenti nella mente degli angeli, (qui, in particolare, i Cherubini) che muovono questo cielo. La diversa influenza angelica si unisce variamente nelle sfere sottostanti con la materia incorruttibile del cielo che essa anima, nella quale si trasfonde, cosi come la vita si trasfonde in voi uomini. Per la natura beata (degli spiriti motori) dai quali deriva, l’influenza angelica, unitasi al corpo celeste, risplende nelle diverse parti di esso, come la gioia dell’animo risplende attraverso la vivacità della pupilla. Da questa influenza, non dalla densità e rarefazione della materia, deriva la differente luminosità tra stella e stella: questa influenza è il principio attivo che produce, secondo la sua diversa potenza, l’oscurità e la luminosità”.
Beatrice, quel sole che ancor fanciullo mi aveva acceso il cuore d’amore, mi aveva rivelato, portando prove e confutando opinioni erronee, il dolce volto della bella verità ( sulle macchie lunari); e io, per dichiararmi corretto (del mio errore) e persuaso (della verità), levai il capo più diritto tanto quanto conveniva per parlare (a Beatrice con la dovuta riverenza); ma mi apparve uno spettacolo che tenne la mia attenzione così strettamente legata a se, per vederlo, che non mi ricordai di fare la mia dichiarazione. Come attraverso vetri trasparenti e chiari, oppure attraverso acque limpide e tranquille, ma non così profonde che il loro fondo non possa essere visto i lineamenti dei nostri volti si riflettono così tenui, che una perla su una bianca fronte non è percepita con minore difficoltà dai nostri occhi, altrettanto indistinti vidi molti volti nell’atteggiamento di chi sta per parlare; per cui io caddi nell’errore contrario a quello che fece nascere l’amore fra Narciso e la fonte. Non appena io m’accorsi di loro, ritenendole immagini riflesse in uno specchio, volsi indietro gli occhi, per vedere di chi fossero; ma non vidi nulla, e tornai a volgerli davanti a me fissandoli negli occhi della mia dolce guida, la quale, sorridendo, ardeva nelle sue sante pupille. “ Non ti meravigliare se io sorrido ” mi disse “ a causa del tuo pensiero puerile, poiché esso non poggia ancora saldamente sulla verità, ma, come al solito, ti riconduce verso ipotesi vane: ciò che tu vedi sono anime vere (non immagini riflesse ), relegate in questo cielo per inadempimento dei loro voti. Perciò parla con loro e ascoltale e credi (a quanto ti diranno); perché la luce divina che le appaga non permette che esse si allontanino da lei.” Ed io mi rivolsi all’ombra che sembrava più desiderosa di parlare, e incominciai, quasi nello stesso modo di colui che è turbato da un intenso desiderio: “ O spirito creato per la tua salvezza, che scaldandoti ai raggi della vita divina provi quella dolce beatitudine che, se non la si gusta direttamente, non potrà essere mai capita, mi sarà gradito se vorrai soddisfare il mio desiderio rivelandomi il tuo nome e la vostra condizione”. Per questo essa, prontamente e con occhi sorridenti: “ Il nostro amore non si nega ad un desiderio legittimo allo stesso modo dell’amore divino che vuole simile a se tutta la corte celeste. Nel mondo io fui monaca; e se la tua memoria ricorda con attenzione, l’essere io diventata più bella ( passando dalla vita terrena a quella celeste ) non mi nasconderà a te, ma riconoscerai che sono Piccarda, che, posta qui con queste altre anime elette, godo della beatitudine nel cielo che gira più lentamente. I nostri sentimenti che si infiammano soltanto per ciò che piace allo Spirito Santo, gioiscono perché conformati all’ordine universale stabilito da Dio. E questa condizione che appare tanto umile (essendo noi nell’ultimo dei cieli), ci è stata assegnata per questo, perché i voti da noi fatti rimasero inosservati, e non furono adempiuti in qualche parte”. Per questo io le risposi: “Nelle vostre mirabili sembianze traspare una luce sovrannaturale che vi trasfigura rispetto a quello che eravate in terra: perciò non fui sollecito nel ricordare; ma ora ciò che mi dici (di te) mi aiuta, così che mi è più facile riconoscerti. Ma sciogli un mio dubbio: voi che dimorate felici in questa sfera, non desiderate un grado di beatitudine più alto per contemplare più da vicino Dio e per diventare più intimamente amici con Lui ( cioè: per amarlo ed essere amati di più ) ? Piccarda dapprima. sorrise lievemente con quelle altre anime; poi mi rispose illuminata da tanta letizia, che ben mostrava di ardere nel fuoco dell’amore divino: “ Fratello, la nostra volontà è appagata dalla potenza dell’amore; divino, che ci fa desiderare solo ciò che possediamo, e non suscita in noi il desiderio di altro. Se desiderassimo essere collocate in un grado più alto, i nostri desideri discorderebbero dalla volontà di Colui che ci ha giudicate degne del cielo della Luna; cosa che vedrai non aver luogo in queste sfere celesti, se qui è necessario vivere sotto il segno dell’amore, e se tu esamini attentamente la natura di questo amore. Anzi è condizione essenziale a questo stato di beatitudine mantenersi nell’ambito del divino volere, in virtù del quale le nostre volontà singole diventano una sola, così che, il modo in cui in paradiso le anime beate sono distribuite di cielo in cielo, piace a noi tutti come piace a Dio che ci infonde desideri conformi al suo volere. E nella volontà divina è la nostra pace: questa volontà è simile a un mare verso il quale ritornano tutti gli esseri che essa crea direttamente e che la natura ( come causa seconda) produce”. Allora compresi chiaramente come ogni parte del cielo è pienezza di beatitudine, sebbene la grazia divina non scenda nella stessa misura in ogni luogo. Ma come accade che, se un cibo sazia e di un altro rimane ancora il desiderio, si chiede quello (di cui è rimasto il desiderio ) e si ringrazia per quello ( di cui si è sazi ), cosi io ringraziai con l’atteggiamento e con le parole Piccarda, e le chiesi di rivelarmi quale fosse la tela (cioè il voto) che aveva incominciato ma non finito . “ Una vita virtuosa perfetta e un grande merito (acquistato presso Dio) collocano in un cielo più alto una donna ” mi disse “ secondo la cui regola giù nel vostro mondo si prendono l’abito e il velo monacali, affinché fino alla morte si passi ogni giorno e ogni notte con Cristo, lo sposo che accetta ogni voto il quale sia reso conforme al suo volere dall’amore. Per seguire la via di Santa Chiara abbandonai, ancora giovinetta, la vita del mondo, e vestii il suo abito, e promisi di osservare la regola del suo ordine. In seguito uomini, più avvezzi a fare il male che il bene, mi rapirono fuori dal dolce chiostro. Dio solo sa quale fu poi la mia vita. E questo altro spirito splendente che vedi alla mia destra e che si illumina di tutta la luce del nostro cielo, considera come riferito anche a se ciò che io dico di me: fu suora, e le fu strappato dal capo il velo monacale così come avvenne per me (cioè con la violenza). Ma dopo che fu ricondotta tutta al mondo contro la su volontà e contro ogni norma morale e giuridica non abbandonò mai dentro di se il velo monacale. Questo è lo spirito luminoso della grande Costanza che dal secondo imperatore della casa di Svevia generò il terzo e ultimo rappresentante . ”. Così mi parlò, e poi incominciò a cantare “ Ave, Maria ”, e cantando si dileguò come (scompare) nelI’acqua profonda un oggetto pesante . I miei occhi, che la seguirono finché fu possibile, dopo che non la videro più, cercarono Beatrice, oggetto del loro desiderio dominante, e si volsero completamente verso di lei; ma ella risplendette davanti al mio sguardo di una luce così folgorante che dapprima la mia vista non riuscì a sopportarla; e ciò mi rese più timido ad interrogarla (intorno ad altri dubbi ).
Posto fra due cibi, ugualmente distanti e ugualmente allettanti, l’uomo dotato di libero arbitrio morirebbe di fame prima di portarne uno ai denti; allo stesso modo starebbe immobile un agnello tra due lupi affamati e feroci, temendo nella stessa misura l’uno e l’altro; Cosi se ne starebbe un cane tra due daini ( senza inseguirne alcuno): perciò, per il fatto che io tacessi, non mi biasimo, né mi vanto, perché non potevo farne a meno. essendo io premuto in ugual misura dai miei dubbi (e impedito di fare una libera scelta). lo me ne stavo zitto, ma il mio desiderio mi era dipinto in volto. e con il desiderio la domanda assai più efficace che non se l’avessi espressa esplicitamente . Beatrice agì con me come fece Daniele con Nabucodonosor, quando lo liberò dall’ira, che l’aveva reso ingiustamente crudele: e disse: “ lo vedo chiaramente come due dubbi (di ugual forza) ti stimolano a chiedere, in modo che la tua ansia ( di risolverli entrambi ) impaccia se stessa così che non riesce a manifestarsi. Tu ragioni così: “Se la buona volontà persevera nel proposito fatto, per quale motivo la violenza altrui (impedendomi di osservarlo) mi diminuisce la quantità del merito?” Ti dà motivo di ulteriore dubbio il fatto che le anime, secondo l’opinione di Platone, sembrano ritornare ( dopo la morte del corpo) nei cieli. Questi sono i dubbi che premono con uguale forza sulla tua volontà; e pertanto risponderò prima a quello che è più pericoloso Quello dei Serafini che sta più vicino a Dio, Mosè, Samuele, e quello dei due Giovanni che preferisci, e neppure, dico, la Vergine Maria, hanno la loro sede in un cielo diverso da quello dove risiedono questi spiriti che ti sono apparsi or ora, né è stato assegnato alla loro beatitudine un numero maggiore o minore di anni ; ma tutti quanti i beati adornano l’Empireo, il primo cielo, e godono della beatitudine in misura diversa secondo la loro capacità di sentire più o meno intensamente l’amore divino. ( Gli spiriti che hai visto ) ti apparvero nel cielo della Luna, non perché sia loro assegnata in sorte questa sfera, ma per darti un segno sensibile del loro grado di beatitudine che è 1’ultimo nel cielo Empireo. Con segni sensibili occorre parlare alla vostra intelligenza, perché solo dalla percezione sensibile essa apprende le immagini che poi trasforma in concetti. Per questo la Sacra Scrittura s’adatta alla vostra capacita, e attribuisce a Dio piedi e mani, intendendo alludere ad altro ( cioè agli attributi spirituali della divinità ); e la Santa Chiesa vi rappresenta con figura umana Gabriele e Michele, e l’altro arcangelo, Raffaele, che guari Tobia. Ciò che (Platone) dice nel Timeo intorno alla sorte delle anime non è conforme a ciò che si vede nel cielo della Luna, poiché pare che intenda proprio in senso letterale (quello che afferma). Platone sostiene che l’anima (dopo la morte ) ritorna alla sua stella, poiché crede che essa sia stata staccata da li quando la natura l’assegnò al corpo come principio informatore; ma forse la sua opinione è diversa da quello che significano, letteralmente, le sue parole, e può darsi che egli sostenga un principio che non meriti di essere deriso. Se egli intende far risalire a questi cieli il merito e il biasimo degli influssi buoni e cattivi sulle anime, forse il suo pensiero coglie in parte la verità. Questa dottrina degli influssi celesti, male intesa nel suo significato, un tempo fece errare quasi tutto il mondo, tanto che questo giunse a chiamare gli astri col nome di Giove, Mercurio e Marte. L’altro dubbio che ti turba è meno pericoloso, poiché l’errore che può derivare da esso non ti potrebbe allontanare da me (cioè dalla vera fede). Che la giustizia divina possa sembrare ingiusta agli occhi dei mortali, è motivo di fede e non di iniquo atteggiamento di eresia. Ma poiché il vostro intelletto può ben giungere a comprendere questa verità (sui voti inadempiuti), ti accontenterò, dandoti la spiegazione che tu desideri. Se si ha vera violenza solo quando chi la subisce non asseconda minimamente colui che la compie, queste anime non possono essere giustificate completamente a causa di tale violenza, perché, se non vuole, la volontà non si piega, ma si comporta come fa la natura nella fiamma ( che tende sempre ad andare verso l’alto), anche se una forza violenta cerca di piegarla verso il basso. Per cui, se la volontà cede, o di molto o di poco, asseconda la violenza; e così fecero queste anime ( cioè si piegarono alla violenza), mentre avrebbero potuto ritornare nel chiostro. Se la loro volontà fosse stata salda, come quella che tenne San Lorenzo immobile sulla graticola, e quella che rese Muzio Scevola inesorabile con la propria mano ( tenendola sul fuoco), certamente le avrebbe spinte a ripercorrere la strada dalla quale erano state sviate, non appena furono libere (dalla violenza materiale); ma una volontà così salda è molto rara. E da queste parole, se le hai assimilate dentro di te come devi, risulta annullato il tuo ragionamento che ti avrebbe procurato turbamento molte altre volte ancora. Ma ora ti si pone davanti alla mente un’altra difficoltà, tale, che con le tue sole forze non saresti in grado di superare: ti stancheresti prima. Io ti ho fatto capire come cosa certa che un anima beata non può mentire, poiché essa è sempre vicina a Dio, la verità suprema; e dopo questo hai potuto udire da Piccarda che Costanza mantenne salda la volontà di osservare il voto; cosi che sembra che le sue parole in questo punto siano in contraddizione con le mie. Fratello, è già accaduto molte volte che, per fuggire un danno, si sia fatto a malincuore qualche cosa che non si sarebbe dovuto fare; come Almeone, il quale, pregato di questo dal padre, uccise la propria madre, e così, per non mancare all’obbligo della pietà filiale (verso il padre), divenne spietato (verso la madre). Quando: si giunge a questo punto (cioè al punto di commettere il male per fuggire un altro male! voglio che tu comprenda che la violenza altrui si mescola alla volontà (di chi la subisce), e (così unite) fanno si che non si possano scusare (come involontarie) le offese a Dio. La volontà assoluta non acconsente al male; ma vi acconsente solo in quanto teme, se si trae indietro, di provocare un male peggiore. Perciò, quando Piccarda afferma quello, intende riferirsi alla volontà assoluta, e io invece all’altra; cosicché entrambe diciamo la verità ”. Questo fu lo svolgimento del santo discorso ( paragonato a un ruscello, rio) che uscì dalla sorgente (Dio) dalla quale deriva ogni verità; ed esso risolse entrambi i miei dubbi. Io poi dissi: “O amata da Dio, primo amore, o creatura divina, le cui parole mi attraversano e mi riscaldano con tale intensità, che mi vivificano sempre di più, il mio sentimento di gratitudine (per quanto grande) non può bastare a ringraziarvi del dono da voi ricevuto; ma Colui che tutto vede e tutto può vi ricompensi . Io ben comprendo che mai la nostra mente può saziarsi, se non è illuminata da quella verità al di fuori della quale non può esistere nessun altro vero. Appena ha raggiunto questa verità, la nostra mente si riposa in essa come la fiera (si riposa, sazia) nella sua tana; e la può raggiungere: altrimenti (se non), ogni nostro desiderio (di possedere la verità) sarebbe vano. Per questo desiderio il dubbio spunta ai piedi della verità, come un germoglio alla radice della pianta; ed e un impulso naturale quello che ci spinge a salire di colle in colle fino alla vetta suprema. Questo fatto (il dubbio come impulso per la conquista del vero ) mi invita, questo mi dà coraggio, o donna, a chiedervi umilmente la spiegazione di un’altra verità che mi è oscura. Desidero sapere se l’uomo può compensare al vostro cospetto i voti inadempiuti commutandoli con altre opere buone, tali che, pesate sulla bilancia della vostra giustizia, non sembrino piccole”. Beatrice mi guardò con gli occhi così divinamente pieni di sfavillante amore, che la mia facoltà visiva, vinta, dovette distogliersi da lei, e chinando i miei occhi quasi venni meno.
“Se io nell’ardore dell’amore divino risplendo ai tuoi occhi in modo superiore a quello che si può vedere (risplendere) sulla terra, tanto che la tua capacità visiva rimane sopraffatta, non meravigliarti, perché tale effetto proviene dalla perfezione della mia vista, la quale, quanto più percepisce la luce divina, tanto più si addentra nel bene percepito (ed è da questo illuminata). lo vedo chiaramente come nel tuo intelletto risplende già la luce della verità eterna, la quale, in chi la vede, accende essa sola è per sempre l’ amore di se; e se qualche altro bene terreno attrae il vostro desiderio, è solo perché in esso traspare una parvenza, mal compresa, della verità eterna. Tu desideri sapere se, in caso di voto inadempiuto, si può compensare (Dio) con altra opera meritoria, tale che metta l’animo al sicuro da ogni contrasto (con la giustizia divina). ”Con tali parole Beatrice cominciò a esporre l’argomento di questo canto; e come colui che non interrompe il suo discorso, ella continuò così il santo ( perché ispirato da Dio) ragionamento: “Il dono più grande che Dio, creando (gli uomini), abbia fatto per sua generosità e insieme quello più conforme alla sua bontà e quello che Egli stesso stima più di tutti (gli altri doni ), fu la libertà della volontà (il libero arbitrio); e di questo dono furono e sono dotate, tutte e soltanto loro, le creature intelligenti, Ora, se tu ragioni partendo da questa premessa, ti apparirà chiara la grande importanza del voto, purché sia tale che Dio accetti quando tu prometti, perché, nello stabilire (col voto) il patto tra Dio e l’uomo, si fa sacrificio di questo tesoro del libero volere, tesoro così prezioso come ti ho detto: e (questo sacrificio) si compie con un atto della volontà stessa. Dunque che cosa si può offrire a Dio in risarcimento (del voto non osservato) ? Se tu credi di poter usare ancora per uno scopo buono quella libertà che hai offerta (a Dio), pretendi di fare opere di bene con una cosa presa illecitamente ad altri. Tu ormai conosci con certezza il punto essenziale della questione; ma poiché la Santa Chiesa dispensa in materia di voto, la qual cosa sembra in contrasto con la verità che io ti ho esposto, devi ancora prestarmi un poco di attenzione, perché l’ardua dimostrazione che hai appresa, ha bisogno ancora di aiuto per essere assimilata. Apri la tua mente a quello che ti manifesto e fissalo bene nella memoria, perché l’aver capito, senza ricordare quello che si è compreso, non forma scienza. Due cose sono necessarie all’ essenza di questo sacrificio (a costituire l’essenza del voto): una è la materia del voto; l’altra è il patto tra Dio e l’uomo. Quest’ultimo elemento del voto non si annulla mai se non quando sia stato completamente adempiuto: e proprio riferendomi ad esso ho parlato prima in termini così assoluti: perciò agli Ebrei rimase sempre l’obbligo di fare offerte a Dio, anche se si poteva permutare la materia del voto, come devi sapere anche tu.L’altro elemento, che ti è stato dichiarato come materia del voto, può ben essere di natura tale, che non si pecca se viene commutato con un altro oggetto. Ma nessuno cambi di suo arbitrio il peso che si è posto sulle sue spalle, senza che girino e la chiave d’argento e quella d’oro;e giudica errata ogni commutazione, se la materia del voto abbandonato non è contenuta per entità nella cosa presa in cambio, come il quattro nel sei. Perciò quella materia di voto il cui valore sia di peso tale da far traboccare ogni bilancia (non potendo trovare il suo contrappeso ), non può essere compensata con alcun’altra offerta; Gli uomini non prendano il voto alla leggiera: siate fedeli (nell’osservare i voti) e nel farli non siate sconsiderati, come fu Jefte riguardo all’offerta (di sacrificare a Dio) la prima persona che gli fosse venuta incontro: a lui sarebbe stato più conveniente dire “Ho agito stoltamente (con questo voto)”, piuttosto che, osservandolo, commettere una empietà: e allo stesso modo puoi giudicare stolto Agamennone, il grande condottiero dei Greci, a causa del quale Ifigenia rimpianse la propria bellezza ( motivo del suo sacrificio), e fece piangere sulla sua sorte tutti gli uomini, gli stolti e i saggi, che udirono parlare di un atto di culto di questo genere. Ma voi, o cristiani, siate più ponderati nel far voti: non siate volubili come una piuma ad ogni soffio di vento, e non crediate che qualunque altra offerta sia come un’acqua che vi liberi (dal debito di un voto inadempiuto). Avete (come guida) i libri sacri del Nuovo e del Vecchio Testamento, e il pastore della Chiesa che vi conduce: questo vi deve bastare per la vostra salvezza eterna. Se una cattiva passione vi stimola a fare diversamente, siate uomini (padroni di voi stessi), e non pecore prive di discernimento, in modo che i Giudei che vivono in mezzo a voi non debbano ridere di voi. Non fate come l’ agnello che lascia il latte materno, e sconsiderato e irrequieto va giostrando con le corna da solo a suo capriccio! ” Beatrice mi parlò così come sto scrivendo; poi si rivolse vibrante di intenso desiderio verso quella parte dove il cielo è maggiormente ravvivato (dalla luce del sole). Il suo silenzio e la trasfigurazione del suo aspetto imposero silenzio al mio ingegno desideroso di sapere, che già aveva pronte nuove domande; e con la velocità di una freccia, che colpisce il bersaglio prima che la corda dell’arco abbia cessato di vibrare, salimmo al secondo cielo. Qui vidi la mia donna così raggiante di letizia, non appena entrò nella luce di quel cielo, che il pianeta (in cui eravamo giunti) divenne più luminoso. E se il pianeta (che è di natura immutabile) si trasfigurò e rise di letizia, come non divenni io che proprio per la mia natura umana sono soggetto ad ogni cambiamento! Come in una peschiera dall’acqua tranquilla e cristallina i: pesci accorrono verso ciò che viene gettato (in essa) dall’esterno perché lo credono cibo per loro, così io vidi più di mille anime luminose accorrere verso di noi, e dentro ciascuna si udiva dire: “ Ecco chi accrescerà il nostro spirito di amore (dandoci modo di illuminarlo con le nostre spiegazioni) ”. E via via che ciascun splendore si avvicinava a noi, si intravedeva l’ anima piena di letizia attraverso l’abbagliante fulgore che si irradiava da lei. Pensa, o lettore, come sentiresti angosciosamente la mancanza di una maggiore conoscenza (di ciò che rimane da raccontare), se la trattazione che qui comincia non dovesse continuare; e capirai da te stesso (senza bisogno che te lo spieghi) come io ardessi dal desiderio di sapere da costoro la loro condizione non appena li potei vedere. “ O spirito destinato alla salvezza, a cui la grazia divina concede di vedere i seggi dei beati nel trionfo dell’Empireo, prima di aver abbandonato la vita terrena, noi siamo accesi dalla luce dell’amore divino che si diffonde per tutto il cielo; e perciò, se desideri avere spiegazioni sul nostro conto, sarai appagato quanto desideri. ” Cosi mi fu detto da uno di quegli spiriti benevoli; e da Beatrice: “Parla, parla liberamente, e credi a loro come si crede ad esseri divinizzati ”. “ lo vedo chiaramente che tu sei chiusa come in un nido nel tuo splendore, e che lo effondi dagli occhi, perché esso lampeggia non appena tu sorridi; ma non so chi tu sia, né perché tu abbia, o anima degna, il grado di beatitudine proprio del cielo di Mercurio, che è velato ai nostri occhi dai raggi del sole. Questo dissi rivolto allo splendore luminoso che prima mi aveva parlato; per cui essa (per la gioia di poter esplicare il suo spirito di carità ) divenne assai più splendente di quanto non fosse precedentemente. Come il sole si nasconde (ai nostri sguardi) da solo per la sua luce eccessiva, non appena il calore ha sciolto i fitti vapori che ne temperavano la luce, nello stesso modo per la cresciuta letizia la figura dell’anima beata si nascose alla mia vista entro la sua luce abbagliante; e cosi tutta fasciata nel suo splendore mi rispose come verrà rivelato nel canto seguente.
“Dopo che l’imperatore Costantino portò l’insegna imperiale da occidente a oriente in senso contrario al moto naturale del cielo, il quale moto l’aveva accompagnata un tempo dietro ad Enea che sposò Lavinia, l’aquila fu trattenuta duecento anni e più nell’estremo lembo d’Europa, vicino ai monti dai quali era uscita la prima volta; e là, all’ombra delle sue sacre ali, governò il mondo passando da un imperatore all’altro, e, cosi mutando, arrivò in mano mia . Fui imperatore e sono Giustiniano, che, per impulso dello Spirito Santo del quale sento ora gli effetti, dal corpo delle leggi tolsi il superfluo e l’inutile. E prima di dedicarmi all’opera della riforma legislativa, credevo che in Cristo ci fosse una sola natura e non due, ed ero soddisfatto di questa fede; ma il santo Agapito, che fu sommo pastore della Chiesa, con le sue parole mi avviò alla vera fede. Io gli credetti; e ciò che allora era fondato solo sulla sua autorità, ora lo vedo con la stessa chiarezza con la quale tu vedi che di due proposizioni contraddittorie una è falsa e l’altra è vera. Appena cominciai a camminare in accordo con la Chiesa, Dio si compiacque per sua bontà d’ispirarmi il grande lavoro (della riforma legislativa), ed io mi consacrai tutto ad esso; e affidai le imprese militari al mio generale Belisario, al quale il favore del cielo fu cosi vicino, che per me fu segno che dovevo lasciare le opere belliche (per dedicarmi a quelle di pace). Qui ora termina la mia risposta alla tua prima domanda: ma la natura di tale risposta mi costringe a far seguire qualche aggiunta, perché tu veda quanto ingiustamente agisca contro l’aquila, la sacrosanta insegna dell’Impero, e chi si appropria di lei (come i Ghibellini) e chi a lei si oppone ( come i Guelfi ). Considera quante imprese valorose l’hanno fatta degna di venerazione; ed esse cominciarono allorché Pallante morì per acquistarle il regno. Tu sai come l’aquila fissò la sua sede in Albalonga per oltre trecento anni, fino al momento in cui i tre Orazi e i tre Curiazi combatterono ancora per il suo possesso. E conosci pure che cosa fece l’aquila sotto i sette re di Roma dal ratto delle Sabine al suicidio di Lucrezia, sottomettendo tuttt’intorno i popoli confinanti. Conosci quello che fece quando fu portata ( come insegna ) dai valorosi Romani contro Brenno, contro Pirro, contro gli altri principati e repubbliche, per cui Torquato e Quinzio che fu chiamato Cincinnato per la chioma arruffata, i Deci e i Fabi ebbero quella fama che io volentieri onoro. Furono vinti dall'aquila anche i Cartaginesi ( il termine Arabi indica qui i popoli dell'Africa settentrionale), che, sotto la guida di Annibale, osarono varcare le Alpi occidentali. L’ aquila atterrò l’orgoglio dei Cartaginesi che al comando di Annibale attraversarono le Alpi, dalle quali tu, o Po, discendi. Sotto il segno dell’aquila ancor giovani celebrarono il trionfo Scipione e Pompeo; e lo stesso segno parve amaro al colle di Fiesole, ai piedi del quale tu sei nato. Publio Cornelio Scipione l'Africano, dopo aver combattuto giovanissimo contro Annibale al Ticino e a Canne, ed aver conquistato la Spagna, ottenne a trentatré anni la grande vittoria di Zama contro Cartagine ( 202 a. C. ) . Poi, avvicinandosi il tempo in cui il cielo volle ricondurre tutto il mondo a una serenità simile alla propria, Cesare per volontà del popolo di Roma prese in mano l’insegna dell’aquila. E quello che l’aquila fece in Gallia dal fiume Varo fino al Reno, lo videro l’lsère e la Loira e lo vide la Senna e ogni valle delle cui acque è pieno il Rodano. Quella che essa fece dopo che con Cesare uscì da Ravenna e passò il Rubicone, fu un volo cosi rapido, che non potrebbe seguirlo né la lingua (per narrarlo) né la penna (per descriverlo). Condusse l’esercito prima verso la Spagna, poi verso Durazzo, e colpì cosi duramente Pompeo a Farsalo che se ne sentì il contraccolpo fino al caldo Nilo. L’aquila rivide la città di Antandro e il fiume Simoenta, da dove si era mossa con Enea e la tomba dove giace Ettore; e poi riprese il volo con danno di Tolomeo. Di là piombò come folgore su Giuba; di qui si volse verso il vostro occidente, dove sentiva la tromba di guerra dei pompeiani. Quello che l’aquila compi con Augusto, l’imperatore che successe a Cesare, l’attestano Bruto e Cassio nell’ inferno, e ne furono afflitte Modena e Perugia. Ne piange ancora la sciagurata Cleopatra, che, fuggendo davanti all’aquila, si procurò una morte repentina e atroce con un serpente velenoso. Con Augusto l’aquila volò fino ai lidi del Mar Rosso; con lui pose il mondo in uno stato di pace così sicura, che il tempio di Giano fu chiuso. Ma ciò che il segno dell’aquila, in nome del quale io parlo, aveva fatto prima e avrebbe fatto poi in favore della società temporale: che gli soggetta, appare una cosa di poco valore, se si guarda con l’occhio chiaro della fede e col cuore puro ciò che avvenne (quando esso era) in mano a Tiberio terzo Imperatore, poiché la divina giustizia che m’ispira, concesse all’aquila, in mano all’imperatore di cui sto parlando, la gloria di fare giusta vendetta della sua ira. Sotto Tiberio, successore di Augusto e terzo Cesare (dal 14 al 37 d. C. ), fu concesso al segno di Roma di placare, con una giusta punizione, l'ira divina causata dal peccato di Adamo. La punizione fu costituita dal sacrificio di Cristo, I'Uomo-Dio, che, raccogliendo in se il peccato di tutta l'umanità, lo espiò con la sua morte, offrendo soddisfazione alla giusta collera di Dio. Cristo venne crocifisso per sentenza di Pilato, Vicario di Tiberio in Palestina, cioè per un atto dell'impero romano. La legittimità e l'universalità dell'Impero furono così solennemente affermate: infatti, poiché tutto il genere umano doveva essere punito nella carne di Cristo"(Monarchia 11, XII 5), era necessario che l'autorità condannante fosse non solo legittima, ma anche universale (Monarchia 11, XII, 1-5). Ora qui meravigliati pure di quello che ti aggiungo: con Tito poi l’aquila corse a far giustizia della vendetta del peccato di Adamo. E quando gli avidi Longobardi attaccarono la Santa Chiesa, Carlo Magno la soccorse sotto l’insegna dell’aquila, vincendoli. Ormai sei in grado di giudicare quei tali (i Guelfi e i Ghibellini) che poco fa ho accusato e le loro aberrazioni, che sono la causa di tutte le vostre sventure. Il partito guelfo contrappone al simbolo universale dell’aquila i gigli d’oro, il partito ghibellino, invece, usurpa l’aquila come insegna di parte, tanto che e difficile distinguere chi sia maggiormente colpevole. I Ghibellini continuino pure la loro attività partigiana, ma sotto un’altra bandiera, poiché è indegno seguace dell’aquila chi la separa sistematicamente dalla giustizia; e questo giovane Carlo con i suoi Guelfi non cerchi di abbatterla, ma ne tema gli artigli che strapparono il pelo a sovrani ben più potenti di lui. Molte volte in passato i figli piansero per le colpe dei padri, e non pensi questo Carlo che Dio voglia sostituire l’insegna dell’aquila imperiale con i suoi gigli! Questo piccolo pianeta (Mercurio) si adorna di spiriti valenti che (nel mondo) sono stati attivi per conseguire onore e fama: e quando i desideri umani tendono a questo, deviando così dal vero fine (Dio), avviene necessariamente che i raggi del vero amore salgano con minore intensità verso l’alto. Ma fa parte della nostra felicità vedere commisurata l’entità dei nostri premi col nostro merito, proprio perché non li vediamo né minori né maggiori ‘del merito. Con questa corrispondenza la divina giustizia purifica i nostri sentimenti a tal punto, che questi non possono mai svolgersi verso il male. Come voci diverse formano un accordo armonioso, così diversi gradi di beatitudine nella nostra convivenza compongono una dolce armonia in questi cieli. E dentro questa gemma che è Mercurio, brilla l’anima luminosa di Romeo, la cui opera, grande e bella, fu mal compensata. Ma i Provenzali che lo calunniarono non ebbero da rallegrarsene in seguito; donde si vede che sbaglia strada chi (come l’invidioso) reputa danno proprio le buone opere altrui. Raimondo Berengario ebbe quattro figlie, e ciascuna di loro fu regina, e questo glielo procurò Romeo, uomo di umile origine e straniero. Le parole calunniose poi spinsero Raimondo a chiedere la resa dei conti a quest’uomo giusto, che gli restituì dodici per dieci. Dopo questo Romeo se ne partì povero e vecchio; e se il mondo sapesse la forza d’animo che egli ebbe nel mendicare a tozzo a tozzo il pane per vivere, sebbene lo lodi assai, lo loderebbe ancora di più.
Salve , o santo Dio degli eserciti, che rendi più luminosi con la tua luce i beati splendori di questi regni! ” Così, volgendosi al ritmo del suo canto mi parve che cantasse quell’anima, sulla quale si raccoglie una duplice luce: Beatrice non permise a lungo che io rimanessi in questo atteggiamento, e incominciò, illuminandomi di un sorriso tale, che renderebbe felice perfino chi si trovasse in mezzo alle fiamme: “ Secondo quello che io, senza possibilità d’errore, penso, ti rende perplesso il fatto che (come) una giusta vendetta abbia potuto meritare una giusta punizione; ma io libererò subito la tua mente (da questo dubbio); e tu ascolta, perché le mie parole ti faranno dono di una grande verità. Per non aver sopportato di porre alla propria volontà quel freno che tornava a suo vantaggio, Adamo l’uomo creato direttamente da Dio, condannando se stesso ( con il peccato originale),condannò tutta la sua discendenza, per cui la natura umana, malata spiritualmente, per molti secoli giacque immersa nel peccato, finché al Verbo di Dio piacque discendere nel grembo di Maria, dove congiunse alla propria natura divina, in unità di persona, la natura umana, che (con il peccato) si era allontanata dal suo Creatore e fece ciò solo per virtù ed opera dello Spirito Santo. Ora rivolgi la tua attenzione a quello che ti dimostrerò. La natura umana quando fu unita a Dio, com’era all’atto della creazione, fu senza la macchia del peccato originale e buona; ma, staccatasi per sua colpa da Lui, fu cacciata dal paradiso terrestre, perché si era allontanata dalla verità e da ciò che costituiva la sua vera vita ( cioè da Dio). Perciò se si valuta la pena della croce in rapporto alla natura umana assunta da Cristo, nessuna pena colpì mai con altrettanta giustizia; se ( invece ) si considera la persona che la patì, nella quale questa natura umana si era congiunta (alla natura divina), nessuna pena fu mai così ingiusta . Perciò da un medesimo atto ( la crocifissione ) derivarono effetti diversi, poiché la morte di Cristo piacque a Dio e ai Giudei; per questa morte la terra tremò e il cielo si aperse. (Dopo quello che ti ho detto) ormai non ti deve più sembrare difficile da capire, quando si afferma che una giusta punizione fu poi punita dal tribunale della giustizia divina. Ma ora vedo che la tua mente, passando da un pensiero all’ altro, è rima, sta chiusa dentro un dubbio, dal quale aspetta ansiosamente di essere liberata. Tu pensi: “Capisco chiaramente ciò che ho udito; ma mi rimane incomprensibile perché Dio, per redimerci, abbia scelto proprio questo modo (la passione di Cristo)”. Questa decisione, fratello, è nascosta agli occhi di coloro il cui intelletto non è stato cresciuto e nutrito dalla fiamma dell’amore di Dio ( perché solo essa può avvicinare l’uomo al mistero divino che è mistero d’amore). Tuttavia, poiché intorno a questo problema molto ha cercato la mente umana, ma poco è riuscita a capire, ti spiegherò perché questo modo ( quello, cioè, della passione di Cristo) è stato ritenuto da Dio il più adatto ( per punire e nello stesso tempo salvare gli uomini ). La divina bontà, che respinge lontano da se ogni sentimento contrario all’amore, ardendo in se stessa (del fuoco della carità), lo irradia intorno a se in modo da diffondere (su tutte le creature) le sue eterne bellezze. Ciò che deriva direttamente da Dio è eterno, perché rimane indelebile l’impronta divina quando è suggellata (sulle creature). . Ciò che discende direttamente da Lui è perfettamente libero, perché non è soggetto all’influsso dei cieli. (Ciò che è creato direttamente da Dio, essendo dotato di incorruttibilità e di eternità) è più conforme a Lui, e perciò gli è più gradito poiché lo splendore divino che irraggia ogni cosa, risplende più intensamente in quella che più gli assomiglia. Di tutte queste doti ( immortalità, libertà, somiglianza a Dio ) si avvantaggia (sulle altre cose create) l’uomo; e se una sola di queste sue proprietà gli viene a mancare, egli necessariamente decade dalla sua condizione di privilegio e di perfezione. Solo il peccato però lo priva di questa libertà (facendolo schivo delle passioni), e lo rende dissimile da Dio; per la qual cosa egli poi si illumina della luce divina, e non ritorna più nella sua dignità originaria, se non riempie il vuoto prodotto dalla colpa nell’anima con un’adeguata espiazione che si contrapponga al cattivo diletto (sperimentato nell’atto di peccare). La natura umana, quando peccò tutta nel suo progenitore, fu privata di questi doni che costituivano la sua dignità, così come venne privata del paradiso terrestre; né essi, se tu esamini con la necessaria sottigliezza, si potevano recuperare in altro modo senza passare per una di queste due vie; o che Dio perdonasse solo per un atto di misericordia, o che l’uomo da se stesso riparasse al suo folle errore. Volgi ora attentamente lo sguardo nell’infinita profondità delle decisioni divine, tenendoti stretto, quanto più puoi, al mio ragionamento. L’uomo, chiuso nei limiti di essere finito, non avrebbe mai potuto offrire adeguata riparazione al suo peccato, perché, ritornando all’ubbidienza, non poteva umiliarsi dopo la colpa originale tanto quanto aveva voluto innalzarsi allorché aveva disubbidito a Dio; e questo è il motivo per cui l’uomo fu escluso dalla possibilità di riparare da solo al suo peccato. Perciò era necessario che Dio reintegrasse l’uomo nella pienezza del suo stato primitivo per mezzo della misericordia o della giustizia, usando una delle due oppure entrambe. Ma poiché ogni opera è tanto più gradita a colui che la compie, quanto più dimostra la bontà dell’animo da cui è nata, la divina carità, che imprime il suo suggello sull’universo, si compiacque, per risollevarvi dal peccato, di procedere per entrambe le vie. Tra il primo giorno (quello della creazione) e l’ultima notte (quella del Giudizio Universale ) non ci fu né ci sarà mai un’azione così alta e magnifica, compiuta secondo misericordia o secondo giustizia: perché Dio si mostrò più generoso nell’offrire se stesso per rendere l’uomo capace di risollevarsi, che non se Egli avesse perdonato il peccato solo per un atto della sua misericordia; e tutti gli altri modi ( di redenzione ) sarebbero stati inadeguati a soddisfare la giustizia divina, se il Figlio di Dio non si fosse abbassato ad assumere la natura umana. Ora per appagare completamente ogni tuo desiderio (di sapere), torno indietro a chiarirti un punto del mio ragionamento, affinché, riguardo ad esso, tu possa comprendere la verità come la comprendo io. Tu ti chiedi: “Vedo che l’acqua, il fuoco, l’aria e la terra e tutti i corpi composti dalla varia unione di questi elementi sono soggetti a corruzione, e hanno una breve vita; eppure anche queste cose sono state create da Dio, per cui, se ciò che è stato detto (cfr. verso 68) è vero, esse dovrebbero essere immuni da corruzione”. Fratello, gli angeli e i cieli, la regione pura nella quale tu ti trovi, possono dirsi, e tali sono veramente, creati da Dio nella pienezza del loro essere; ma gli elementi che tu hai nominato e quelle cose che sono costituite dal loro vario comporsi prendono la loro forma da una causa seconda. La materia prima di questi elementi fu creata direttamente da Dio; creato direttamente fu anche il principio informatore in questi cieli che ruotano intorno a quegli elementi e ai loro composti, La luce e il moto dei cieli estraggono l’anima sensitiva degli animali e quella vegetativa delle piante dalla materia che in potenza è disposta a ciò; ma la somma bontà di Dio infonde direttamente nell’uomo l’anima intellettiva, e la fa innamorare di se in modo che poi senta sempre il desiderio del suo Creatore. E dal fatto che ciò che è creato direttamente da Dio non è soggetto a corruzione puoi dedurre anche la verità della risurrezione dei corpi, se tu consideri come si fece il corpo umano.
I popoli pagani con loro danno ritenevano che il bel pianeta Venere diffondesse con i suoi raggi l’amore sensuale, volgendosi nel terzo epiciclo; per la qual cosa le genti antiche, chiuse nell’errore del paganesimo, non solo adoravano la dea Venere con sacrifici e con invocazioni accompagnate da voti, ma rendevano onore anche a Diana e Cupido, a quella come madre di Venere, a questo come figlio; e raccontavano che Cupido si era seduto in grembo a Didone; e da Venere, dal nome della quale inizio questo canto, trae il nome la stella che il sole contempla come un innamorato ora mentre essa si trova alle sue spalle, ora mentre si trova davanti a lui. lo non mi accorsi di salire in esso; ma mi resi conto di esservi giunto quando vidi la mia donna farsi più bella. E come nella fiamma si vede la scintilla, e come in due voci (che, cantando insieme, sembrano una sola) si distingue l’altra voce, se una sta ferma su una nota e la seconda si alza e si ad bassa, così nella luce del pianeta Venere scorsi altre luci muoversi in giro più o meno veloci, in proporzione, credo, alla maggiore o minore intensità della loro visione di Dio. Da una fredda nube non discesero mai venti, visibili o no, tanto veloci, che non apparissero ritardati (nel loro procedere) e lenti a chi avesse veduto quelle luci divine affrettarsi verso di noi interrompendo la danza circolare prima iniziata nel cielo degli alti Serafini; e all’ interno di quelle luci che apparvero davanti alle altre risuonava la parola “ Osanna ” con tanta dolcezza, che mai poi rimasi senza il desiderio di riudire quel canto. Poi una di queste si avvicinò di più a noi ed essa sola cominciò a parlare: “ Tutti siamo pronti a soddisfare ogni tuo desiderio, affinché tu tragga da noi motivo di gioia. Noi ci muoviamo con il coro angelico dei Principati nello stesso cerchio e con lo stesso movimento eterno e con lo stesso desiderio di Dio; ad essi tu un tempo, quando eri nel mondo, ti rivolgesti con questa canzone: “ Voi che ‘stendendo il terzo ciel movete”; e siamo così pieni d’amore, che, per compiacerti, non ci sarà meno dolce (rispetto alla danza e al canto) fermarci un poco (con te)”. Dopo che i miei occhi si furono rivolti a Beatrice per chiedere umilmente il permesso di parlare, ed ella li rese paghi e certi del suo consenso, ritornarono allo spirito che con tanta generosità si era offerto (di soddisfare ogni mio desiderio ), e le mie parole, pronunciate con tono di profondo affetto, furono: “Deh, chi siete?” Come lo vidi farsi più grande in ampiezza e fulgore per il nuovo gaudio che, quando gli rivolsi la parola, si aggiunse a quello che già provava come anima beata! Diventato più luminoso, mi disse: “ Il mondo mi ebbe poco tempo con se; e se fossi vissuto di più, si sarebbe evitato molto male, che invece avverrà. La letizia, che si diffonde intorno a me e mi ricopre come fossi un baco fasciato dal suo bozzolo, mi nasconde ai tuoi occhi. Assai mi amasti, e ben ne avesti ragione, perché se io fossi rimasto (più a lungo) in terra, ti avrei mostrato molto più che le fronde del mio affetto (offrendoti anche i suoi frutti ) . Mi aspettavano come loro signore a tempo debito ( dopo la morte di mio padre) la Provenza, che si stende lungo la riva sinistra del Rodano a sud del luogo in cui esso riceve le acque del Sorga, e quella parte d’Italia fatta a modo di corno che protende i suoi borghi di Bari, Gaeta e Catona a partire dal punto nel quale il Tronto e il Verde sfociano in mare. Mi risplendeva già sulla fronte la corona d’Ungheria, la terra che il Danubio bagna dopo essere uscito dal territorio germanico. E la bella Sicilia, che si vela di caligine nel tratto di costa fra il capo Passaro e il capo Faro presso il golfo di Catania, che è investito dallo scirocco più che da altri venti, non per colpa di Tifeo ma per le emanazioni sulfuree del terreno, avrebbe tuttora atteso i suoi re legittimi, che sarebbero discesi attraverso me da Cario e da Rodolfo, se il malgoverno, che sempre rattrista i popoli soggetti, non avesse mosso la popolazione di Palermo a ribellarsi al grido: “Morte, morte ( ai Francesi ) !” E se mio fratello prevedesse le conseguenze del malgoverno, già allontanerebbe da se l’avida povertà dei Catalani, perché non gli potessero nuocere; poiché bisogna veramente che da parte sua, o da parte altrui, si provveda affinché il suo regno già gravato (dalla sua cupidigia) non venga oppresso da nuovi pesi. La sua indole, che derivo avara da antenati liberali e generosi, avrebbe bisogno di funzionari tali che non si preoccupassero soltanto di riempire le loro borse ”. “ Poiché io credo che la profonda gioia che mi danno le tue parole, o mio signore, in Dio, principio e termine di ogni bene, tu la veda con la stessa chiarezza con la quale io la sento in me, tale gioia mi è più gradita; e mi è cara anche per un altro motivo, perché tu la vedi guardando direttamente in Dio (cosi come fanno tutti i beati). Mi hai reso felice, ma ora chiarisci un mio dubbio, poiché, con le tue parole, mi hai spinto a chiedermi in che modo da un seme dolce possa derivare un frutto amaro (cioè: in che modo possano discendere da una nobile stirpe rappresentanti degeneri). ” Io gli dissi queste cose; ed egli mi rispose: “ Se riuscirò a dimostrarti una verità fondamentale, tu potrai volgere gli occhi all’oggetto della tua domanda così come ora gli volgi le spalle (cioè: capirai il problema del quale, per il momento, non riesci a renderti conto). Dio, il Bene che muove e rende lieti i cieli attraverso i quali tu sali, fa si che la sua provvidenza diventi, in questi grandi corpi celesti, virtù ( capace di influire sul mondo sottostante ). Nella mente divina, di per se perfetta, non solo si provvede all’esistenza delle molteplici nature terrene, ma anche a quanto è loro utile: per tale motivo tutto ciò che è generato dall’influenza dei cieli è disposto secondo un fine prestabilito da Dio, come una freccia lanciata verso il suo bersaglio. Se così non fosse, i cieli che tu attraversi produrrebbero effetti tali, che non sarebbero opere ordinate e razionali, ma disordine e distruzione; tuttavia ciò e impossibile, se le intelligenze motrici di questi cieli non sono difettose, e se non è difettoso il primo intelletto ( Dio ), che, in questo caso, non le avrebbe create perfette. Vuoi che ti illumini maggiormente questa verità che ti ho enunciata? ” Ed io: “ No certamente, perché so che è impossibile che la natura venga meno al fine che si è prefissa”. Perciò egli rispose: “ Ora dimmi: sarebbe peggio per l’uomo sulla terra, se non vivesse in convivenza con gli altri? “ Sì ” risposi, “ e di questa verità non chiedo dimostrazione”. “ E potrebbe l’uomo essere cittadino (cioè far parte di un’organizzazione civile), se ciascuno nel mondo non vivesse in condizione diversa (rispetto a quella degli altri ), esercitando funzioni diverse? No certo, se Aristotile, il vostro maestro, vi insegna esattamente. ” Cosi venne svolgendo le sue deduzioni fino a questo punto poi concluse: “ Dunque (se gli uomini devono assumersi compiti differenti) è necessario che ( in ciascuno di voi ) siano diverse le attitudini dalle quali siete indotti a compiere uffici diversi: per la qual cosa uno nasce (con l’attitudine del legislatore, come) Solone, e un altro ( con quella del condottiero, come) Serse, uno (con la vocazione del sacerdote, come) Melchisedech e un altro (con quella dell’arte, come) Dedalo, l’artefice che, volando nell’aria, perse il figlio. Con il loro movimento circolare i cieli , che imprimono nelle creature il suggello della loro influenza, svolgono saggiamente la loro opera (distribuendo fra gli uomini attitudini diverse), ma (nel fare ciò) non distinguono tra casa e casa, tra famiglia e famiglia. Di qui accade che Esaù si differenzia da Giacobbe già al momento del concepimento, e che Romolo discende da un padre di così umile condizione, che se ne attribuisce la paternità a Marte. La natura dei figli sarebbe sempre simile a quella dei padri, se la provvidenza divina (per mezzo delle influenze celesti) non vincesse (la naturale tendenza per cui il figlio assomiglia al padre). Ora la verità che tu non vedevi ti è davanti agli occhi: ma affinché sappia che mi è dolce intrattenermi con te, voglio aggiungerti un corollario. Sempre la disposizione naturale, se trova discordanti da se le condizioni esterne, fa cattiva prova, come ogni seme che venga gettato in un terreno non adatto. E se il mondo laggiù tenesse conto delle inclinazioni poste dalla natura in ciascuno e le seguisse, avrebbe sempre gente valente (adatta, cioè, ad eseguire i compiti affidati dalle influenze celesti ). Ma voi costringete alla vita religiosa chi è nato per la vita militare, ed eleggete re chi è adatto a far prediche: per questo il vostro cammino è fuori della retta via ”.
O bella Clemenza, dopo che il tuo Carlo mi ebbe chiarito (il dubbio manifestatogli), mi predisse le ingiustizie che avrebbero subito i suoi figli; ma soggiunse: “ Taci, e lascia che passino gli anni ”; così che io non posso dire se non che ai torti da voi subiti seguirà un giusto castigo. E già l’anima di quella santa luce si era rivolta a Dio che la appaga pienamente, poiché Dio è il bene capace di soddisfare ogni desiderio. Ahi anime ingannate (dai beni mondani) e creature empie, che distogliete i vostri cuori da un bene siffatto, rivolgendo le vostre menti a cose vane! Ed ecco un’altra di quelle anime luminose si avvicinò a me, manifestando il desiderio di compiacermi col diventare più luminosa esternamente, Gli occhi di Beatrice, che erano fissi sopra di me, come già prima, mi fecero certo del suo gradito consenso al mio desiderio (di parlare). Dissi: “ Deh, spirito beato, soddisfa subito il mio desiderio, e dammi la prova che io posso riflettere in te (come in uno specchio) il mio intimo pensiero (senza esprimerlo)! ” Perciò quella luce che m’era ancora sconosciuta, dall’interno del suo splendore, da dove prima traeva la voce per cantare, continuò con lo stesso atteggiamento di colui al quale piace fare del bene (agli altri); “ In quella parte della corrotta terra italica situata tra l’isola di Rialto e le sorgenti del Brenta e del Piave, sorge, ma non è molto alto, un colle, dal quale un tempo scese una fiamma di guerra che causò gravi danni alla regione. Io ed Ezzelino nascemmo dagli stessi genitori : fui chiamata Cunizza, e risplendo nella sfera di Venere perché (in vita) fui dominata dall’influsso di questo pianeta; ma ora con gioia perdono a me stessa l’inclinazione amorosa che mi ha fatto assegnare a questo cielo, e non me ne affliggo; il che ai comuni mortali sembrerà forse arduo a comprendersi. (Sulla terra) è rimasta grande fama di questo spirito che più degli altri mi è vicino, e che rappresenta una luminosa e preziosa perla del nostro cielo e prima che la sua fama si spenga, questo centesimo anno ( che chiude il secolo) si ripeterà ancora per cinque volte; vedi dunque che l’uomo deve cercare di diventare famoso (per opere virtuose), in modo che la vita mortale lasci dietro di se un’altra vita (quella della buona fama). E a questa conquista della giusta gloria non pensa la turba che vive oggi nel territorio compreso tra il Tagliamento e l’Adige e neppure si pente per quanto colpita da castighi; ma presto accadrà che i Padovani faranno cambiare (col loro sangue ) il colore all’acqua delle paludi formate dal Bacchiglione che bagna Vicenza, essendo gente restia a compiere il loro dovere (verso l’Impero). E a Treviso, dove si congiungono le acque del Sile e del Cagnano, Rizzardo da Camino tiranneggia e procede superbo, mentre già si sta apprestando la rete per farlo cadere.Anche Feltre piangerà per la colpa del suo empio vescovo, la quale sarà così turpe, che mai per un delitto simile alcun condannato entrò in Malta. Troppo grande dovrebbe essere la bigoncia per contenere il sangue dei Ferraresi, e si stancherebbe chi volesse pesarlo a oncia a oncia, sangue che questo prete generoso (verso i Guelfi) donerà per mostrarsi fedele al suo partito; e simili doni saranno conformi al costume diffuso in questa regione. Lassù (nell’Empireo) ci sono intelligenze angeliche che voi chiamate Troni, dalle quali come da specchi è riflessa su di noi la luce della giustizia divina: sì che questi discorsi (pur nella loro durezza) ci appaiono giusti (perché ispirati da Dio stesso). ” Qui Cunizza tacque; e mi mostrò d’aver rivolto la sua attenzione ad altro, per il fatto di essere ritornata alla danza circolare come faceva prima di parlarmi. L’altro spirito gioioso, che mi era già noto come una perla preziosa, si offerse alla mia vista come un fine rubino balascio in cui il sole rifletta i suoi raggi. Nel paradiso per manifestare la letizia si accresce lo splendore, come in terra si accresce il sorriso; ma in terra (poiché non c’è sempre gioia, ma anche dolore) l’immagine esteriore si rabbuia, in proporzione alla tristezza dell’animo. Io dissi: “ O spirito beato, Dio vede ogni cosa, e la tua conoscenza penetra in lui, in modo che nessun desiderio può rimanere nascosto a te. Dunque la tua voce, che sempre rallegra il cielo insieme al canto dei Serafini, gli angeli che s’ammantano di sei ali. perché non soddisfa i miei desideri (con una risposta)? Se io mi immedesimassi nei tuoi pensieri, come tu ti immedesimi nei miei, già non attenderei la tua domanda ”. Allora così incominciarono le sue parole: “ Il Mare Mediterraneo, il bacino più grande in cui si riversi l’acqua dell’oceano che circonda la terra emersa, tra le sponde opposte (d’Europa e di Africa), tanto si distende da occidente verso oriente, che (all’estremità orientale: a Gerusalemme) fa da meridiano là dove prima (all’estremità occidentale: alle colonne di Ercole) si suole vedere come orizzonte. Io vissi sulla riva di quel mare compreso tra le foci dell’Ebro ( in Spagna ) e quelle della Magra, che per un breve tratto fa da confine tra la Liguria e la Toscana. Avendo quasi in comune il tramonto e il sorgere del sole giacciono (sullo stesso meridiano) Bugia e la città dove sono nato Marsiglia, la quale un tempo riscaldò le acque del suo mare con il sangue dei propri cittadini. Quella gente alla quale fu noto il mio nome mi chiamo Folco, e il cielo di Venere è ora segnato dalla mia luce, come io sulla terra fui segnato dal suo influsso amoroso. poiché Didone, la figlia di Belo, non arse di maggior passione (verso Enea), recando oltraggio a Sicheo e a Creusa, di quanto non ardessi io, finché si convenne alla mia età giovanile; né più di me arse di passione la rodopea Fillide che fu abbandonata da Demofoonte, né Ercole quando il suo cuore fu preso da amore per Iole. In paradiso non proviamo pentimento per queste cose, ma si gioisce, non per la colpa commessa, che non torna più in mente, bensì per la virtù divina che ha disposto ( l’influsso di questo cielo su di noi) e ha provveduto (alla nostra salvezza eterna ). Qui si contempla l’arte divina che produce opere così mirabili, e si comprende chiaramente il fine benefico per cui i cieli modellano la terra con i loro influssi. Ma affinché tutti i desideri che sono sorti in te in questo cielo siano interamente appagati, devo procedere ancora oltre (col mio discorso). Tu desideri sapere chi è lo spirito nascosto in questa luce che qui accanto a me risplende con lo stesso scintillio di un raggio di sole in uno specchio d’acqua pura. Ora sappi che là dentro gode la sua pace eterna Raab; e poiché ella è unita alla nostra schiera di spiriti amanti, questa schiera riceve in sommo grado l’impronta della sua luce. Raab fu accolta dal cielo di Venere, in cui termina il cono d’ombra proiettato dalla terra, prima di qualsiasi altra anima redenta dal trionfo di Cristo. Ben fu giusto che Cristo la accogliesse in uno di questi cieli come segno della grande vittoria (sull’inferno) che Egli consegui con la sua crocifissione, perché ella favorì la prima delle imprese gloriose di Giosuè nella Terrasanta, la quale poco torna alla memoria del pontefice. Firenze, la tua città natale, che ( per i suoi vizi) è pianta nata dal seme di Lucifero, colui che per primo si ribellò al suo Creatore e la cui invidia ( verso il genere umano) fu causa di tanto pianto (perché per invidia Lucifero indusse i progenitori al peccato), conia e diffonde il maledetto fiorino che ha messo fuori strada il gregge dei cristiani, poiché ha trasformato i pastori in lupi. Per questo sono lasciati in disparte gli insegnamenti del Vangelo e dei grandi Padri della Chiesa, e si attende solo allo studio delle Decretali, come appare dai margini (annotati e consunti dei libri che le contengono ). Al fiorino e alle Decretali attendono il papa e i cardinali: i loro pensieri non vanno a Nazareth, là dove l’Arcangelo Gabriele diresse il suo volo ( per annunciare a Maria la divina maternità ) . Ma il colle Vaticano e gli altri luoghi insigni di Roma, che furono la tomba dell’esercito dei martiri seguaci di Pietro, saranno presto liberati da questa profanazione ”.
Dio Padre, potenza prima ed inesprimibile, contemplando il Figlio (la Sapienza) con lo Spirito Santo ( l’Amore ) che Padre e Figlio spirano eternamente, creò con ordine così perfetto tutto ciò che prende vita nella mente (le cose spirituali) e nello spazio ( le cose materiali ), che chi contempla l’opera del creato non può fare a meno di godere di questa potenza ordinatrice. Alza dunque con me, o lettore lo sguardo ai cieli ruotanti, precisamente quel punto dove il moto diurno di tutti i corpi celesti si incontra col moto annuo dei pianeti; e da quel punto comincia a contemplare con amore l’opera di quell’Artefice che nella sua mente l’ama a tal punto da non distaccare mai l’occhio (della sua provvidenza) da essa. Vedi come da quel punto si distacca il cerchio obliquo (dello zodiaco) nel quale si muovono i pianeti, per soddisfare le esigenze della terra che ha bisogno di essi e delle loro influenze. E se la strada percorsa dai pianeti (lo zodiaco) non fosse obliqua, molta della virtù attiva dei cieli resterebbe inutile, e quaggiù sulla terra sarebbe spenta quasi ogni potenzialità di vita; e se l’inclinazione dello zodiaco rispetto all’equatore fosse maggiore o minore, ne deriverebbe una grave imperfezione all’ordine terrestre nell’emisfero australe e in quello boreale. Ora, o lettore, resta pure seduto sul tuo banco, a meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un assaggio, se vuoi provare la gioia (della scienza) che non lascia avvertire la stanchezza. Ti ho messo in tavola il cibo: ormai puoi servirti da solo, perché l’argomento di cui ho incominciato a scrivere concentra su di se tutta la mia attenzione. Il sole, il più importante ministro esistente nel creato, il quale più degli altri astri imprime nel mondo le virtù degli influssi celesti e con la sua lúue ci dà la misura del ‘tempo, trovandosi in congiunzione con quel punto che ho prima ricordato, girava per le spirali ascendenti dello zodiaco nelle quali sorge ogni giorno più presto ; ed io mi trovavo nel cielo del Sole ; ma non mi ero accorto del mio salire, allo stesso modo in cui l’uomo non s’accorge del sopraggiungere di un pensiero prima del suo manifestarsi alla coscienza. E’ Beatrice colei che in tal modo guida da un cielo inferiore ad un altro superiore con tanta rapidità, che la durata dell’atto non si estende in uno spazio di tempo percettibile. Quanto dovevano essere luminose per se stesse che erano nel cielo del Sole dove io entrai, visibili non per il colore diverso, ma per la luce più intensa (che irradiavano)! Per quanto io chiamassi in aiuto tutto il mio ingegno e l’arte e l’esperienza non riuscirei mai a trovare un’espressione tanto efficace, da far immaginare (quello che vidi); ma si può credere (alle mie parole) e intanto si può desiderare di vederlo (in cielo). E non c’è da stupirsi se la nostra facoltà immaginativa è insufficiente a rappresentare una così intensa luminosità, perché non vi fu mai alcun occhio mortale che potesse vedere una luce superiore a quella del sole. Così era qui la quarta schiera delle anime elette dall’eccelso Padre, che continuamente le appaga, rivelando come genera il Figlio e come lo Spirito Santo spira (da Lui e dal Figlio). E Beatrice cominciò a dire: “ Ringrazia, ringrazia Dio, il sole degli angeli, perché per sua grazia ti ha elevato a questo sole percepibile coi sensi”. Non ci fu mai cuore di uomo mortale così disposto alla devozione e tanto pronto a volgersi a Dio con tutta la sua gratitudine, quale divenne il mio a quelle parole; e tutto il mio amore si concentrò in Lui a tal punto, che cancellò dalla mia memoria Beatrice. A lei non dispiacque; anzi ne fu così lieta, che il fulgore dei suoi occhi sorridenti distrasse la mia mente concentrata in Dio dividendola tra due oggetti (in più cose: fra Dio e Beatrice). Io vidi numerosi splendori, tanto vivi da vincere (la luce del sole ) disporsi in corona attorno a noi, ed erano più dolci nel loro canto di quanto non fossero luminosi nel loro aspetto: così vediamo talvolta la luna ( identificata nella mitologia classica con la dea Diana, figlia di Latona e di Giove) cingersi di un alone, quando l’aria è così satura di vapori, che trattiene in se il raggio lunare che forma la cintura luminosa. Nella corte celeste, dalla quale io sono tornato, ci sono molte gemme così preziose e belle che non è possibile portarle fuori di quel regno (e descriverle); e il canto di quegli spiriti splendenti era una di quelle gemme: chi non mette le ali in modo da poter volare fin lassù, è come se attendesse notizie di quei luoghi da un muto. Dopo che, cantando in modo cosi dolce, quelle luci ardenti ebbero fatto tre giri intorno a noi, muovendosi lentamente come stelle che ruotano vicine ai poli fissi (del cielo), esse mi apparvero come donne che, senza interrompere le movenze della danza, si arrestino in silenzio, rimanendo in ascolto finché non abbiano percepito le nuove note musicali (che annunciano un nuovo giro di danza); e dentro ad una di queste luci udii dire: “ Poiché il raggio della grazia divina, da cui è acceso in noi l’amore del vero bene (Dio) e che poi in virtù di questo amore cresce sempre più, risplende in te così moltiplicato, che ti conduce su per la scala dei cieli, per la quale nessuno può discendere senza che poi possa risalire, chi ti rifiutasse il vino della sua ampolla per soddisfare la tua sete (di sapere ), non godrebbe della libertà (che distingue i beati), proprio come un corso d’ acqua che non va a gettarsi in mare ( perché impedito da qualche ostacolo). Tu vuoi sapere di quali anime si adorna questa corona che, standole intorno, contempla con amore Beatrice, la bella donna che ti dà la virtù necessaria per salire al cielo. Io fui uno degli agnelli del santo gregge che Domenico guida per un cammino dove ci si può arricchire spiritualmente se non si inseguono cose vane. Questo che a destra mi è più vicino, mi fu fratello e maestro, ed è Alberto di Colonia, ed io sono Tommaso d’Aquino. Se vuoi parimenti essere informato su tutti gli altri spiriti, segui il mio discorso con lo sguardo girando gli occhi sulla ghirlanda di questi beati. Quell’altra fiamma è l’espressione della felicità di Graziano, il quale giovò al tribunale civile e a quello ecclesiastico, tanto che la sua opera è gradita a Dio. L’altro che vicino a Graziano adorna il nostro coro, fu quel Pietro che offrì il tesoro della sua sapienza alla Santa Chiesa come la poverella ( del Vangelo) . Il quinto spirito, che è il più splendente tra noi, nelle sue opere spira tale amore, che tutto il mondo laggiù sulla terra brama sapere (se sia salvo o dannato): in questa luce intelligenza di Salomone, nella quale venne infusa una sapienza così profonda, che, se la Sacra Scrittura è verace, non nacque mai un uomo dotato di così grande scienza. Vicino a lui vedi la luce di quel luminare che sulla terra, durante la vita mortale, trattò più a fondo di tutti la natura e l’ufficio degli angeli. Nell’altra luce più piccola sorride quel difensore del Cristianesimo dei cui discorsi si giovò Sant’Agostino. Ora se muovi l’attenzione della mente da una luce all’altra seguendo l’ordine dei miei elogi, già ti fermi con il desiderio di sapere chi sia l’ottava. Dentro è beata perché vede Dio, sintesi d’ogni bene, l’anima santa di Boezio, la quale a chi ben medita le sue opere manifesta la vanità dei beni mondani: il corpo dal quale fu cacciata (con violenza) è sepolto giù in terra nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro; ed essa giunse nella nostra pace celeste dopo il martirio e l’esilio terreno. Dopo Boezio vedi come fiammeggiano le anime ardenti di Isidoro, di Beda e di Riccardo, che nella scienza della contemplazione fu dotato di intelligenza superiore a quella di un uomo. Questi per cui il tuo sguardo ritorna a me, è la luce di uno spirito al quale, vivendo immerso in angosciosi pensieri, parve di arrivare troppo tardi alla morte: è la luce inestinguibile di Sigieri, il quale insegnando (a Parigi) in via della Paglia, espose con sillogismi verità che gli procurarono l’invidia degli avversari ”. Poi, come un orologio a sveglia che ci chiami nell’ora in cui la Chiesa sorge a cantare le lodi del mattino al suo Sposo perché continui ad amarla, orologio nel quale una parte del congegno tira e spinge producendo un tintinnio con melodia così dolce, che riempie d’amor di Dio l’anima fervorosa, allo stesso modo (in cui si muove questo orologio) vidi la gloriosa corona dei beati muoversi danzando e accordare una voce all’altra con una modulazione e una dolcezza tali che non possono essere conosciute se non in paradiso, là dove la gioia (che ispira questo canto) dura in eterno.
O stolta preoccupazione dei mortali, quanto sono erronei quei ragionamenti che vi fanno volgere alle cose terrene! Chi se ne andava dietro alla giurisprudenza, e chi dietro alla medicina, e chi inseguiva i benefici ecclesiastici, e chi cercava di dominare con la violenza o con la frode e chi era occupato a rubare, e chi in attività pubbliche; chi si affaticava immerso nei piaceri della carne, e chi invece si abbandonava all’ozio, mentre io, libero da tutte queste vane sollecitudini, lassù in cielo in compagnia di Beatrice ero accolto con tanta festa. Dopo che ognuno (dei dodici spiriti) fu tornato (danzando) nel punto del cerchio in cui si trovava prima, si fermò immobile, come (è immobile) una candela sul candeliere. E dentro quella luce (San Tommaso) che prima mi aveva parlato, mentre sorrideva facendosi più splendente, io udii incominciare: “ Come io risplendo del raggio divino, così, lo sguardo nella luce eterna di Dio, conosco da dove abbiano origine le tue incertezze. Tu dubiti, e desideri che il mio discorso si chiarisca con una esposizione così evidente e ampia, che si distenda davanti alla tua capacità di intendere, riguardo al punto in cui prima dissi “U’ ben s’impingua”, e all’altro in cui dissi “Non surse il secondo”; e a proposito di questi dubbi è necessario procedere con opportune distinzioni. La provvidenza, che governa il mondo con sapienza così profonda che davanti ad essa ogni intelligenza creata è vinta prima di riuscire a penetrarla fino in fondo. affinché la Chiesa, la sposa di Cristo, che con alte grida si unì a lei nel suo sangue benedetto (versato sulla croce), procedesse verso il suo diletto, più sicura in se stessa e anche più fedele a Lui, decretò in suo aiuto (ordinò in suo favore) due capi, che le fossero di guida da una parte con la carità e dall’altra con la sapienza. Uno fu tutto ardente di carità come un Serafino; l’altro per la sua sapienza fu in terra una luce degna della scienza propria dei Cherubini. Parlerò di uno di costoro, perché lodando uno si celebrano entrambi, qualunque dei due si scelga, perché le loro opere mirarono allo stesso fine. Tra il fiume Topino e il fiume Chiascio, l’acqua che scende dal monte scelto dal beato Ubaldo come eremitaggio, digrada la fertile costa dell’alto massiccio del Subasio, dal quale Perugia riceve verso Porta Sole i venti freddi d’inverno e caldi d’estate; e sul versante opposto del Subasio piange sotto il pesante giogo Nocera con Gualdo Tadino. Sulla costa occidentale ( del Subasio ), là dove essa diventa meno ripida, nacque al mondo un sole, come talvolta questo sole ( in cui ora ci troviamo) nasce dal Gange. La luce spirituale di San Francesco ha lo stesso fulgore di quella del sole quando, nell'equinozio di primavera, esso sorge, rispetto al meridiano di Gerusalemme, nel suo punto più orientale (di Gange). Perciò chi parla di quel luogo, non dica Assisi, perché direbbe troppo poco, ma dica Oriente, se vuol parlare con proprietà (proprio). Questo sole non era ancora molto lontano dal momento della sua comparsa, quando cominciò a far si che la terra sentisse qualche beneficio della sua potenza vivificatrice, perché, ancora giovane, affrontò una lotta col padre per amore di una donna tale, la Povertà, alla quale, come alla morte, nessuno fa grata accoglienza; e davanti alla curia vescovile della sua città e alla presenza del padre si unì a lei come sposo; in seguito l’amò di giorno in giorno sempre più intensamente. Questa donna (la Povertà), rimasta vedova del suo primo sposo, Cristo, era stata per oltre mille e cento anni disprezzata e dimenticata, senza che alcuno la ricercasse, fino alla nascita di costui; né valse (a farla amare) l’udire che Cesare, colui che sgomentò tutto il mondo, la trovò tranquilla e serena, al suono della sua voce, accanto ad Amiclate; né le valse l’essersi dimostrata fedele ed eroica al punto da patire con Cristo sulla croce, laddove (anche) Maria rimase ai piedi di essa. Ma perché io non continui a parlare in modo troppo oscuro, nel mio lungo discorso intendi ormai per questi due amanti Francesco e la Povertà. La loro concordia e la letizia dei loro aspetti facevano si che l’amore e l’ ammirazione e la dolce contemplazione che ne derivavano fossero motivo di santi pensieri (in chi li vedeva); tanto che il beato Bernardo si scalzò per primo, e corse dietro a questa grande pace spirituale e, pur correndo, gli sembrò di andare troppo lento. O ricchezza ignorata! o bene fecondo di tanti frutti! La sposa piace tanto, che seguendo lo sposo si scalza Egidio, si scalza Silvestro. Poi quel padre e quel maestro se ne va (a Roma) con la sua sposa e con quel gruppo di discepoli che già cingevano (intorno ai fianchi) l’umile cordone. Né viltà d’animo gli fece abbassare gli occhi per il fatto di essere figlio del mercante Pietro Bernardone, o per il fatto di avere un aspetto tanto spregevole da suscitare stupore, ma con regale dignità manifestò al papa Innocenzo III il suo proposito di una vita austera, e da lui ebbe il primo riconoscimento del nuovo ordine. Dopo che i seguaci della povertà si moltiplicarono dietro le orme di costui, la cui vita mirabile si canterebbe meglio (che altrove) nella gloria del cielo, la santa volontà di questo pastore fu coronata con una seconda approvazione dallo Spirito Santo per mezzo di papa Onorio III. E dopo che, spinto dalla sete del martirio, ebbe predicato la dottrina di Cristo e degli apostoli alla presenza del sultano nel fasto della sua corte, . e avendo trovato il popolo musulmano troppo restio ad ogni tentativo di conversione, per non restare (in terra infedele) senza frutto, se ne tornò a far fruttificare il seme sparso in Italia, sulla cima rocciosa (della Verna) tra le valli del Tevere e dell’Arno ricevette da Cristo l’ultima approvazione con le sacre stimmate, che le sue membra portarono impresse per due anni. Quando a Dio che lo aveva destinato ad operare tanto bene, piacque di portarlo in cielo al premio che egli aveva meritato facendosi umile, ai suoi frati, come a legittimi eredi, raccomando la donna sua più cara (la Povertà), e comandò loro che l’amassero con vera fede; e dal grembo della Povertà la sua nobile anima volle partire, per tornare al cielo che era il suo regno, e per il suo corpo non volle altra bara. Pensa ora (se tale fu San Francesco) quale dovette essere colui che fu suo degno compagno nel mantenere la barca di Pietro (la Chiesa) sulla giusta rotta nel mare tempestoso; e questo fu (San Domenico) il fondatore del nostro ordine; per la qual cosa puoi comprendere come chi segue lui secondo le prescrizioni della sua regola, accumula validi meriti per la vita eterna. Ma il suo gregge è diventato ghiotto di altri cibi, cosicché non è possibile che non si disperda in pascoli fuori della giusta strada; e guanto più i suoi frati fanno come le pecore che se ne vanno erranti e lontane dal pastore, tanto più tornano all’ovile privi del latte (della dottrina e della virtù ) . Vi son bensì alcuni frati che temono il danno (dell’ inosservanza della regola) e si stringono intorno al pastore, ma sono tanto pochi, che basta poco panno per fornire loro le cappe. Ora se le mie parole non sono oscure e se tu mi hai ascoltato attentamente, se richiami alla memoria quello che è stato detto, sarà in parte appagato il tuo desiderio di chiarimenti, perché vedrai per quale causa la pianta dell’ordine domenicano si corrompe, e vedrai che cosa significa la correzione che ho fatto all’affermazione “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”.
Non appena la luce benedetta di San Tommaso ebbe pronunciata l’ultima parola, la santa corona incominciò a volgersi in cerchio; e non finì di compiere un intero giro che un’altra corona di beati la circondò, e accordò il suo moto e il suo canto al moto e al canto di quella; in quei dolci strumenti questo canto supera quello dei nostri poeti e delle nostre donne tanto quanto il raggio diretto supera quello riflesso. Come attraverso una nube leggiera e trasparente si volgono due archi ( quelli dell’arcobaleno quando è doppio) paralleli e fatti degli stessi colori, quando Giunone comanda alla sua ancella (di scendere sulla terra a portare i suoi messaggi), e l’arco esterno si forma ( per riflessione) da quello interno, allo stesso modo in cui (dalla voce) si genera l’eco, che prende nome da colei che l’amore consumò come il sole dissolve la nebbia, e tali archi nel mondo rendono gli uomini sicuri che la terra non sarà mai più allagata, per il patto stipulato da Dio con Noè, così si volgevano intorno a noi le due corone di beati, e così quella esterna si accordò a quella interna. Dopo che la danza e l’altra grande festa che le anime facevano con il cantare e con il rispondersi di ciascuna luce all’altra, piene di gioia e di carità si arrestarono nello stesso istante e con la stessa concorde volontà, proprio come le palpebre degli occhi devono necessariamente abbassarsi o sollevarsi insieme, secondo il desiderio che determina i loro movimenti, dal profondo di una di quelle luci giunte poco prima si levò una voce, che, facendomi volgere verso il luogo da cui proveniva, mi fece assomigliare all’ago (della bussola che si orienta) in direzione della stella polare; e incominciò: “ Lo spirito di carità che rende più luminosa la mia bellezza mi spinge a parlare dell’altra guida (San Domenico), per onorare la quale qui si è parlato così bene della mia (San Francesco). E’ giusto che, dove si parla dell’ uno, si ricordi anche l’altro, in modo che, come combatterono per una stessa causa, così risplenda insieme anche la loro gloria. La cristianità, che Cristo, a prezzo del suo sacrificio, fornì dei mezzi adatti per combattere il peccato, seguiva la croce con poco zelo, piena di dubbi e diminuita di numero, quando Dio, che regna per l’eternità, venne in suo soccorso, mentre essa si trovava in pericolo, non perché ne fosse degna, ma soltanto per un atto della sua misericordia; e come è stato detto (da San Tommaso; cfr. canto XI, versi 31-36), portò aiuto alla Chiesa, sua sposa, con due difensori ( San Francesco e San Domenico), per la cui opera e la cui predicazione il popolo sviato poté ravvedersi. In quella parte (la Spagna) dove il dolce Zefiro sorge ad aprire le nuove fronde delle quali si vede rivestita l’Europa (in primavera), non molto lontano dalla spiaggia battuta dalle onde (dell’Atlantico), dietro le quali il sole, come stanco del suo lungo percorso, talvolta ( nel solstizio d’estate) tramonta nascondendosi ad ogni uomo, sorge la fortunata (perché patria di San Domenico) Calaruega sotto il governo del re di Castiglia, nel cui stemma (in una parte) il leone sta sotto e (nell’altra) si trova sopra. Li nacque il fedele amante della fede cristiana, il santo campione benevolo verso i cristiani e implacabile verso i nemici della fede. E non appena la sua anima fu creata, venne a tal punto colmata di efficaci virtù, che, stando ancora nel grembo materno, diede alla madre spirito profetico. Dopo che furono celebrate le nozze fra lui e la fede davanti al sacro fonte battesimale, dove entrambi si portarono in dote, reciprocamente, la salvezza, la madrina che diede in suo nome il consenso (ad entrare nella fede cristiana), vide in sogno il mirabile frutto che doveva derivare da lui e dai suoi seguaci. E affinché anche nel nome egli fosse quale era di fatto, dal cielo discese una divina ispirazione (ai genitori) perché fosse chiamato con il possessivo di colui al quale egli tutto apparteneva. Fu chiamato Domenico; ed io lo presento come l’agricoltore che Cristo scelse per far fruttificare il suo orto, la Chiesa. A buon diritto apparve nunzio e servitore di Cristo, poiché il primo amore che si manifestò in lui, fu per la povertà, il primo precetto che diede Cristo. Spesso fu sorpreso dalla sua nutrice mentre, tacito e desto, stava coricato sulla terra, come se volesse dire: “ Io sono venuto per questo (per vivere in umiltà e povertà)”. O padre suo veramente Felice! o madre sua veramente Giovanna, se questo nome, inteso nel suo significato etimologico, ha il valore che si dice! Non per conseguire beni e onori terreni, per i quali ora ci si affanna negli studi di diritto canonico o di medicina (a Taddeo), ma per amore della vera sapienza divenne in breve tempo un dottissimo teologo, così che (con il suo sapere) cominciò a girare intorno, per difenderla e coltivarla, alla vigna ( la Chiesa ) che subito inaridisce, se il vignaiuolo (il pontefice) non adempie al suo ufficio. E al soglio papale, il quale un tempo fu molto più generoso (di quanto lo sia ora) verso i poveri onesti, non per colpa dell’istituzione pontificia come tale, ma per colpa del papa, che devia dal giusto cammino, non di distribuire ( ai poveri ) la metà o il terzo (del denaro ad essi destinato, trattenendo per se il rimanente), né di ottenere le rendite del primo beneficio che rimanesse vacante, né di godere le decime, che sono destinate ai bisogni dei poveri di Dio. chiese, bensì chiese il permesso di combattere contro gli errori del mondo cristiano in difesa di quella fede che è il seme dal quale sono germogliate le ventiquattro piante che ti circondano Poi sostenuto dalla dottrina e dalla forza di volontà e dall’autorità conferitagli dal mandato del pontefice si mosse con la forza di un torrente che sgorga da una sorgente profonda; e il suo impeto si abbatté sulle male piante dell’eresia, più vigorosamente là (in Provenza) dove le resistenze erano più forti. Da lui ( paragonato prima a un torrente) si formarono poi numerosi ruscelli le cui acque irrigarono fecondandolo l’orto della Chiesa, così che i fedeli sono (ora) più vigorosi nella fede. Se tale fu una delle due ruote sulle quali si resse il carro della Santa Chiesa che vinse combattendo apertamente la sua guerra civile (perché la lotta fra eretici e fedeli avviene in seno alla Chiesa stessa), ben ti dovrebbe essere sufficientemente chiara l’eccellenza dell’altra ruota (San Francesco), riguardo alla quale Tommaso fu cosi cortese (facendone l’elogio) prima che io venissi ( con la seconda corona di beati) . Ma il solco segnato dalla parte esterna della circonferenza di questa ruota, è abbandonato, così che dove c’era virtù e unione c’è (ora) corruzione e disunione. Il suo ordine, che aveva seguito le orme del proprio fondatore, si è tanto volto in direzione opposta, che cammina a ritroso. E ben presto dal raccolto si vedrà la cattiva coltivazione, quando il loglio con suo dolore si vedrà escluso dall’arca. Io dico che chi esaminasse ad uno ad uno i frati del nostro ordine, ne troverebbe ancora qualcuno fedele alle virtù francescane, nel quale potrebbe leggere “Io sono quel che un buon francescano soleva essere”; ma quello non verrà né da Casale né da Acquasparta, da dove provengono tali interpreti della regola francescana, che uno la fugge, e l’altro cerca di renderla più rigida. lo sono l’anima di Bonaventura da Bagnorea, che nei grandi incarichi ( da me ricoperti) posposi sempre la cura delle cose mondane (a quella delle cose spirituali). Si trovano in questa corona Illuminato (da Rieti) e Agostino (d’Assisi ), che furono fra i primi seguaci di San Francesco, i quali, cingendosi del capestro ( accettando, cioè, la regola francescana), si resero cari a Dio. Sono qui con loro Ugo da San Vittore, e Pietro Mangiadore e Pietro Ispano, la cui fama splende in terra grazie ai suoi dodici libri; (si trovano qui) il profeta Natan e il metropolita Crisostomo e Anselmo e quel Donato che si occupo della scienza grammaticale. È qui Rabano, e mi risplende di fianco l’abate calabrese Gioacchino, dotato di spirito profetico. Ad emulare (celebrando le lodi di San Domenico) un così valido paladino (San Tommaso, paladino di San Francesco) mi indusse l’ardente cortesia di frate Tommaso e le sue assennate parole; e mosse insieme con me gli altri spiriti: (a manifestare il loro consenso con la danza e il canto).
Il lettore che desidera capire bene quello che a questo punto vidi, immagini (e, mentre io parlo, conservi l’immagine salda come una roccia) le quindici stelle che nelle diverse regioni del cielo lo illuminano di tanto splendore, da vincere ogni nebulosità dell’atmosfera; immagini quel carro ( l’Orsa Maggiore) al quale è sufficiente lo spazio del nostro emisfero celeste per il suo moto diurno e notturno, cosicché nella sua rotazione non scompare mai (alla nostra vista); immagini le due stelle poste alla estremità di quel corno (l’Orsa Minore) che comincia nel punto più alto dell’asse celeste, intorno al quale gira ( va dintorno ) il primo cielo mobile, (immagini dunque) che queste ventiquattro stelle abbiano formato in cielo due costellazioni, simili a quella in cui fu mutata la figlia di Minosse, quando mori; e (immagini) che le due costellazioni siano concentriche, e che entrambe ruotino in modo che l’una si muova in un senso e l’altra nel senso opposto; e (il lettore) avrà un’immagine imperfetta della costellazione (di spiriti) che io vidi veramente e della doppia danza che girava intorno al punto in cui mi trovavo, poiché ( lo spettacolo ) era tanto al di sopra della nostra comune esperienza, di quanto il Primo Mobile, che è il cielo più veloce di tutti gli altri, supera in velocità il lento corso del nume Chiana. Li non si celebrarono le lodi di Bacco, né di Apollo, ma si cantarono le lodi delle tre persone in una sola natura divina, e di questa e di quella umana nell’unica persona di Cristo. Il canto e la danza giunsero simultaneamente al loro termine; e quei santi spiriti volsero a noi la loro attenzione, rallegrandosi nel passare da una cura (la danza e il canto) ad un’altra (il chiarimento del dubbio di Dante). Ruppe poi il silenzio tra i beati concordi (nel loro canto e nella loro danza) quella luce (San Tommaso) che mi aveva narrata la vita mirabile del poverello di Dio (San Francerco), e disse: “ Poiché il tuo primo dubbio è stato discusso, e poiché il seme (di verità che ne è scaturito) è già stato riposto (nella tua mente), lo spirito di carità mi invita a sciogliere l’altro dubbio. Tu credi che nel petto di Adamo, dal quale fu tratta la costola per formare il bel volto di Eva, il cui peccato di gola (nel provare il frutto proibito) fu causa di tanto male a tutto il mondo, e che nel petto di Cristo, il quale, trafitto dalla lancia, - offrì (a Dio) soddisfazione e per i peccati futuri e per quelli passati, tanto che sulla bilancia della giustizia divina esso vince (con i suoi meriti ) il peso di ogni colpa, sia stata infusa dall’onnipotenza divina che aveva creato l’uno e l’altro, tutta quanta la sapienza che è lecito alla natura umana possedere; e perciò ti meravigli riguardo a quello che ti ho detto più sopra, quando affermai che l’anima beata di Salomone racchiusa nella quinta luce ( della prima corona) non ebbe chi l’uguagliasse (in sapienza). Ora rifletti bene a quello che ti rispondo, e vedrai che la tua convinzione (riguardo alla sapienza di Adamo e di Cristo) e la mia affermazione coincidono nella verità come il centro è nel mezzo del cerchio. Le creature incorruttibili e quelle corruttibili non sono che una luce riflessa di quell’idea (il Verbo) che Dio, nostro re, genera con un atto d’amore: perché la viva luce del Verbo che emana da Dio in modo tale, che non si separa né da Lui né dallo Spirito Santo, per sua bontà dirige e concentra i suoi raggi, come riflettendosi in tanti specchi, nelle nove essenze dei cori angelici, pur conservando in eterno la sua unità. Dai nove cori angelici questa luce scende giù di cielo in cielo fino agli elementi del mondo terrestre, e si attenua a tal punto, che non produce più che creature contingenti e corruttibili; e per queste realtà contingenti intendo le cose generate, che i cieli producono con il loro moto sia per mezzo di semi sia senza di essi. La materia di queste creature inferiori e i cieli che la plasmano con i loro influssi non sono sempre nel medesimo rapporto; e perciò questa materia poi resta più o meno illuminata dalla luce dell’idea divina. Non sta d'un modo: infatti può variare la disposizione in cui si trova la materia rispetto all'azione dei cieli e può cambiare l'influsso dei cieli sulla terra con il variare delle loro posizioni e delle loro congiunzioni. Perciò avviene che due alberi della medesima specie producano frutti migliori o peggiori e che gli uomini (pur appartenendo alla stessa specie) nascano con indoli e attitudini differenti Se la materia ( nel momento in cui subisce l’azione dei cieli) fosse nelle condizioni migliori per essere plasmata e se il cielo si trovasse al massimo della sua potenza formatrice, la luce dell’impronta divina apparirebbe (nelle creature) in tutto il SUO splendore; ma la natura ( cioè la causa seconda, che genera gli esseri inferiori) presenta sempre questa luce in modo imperfetto, perché essa opera come l’artista, che conosce la sua arte ma è incapace di realizzare perfettamente ciò che ha in mente. Tuttavia se lo Spirito Santo dispone e imprime (sulla creatura) la luce del Verbo che procede dal Padre, allora in questa creatura si ottiene tutta la perfezione possibile. Così la terra (allorché Dio se ne servi per formare il corpo di Adamo) fu un tempo resa degna di accogliere tutta la perfezione possibile in un essere animato; così (per opera dello Spirito Santo) fu generato Cristo nel grembo della Vergine: perciò io approvo la tua opinione, che la natura umana non fu né sarà mai cosi perfetta come fu in quelle due persone ( Adamo e Cristo ) . Ora se io non aggiungessi altro, tu mi faresti subito questa domanda: “Dunque, come mai costui (Salomone) non ebbe chi l’uguagliò (in sapienza) ?’’ Ma affinché appaia chiaro ciò che ancora non lo è, pensa quale era la condizione di Salomone, e quale motivo lo spinse a domandare ( la sapienza ), quando gli fu detto (da Dio) “Chiedi ( ciò che vuoi ) “. Non ho parlato in modo cosi oscuro, che tu non possa capire che egli fu il re che chiese (a Dio) la saggezza per poter essere un sovrano capace di adempiere il suo ufficio, non per sapere quante sono le intelligenze motrici dei cieli, o per conoscere se una premessa necessaria e una contingente portano ad una conclusione necessaria; né per sapere se è possibile (est) ammettere che esista (nell’universo) un moto primo dal quale dipendono tutti gli altri, o per conoscere se in un semicerchio si possa iscrivere un triangolo che non sia rettangolo. Perciò, se esamini quello che ho detto prima (cfr. canto X, verso 114) e ciò che ho aggiunto ora, ( puoi capire che) quella sapienza che non ebbe uguali, alla quale intendevo alludere, è la sapienza che si addice a un re: e se mediti con mente non offuscata da preconcetti sul valore della parola “sorse”, vedrai che essa si riferiva solo ai re, che sono molti, pur essendo rari quelli che sanno ben esercitare il loro ufficio. Interpreta le mie parole con questa distinzione (fra uomini e re: Salomone fu il più sapiente come re non come uomo); e così esse potranno accordarsi con quello che tu credi intorno alla sapienza di Adamo e di Cristo. E questo (il dubbio che è sorto in te per aver tratto frettolose conclusioni dalle mie parole) ti insegni a procedere sempre con i piedi di piombo, per andare cauto e lento come uomo affaticato e nel negare ciò che non puoi distinguere chiaramente: perché bene in basso nella scala della stoltezza è colui che afferma e nega senza fare le necessarie distinzioni sia nel caso che si debba dire di si sia nel caso che si debba dire di no, poiché accade che spesso un giudizio affrettato inclini all’errore, e che poi l’attaccamento (alla nostra opinione) non lasci più libero l’intelletto (di ricredersi). Colui che cerca nel mare della verità e non conosce l’arte di farlo, si allontana dalla riva più che inutilmente, perché non ritorna nella condizione in cui era partito ( cioè: era partito in uno stato di ignoranza, ritorna carico di errori, perché crede cose false). E offrono al mondo chiara testimanianza di questo fatto Parmenide, Melisso, e Bryson e molti altri, i quali procedevano nella loro ricerca senza rendersi conto delle conseguenze: così fecero Sabellio e Ario e tutti quegli eretici che falsano il significato delle Scritture come colpi di spada sfigurano un bel volto. Gli uomini non si mostrino, inoltre troppo sicuri nel dare giudizi. come colui che calcola il valore della messe quando è ancora sul campo, prima che sia giunta a maturazione: perché io ho visto durante tutto l’inverno il pruno apparire secco e spinoso, e poi (in primavera) l’ho visto far sbocciare la rosa sulla sua cima; e vidi già una nave percorrere sicura e veloce il mare per tutto il viaggio che doveva compiere, e naufragare infine proprio all’ingresso del porto. Non credano donna Berta e ser Martino (due nomi usati genericamente), per il fatto di vedere uno rubare, un altro fare elemosine, di poterli considerare come già giudicati da Dio, perché quello può riscattarsi dal peccato, e l’altro può perdersi ”.
In un recipiente rotondo la superficie dell’acqua si increspa (in cerchi concentrici che vanno) dall’orlo verso il centro, e dal centro verso l’orlo, a seconda che l’acqua sia percossa da un colpo dato sulla parete esterna del recipiente o all’interno. Questo fenomeno dell’acqua di cui parlo, mi venne improvvisamente in mente, non appena tacque l’anima santa di Tommaso, per la somiglianza che nacque fra le sue parole ( che dalla parte esterna della corona dei beati si muovevano verso il centro dove si trovavano Dante e Beatrice ) e quelle di Beatrice ( che dal centro si volgevano verso la circonferenza della corona), alla quale piacque cominciare, dopo di lui, in questo modo: “ A costui (Dante) è necessario andare a fondo di un’altra verità, ma non osa dirvelo né con le parole né ancora col pensiero. Ditegli se la luce di cui si adorna la vostra anima rimarrà con voi eternamente cosi com’è ora: e se rimarrà inalterata, spiegategli come, dopo che ( avendo ripreso il corpo ) sarete ridiventati visibili, potrà accadere che (questa luce) non riesca molesta ai vostri occhi. ” Come talvolta coloro che danzano in circolo, sospinti e trascinati da una crescente allegria, alzano (cantando) la voce e si muovono con più vivacità, cosi, alla pronta e riverente preghiera (di Beatrice), le due corone di spiriti beati mostrarono la loro accresciuta letizia col girare intorno più velocemente e con la meravigliosa armonia del loro canto. Chi si lamenta che qui in terra l’uomo debba morire per passare alla vita del cielo, non ha certo visto lassù il ristoro che reca la pioggia della grazia La Trinità che sempre vive e sempre regna unita in ciascuna delle tre persone, non limitata da nulla, e che tutto abbraccia e contiene, tre volte era glorificata dal canto di ciascuno di quegli spiriti con così soave melodia, che (I’udirla) sarebbe giusta ricompensa anche al merito più grande. Ed io udii nella luce più fulgida della prima corona (attorno ad esso si era formato il secondo, più ampio) una voce soave, simile forse a quella con cui l’arcangelo Gabriele si rivolse a Maria (nell’Annunciazione), rispondere: “Finché durerà il gaudio della celeste beatitudine, il nostro amore irradierà intorno questa veste (luminosa che ci fascia). Lo splendore (di questa veste) è proporzionato all’ardore di carità ( di cui siamo infiammati); il nostro ardore è proporzionato alla visione (più o meno profonda, che abbiamo di Dio), e la visione è proporzionata alla grazia divina aggiunta al merito di ciascuno. Quando (nel giorno del Giudizio Universale ) rivestiremo il nostro corpo reso glorioso e santo (dall’anima beata), il nostro essere sarà più caro ( a Dio ) perché sarà diventato più completo; Ritorna ancora una volta il principio aristotelico-tomista da Dante già enunciato nel canto VI dell'Inferno ( versi 106-108): la perfezione dell'essere umano è nell'unione di anima e di corpo, la quale si ricostituirà per l'eternità nel giorno del Giudizio Universale. per questa perfezione si accrescerà il dono della Grazia illuminante che Dio, sommo Bene, ci offre, e che ci mette in condizione di poterLo vedere; per tale motivo deve crescere la visione di Dio, deve crescere l’ ardore di carità che essa accende, deve crescere la luce che da questo ardore deriva. Ma come il carbone che produce la fiamma, e la supera (in splendore) per la sua viva incandescenza, così che la sua forma non si lascia nascondere ( dalla luce della fiamma), così questo fulgore che fin d’ora ci circonda sarà vinto in efficacia visiva dal fulgore del nostro corpo che per ora è ricoperto dalla terra; tuttavia tanta luce non potrà abbagliarci, perché i nostri sensi avranno potenza sufficiente a percepire e sostenere tutto ciò che potrà essere motivo di beatitudine. Gli spiriti delle due corone mi apparvero tanto pronti e veloci a dire “ Cosi sia ! ”, che mostrarono chiaramente il desiderio di ricongiungersi ai loro corpi; forse non tanto per se stessi, ma per la madre, il padre e per tutti coloro che ebbero cari (in terra) : prima di diventare eterni fulgori (in cielo). Ed ecco apparire intorno (alle due corone) una luce, di splendore pari (a quella dei due cerchi di beati), superiore alla luminosità del sole, simile al chiarore che si diffonde all’orizzonte quando il sole sorge. E come sul far della sera cominciano ad apparire nel cielo le prime stelle, così (tenui) che l’aspetto di esse appare e non appare reale, così mi sembrò di vedere lì nuove anime, e mi sembrò che esse si disponessero in cerchio intorno alle : altre due corone. Oh verace splendore dello Spirito Santo! come esso divenne improvvisamente incandescente alla mia vista che, sopraffatta, non poté sopportarlo! Ma Beatrice mi apparve così bella e splendente, che (la sua immagine) si deve lasciare tra quelle visioni paradisiache che la memoria non è stata capace di fissare dentro di se. Da Beatrice i miei occhi ripresero forza per risollevarsi, e mi vidi trasferito solo con la mia donna in un più alto grado di beatitudine. Mi accorsi chiaramente che ero salito in un cielo superiore, per lo sfavillio incandescente della stella, che mi appariva più rosseggiante del solito. Con tutto il mio cuore e con il linguaggio dell’anima che è unico per tutti gli uomini, feci a Dio l’offerta di tutto me stesso, come era giusto fare in risposta alla nuova grazia ricevuta (quella di essere stato assunto in un cielo più alto). E non si era ancora esaurito nel mio petto l’ardore di quella offerta, che mi accorsi che quel mio sacrificio (litare: è termine latino, che significa “ celebrare un sacrificiò ” ) era stato gradito (a Dio) ed efficace, perché disposte su due liste luminose mi apparvero anime splendenti, così luminose e così affocate, che dissi: “ O Dio che rivesti queste anime di tanta luce! ” Come la Galassia si distende con la sua striscia luminosa costellata da stelle di minore o maggiore grandezza dall’uno all’altro polo del cielo, in modo che fa restare incerti anche i più sapienti, così disposte a modo di costellazione con stelle di diversa grandezza dentro il cielo di Marte quelle due liste luminose formavano il venerando segno (della croce), che è costituito dati intersecarsi delle linee che congiungono le quattro parti in cui è diviso il cerchio. A questo punto la mia memoria supera le possibilità del mio ingegno (incapace di esprimere a parole una simile visione), perché in quella croce sfolgorava la figura di Cristo, in modo che io non so trovare un’immagine adeguata per rappresentarla; ma chi (nel mondo) prende la sua croce e segue Cristo, quando un giorno Lo vedrà sfolgorare in questa luce biancheggiante, mi scuserà allora di quanto io tralascio. Da un braccio all’altro della lista orizzontale e tra una estremità e l’altra della linea verticale si muovevano gli spiriti luminosi, risplendendo più intensamente nell’atto di incontrarsi e di oltrepassarsi: allo stesso modo sulla terra si vedono i corpuscoli del pulviscolo atmosferico in direzione diritta o obliqua, con moto rapido o lento, mutando aspetto, in forma allungata o corta, muoversi nel raggio di luce da cui è tagliata talvolta l’oscurità (di una stanza), oscurità che l’uomo si procura per difendersi dalla luce del sole con espedienti escogitati dall’ingegno e realizzati praticamente. E come la giga (strumento musicale simile al violino) e l’arpa, con l’ armonico temperarsi di molte corde diverse, creano un suono dolce anche all’orecchio di chi non intende l’insieme della melodia, così da quelle luci che lì mi apparvero si diffondeva lungo la croce una melodia che mi estasiava con la sua dolcezza, senza che io riuscissi a capire le parole del canto. (Pur senza intendere il suo significato) mi accorsi facilmente che esso era un canto di solenne glorificazione, perché mi giungevano le parole “ Resurgi ” e “ Vinci ”, come a colui che ode qualche parola ma non intende tutto il senso di un discorso. Dalla dolcezza di questo canto io traevo un così profondo amore (verso queste cose), che fino a quel momento non vi fu niente che mi avesse avvinto con così soavi legami. Forse la mia parola può sembrare troppo ardita, poiché pospongo ( al piacere provato in questo momento) la gioia che ricevo dai begli occhi (di Beatrice ), contemplando i quali si appaga ogni mio desiderio: ma chi considera che gli occhi di Beatrice, viva rappresentazione di ogni bellezza, operano più efficacemente quanto più si sale attraverso i cieli, e che io nella sfera di Marte non mi ero ancora rivolto verso di essi, mi può scusare di quello di cui io mi accuso (cioè di aver osato troppo con le mie parole) per giustificarmi (di aver posposto al piacere del canto il piacer delli occhi belli), e può costatare che dico la verità, poiché la divina bellezza (di Beatrice) non è stata qui dimenticata dalle mie parole, dal momento che anch’ essa, man mano che si ascende, diventa sempre più perfetta.
La volontà di fare il bene nella quale si risolve sempre l’amore che deriva direttamente da Dio, come la cupidigia si risolve nella volontà di fare il male, fece cessare quel dolce coro e fece fermare il moto dei beati, i quali sono come le corde di una lira che la mano di Dio allenta o tende. Come potranno essere sorde alle preghiere dei giusti quelle anime beate che, per invogliarmi a interrogarle, furono concordi a cessare il loro canto? E’ giusto che soffra eternamente colui che, per amore delle cose terrene che sono caduche, si priva per sempre dell’amore di Dio. Come attraverso gli spazi sereni del cielo tranquillo e limpido di tanto in tanto sfreccia improvvisa una stella cadente attirando lo sguardo di chi se ne stava ozioso, e sembra una stella che muti posto in cielo, se non che dalla parte dove si è accesa non scompare nessun astro, e quella presto si spegne, così dal braccio della croce che si protendeva verso destra fino ai piedi di essa corse una delle luci della costellazione (di spiriti) che risplende nell’interno della croce: né quella gemma si distaccò dal nastro luminoso (della croce), ma corse via lungo la lista formata dai due raggi, sì che sembrò una fiamma che risplende dietro ad un alabastro (trasparente): Con la stessa manifestazione d’affetto corse incontro (ad Enea, per abbracciarlo) l’ombra di Anchise, quando nell’oltretomba riconobbe il figlio, se merita fede il racconto di Virgilio, il nostro maggior poeta. “ O sangue mio, o grazia di Dio (in te) infusa in maniera singolare, a chi mai fu dischiusa due volte la porta del cielo come a te ? ”. Cosi parlò quello spirito: perciò io mi rivolsi con attenzione verso di lui; poi guardai la mia donna, e restai stupito da una parte e dall’altra, perché nei suoi occhi risplendeva un un sorriso tale, che io credetti di toccare con i miei il limite estremo della grazia concessami da Dio e della mia beatitudine. Poi quello spirito, che ispirava gioia a udirlo e vederlo, aggiunse alle sue prime parole cose che io non compresi, tanto era profondo il loro significato; né si sottrasse alla mia comprensione di proposito, ma per necessità, perché il suo pensiero andò oltre il limite a cui arriva l’intelligenza di un mortale. E allorché la tensione dell’ardente carità fu sfogata, tanto che il suo linguaggio si rese comprensibile alla nostra mente, la prima cosa intesa da me fu: “ Sii benedetto, o Dio trino e uno, che sei tanto munifico verso la mia discendenza del mio seme)! ” E continuò: “ Un caro e antico desiderio, sorto in me dall’aver letto (la tua futura venuta) nel grande libro della mente di Dio dove non si aggiunge e non si toglie mai nulla a ciò che è scritto, hai saziato, o figlio, in me che ti parlo avvolto in questa luce, grazie a Beatrice, colei che ti diede le ali per il grande volo. Tu sei convinto che il tuo pensiero discenda in me direttamente da Dio, che è l’Ente primo, così come dall’unità, quando è conosciuta, derivano il cinque e il sei (e gli altri numeri ): e perciò non mi domandi chi sono e perché mi mostro a te più festoso di qualunque altro spirito di questa moltitudine beata. Quello che credi è vero, perché in questa vita tutti gli spiriti, siano essi dotati di un grado minore o maggiore di beatitudine, vedono in Dio come in uno specchio nel quale manifesti il tuo pensiero, prima ancora che tu lo abbia concepito: ma affinché l’amore divino nella contemplazione del quale io veglio godendone perpetuamente la visione e che fa nascere in me la sete del dolce desiderio (di appagarti), s’adempia meglio, la tua voce esprima senza timore, franca e lieta la tua volontà, esprima il tuo desideri, per il quale è già pronta la mia risposta!” Io mi rivolsi a Beatrice, ed ella comprese prima che parlassi, e sorridendo mi fece un cenno che accrebbe il mio desiderio. Poi incominciai così: “ Non appena aveste la visione di Dio, che è perfetta uguaglianza (perché tutti i suoi infiniti attributi sono mente uguali e commisurati fra di loro), in ciascuno di voi sentimento e intelligenza si corrisposero perfettamente , poiché Dio, il sole che vi illumina con la luce (della sua sapienza) e vi infiamma con il fuoco (del suo amore), è così uguale (nei suoi attributi), che ogni somiglianza risulta inadeguata ad esprimerLo. Invece nei mortali la volontà e lo strumento per esprimerla adeguatamente, per il motivo che voi conoscete ( la limitatezza e l’imperfezione umana), sono provveduti di ali di diversa potenza (cioè: la parola non sempre può realizzare ciò che la volontà desidera); per cui io, che sono ancora mortale, sento di essere in questa disuguaglianza (tra volontà e parola), e perciò non ringrazio che col cuore per l’accoglienza festosa e paterna. Io ti supplico però, o spirito splendente come vivo topazio che adorni questo prezioso gioiello della croce, di appagare il mio desiderio di conoscere il tuo nome ”. Allorché mi rispose, questo fu l’inizio del suo discorso: “ O figlio mio, nel quale mi compiacqui anche solo aspettandoti, io fui tuo capostipite”. Poi mi disse: “Alighiero, colui dal quale prende nome il tuo casato e che gira da più di cento anni nella prima cornice del monte del purgatorio, fu mio figlio e fu tuo bisavolo: è proprio opportuno che tu gli abbrevi la lunga pena con i tuoi suffragi. Firenze chiusa dentro la cerchia delle antiche mura, donde la città sente ancora il suono delle ore di terza e di nona, se ne stava in pace, sobria e onesta. Le donne non usavano braccialetti, nè corone preziose, né gonne ricamate, né cinture tanto ricche da essere più vistose della persona che le portava). La figlia, nascendo, non faceva ancora paura al padre, perché l’età e la dote non uscivano da una parte e dall’ altra dalla giusta misura. Non vi erano case vuote di prole; non era ancora giunto Sardanapalo a insegnare quali vizi e lussi si possono avere nel segreto della camera. Monte Mario non era ancora vinto dal vostro Uccellatoio, il quale Monte Mario, come fu superato in magnificenza, così sarà superato nella decadenza. lo vidi Bellincione Berti portare una cintura di cuoio con fibbie d’osso, e vidi sua moglie tornare dallo specchio senza il viso dipinto; e quelli della famiglia dei Vecchietti accontentarsi di indossare una semplice pelle non ricoperta di panno, e le loro donne intente agli umili lavori del fuso e della rocca. Oh donne fortunate! ciascuna sapeva con certezza il luogo dove sarebbe stata sepolta, e ancora nessuna era lasciata sola nel letto nuziale dal marito andato in Francia (per mercanteggiare ) . Una vegliava amorosamente il bimbo in culla e, per consolarlo (quando piangeva), si serviva di quel linguaggio infantile che per primi i genitori stessi si divertono ad usare; un’altra, filando, raccontava, stando seduta in mezzo alla sua servitù, le antiche storie dei Troiani, di Fiesole e di Roma. In quel tempo una donna dissoluta come Cianghella della Tosa, un barattiere come Lapo Saltarello sarebbero stati considerati una cosa straordinaria come, ora, un uomo probo come Cincinnato o una donna virtuosa come Cornelia. A una vita cittadina cosiì tranquilla e bella, tra una cittadinanza cosi affiatata, in una così dolce dimora, mi fece nascere la Vergine Maria, che era stata invocata con alte grida da mia madre durante il parto (cfr. Purgatorio XX, 19-21); e nel vostro antico Battistero divenni cristiano e insieme ricevetti il nome di Cacciaguida. Miei fratelli furono Moronto ed Eliseo: la mia sposa fu originaria della valle del Po; e da lei ebbe origine il tuo cognome. Poi seguii l’imperatore Corrado; ed egli mi fece suo cavaliere, tanto ero entrato nelle sue grazie per il mio valore. Lo seguii andando a combattere contro l’iniquità di quella religione il cui popolo, per colpa dei papi (che si disinteressano di questo problema ), usurpa i diritti della cristianità (sulla Terrasanta). Qui ad opera di quella gente turpe fui sciolto dai legami del mondo fallace, l’amore del quale abbrutisce molte anime; e dal martirio ( della morte per la fede) venni alla pace del paradiso ”.
O nostra nobiltà di sangue, che sei cosa di si poco conto, se induci gli uomini a gloriarsi di te quaggiù sulla terra, dove il nostro amore (verso Dio) ha scarsa forza (poiché si lascia attrarre dai beni mondani), per me ormai non sarai più causa di meraviglia, perché lassù , voglio dire in cielo, dove il nostro desiderio non può mai essere deviato dalla retta via, io pure mi gloriai di te. Certo tu sei come un mantello che presto diventa corto, così che, se non si aggiunge ogni giorno qualcosa ad esso (cioè alla virtù degli antenati), il tempo accorcia questo mantello girandovi intorno con le forbici . Io ripresi il mio discorso (con Cacciaguida) usando il “voi” che Roma per prima permise, uso nel quale (ora) la sua popolazione persevera meno delle altre; perciò Beatrice, che stava un poco discosta da me, sorridendo, parve fare come la dama di Malehaut, quella che tossì in occasione del primo colloquio d’amore di Giinevra raccontato nei romanzi francesi. Io cominciai: “Voi siete il padre mio; voi mi date un confidente ardire nel parlarvi; voi mi elevate così in alto, che io mi sento più di quello che sono in realtà. (Ascoltandovi) il mio animo si riempie di gioia per così tante vie, che si rallegra con se stesso perché può sostenerla senza esserne sopraffatto. Ditemi, dunque, amato capostipite della mia famiglia, chi furono i vostri antenati, e in quali anni si svolse la vostra fanciullezza (letteralmente: quali furono gli anni che si segnarono nei calendari durante la vostra fanciullezza: ditemi quanti erano allora gli abitanti di Firenze ( ovil di San Giovanni, in quanto San Giovanni Battista è il patrono della città), e quali in essa le famiglie degne di salire alle più alte dignità”. Come per lo spirare del vento si ravviva un carbone acceso, così vidi la luce di Cacciaguida risplendere più intensamente alle mie parole affettuose ; e come essa si fece più bella ai miei occhi, così con voce più dolce e soave ( di prima ), ma non nella lingua che usiamo ora, mi disse: “ Dal giorno in cui l’arcangelo disse “Ave” alla Vergine Maria fino al momento del parto con il quale mia madre, che ora è beata in cielo, si sgravò di me di cui era incinta, il rosso pianeta Marte venne 580 volte ad attingere nuovo calore sotto il piede del Leone, la costellazione che ha la sua stessa natura. I miei avi ed io nascemmo in quel puntodi Firenze dove per chi corre il vostro palio annuale incomincia l’ultimo sestiere. Dei miei antenati ti basti sapere questo: chi essi fossero e da dove siano venuti qui a Firenze, è più opportuno tacere che dire. Tutti coloro che in quel tempo erano atti alle armi a Firenze nella zona compresa tra la statua di Marte (sul Ponte Vecchio) e il Battistero, erano la quinta parte di quelli che ora sono nella città. Ma la popolazione, che ora è mescolata con famiglie del contado venute da Campi, da Certaldo e da Figline, appariva di puro sangue fiorentino fino al più umile artigiano. Oh quanto sarebbe meglio che quelle genti di cui ho parlato fossero solo vostre confinanti, e che voi aveste il confine della vostra città a Galluzzo e a Trespiano, anziché averle dentro le mura e sostenere il tanfo contadinesco di Baldo d’Aguglione, di Fazio da Signa, che certo ha l’occhio pronto a cogliere ogni occasione di baratteria! Se la gente di Chiesa, che oggi nel mondo è quella che più devia dal retto cammino, non fosse stata avversa all’imperatore (a Cesare) come una matrigna, ma si fosse comportata (nei suoi confronti) come una madre piena d’amore verso il figlio, taluni che sono diventati fiorentini ed esercitano l’arte del cambio e della mercatura, avrebbero invece continuato a vivere nel contado di Semifonte, là dove i loro antenati facevano la ronda di notte (attorno alle mura): il castello di Montemurlo sarebbe ancora dei conti Guidi; i Cerchi sarebbero ancora nella pieve di Acone, e forse i Buondelmonti ancora in Val di Greve. La mescolanza di stirpi diverse fu sempre causa di rovina per lo stato, come (è causa di malattia) per il vostro corpo il cibo che si sovrappone (nello stomaco ad un altro non ancora digerito); e un toro cieco cade più presto di un agnello cieco; e spesso una spada sola ferisce più e meglio che non cinque spade. Se tu consideri come sono andate in rovina Luni e Urbisaglia, e come si stanno spegnendo sulle loro orme Chiusi e Sinigaglia, non ti sembrerà cosa strana né difficile a capirsi che si spengono (anche) le famiglie, dal momento che la vita delle città è soggetta alla rovina. Le cose terrene, così come ( avviene per) voi uomini, sono tutte soggette alla morte, ma essa sembra non manifestarsi in alcune cose che durano a lungo ( come le città o le schiatte); d’altra parte la vita umana è cosi breve (che non permette di vedere la loro fine ) . E come il girare del cielo della Luna (generando i flussi e i riflussi della marea) copre e lascia scoperte alternativamente le spiagge del mare, così la Fortuna ora innalza, ora abbassa le sorti di Firenze: per questo motivo non deve stupire ciò che io dirò dei Fiorentini di antica nobiltà, la fama dei quali è coperta dall’oblio del tempo. Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini, i Filippi, i Greci, gli Ormanni e gli Alberichi, già in decadenza e in via di estinzione, sebbene ancora illustri cittadini; e vidi famiglie la cui potenza era pari all’antichità, con gli appartenenti alla famiglia dei della Sannella, dei dell’Arce, e i Soldanieri e gli Ardinghi e i Bostichi. Presso porta San Piero, che ora è piena di felloneria portata da gente appena arrivata, felloneria così grave che presto causerà la rovina della città che l’accoglie, abitavano i Ravignani, dai quali sono discesi il conte Guido e tutti coloro che hanno poi preso il nome dal nobile Bellincione. Gli appartenenti alla famiglia della Pressa avevano già esperienza di governo, e i Galigai erano già stati insigniti della dignità di cavalieri. Erano già grandi la famiglia dei Pigli, quella dei Sacchetti. dei Giuochi. dei Fifanti e dei Barucci e dei Galli e dei Chiaramontesi, coloro che arrossiscono di vergogna per la frode dello staio di sale. La schiatta da cui discese la famiglia dei Calfucci era già grande, e già erano stati chiamati alle più alte cariche pubbliche i Sizii e gli Arrigucci. Oh quanto potenti io vidi gli Uberti, che (ora) sono caduti in rovina per la loro superbia! e l’insegna dei Lamberti dava lustro a Firenze in tutte le sue grandi imprese. Allo stesso modo (dei Lamberti) onoravano Firenze gli antenati dei Visdomini e dei Tosinghi, i quali, quando la vostra sede vescovile è vacante, ne approfittano per arricchirsi allorché si riuniscono insieme per amministrarla. La prepotente schiatta (degli Adimari) che infierisce (s’indraca: si fa feroce come drago) su chi fugge, e diventa umile come un agnello davanti a chi le mostra i denti o le offre la borsa, già iniziava l’ascesa, ma modesta era la sua origine tanto che a Ubertino Donati non piacque che il suocero ( Bellincione Berti ) lo facesse poi diventare loro parente. I Caponsacchi erano già scesi da Fiesole ed abitavano nei pressi del Mercato Vecchio, ed eran già diventati cittadini ragguardevoli i Giudi e gli Infangati. Dirò una cosa incredibile eppure vera nella cerchia antica si entrava per una porta che prendeva nome dalla famiglia dei della Pera. Tutte le famiglie che portano (nel loro stemma ) la bella insegna di Ugo il Grande, la cui fama e le cui opere sono commemorate nel giorno festivo di San Tommaso, ricevettero da lui la dignità cavalleresca e il privilegio (di portare il suo stemma), sebbene oggi uno che adorna quell’insegna col fregio (di una fascia d’oro) si sia schierato dalla parte del popolo. Fiorivano già le famiglie dei Gualterotti e degli Importuni; e il quartiere di Borgo Santi Apostoli sarebbe ancor oggi più tranquillo, se esse non avessero avuto i nuovi vicini. La casa (degli Amidei) da cui nacque il pianto di Firenze, a causa del loro legittimo sdegno che (però) vi ha portati alla rovina, e ha posto fine alla vostra vita serena e pacifica, era tenuta in onore, essa e la sua consorteria (i Gherardini e gli Uccellini): o Buondelmonte, quanto facesti male a venir meno alla promessa di nozze con una donna di quella famiglia per istigazione altrui! Molti, che ora sono tristi (per i lutti causati dalla divisione della città), sarebbero invece lieti, se Dio ti avesse fatto annegare nel fiume Ema la prima volta che venisti a Firenze. Ma era necessario che Firenze, giunta alla fine del suo periodo di pace interna, immolasse una vittima alla statua mutila di Marte che è in capo al Ponte Vecchio. Con queste famiglie e con altre insieme a loro, vidi Firenze in una pace cosiì profonda, che non c’era nulla da cui ricevesse motivo di sofferenza: con queste famiglie io vidi il suo popolo così glorioso e concorde, che l’insegna del giglio non era mai stata capovolta in cima all’asta, né il giglio bianco era mai stato sostituito con quello rosso per le lotte di partito”.
Come Fetonte, l’esempio del quale rende ancor oggi i padri restii a indulgere alle richieste dei figli, andò dalla madre Climene, desideroso di accertarsi se era vero ciò che aveva udito contro di se; così ero io ansioso di sapere, e questo stato d’animo era avvertito e da Beatrice e dall’anima santa di Cacciaguida, che prima per parlare con me aveva cambiato posto (scendendo ai piedi della croce luminosa ). Perciò la mia donna mi disse: “ Esprimi il tuo ardente desiderio, in modo che l’intensità interiore appaia bene evidente esternamente, non già perché la nostra conoscenza aumenti per le tue parole, ma perché ti abitui ad esprimere la sete del tuo desiderio, Così che gli altri ti possano appagare ”. “O cara radice della mia famiglia, che t’innalzi così in alto, che, come la mente dei mortali vede che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo, con la stessa chiarezza discerni le cose che possono essere o non essere prima che esistano in atto contemplando la divina essenza, il punto in cui tutti i tempi sono presenti, mentre seguivo Virgilio su per il monte del purgatorio che purifica le anime e mentre discendevo nel mondo dei dannati, mi furono dette parole preoccupanti riguardo alla mia vita futura, sebbene io mi senta incrollabile ( tetragono: il termine indica ogni figura geometrica dotata di quattro angoli e, in particolare, il cubo), di fronte ai colpi della fortuna (di ventura). Perciò l’animo mio è ansioso di conoscere quale sorte mi viene incontro, perché il colpo previsto sembra avanzare più lentamente”. Cosi io dissi a quella luce che prima mi aveva parlato; e manifestai il mio desiderio come aveva voluto Beatrice. Non con oracoli oscuri, nei quali un tempo si invischia, vano le genti pagane prima che fosse ucciso Gesù, l’ Agnello di Dio che riscatto i peccati del mondo, ma con parole chiare e con preciso linguaggio mi rispose quel padre amoroso, avvolto nella sua luce e visibile a causa della sua letizia: “Ciò che può essere o non essere, che non oltrepassa la sfera del vostro mondo materiale ( perché nel mondo divino esiste solo l’eterno e il necessario), è tutto presente nel pensiero di Dio: Tuttavia non per questo ciò che è contingente diventa necessario, così come una nave che discende lungo la corrente (può essere osservata, ma) non deriva il suo moto dall’occhio nel quale si specchia. Dalla visione del pensiero eterno di Dio così come dall’organo giunge all’orecchio una dolce armonia, mi viene davanti agli occhi il futuro che ti si prepara. Come Ippolito se ne andò da Atene per le calunnie della spietata e perfida matrigna, così tu dovrai andartene da Firenze. Questo si desidera e questo già si cerca di attuare, e presto sarà fatto da parte di chi ordisce tali macchinazioni là (nella curia pontificia) dove ogni giorno si fa mercato della religione. La colpa, come al solito, sarà attribuita dall’ opinione pubblica alla parte vinta, ma la punizione darà testimonianza della verità, la quale assegna giustamente i suoi castighi. Tu dovrai lasciare ogni cosa più cara; e questo è il colpo doloroso che prima di tutto ti infliggerà l’ esilio. Tu proverai quanto sia amaro il pane chiesto agli altri, e quanto sia duro cammino scendere e salire le scale delle case; altrui. E quello che ti riuscirà più gravoso, sarà la compagnia cattiva e sciocca con la quale ti troverai precipitando in questa miseria essa si volgerà contro di te piena di ingratitudine, dissennata e piena di odi, ma poco dopo, essa, non tu, ne avrà le tempie rosse di sangue. Il suo modo di agire costituirà la prova della sua folle sconsideratezza, così che sarà motivo di onore per te l’aver fatto partito per te stesso. Il tuo primo rifugio, la tua prima dimora ospitale ti sarà offerta dalla liberalità del grande lombardo che ha per suo stemma una scala sormontata dall’aquila imperiale; così benevola sarà la considerazione che nutrirà nei tuoi riguardi, che, nei rapporti tra voi due, rispetto all’esaudire un desiderio e all’esprimerlo, sarà primo (non colui che chiede ma) colui che esaudisce, il quale, normalmente, agisce dopo che il primo ha espresso il desiderio. Con Bartolomeo vedrai Cangrande, colui che, al momento della nascita, ricevette un così forte influsso da questo cielo, che le sue azioni diventeranno memorabili. a lui solo da nove anni (Cangrande, infatti, nacque nel 1291 e Dante immagina di compiere il suo viaggio nell’oltretomba nel 1300); ma prima che il papa guascone Clemente V inganni l’imperatore Arrigo VII, appariranno i primi segni della sua virtù nel disprezzo del denaro e della fatica. Le sue splendide imprese saranno allora così conosciute, che i suoi stessi nemici non le potranno tacere. Affidati a lui e ai suoi benefici; per opera sua cambierà condizione molta gente, poiché i ricchi diventeranno poveri e i poveri diventeranno ricchi. Porterai scolpite nella tua memoria queste cose che lo riguardano, ma non le dirai ”; e rivelò fatti incredibili persino per coloro che li vedranno accadere. Poi aggiunse: “ Figlio, queste sono le spiegazioni di quello che ti fu detto (nell’inferno e nel purgatorio riguardo al tuo esilio ); ecco le insidie che si preparano (per te) nello spazio di pochi anni ( dietro a pochi giri: dietro a pochi giri di sole). Non voglio però che tu porti odio ai tuoi concittadini, poiché la tua vita (per mezzo della fama) si prolungherà nel tempo ben oltre il momento nel quale essi riceveranno la punizione della loro perfidia ”. Dopo che, tacendo, l’anima santa di Cacciaguida si mostrò libera dal compito di rispondermi (letteralmente: di mettere la trama in quella tela di Cui le avevo presentato l’ordito con le mie domande), io cominciai, come colui che, nel dubbio, desidera il consiglio della persona che è capace di distinguere la verità e che agisce rettamente e ha una caritatevole disposizione: “ Ben vedo, padre mio, come il tempo incalza contro di me, per infliggermi un colpo di tale gravità, che riuscirà più pesante a chi vi si abbandonerà senza reagire; per questo motivo è bene che io sia previdente, in modo che, se mi è tolta la patria, io non debba perdere a causa dei miei versi la possibilità di rifugiarmi in altri luoghi. Scendendo nell’inferno, il mondo del dolore eterno, e salendo sul monte del purgatorio, dalla cui bella cima gli occhi di Beatrice mi hanno sollevato (alle sfere celesti ) , e poi attraverso il paradiso di cielo in cielo, ho appreso cose che, se le riferisco avranno per molti un sapore fortemente aspro; e se ( tacendo per paura ) mi mostro timido amico della verità, temo di perdere fama tra i posteri (coloro che questo tempo chiameranno antico). ” La luce nella quale splendeva Cacciaguida, la gemma che avevo trovato in quel cielo, dapprima divenne più fulgida, simile a una lamina d’oro investita dal raggio del sole, poi rispose: “Colui che ha la coscienza macchiata o dalle proprie colpe o da quelle di parenti e amici sentirà certamente la durezza delle tue parole. Ma nondimeno, messa da parte ogni menzogna, rivela tutto ciò che hai visto; e si dolga pure delle tue parole chi è in colpa ( lascia pur grattar dov’è la rogna: lascia pure che si gratti chi è affetto da rogna), Perché se le tue parole riusciranno sgradite ad un primo assaggio, lasceranno poi un nutrimento vitale, non appena saranno state digerite . Queste tue affermazioni faranno come il vento, che percuote più violentemente le cime più alte, e questo ( la proclamazione della verità fatta senza paura ) non costituisce piccolo motivo d’onore; Per tale ragione in questi cieli, nel purgatorio e nell’inferno, ti sono stati mostrati solo spiriti di persone famose, perché l’animo di chi ascolta non si appaga né presta fede ad esempi che si fondano su cose o persone sconosciute e non sufficientemente evidenti, né su altre dimostrazioni di scarsa apparenza ”.
Cacciaguida, specchiando in se divina luce beatificante, già godeva silenzioso del proprio pensiero, ed io assaporavo il mio, cercando di contemperare quello che mi era stato detto di doloroso con quello che mi era stato detto di gradevole. E Beatrice, che mi guidava a Dio, mi disse. “ Lascia il pensiero dell’esilio: considera che io sono vicino a Dio (colui) che allevia ogni torto”. Io mi volsi alle amorose parole della mia consolatrice; e qui rinuncio a descrivere la luce di carità che io allora vidi nei suoi santi occhi; non solo perché diffido della capacità espressiva delle mie parole, ma anche perché la mia memoria non può ritornare tanto sopra se stessa (e ricordare), se Dio non la guida (con la sua Grazia). Di quel momento posso ricordare solo che, fissandola, il mio cuore fu libero da ogni altro desiderio, mentre l’ eterna bellezza di Dio, che raggiava direttamente in Beatrice, mi appagava col raggio riflesso dai begli occhi di lei. Abbagliandomi con la luce di un suo; sorriso, ella mi disse: “ Volgiti (a Cacciaguida) e ascolta, perché non solo nei miei occhi (ma anche in quelli degli altri beati ) risplende la gioia del paradiso”. Come talvolta quaggiù sulla terra il sentimento interiore si manifesta negli occhi, allorché è tanto grande da prendere tutta l’anima, cosi nel ravvivato splendore della luce santa di Cacciaguida, al quale mi volsi, riconobbi il suo desiderio di parlarmi ancora un poco. Egli cominciò: “In questo quinto cielo del paradiso, che è come un albero che trae la vita da Dio, sua cima, e produce continuamente frutti senza mai perdere nessuna foglia, si trovano spiriti beati, i quali sulla terra, prima di venire in cielo, furono circondati da grande fama, così che qualsiasi poeta potrebbe trovare ricca materia di canto (nelle loro imprese). Perciò fissa lo sguardo sui quattro bracci della croce: ogni spirito che io chiamerò per nome, trascorrerà da un braccio all’altro con la velocità con la quale il lampo solca la nube che lo ha generato ”. Al nome di Giosuè, nel momento stesso in cui veniva pronunciato, io vidi una luce muoversi lungo la croce; né il suono del nome fu percepito da me (mi fu noto) prima del muoversi della luce. E al nome del glorioso Giuda Maccabeo vidi un altro spirito muoversi girando su se stesso, e la gioia era come la frusta che (colpendola) fa girare la trottola. Allo stesso modo al nome di Carlo Magno e di Orlando il mio sguardo attento seguì il movimento di altre due luci, come l’occhio del falconiere segue il falcone in volo. Poi Guglielmo d’Orange, e Renoardo, il duca Goffredo di Buglione, e Roberto il Guiscardo attrassero il mio sguardo lungo quella croce. Quindi, l’ anima di Cacciaguida che mi aveva parlato, muovendosi e mescolandosi agli altri spiriti, mi fece sentire quale artista fosse tra i cantori del cielo ( di Marte). Io mi volsi verso destra per farmi indicare da Beatrice o con parole o con cenni quello che dovevo fare; e vidi i suoi occhi tanto luminosi, tanto gioiosi, che il suo aspetto superava in bellezza tutti gli altri precedenti, perfino l’ultimo. E come l’uomo si accorge che la sua virtù cresce di giorno in giorno, perché prova una gioia sempre più profonda nel fare il bene, così io, vedendo più bello il miracoloso aspetto di Beatrice, m’accorsi che l’arco del mio giro intorno alla terra insieme al cielo, aveva una circonferenza più ampia (essendo salito in un cielo superiore e quindi più ampio). E come muta rapidamente il colore in un bianco volto di donna, quando questo si libera dal rossore della vergogna ( ritornando al colore naturale ), altrettanto rapido fu il mutamento di colore che apparve ai miei occhi, quando mi distolsi (dal guardare Beatrice), a causa del candore temperato del sesto cielo (di contro al colore rosso del cielo di Marte ), che m’aveva accolto dentro di se. Nella luminosa stella di Giove io vidi lo sfavillio degli spiriti, che lì risplendevano d’amore, disegnare davanti ai miei occhi le lettere dell’alfabeto. E come gli uccelli levatisi in volo dalle rive di un fiume come se si rallegrassero tra loro per il cibo trovato , si dispongono in schiera ora circolare ora d’altra forma, così avvolti nella loro luce, i santi spiriti, volando qua e là, cantavano, e assumevano la figura ora di una D, ora di una I, ora di una L. Dapprima, cantando, si muovevano sul ritmo del loro canto; poi, assumendo la forma di una di queste lettere, si arrestavano un poco e tacevano. O celeste musa che fai gloriosi e rendi immortali i poeti, ed essi col tuo aiuto rendono immortale la fama delle città e dei regni, illuminami con la tua luce, in modo che io possa rappresentare efficacemente le figure disegnate da questi spiriti, così come si sono impresse nella mia mente: appaia il tuo potere in questi miei versi inadeguati (alla materia trattata)! Apparvero dunque trentacinque vocali e consonanti; ed io fissai nella memoria le lettere componenti ciascuna parola, nell’ordine in cui mi si mostrarono espresse in figura. “Amate la giustizia” furono il primo verbo e il primo nome della frase dipinta nel cielo: “voi che siete giudici in terra ” furono le ultime parole. Poi le anime rimasero ferme e disposte nella figura della emme, ultima lettera dell’ultima parola, così che in quel punto il pianeta Giove appariva come argento ornato di rilievi d’oro. E vidi altre anime scendere (dall ‘Empireo) sul punto più alto della emme, e li fermarsi cantando un inno, credo a Dio, il Bene che le attrae a se. Poi come dai ceppi arsi dal fuoco, quando vengono percossi, si sprigionano innumerevoli faville, dalle quali gli stolti sogliono trarre favorevoli auspici per se, così si videro alzarsi dal colmo dell’emme moltissime luci, e salire (verso l’alto) qual più e qual meno, a seconda del grado di beatitudine che Dio, il sole che le accende (d’amore), ha dato loro in sorte; e allorché ognuna si fu fermata al suo posto, vidi che esse avevano formato la figura della testa e del collo di una aquila in quell’oro che prendeva rilievo sullo sfondo argenteo del cielo di Giove, Dio, che così dipinge nel cielo di Giove, non ha maestri, ma Egli stesso è il maestro, e da lui deriva la virtù generativa che dà vita agli esseri nelle loro dimore terrene. Le altre anime beate, che prima apparivano paghe di assumere la forma del giglio nella lettera emme, con piccoli spostamenti completarono la figura . O dolce pianeta Giove, quali e quante anime luminose mi mostrarono ( prima col loro canto e poi con la figura dell’aquila, simbolo dell’Impero e della giustizia che esso solo può realizzare ) che la giustizia umana deriva dall’influsso del cielo che tu adorni con il tuo splendore! Perciò prego Dio, dal quale prende inizio il tuo movimento e il tuo potere di influsso, affinché rivolga la sua attenzione al luogo da cui esce il fumo che offusca la tua luce, in modo che Egli si adiri una seconda volta per i commerci che si fanno nel la Chiesa che fu edificata con i miracoli e il martirio (di Cristo e dei suoi santi). O anime beate del cielo di Giove, che io contemplo (nella mia memoria), pregate per i mortali, che hanno deviato dalla giusta via per il cattivo esempio ( degli uomini di chiesa) ! Un tempo si era soliti fare la guerra con le armi, ma ora si fa sottraendo ai fedeli, or qua or 1à, il pane spirituale che il misericordioso Padre celeste non nega a nessuno. Ma tu che scrivi ( i decreti di scomunica ) solo per annullarli poi ( per denaro ), pensa che Pietro e Paolo, che morirono per la Chiesa che tu ora vai distruggendo, sono ancora vivi (in cielo e pronti a chiedere vendetta a Dio). È probabile che l'apostrofe sia rivolta a Giovanni XXII, pontefice dal 1316 al 1334, il quale con ogni mezzo "raunò infinito tesoro" (Villani Cronaca XI, 20 ) . Alcuni interpreti hanno proposto il nome di Bonifacio VIII e di Clemente V, per altro già morti al tempo in cui Dante scrive questi versi. A buon diritto puoi dire: “ Il mio desiderio è volto con tanta forza a San Giovanni Battista, colui che volle vivere solitario nel deserto e che fu martirizzato per premiare una danza, che io non mi curo né di San Pietro né di San Paolo”.
Davanti a me si mostrava con le ali aperte la bella figura dell’aquila che era formata dalle anime riunite insieme, liete nel godimento della loro beatitudine: ogni anima sembrava un piccolo rubino nel quale risplendesse un raggio di sole così vivo, da riflettere nei miei occhi il sole stesso. E quello che ora devo raccontare, non fu mai detto, né scritto, né concepito da alcuna fantasia, perché io vidi e anche udii il becco dell’ aquila parlare, e dire con la sua voce “ io ” e “ mio ”, mentre logicamente avrebbe dovuto dire “ noi ” e “ nostro ”. E l’ aquila cominciò: “ Per aver esercitato (sulla terra) giustizia e pietà io sono qui innalzata alla gloria celeste che supera (non si lascia vincere) ogni umano desiderio; e sulla terra lasciai una tale memoria di me, che perfino le genti malvage del mondo sono costrette a lodarla, anche se non imitano le opere da me compiute (la storia)”. Come da molti carboni accesi proviene un unico calore, così ora da parte di molti spiriti ardenti di carità usciva un’unica voce dalla figura dell’ aquila. Perciò io subito dopo dissi: “ O fiori immortali della gioia eterna, che mi fate sembrare una sola tutte le vostre voci, allo stesso modo in cui da molti fiori emana un unico profumo, scioglietemi, parlando, il grave dubbio che da lungo tempo mi tormenta, non trovando per esso sulla terra alcuna soluzione soddisfacente. Io so bene che se la giustizia divina in cielo si specchia direttamente in un altro ordine di intelligenze, tuttavia anche (nella vostra sfera) si manifesta senza essere offuscata da alcun velo. Voi sapete come mi preparo ad ascoltarvi con attenzione; voi sapete qual è il dubbio che costituisce per me un tormento così antico ”. Come il falcone che viene liberato dal cappuccio, alza il capo e muove festoso le ali, dimostrando il desiderio (di alzarsi in volo) e aggiustandosi le penne col becco, così vidi atteggiarsi l’aquila , che era formata di anime che lodavano la grazia divina, con canti che conosce solo chi è beato lassù. Poi comincio: “ Dio, colui che creando girò il compasso a tracciare gli estremi confini del mondo, e in questo dispose ordinatamente tante cose occulte e visibili, non poté imprimere la sua infinita perfezione in tutto l’universo in modo tale, che l’idea della sua mente non restasse infinitamente superiore rispetto alle cose create. E ciò è confermato dal fatto che Lucifero, il quale fu la più alta creatura, per non aver atteso la luce della Grazia, precipitò imperfetto dal cielo: e di qui appare chiaro che ogni creatura inferiore (a Lucifero) è un vaso troppo piccolo per contenere Dio, il Bene infinito, il quale non può essere misurato se non con se stesso. Dunque la nostra intelligenza, che deve essere un raggio riflesso della mente divina di cui sono piene tutte le cose, non può, sua natura, essere tanto potente da non dovere riconoscere che la mente di Dio, suo principio, va molto al di là di quello che essa può vedere. Perciò l’intelletto che voi mortali ricevete (dal Creatore), si può addentrare nella giustizia divina, come l’occhio può vedere nelle profondità del mare; il quale occhio, benché dalla riva riesca a scorgere il fondo, non lo vede più quando si trova in alto mare; e tuttavia il fondo c’è, ma lo nasconde la sua profondità. Non c’è (per l’intelletto umano) luce di verità, se non viene dalla luce eternamente serena (della mente divina); quella che non viene di là è ignoranza , o nozione offuscata dai sensi (della carne), o velenoso errore provocato da essi. Adesso ti è possibile guardare nella segreta profondità che ti celava la giustizia del Dio vivente, per cui ti ponevi una domanda così frequentemente ripetuta; poiché tu dicevi: “Un uomo nasce sulle rive del fiume Indo, e qui non c’è né chi parli né chi insegni né chi scriva di Cristo; e tutti i suoi sentimenti e i suoi atti sono buoni, per quanto può giudicare la ragione umana, senza peccato nelle opere o nelle parole. Costui muore senza battesimo e senza la fede: che giustizia è questa che lo condanna? dove sta la sua colpa, se egli non crede?” Ora chi sei tu che vuoi salire sul seggio del giudice, per dare un giudizio su cose lontane da te mille miglia con la tua vista che non vede al di là di un palmo? Certamente avrebbe motivo di dubitare colui che fa sottili ragionamenti riguardo al mistero della giustizia ( meco: l’aquila è simbolo della giustizia), se a guidarvi non ci fosse la Sacra Scrittura. Oh uomini che vivete come bruti! oh ottuse menti umane! La volontà divina, che è buona per sua natura, non si allontana mai dal principio con il quale si identifica, il sommo Bene. E’ giusto tutto quello che si conforma a lei: nessun bene creato può‘ attrarre a se la volontà divina, anzi proprio essa, irradiandosi, genera il bene creato ”. Come la cicogna dopo aver nutrito i figli gira volando sopra il nido, e come il cicognino che si è pasciuto volge gli occhi verso di lei, così fece la benedetta figura dell’aquila, che agitava le ali mosse dalle molteplici volontà concordi (degli spiriti da cui era formata), io (come il cicognino) alzai gli occhi a guardarla. Girando intorno cantava, e diceva: “ Come riescono incomprensibili le parole del mio canto a te, che non sei capace d’ intenderle, così è incomprensibile il giudizio divino a voi mortali ”. Dopo che quelle luci, che erano fiamme di carità accese dallo Spiríto Santo, si fermarono sempre disposte nella figura dell’aquila che rese i Romani degni di riverenza davanti al mondo, l’aquila riprese: “ In paradiso non salì mai nessuno che non avesse creduto in Cristo, sia prima sia dopo che egli fosse inchiodato sulla croce. Ma considera questo: molti che gridano “Cristo, Cristo!”, nel giorno del giudizio finale saranno assai meno vicino a Lui del pagano che non lo ha conosciuto; e (anche) un infedele etiope potrà condannare siffatti cristiani, quando (nel giorno del giudizio) si divideranno le due schiere (collegi, l’una destinata all’eterna ricchezza (del paradiso), e l’altra destinata all’eterna miseria (dell’inferno) . Che cosa non potranno dire gli infedeli persiani ai vostri principi, quando vedranno aperto il libro nel quale sono registrate tutte le loro azioni spregevoli ? In quel libro si vedrà scritta, tra le imprese dell’imperatore Alberto I, quella che presto indurrà la penna divina a registrarla, e a causa della quale sarà devastato il regno di Boemia con Praga, la sua capitale. In quel libro si vedrà il doloroso danno che, falsificando la moneta arrecherà alla Francia Filippo il Bello che morirà per il colpo di un cinghiale. In quel libro si vedrà la superbia sitibonda di dominio, che acceca il re di Scozia e quello d’lnghilterra, in modo che nessuno dei due può sopportare di rimanere entro i propri confini. Si vedranno la lussuria e la vita effeminata del re di Spagna e del re di Boemia, che mai seppe né mai volle sapere che cos’è la virtù. Si vedranno segnate le opere dello Zoppo di Gerusalemme, le opere buone con una I, mentre quelle malvage con una M. Si vedranno l’avarizia e la viltà di colui che regna sulla Sicilia, l’isola del fuoco etneo, dove Anchise terminò la sua lunga vita; e per far capire che uomo dappoco egli sia, la scrittura che lo riguarda sarà in parole abbreviate, che noteranno in poco spazio molte opere malvage. E saranno visibili a ognuno le opere vergognose dello zio e del fratello di Federico, che hanno disonorato la così nobile stirpe degli Aragonesi e le due corone d’Aragona e di Sicilia. E lì si saprà chi furono il re di Portogallo e quello di Norvegia, e il re di Rascia, che per proprio danno conobbe la moneta veneziana. Oh felice l’Ungheria se non si lascia più malmenare dai suoi re ( come nel passato)! e felice il regno di Navarra se si fa scudo dei Pirenei che lo circondano! E ognuno sappia che ora, come saggio (di quello che accadrà all’Ungheria e alla Navarra), Nicosia e Famagosta si lamentano e gridano per la tirannia del loro re bestiale, il quale non si scosta dall’esempio degli altri re, simili a bestie come lui.
Quando il sole che illumina tutto il mondo tramonta dal nostro emisfero tanto, che il giorno da ogni parte viene meno, il cielo, che prima era illuminato soltanto dalla sua luce, ridiventa improvvisamente visibile grazie ai molti astri, nei quali si riflette l’unica luce del sole: e questo fenomeno celeste mi venne in mente, non appena l’aquila, l’insegna dell’impero romano che unificò il mondo, e dei suoi imperatori, tacque col suo becco, poiché tutti quegli spiriti luminosi, risplendendo sempre di più, intonarono canti, caduti e dileguati dalla mia memoria. O dolce carità che ti avvolgi nel manto luminoso del tuo sorriso, quanto ti mostravi ardente in quegli spiriti che come flauti spiravano i loro canti mossi solo da santi pensieri! Dopo che le anime simili a lucenti gemme preziose, di cui avevo visto adornato Giove, il sesto pianeta, interruppero gli angelici canti, mi parve di udire il mormorio di un torrente che scende limpido giù di sasso in sasso, mostrando la ricchezza d’acqua della sua sorgente sulla vetta, E come il suono si modula nella parte più alta della cetra ( dove il suonatore fa scorrere le dita), e come il fiato che penetra nella zampogna acquista forma di suono ai fori di essa, Così, rimosso ogni indugio, il mormorio dell’aquila salì su per il collo come se questo fosse vuoto. Nel collo il mormorio divenne voce, e di qui attraverso il becco uscì in forma di parole, proprio come le desiderava il mio cuore, dentro il quale le impressi. L’aquila cominciò: “ Ora devi guardare attentamente il mio occhio, la parte: che nelle aquile terrene vede e sopporta la luce del sole, perché fra gli spiriti coi quali formo la mia figura, quelli onde l’occhio risplende nella mia testa, hanno il più alto grado di beatitudine fra tutti quelli del sesto cielo. Colui che risplende nel mezzo dell’occhio come pupilla, fu Davide, il cantore ispirato dallo Spirito Santo, che trasportò l’arca santa di luogo in luogo (fino a Gerusalemme); ora conosce quale fu il merito acquistato con i suoi Salmi, in quanto (I’accettazione dell’ispirazione divina) fu frutto della sua libera volontà, per il premio avuto che corrisponde al merito. Dei cinque spiriti che mi formano l’arco del ciglio, quello che è più vicino al mio becco, fu Traiano, colui che consolò la vedovella dell’uccisione del figlio: ora conosce quanto costi caro non aver la fede in Cristo, per l’esperienza che fa di questa vita beata e per quella fatta dell’ opposta vita nell’inferno. E lo spirito che viene dopo Traiano nel cerchio di cui sto parlando, nella parte superiore del mio arco ciliare, è Ezechia, colui che con la vera penitenza ritardò la morte: ora conosce che il giudizio eterno di Dio non cambia, anche se una preghiera meritoria ottiene di rimandare a domani ciò che sulla terra dovrebbe accadere oggi. L’altro spirito che segue è Costantino. colui che, con buona intenzione che diede (però) cattivi risultati, per cedere Roma al papa, fece greco se stesso (trasferendo la capitale a Bisanzio) con le leggi dell’Impero e con la sua insegna: ora conosce che il male causato dall’opera da lui compiuta con retta intenzione non gli è imputato a colpa, sebbene da ciò sia derivata la rovina del mondo. E lo spirito che vedi nella curva discendente dell’arco ciliare, fu Guglielmo, che è rimpianto dalla terra (di Puglia e di Sicilia ) la quale ora soffre per il malgoverno di Carlo II e Federico II, suoi attuali sovrani: ora conosce come Dio ami i re giusti, e dimostra anche con il fulgore del suo aspetto questa sua consapevolezza. Chi potrebbe credere laggiù in terra fra gli uomini soggetti ad errore, che il troiano Rifeo fosse il quinto spirito beato nell’arco del mio ciglio? Ora, anche se il suo sguardo non ne può distinguere il fondo, conosce abbastanza di quel mistero della grazia divina che il mondo non può conoscere ”. Come un’allodola che prima spazia nell’aria cantando, e poi tace sopraffatta dalla dolcezza finale del suo canto che la rende contenta, cosi la figura dell’aquila mi sembrò tacere soddisfatta del piacere ( provato parlando ), il quale è un’impronta del piacere divino, secondo la cui volontà ogni cosa diventa quella che è. E sebbene io davanti all’aquila fossi trasparente rispetto al dubbio che mi agitava come il vetro rispetto al colore che esso ricopre, il mio dubbio non tollerò di attendere in silenzio, ma dalla bocca mi spinse fuori con tutta la forza del suo peso la domanda: “ Che cosa sono queste cose (cioè: come può un pagano salvarsi)?”; per cui ( pronunciate quelle parole ) vidi un grande sfavillio di luci (da parte delle anime ). Immediatamente dopo, per non tenermi sospeso nello stupore, con l’occhio ancor più splendente, il benedetto segno dell’aquila mi rispose: “ Io vedo che tu credi a queste cose perché te le ho dette io, ma non comprendi come (i due pagani siano salvi), cosicché, anche se tu le credi, queste cose restano oscure ( al tuo intelletto). Fai come colui che impara sì il nome di una cosa, ma non può conoscerne l’essenza se altri non gliela manifesta. Il regno dei cieli sopporta violenza solo da parte dell’amore ardente e della speranza da esso vivificata, che vincono la divina volontà; non la vincono con la violenza come un uomo che sopraffà un altro, ma perché essa vuole essere vinta, e, nel momento stesso in cui è vinta, vince con la sua bontà. La prima anima fra quelle che formano il mio ciglio e la quinta ti fanno stupire, perché vedi il paradiso, la regione degli angeli, adorno della loro presenza. Questi due spiriti non uscirono pagani dai loro corpi, come ritieni, ma cristiani, credendo fermamente Rifeo nella futura redenzione e Traiano nella redenzione già operata da Cristo crocifisso. Perché l’anima di Traiano dall’inferno, da dove non si può ritornare mai alla volontà di operare il bene, tornò a riprendere il corpo; e ciò fu premio dell’ardente speranza (di San Gregorio Magno); di quell’ardente speranza, che nelle preghiere fatte a Dio per risuscitare l’anima di Traiano infuse una forza tale che la volontà del risorto potesse essere mossa ( alla fede e al pentimento). L’anima gloriosa di Traiano di cui si sta parlando, tornata nel corpo, nel quale restò poco tempo, credette in Cristo che poteva salvarla: e credendo si accese di tale fuoco di amore di Dio, che, giunta alla morte per la seconda volta, fu degna di salire alla gioia del paradiso. L’anima di Rifeo, in virtù della grazia divina che deriva da una sorgente cosi profonda, che mai nessuna creatura poté spingere l’ occhio fino al punto da cui sgorgano le sue acque, vivendo sulla terra indirizzò tutto il suo amore alla giustizia; per questo Dio, aggiungendo grazia a grazia, gli rivelò la nostra futura redenzione: per cui egli credette in essa, e da allora in poi non tollerò più il nauseante paganesimo: e ne rimproverava le genti sviate in quell’errore. Più di mille anni prima dell’istituzione del battesimo a lui valsero come battesimo quelle tre donne (Fede, Speranza e Carità) che tu vedesti (nel paradiso terrestre) alla destra del carro della Chiesa ( cfr. Purgatorio XXIX, 121-129). O predestinazione, quanto è distante la tua profonda ragione dagli intelletti umani che non possono vede intera l’essenza divina, causa prima di tutte le cose! E voi, mortali, siate cauti nel giudicare, perché nemmeno noi, che pure vediamo Dio direttamente, conosciamo ancora tutti gli eletti futuri; e ci è dolce tale limite imposto alla nostra conoscenza, perché la nostra felicità si perfeziona appunto in questo piacere, per cui tutto quello che Dio vuole, anche noi vogliamo ”. In questo modo da quella divina figura dell’aquila, per rischiarare la mia limitata intelligenza, mi fu data questa spiegazione, fonte di dolcezza. E come labile suonatore di cetra accorda il suono delle vibranti corde alla voce del buon cantore, per cui il canto diventa più piacevole, così, durante il discorso dell’aquila, ricordo che vidi le due anime luminose (di Traiano e di Rifeo), proprio con la stessa simultaneità con la quale battono le palpebre degli occhi, muovere le loro fiammelle in accordo con le parole dell’aquila.
Già i miei occhi erano nuovamente fissi nel volto della mia donna, e con gli occhi anche l’animo, che si era distolto da ogni altro oggetto. E Beatrice non sorrideva: ma cominciò a parlare dicendomi: “ Se ti mostrassi il mio riso, tu diventeresti come Semele, quando fu incenerita (per aver contemplato Giove nel fulgore della sua luce divina); perché la mia bellezza che, come hai potuto vedere, sempre più risplende, quanto più si sale per i cieli del paradiso, se non si moderasse, risplenderebbe tanto, che la tua facoltà visiva di uomo, di fronte al suo fulgore, sarebbe come una fronda che ‘ La folgore schianta. Noi siamo innalzati al settimo cielo di Saturno, il quale trovandosi. congiunto con la costellazione del Leone, irraggia ora sulla terra la sua influenza mescolata a quella del Leone. Fissa la tua attenzione in quel che vedranno i tuoi occhi, e fa che questi diventino specchi in cui si rifletta l’immagine che ti apparirà in questo cielo”. Chi sapesse qual era l’appagamento del mio sguardo nel contemplare l’aspettò beato di Beatrice, quando io volsi gli occhi ad altro, potrebbe capire, paragonando l’una cosa con l’altra (cioè il piacere di guardarla con quello di obbedirle), quanto mi era gradito obbedire alla mia guida celeste. Dentro al pianeta trasparente che girando intorno al mondo, porta il nome di Saturno, re caro al mondo perché sotto il suo governo ogni malizia umana rimase come spenta, vidi una scala del colore dell’oro su cui risplendeva un raggio di sole, la quale si alzava tanto verso l’alto, che i miei occhi non ne vedevano la cima. E vidi pure scendere giù per i gradini tanti spiriti luminosi, che io pensai che ogni luce che appare nel cielo si diffondesse da questa fonte. E come, secondo il loro istinto, le cornacchie, all’alba, volano a schiera per scaldarsi le ali intirizzite, poi alcune vanno via senza più tornare, altre ritornano al nido da dove erano partite, e altre girando intorno, restano là dove si trovano, in tal modo mi parve si comportassero qui quelle luci sfavillanti che scesero insieme dalla scala, non appena si imbatterono in un certo gradino. E lo spirito che si fermò più vicino a noi, divenne così splendente, che io dicevo dentro di me: “ Intendo bene l’amore che tu mi manifesti ( sfavillando ) ”. Ma Beatrice dalla quale aspetto l’indicazione di come e quando devo parlare o tacere, non fa cenno: perciò io, contro il mio desiderio, credo di agire bene non facendo domande. Per cui essa, che vedeva il motivo del mio silenzio attraverso la contemplazione di Dio che tutto vede, mi disse: “ Sciogli il tuo ardente desiderio di parlare ”. E io cominciai: “ Il mio merito non mi fa degno della tua risposta; ma per amore di colei che mi concede di interrogarti, o anima beata che te ne stai nascosta dentro alla luce, segno della tua letizia, dimmi il motivo che ti ha indotta a fermarti così vicino a me; e dimmi perché in questo cielo di Saturno non si ode il dolce canto paradisiaco, che nei cieli più bassi risuona tanto devoto ”. Mi rispose: “ La tua facoltà auditiva, come quella visiva, è d’uomo mortale; perciò qui non si canta per la stessa ragione per cui Beatrice non ha riso. Sono disceso tanto giù per i gradini di questa scala santa, solo per far festa a te con le parole e con la luce che mi riveste: né un amore più grande che negli altri spiriti mi fece più rapida a scendere; perché un amore maggiore o uguale al mio arde in ogni anima che è di qui in su, per questa scala, così come te lo manifesta il loro risplendere. Ma l’amore divino, che ci fa ancelle pronte ad ubbidire alla volontà divina governante il mondo, assegna in sorte qui a ciascuna di noi l’ufficio che essa compie, come tu vedi”. lo replicai: “ O anima santa che risplendi, io comprendo bene come in questa corte celeste il vostro libero amore basta a farvi eseguire i decreti della divina provvidenza; ma ciò che mi sembra difficile a capire è questo: perché tu sola, fra le tue compagne, fosti predestinata a questo ufficio (di venirmi a parlare) ”. Non avevo ancora pronunciato l’ultima parola, che lo spirito luminoso fece centro del suo punto mediano, girando su se stesso come una veloce macina: poi lo spirito ardente d’amore chiuso dentro la luce, rispose: “ La luce divina converge sopra di me, penetrando attraverso questa luce, nel cui seno sono racchiusa, e la sua potenza, unita alla mia intelligenza, m’innalza tanto al di sopra di me, che io riesco a vedere la suprema essenza, Dio, da cui quella luce deriva, Da questa visione viene la letizia di cui risplendo; perché io uguaglio la luminosità del mio splendore alla visione che io ho di Dio, per quanto essa riluce. Ma anche quell’anima che nel cielo più s’illumina di luce, anche quel serafino che più penetra con l’occhio in Dio, non potrebbe soddisfare alla tua domanda; poiché quello che tu chiedi si addentra tanto nel segreto degli eterni decreti di Dio, che è separato dall’intelligenza di ogni essere creato. E quando ritornerai, riferisci questo al mondo degli uomini, cosicché esso non ardisca più dl indirizzarsi verso una meta cosi alta. L’intelligenza umana, che qui in cielo risplende di luce, sulla terra è avvolta dal fumo dell’errore perciò considera come possa l’intelligenza in terra quello che non può neppure quando il cielo l’ha assunta nella sua gloria ”. Le sue parole mi segnarono il termine della questione, così che io l’abbandonai, e mi limitai a domandare umilmente all’anima chi fosse. “Tra le due sponde d’Italia (del Tirreno e dell’Adriatico), s’innalzano, non molto lontani dalla tua patria, i monti dell’ Appennino tanto alti, che i tuoni risuonano assai più in basso (durante i temporali ), e formano una gobba che si chiama Catria, sotto la quale c’è un sacro eremo ( il monastero di Fonte Avellana), il quale soleva essere destinato solo al servizio di Dio. Così l’anima riprese a parlarmi per la terza volta; poi, continuando, aggiunse: “ A Fonte Avellana mi dedicai con tanta vocazione al servizio di Dio, che solo con cibi conditi con olio d’oliva trascorrevo agevolmente le estati e gli inverni, pago della mia vita di contemplazione . Quel monastero soleva allora fruttare al paradiso larga messe di anime, ora è diventato così sterile, che presto ciò dovrà manifestarsi al mondo. In quel monastero io fui col nome di Pietro Damiano, e Pietro Peccatore mi chiamai nella comunità di Nostra Signora (presso Ravenna) sul litorale Adriatico”. Mi rimanevano pochi anni della mia vita mortale, quando fui chiamato e indotto a prendere quel cappello cardinalizio che oggi passa soltanto da un prelato cattivo a uno peggiore. San Pietro e San Paolo, il vaso d’elezione dello Spirito Santo vennero sulla terra affamati e scalzi, accettando il cibo da qualunque casa ospitale. Ora invece i moderni prelati vogliono chi li sorregga da una parte e dall’altra e chi li conduca, tanto son corpulenti!, e chi seguendoli tenga loro alzato lo strascico. Cavalcando, coi loro mantelli ricoprono anche i cavalli; sicché sotto una stessa copertutura procedono due bestie ( la cavalcatura e il cavaliere ): o pazienza di Dio che sopporti tanta vergogna ! ” A queste parole io vidi numerose luci scendere della scala di gradino in gradino e roteare su di se, e ad ogni giro diventare più luminose. Vennero a fermarsi attorno all’anima di Pier Damiano, ed emisero un grido cosi alto, che non potrebbe trovare un paragone in questa terra: né io potei capire le parole; tanto mi assordò il suo rimbombo simile ad un tuono.
Sopraffatto dallo stupore (per il grido dei beati ), mi volsi verso la mia guida, come fanciullo che ricorre sempre alla madre, colei nella quale ha maggior fiducia; e Beatrice, come madre che subito viene in soccorso al figlio pallido e ansioso con le sue parole, che sogliono tranquillizzarlo, mi disse: “ Non ti ricordi che sei in paradiso ? e non sai che in paradiso tutto è santo, e che tutto quello che qui si fa deriva da carità ardente ? Ora, dopo che il grido dei beati ti ha tanto sconvolto, puoi comprendere quanto più ti avrebbero sconvolto il loro canto e lo splendore del mio sorriso (cfr. canto XXI, versi 58-60 e 4-12); e se tu avessi potuto capire la preghiera contenuta in quel grido, già ti sarebbe svelata la punizione divina che vedrai prima della tua morte. La spada della giustizia divina non colpisce né troppo presto né troppo tardi, eccetto che nel giudizio di colui che, desiderando la punizione divina o temendola per se, l’aspetta ( con ansia). Ma osserva ormai gli altri beati, perché vedrai anime molto famose, se rivolgi lo sguardo così come ti dico ”. Rivolsi gli occhi, come Beatrice desiderava, e vidi un numero infinito di piccole sfere che illuminandosi a vicenda splendevano più intensamente. Io ero nello stesso stato d’animo di colui che reprime in sé lo stimolo del desiderio, e non osa domandare, tanto teme di eccedere i limiti della discrezione; e la più grande e la più luminosa di quelle gemme si fece avanti, per appagare il mio desiderio rivelandomi il suo nome. Poi dentro la luce che l’avvolgeva udii: “Se tu conoscessi, come conosco io, la carità che arde in noi, avresti espresso il tuo pensiero ( senza timore di essere inopportuno ). Ma affinché tu, indugiando ( a parlare), non debba ritardare il raggiungimento della tua alta meta ( la visione di Dio nell’Empireo), risponderò alla domanda soltanto pensata che tu esiti così tanto ( a tradurre in parole). La vetta di quel monte sulle cui pendici sorge Cassino, fu un tempo frequentata da popolazioni immerse nelle false credenze del paganesimo e restie (ad accogliere la vera fede); ed io sono colui che per primo diffuse in quei luoghi il nome di Cristo, colui che portò sulla terra la verità che ci innalza alla beatitudine eterna; e risplendette sopra di me tanta grazia divina, che riuscii ad allontanare gli abitanti dei borghi circostanti dall’empio culto pagano che aveva attratto a sé tutto il mondo. Questi altri spiriti luminosi furono nella vita tutti dediti alla contemplazione, accesi di quell’ardente carità che produce pensieri e opere sante. Qui si trova Macario, qui si trova Romualdo, qui si trovano quei benedettini che rimasero fedeli alla vita del chiostro tenendosi stretti, con saldo cuore, alla regola ”. Ed io a lui: “ La carità che dimostri rivolgendomi la parola, e la benevola espressione che vedo e osservo nello aspetto luminoso di voi tutti, hanno accresciuto la mia fiducia così come fa il sole con la rosa quando essa (al calore dei raggi) si apre in tutta la sua pienezza. Perciò ti prego, e tu, padre, dimmi se sono degno di ottenere una grazia tanto grande, affinché possa vederti nella tua figura umana, liberata (dalla luce che la fascia)”. Per cui egli rispose: “ Fratello, il tuo alto desiderio sarà soddisfatto nell’ultimo cielo ( nell’Empireo, sede di Dio e reale dimora dei beati ), dove tutti desideri e perciò anche il mio ( che è quello di accogliere la tua richiesta) trovano il loro appagamento, Là ciascun desiderio e compiuto, giunto alla sua pienezza e senza difetti; solo in quest’ultimo cielo ogni parte è perfettamente immobile, perché (esso) non è nello spazio, e non ha i poli celesti intorno a cui girare; e la nostra scala sale fin lassù, per cui si sottrae così alla tua vista. Il patriarca Giacobbe, quando la scala gli apparve così piena di angeli (che salivano e scendevano) ne vide la cima protendersi fino all’ultimo cielo. Ma, per salirla, oggi nessuno alza i piedi da terra, e la mia regola è rimasta solo per sciupare la carta (dove viene trascritta). I monasteri che solevano essere rifugio di santa vita sono diventati spelonche di ladroni, e le tonache monacali son simili a sacchi pieni di farina guasta . Ma la più grave usura (frutto del denaro dato a prestito) non offende tanto profondamente la volontà di Dio, quanto l’avidità delle rendite ecclesiastiche che travia l’animo dei monaci, perché tutto ciò che la Chiesa custodisce, appartiene ai poveri che chiedono la carità in nome e per amore di Dio, non ai parenti degli ecclesiastici o ad altre persone che è preferibile non nominare ( concubine e figli naturali ). La natura umana è cosi debole, che giù nella terra un buon proposito iniziale (quale fu quello offerto dalla Regola di San Benedetto) non dura neppure per il periodo che va dalla nascita della quercia al suo fruttificare ( periodo che è di circa venti anni ). San Pietro diede inizio alla comunità della Chiesa senza possedere né oro né argento, ed io diedi inizio al mio ordine con le preghiere e i digiuni, e San Francesco con la umiltà. E se consideri il periodo iniziale di ciascuna comunità, e poi rifletti fino a che punto essa è degenerata, tu vedrai che il bianco si è mutato in nero (cioè: le virtù iniziali si sono cambiate negli opposti vizi). Tuttavia l’aver fatto retrocedere le acque del Giordano e aprire le acque del mare, quando Dio lo volle, furono cose più mirabili a vedersi di quello che sarà il rimedio divino a questa corruzione”. Così mi parlò, e poi si riunì alla sua schiera, e questa si chiuse in un gruppo compatto; poi, come un turbine, salì roteando verso l’Empireo. La mia dolce guida mi sospinse dietro a loro, su per quella scala, con un solo cenno, tanto la sua virtù riuscì a vincere il peso del mio corpo; e mai sulla terra, dove si sale e si scende con mezzi naturali vi fu un movimento così veloce da poter, si paragonare alla rapidità del mio volo. Così possa io tornare, o lettore, in paradiso per meritare il quale spesso piango i miei peccati e mi percuoto il petto, (come è vero) che io vidi la costellazione dei Gemelli, che segue quella del Toro, ed entrai in essa in un tempo più breve di quello che tu avresti impiegato a mettere e trarre il dito dal fuoco. O stelle dispensatrici di gloria, o luce piena di nobile potenza, all’influsso della quale devo attribuire tutto il mio ingegno, qualunque sia il suo valore, il sole, che ( con il suo calore ) è sorgente di ogni vita sulla terra, nasceva e tramontava in congiunzione con voi, allorché respirai per la prima volta l’aria di Toscana; e poi, quando mi fu concessa la grazia di salire nel cielo ( delle stelle fisse ), che girando provoca anche il vostro movimento, ebbi in sorte di giungere nella parte di questo cielo da voi occupato. A voi ora il mio animo s’ innalza devotamente, per acquistare la forza necessaria ad affrontare l’ardua prova che lo attira a se. “Tu sei così vicino a Dio ” cominciò Beatrice, “ che i tuoi occhi devono ormai essere limpidi e penetranti: e perciò, prima che tu penetri più profondamente nella visione divina (t’inlei: riferito a ultima salute), guarda verso il basso, e osserva quanta parte del mondo ti ho ormai fatto percorrere, così che il tuo cuore si presenti lieto, quanto più gli è possibile, alle schiere trionfanti che avanzano piene di gaudio in questa sfera celeste. ” Ripercorsi con lo sguardo tutti i sette cieli (che avevo attraversato), e vidi la sfera terrestre così piccola, che sorrisi della sua meschina apparenza; e riconosco come migliore il giudizio di coloro che più la disprezzano; e chi pensa alle cose celesti (invece che a quelle terrene ) si può chiamare veramente virtuoso. Vidi la luna (figlia di Latona e di Apollo, in quanto identificata, nella mitologia classica, con Diana) illuminata senza quelle macchie a causa delle quali io l’avevo ritenuta costituita da parti rare e dense. Qui, o Iperione, riuscii a sopportare la vista del sole, tuo figlio, e vidi, o Maia e Dione, come intorno e vicino a lui si muovono i pianeti (Mercurio e Venere ). Di li mi apparve l’influsso temperatore di Giove tra Saturno, suo padre, e Marte, suo figlio; e di li vidi chiaramente il variare delle loro posizioni. E tutti e sette i pianeti mi si mostrarono nella loro grandezza, e nella loro velocità, e nella distanza che intercorre fra la zona dell’uno e quella dell’altro. Mentre mi volgevo con la costellazione dei Gemelli, la terra, che, pur piccola come un’ala, ci rende tanto feroci (spingendoci gli uni contro gli altri per il possesso dei suoi efflmeri beni ), mi apparve tutta, dai suoi luoghi più alti fino a quelli più bassi, dove i fiumi sfociano in mare. Poi rivolsi i miei occhi verso quelli luminosi di Beatrice.
Come l’uccello, in mezzo alle fronde amate ( perché tra esse vi è il suo nido), dopo aver riposato presso il nido delle sue dolci creature durante la notte che ci nasconde tutte le cose, il quale, per poter vedere le care sembianze dei suoi nati e cercare il cibo con cui nutrirli, ricerca nella quale gli sono gradite (anche) le più dure fatiche, previene il sorgere dell’alba (fuori dal nido) posato su un ramo scoperto, e attende con vivo desiderio l’apparire del sole, guardando fissamente solo se spunti l’ alba, così Beatrice stava eretta e attenta, rivolta verso quella parte del cielo dove il sole sembra rallentare il suo corso: così che, vedendola assorta e ansiosa, il mio stato d’animo divenne uguale a quello di colui che desidera ciò che ancora non ha, e acquieta il suo animo con la speranza (di poter ottenere l’oggetto del suo desiderio ). Ma poco tempo trascorse tra l’uno e I altro momento, tra il momento dell’attesa, dico, e quello in cui vidi il cielo che si veniva sempre più rischiarando. E Beatrice disse: “ Ecco le schiere delle le anime redente dal sacrificio di Cristo e tutto il frutto Mi sembrava che il suo volto si illuminasse di un fulgore vivissimo, e i suoi occhi erano così pieni di letizia, che sono costretto a procedere oltre senza parlarne. Come nei pleniluni sereni la luna (Trivia: accanto a quelli di Ecate e di Diana, è il nome solitamente usato nella mitologia per indicare la luna) splende in mezzo alle stelle che dipingono con le loro luci il cielo in ogni sua parte, così vidi sopra migliaia di anime luminose uno splendore abbagliante (Cristo), che con la sua luce le accendeva tutte quante, come il nostro sole accende le stelle; e attraverso l’intensa luce (che si irradiava) traspariva la fulgidissima persona di Cristo tanto luminosa ai miei occhi, che essi non potevano sostenerla. Oh Beatrice mia dolce e amata guida! Ella mi disse: “ Ciò che vince la tua facoltà visiva è una forza a cui nessun altra può resistere. In questa luce è Cristo, la sapienza e la potenza che aprì (agli uomini ) la via per salire dalla terra al cielo, via che in passato fu lungamente desiderata ”. Come la folgore si sprigiona dalla nube (in cui è rinchiusa) poiché si dilata in modo tale da non potere più esservi contenuta, e contrariamente alla sua natura ( che la porterebbe a salire ) precipita verso terra, così la mia mente, dilatatasi in mezzo a quei cibi spirituali, uscì di se stessa, e non è in grado di ricordare quello che allora abbia fatto. “ Riapri gli occhi e guardami in tutto il mio splendore: tu hai veduto tali cose, che (ora) sei dotato di forza sufficiente a sostenere la luce del mio sorriso. ” Io ero nella stessa condizione di colui che si risveglia da una visione subito dimenticata e che invano si sforza di richiamarla alla memoria, quando udii l’invito di Beatrice, degno di tanta gratitudine (da parte mia), che non potrà mai cancellarsi dalla memoria, il libro che registra il passato. Se ora incominciassero a cantare tutti quei poeti che Polimnia (musa della poesia lirica) e le altre Muse sue sorelle nutrirono in abbondanza con il loro latte dolcissimo (la poesia), per aiutarmi, non si arriverebbe neppure a descrivere la millesima parte del vero, tentando di cantare il santo sorriso di Beatrice e come esso fosse reso più luminoso dalla divina presenza di Cristo; e così, nel descrivere il paradiso, è necessario che il poema sacro passi oltre ( quelle parti che non possono essere espresse con parole), come colui che trova il suo cammino tagliato da qualche ostacolo (e perciò è costretto a saltare per poter continuare la sua strada). Ma chi considerasse la difficoltà del tema e le deboli forze delle spalle mortali che si caricano di esso, non potrebbe biasimare se queste spalle tremano sotto il suo peso. Non è una rotta che possa essere percorsa da una piccola barca quella che la mia ardita nave va seguendo, né adatta a nocchiero che vuole risparmiare le proprie forze. “ Perché il mio volto ti attira a sé con tanta forza, che tu non ti volgi più a guardare le schiere delle anime beate che sbocciano, come fiori, sotto i raggi della luce di Cristo? In questo giardino si trova la rosa(la Vergine Maria) nella quale il Verbo divino s’incarnò; qui sono i gigli ( gli apostoli ), sotto la cui guida gli uomini intrapresero il cammino della vera fede.” Così disse Beatrice; ed io, che ero completamente disposto a seguire i suoi consigli, ritornai a mettere alla prova i miei deboli occhi (volgendoli di nuovo verso la figura di Cristo, che già li aveva abbagliati; cfr. verso 33). Come talvolta (sulla terra) i miei occhi, prima coperti d’ombra (perché il sole, velato dalle nubi, non li feriva ), videro un prato fiorito illuminato improvvisamente da un raggio di sole che filtrava limpido attraverso lo squarcio di una nube, allo stesso modo vidi numerose schiere di anime splendenti, illuminate dall’alto da raggi fulgenti (quelli di Cristo), senza che potessi scorgere la sorgente di questi raggi, O divina potenza di Cristo, che imprimi il sigillo della tua luce sui beati, ti sollevasti verso l’Empireo, per concedere ai miei occhi che non erano capaci di sostenere il tuo fulgore la possibilità di vedere li (osservando le luci meno intense delle anime trionfanti), Il nome della rosa, il bel fiore che io sempre invoco nella mie preghiere al mattino e alla sera, fece concentrare ogni mia facoltà nello sforzo di ravvisare (fra le luci dei beati, dopo che Cristo era asceso all’Empireo ) lo splendore più intenso (quello di Maria), Non appena l’intensità e la quantità della luce di Maria, che in cielo supera lo splendore dei beati, come in terra superò in virtù ogni altra creatura, si riflessero nei miei occhi, scese attraverso il cielo uno splendore di forma circolare simile a una corona, e cinse la luce di Maria girandole intorno. Qualunque melodia che sulla terra risuoni più dolcemente e avvinca a sé con più forza l’animo (degli ascoltatori), sembrerebbe un fragore di tuono, a paragone del canto di Gabriele, che faceva corona alla Vergine, la gemma più preziosa di cui si adorna il cielo più luminoso (I’Empireo). “ Io sono un angelo ardente d’amore che corono, girandovi intorno, la beatitudine che emana dal grembo che fu dimora di Cristo, supremo desiderio degli angeli e degli uomini; e continuerò a girare, o signora (donna: dal latino domina, “ padrona ”) del cielo, fino a che seguirai tuo figlio (già asceso all’Empireo), e renderai più splendente il cielo più alto per il fatto che tu vi ritorni. ” Così si chiudeva il canto dell’angelo che girava intorno alla Vergine, e tutti gli altri beati facevano eco ripetendo i} nome di Maria. Il nono cielo, che avvolge come in un regale mantello le altre sfere che ruotano intorno alla terra, e che più arde di desiderio e che più riceve vita dallo spirito e dalle leggi di Dio, aveva la sua faccia interna tanto distante dal luogo in cui noi eravamo, che il suo aspetto da dove mi trovavo, non era ancora visibile: e perciò (a causa di questa distanza) i miei occhi non poterono seguire la luce di Maria incoronata da (Gabriele, che si innalzò (verso l’Empireo) seguendo il figlio. E come il bambino che, dopo aver preso il latte, tende le braccia verso la mamma, per l’amore che si manifesta anche negli atteggiamenti esteriori, così ciascuna di quelle anime fulgenti si protese verso l’alto con la sua luce, dimostrandomi chiaramente il profondo affetto che nutrivano per Maria. Poi rimasero lì al mio cospetto, cantando “ Regina del cielo ” con tanta dolcezza, che mai scomparve dal mio animo il senso di gioia che provai (ascoltando quell’inno). Oh quanta è l’abbondanza di beatitudine che si raccoglie in quelle anime simili ad arche ricchissime di frumento, che quaggiù nel mondo furono buone seminatrici! In paradiso si vive e si gode dei meriti che l’uomo ha acquistato con le sofferenze e con il disprezzo delle ricchezze durante l’esilio terreno. In paradiso, accanto a Cristo e ai santi dell’Antico e del Nuovo Testamento, trionfa della vittoria (riportata sul male e sulle tentazioni del mondo) San Pietro, colui che custodisce 1e chiavi del paradiso.
“O voi che siete stati scelti a partecipare al grande convito in cui si offre come cibo l’Agnello di Dio, il quale vi sazia con tanta abbondanza, che ogni vostro desiderio resta sempre appagato, se, per grazia divina, questi (Dante) pregusta le briciole che cadono dalla vostra mensa, prima che la morte gli segni il termine della sua vita mortale, considerate il suo immenso desiderio (di partecipare al vostro convito) e irroratelo alquanto ( della sapienza che possedete ): voi attingete sempre dalla fontana della sapienza dalla quale sgorga ciò a cui tende la sua mente. ” Cosi disse Beatrice; e quelle anime gaudiose assunsero la forma di sfere ruotanti intorno ad un’asse immobile, risplendendo, mentre si volgevano, con la luminosità di comete. E come le ruote nel meccanismo (tempra: letteralmente significa “ armonico accordo di suoni”) degli orologi girano con diversa velocità in modo che, a chi le osserva, la prima appare ferma, e l’ultima sembra volare, così quelle corone d’anime che danzavano girando con moto diverso, mi facevano valutare, in proporzione alla loro maggiore e minore velocità il loro grado di beatitudine. Dalla corona che mi appariva più bella (perché, come spiega il Buti. “era quella degli apostoli e discepoli di Cristo” ) vidi uscire una luce cosi splendente di beatitudine, che non lasciò, nella corona stessa, nessun’altra luce più fulgida; e tre volte girò intorno a Beatrice con un canto così divino (per contenuto e melodia ), che la mia immaginazione non è in grado di ripetermelo. Perciò la mia penna passa oltre e rinuncio a descriverlo, perché non solo la nostra parola, ma anche la nostra fantasia possiede mezzi inadeguati per esprimere la bellezza di quel canto. “ O mia santa sorella nella gloria celeste, che ci preghi così devotamente, con la forza della tua carità mi costringi a staccarmi da quella bella corona di beati. “ Poi, fermatasi, la luce benedetta rivolse la parola alla mia donna, dicendo ciò che ho riferito. Ed ella: “ O luce eterna di quel gránde uomo al quale il Signore nostro affidò le chiavi della mirabile beatitudine del paradiso che Egli aveva portato in terra, esamina costui, a tuo piacere, sulle questioni secondarie e fondamentali riguardanti la fede, quella virtù che ti fece camminare sulle acque del mare. Tu non ignori se egli possiede bene la carità e la speranza e la fede, perché il tuo sguardo è rivolto a Dio, nel quale i beati vedono ogni cosa come in uno specchio; ma poiché il regno celeste ha acquistato cittadini in virtù della vera fede, per glorificarla è bene che a costui (Dante) sia offerta l’occasione di parlare di essa”. Come il baccelliere, in attesa che il maestro proponga la questione, prepara le sue argomentazioni, senza parlare ancora, per addurre prove a favore della sua tesi, non per trarne le conclusioni, così, mentre Beatrice parlava, io mi preparavo intorno ad ogni problema, per essere pronto a rispondere a un tale esaminatore (quale era San Pietro) e a una tale professione ( quale è quella della fede). “ Dimmi, o buon cristiano, mostra (con le tue parole) quello che sei che cosa è la fede?” Per questo sollevai il viso verso la luce dalla quale provenivano queste parole; poi mi rivolsi a Beatrice, ed ella mi fece prontamente cenno di esprimere il mio pensiero “ La grazia divina che mi concede di fare la mia professione di fede” comincia’ a dire “ di fronte al suo primo campione, mi aiuti ad esprimere con chiarezza il mio pensiero.” E continuai: “ Come ci ha lasciato scritto la veritiera penna di San Paolo, colui che, o padre, ti fu compagno nell’avviare Roma sul retto cammino, la fede è il fondamento delle cose che speriamo di conseguire nella vita eterna ed è prova per credere alle cose che non vediamo; e questa mi sembra la sua essenza”. Allora udii queste parole: “ Tu pensi rettamente, se comprendi bene perché (San Paolo) definì la fede prima come “sostanza” e poi come “argomento” ”. Ed io di rimando: “ I profondi misteri che qui in cielo mi si rivelano, sono così nascosti agli occhi dei mortali, che (in terra) la loro esistenza è ammessa solo per un atto di fede, sul quale si fonda la speranza della beatitudine eterna; e perciò la fede assume la denominazione di “sostanza” (fondamento sostanziale delle cose sperate). E da questa fede, senza l’aiuto di altre prove, dobbiamo dedurre e dimostrare per via di ragionamento tutte le verità; perciò la fede assume la denominazione di “ argomento” ( prova delle cose non parventi) ”.Allora udii queste parole: “ Se tutto ciò che in terra si apprende per via di insegnamento, fosse compreso con tanta chiarezza, non ci sarebbe posto per discussioni da sofisti ”. Tali parole uscirono da quello spirito ardente di carità; poi soggiunse: “Ormai hai esaminato molto bene la lega e il peso di questa moneta (la fede): ma ora dimmi se tu la possiedi ”. Per cui io: “Si, la possiedo, così lucente (per la bontà della sua lega) e così rotonda (e quindi integra nel suo peso, perché non consumata sui bordi), che riguardo al suo conio non c’è nulla che possa costituire per me motivo di dubbio”. Poi udii queste parole dal profondo di quella luce che li splendeva: “ Questa gemma preziosa (la fede), che è fondamento di tutte le altre virtù, da chi e in che modo ti fu donata? ” Ed io: “ L’abbondante pioggia ( della divina ispirazione ) che dallo Spirito Santo scende sui libri del Vecchio e del Nuovo Testamento ( in su le vecchie e ‘n su le nuove cuoia: il termine cuoia indica qui le pergamene usate per fare i libri), è un argomento che mi ha dimostrato la certezza e la necessità della fede con tanta efficacia, che ogni altra dimostrazione mi sembra debole al suo confronto”. Io poi udii: “ L’Antico e il Nuovo Testamento che ti portano a questa conclusione, per quali ragioni li consideri ispirati da Dio? ”. Ed io: “ La prova che mi dimostra questa verità sono i miracoli avvenuti, per i quali la natura è nelle stesse condizioni di un fabbro che ha materia e mezzi limitati”. San Pietro mi rispose: “ Dimmi, chi ti assicura che quei miracoli siano realmente accaduti? Te lo attesta proprio e soltanto quel libro (la Sacra Scrittura ) di cui si vuole dimostrare (appunto per mezzo dei miracoli) la divina ispirazione, e non altre fonti”. “ Se il mondo si è convertito al Cristianesimo ” dissi “ senza miracoli, questo è un tale miracolo, che
Se mai avvenga che questo sacro poema alla cui composizione hanno concorso la scienza divina e l’umana esperienza, così che la fatica durata lunghi anni mi ha fisicamente logorato, riesca a piegare la crudele volontà (dei miei concittadini) che mi costringe a stare lontano da Firenze, la mia dolce patria dove io (un tempo) vissi come cittadino pacifico, ma avverso ai faziosi che portano discordia nella città, ritornerò poeta con voce diversa ormai e con diverso aspetto, e nel battistero di San Giovanni, dove fui battezzato, cingerò la corona poetica, poiché lì feci il mio ingresso nella fede che rende le anime familiari a Dio, e poi per questa fede San Pietro mi cinse la fronte (con la sua luce) in modo così mirabile. Quindi da quella stessa corona di beati da cui era uscito San Pietro, il primo dei vicari che Cristo lasciò in terra, venne verso di noi un altro spirito luminoso; e Beatrice, piena di letizia, mi disse: “ Guarda, guarda: ecco uno dei baroni della corte celeste, l’apostolo San Giacomo, per venerare il quale sulla terra si va in pellegrinaggio a Compostella in Galizia”. Come quando il colombo si avvicina al compagno, e l’uno manifesta all’altro l’amore, girandogli attorno e tubando, così vidi San Giacomo accolto dall’altro grande e glorioso principe, San Pietro, mentre entrambi lodavano Dio. il cibo che lassù li nutre. Ma dopo che fu terminato il vicendevole rallegrarsi, ciascuno si fermò dinanzi a me in silenzio, e così fiammeggiante che abbagliava la mia vista. Allora Beatrice disse sorridendo: “ O gloriosa anima che esalasti nei tuoi scritti la liberalità della nostra reggia celeste, fa che risuoni in questo cielo il nome della speranza: tu puoi farlo, perché sei colui che la simboleggi tutte le volte che Gesù dimostrò maggiore predilezione ai tre apostoli ”. “ Alza il capo e riprendi coraggio, perché chi sale quassù dalla terra, deve diventare capace di sostenere la vista del nostro splendore. ” Questo incoraggiamento mi venne dal secondo spirito, San Giacomo; e perciò io volsi lo sguardo verso le due somme luci che prima avevano fatto abbassare i miei occhi per il loro eccessivo splendore. “ Poiché Dio, nostro imperatore, per sua grazia vuole che tu, prima di morire, ti trovi al cospetto dei suoi ministri nella sala più interna della sua reggia, cosicché, dopo aver contemplato il paradiso quale esso è, tu possa con ciò che hai visto ravvivare in te e negli altri la speranza, che in terra accende gli animi all’amore del bene, dimmi cos’è la speranza e in che misura se ne abbellisce la tua mente, e donde essa ebbe principio in te. Così continuò ancora a dire San Giacomo. E Beatrice che aveva guidato a così alto volo le penne delle mie ali, prevenne la mia risposta con queste parole: “ La Chiesa militante non ha alcun figlio che possieda più di lui la speranza, com’è scritto nella mente di Dio, il sole che illumina tutte le nostre schiere: per questo gli è concesso di venire dall’esilio terreno (d’Egitto) nella Gerusalemme celeste, per vedere (il paradiso), prima che sia terminato per lui il tempo della milizia terrena. Intorno agli altri due punti, che gli sono richiesti, non perché tu voglia sapere (quello che già sai), ma perché egli riferisca agli uomini quanto ti è gradita questa virtù, lascio a lui la risposta, perché non gli riusciranno difficili né gli daranno motivo di vantarsi; ed egli stesso risponda alle tue domande e la grazia di Dio gli consenta di farlo”. Come scolaro che parla dopo il maestro rispondendogli pronto e volenteroso intorno a quello che egli ben sa, perché si conosca il suo valore, dissi: “La speranza è un’attesa sicura della gloria celeste, la quale è prodotta dalla grazia divina e dai meriti precedentemente acquistati. Questa nozione della speranza mi viene da molte fonti; ma per primo la istillò nel mio cuore David, colui che fu il più alto cantore di Dio. Nei suoi salmi in onore di Dio egli dice: “Sperino in te quelli che conoscono il tuo nome’’: e chi non sa questo, se ha la fede che ho io? Anche tu poi, con la luce comunicatami da David, mi istillasti la stessa dottrina nella tua epistola, in modo che io trabocco di questo dono, e riverso sugli altri quello che voi fate piovere su di me”. Mentre parlavo, dentro alla luce fiammeggiante di San Giacomo guizzava un lampo improvviso e frequente come un baleno. Quindi parlò: “ L’amore di cui ardo tuttora per la virtù (della speranza), la quale mi accompagnò fino al martirio e al termine della mia battaglia terrena, vuole che io riparli della speranza a te che dimostri d’amarla; e mi è gradito che tu mi dica che cosa essa ti promette”. E io risposi: “ Il Nuovo e il Vecchio Testamento assegnano la meta alle anime che vivono in grazia di Dio, e questa meta mi indica ciò che la speranza promette. Isaia (infatti) dice che ciascuna delle anime elette (ritornata) nella sua terra sarà rivestita di una duplice veste; e la sua terra e questa vita beata. E tuo fratello Giovanni Evangelista ci manifesta questa stessa rivelazione in modo assai più chiaro, là dove parla delle bianche vesti dei beati ”. E dopo la fine di queste parole, si udì dapprima cantare sopra di noi: “Sperino in te”, e a questo canto risposero tutte le corone danzanti dei beati. Poi in mezzo ad esse uno spirito divenne così fulgido che se la costellazione del Cancro avesse una stella tanto luminosa l’inverno avrebbe un mese fatto di un giorno solo. E come una sorridente fanciulla si alza e s’avvia ed entra nel cerchio della danza, non per vanità, ma solo per far onore alla novella sposa, così vidi lo spirito che aveva accresciuto il suo splendore venire verso i due (San Pietro e San Giacomo) che danzavano in circolo al ritmo del canto che era quale si conveniva alla loro ardente carità. Lì si unì a loro accordandosi al canto e alla danza; e la mia donna teneva lo sguardo fisso in loro, simile a sposa assorta e silenziosa. “Questi è l’apostolo Giovanni, colui che nell’ultima cena riposò sul petto di Cristo, e che fu scelto da Cristo in croce al grande compito di sostituirlo come figlio presso Maria. Così disse Beatrice; né per questo le sue parole distolsero il suo sguardo dal restare fisso sugli apostoli più di quanto lo avesse distolto prima di parlare. Come colui che aguzza lo sguardo e si sforza di vedere l’eclissi parziale di sole, e, per voler vedere troppo, restando abbagliato non vede più nulla, così divenni io dinanzi a quell’ultimo splendore finché mi fu detto (dal Santo): “Perché ti abbagli cercando di vedere una cosa che qui non può essere ? Il mio corpo in terra è diventato polvere, e vi starà con gli altri corpi finché il numero di noi beati sarà pari a quello stabilito dall’eternità nella mente divina. Con l’anima e con il corpo in paradiso si trovano solo Cristo e la Vergine, le due luci che poco fa sono salite all’Empireo; e questo tu riferirai giù nel vostro mondo ”. A queste parole la splendente danza dei beati cessò insieme alla soave mescolanza dei suoni che nasceva dal canto dei tre apostoli, così come, al suono del fischio del capovoga, per riposarsi o evitare un pericolo, si fermano tutti i remi, con i quali prima i rematori percuotevano regolarmente l’acqua. Ah quanto mi turbai nell’animo, quando mi volsi per guardare Beatrice, perché non potei vederla, sebbene fossi vicino a lei, e nel felice mondo dei beati!.
Mentre io dubitavo e temevo per la mia vista che era venuta meno, dalla fiamma luminosa (l'anima di San Giovanni) che l'aveva abbagliata uscì una voce che attrasse la mia attenzione, dicendo: « In attesa che tu riacquisti il senso della vista che hai perduto tentando di scrutare la mia luce, è opportuno che compensi la mancanza della vista fisica (con l'esercizio di quella spirituale) parlando con me. Incomincia dunque; e dimmi qual è il fine ultimo a cui tende la tua anima, e pensa che la tua vista è (solo) momentaneamente smarrita e non perduta per sempre. perché Beatrice, colei che ti conduce attraverso questo mondo divino, ha nel suo sguardo la virtù risanatrice che ebbe la mano di Anania ». Io dissi: « Presto o tardi, quando Beatrice vorrà, venga il risanamento ai miei occhi che furono come le porte attraverso le quali ella penetrò (nel mio animo) col fuoco di quell'amore di cui io sempre ardo. Dio, il Bene che appaga di sé tutto il paradiso, è principio e fine di tutto ciò che la carità mi insegna ad amare più o meno intensamente ». Quella medesima voce che mi aveva liberato dalla paura per l'improvviso abbagliamento (della mia vista), mi sollecitò (mi mise in cura) a parlare ancora, e disse: « Di certo devi chiarire (il tuo pensiero) passandolo (come avviene per il grano) attraverso un vaglio sempre più sottile: è necessario che tu dichiari chi ha rivolto l'arco del tuo amore verso un tale bersaglio (Dio) ». Ed io: « Questo amore si imprime necessariamente nel mio animo attraverso l'opera della ragione e attraverso la Rivelazione che scende da Dio. Perché il bene, non appena viene riconosciuto come tale, accende amore sé, e un amore tanto più grande quanto più questo bene è perfetto. Dunque verso quell'essenza (cioè Dio in cui c'è una tale superiorità su ogni essere, che ogni altro bene, il quale si trovi fuori di essa, non è che un riflesso della sua luce infinita, più che verso qualsiasi altra essenza deve rivolgersi, con il suo amore, la mente di ogni uomo capace di discernere la verità su cui si fonda questa argomentazione (cioè la dimostrazione di Dio come sommo Bene). Rende manifesta al mio intelletto questa verità colui che mi dimostra che Dio è l'amore supremo al quale tendono tutte le anime. Me la rende manifesta la voce di Dio stesso che a Mosè dice, parlando di se stesso: Io ti mostrerò tutto ciò che è buono ". Me la rendi manifesta anche tu, all'inizio del tuo grande annuncio nel quale proclami sulla terra i misteri divini con voce più alta di qualsiasi altra ». Ed io udii: « In virtù dei ragionamenti umani e della rivelazìone divina che con essi concorda, il supremo dei tuoi amori è rivolto a Dio. Ma, dimmi ancora se tu avverti altri impulsi che ti muovono ad amare Dio, così che tu possa rivelare in quanti modi questo amore ti assale ». Non mi rimase nascosta la santa itenzione di San Giovanni, anzi mi accorsi in quale direzione desiderava che io precisassi la mia dichiarazione. Perciò ripresi a parlare: « Tutti quei motivi che possono far volgere il cuore a Dio, hanno concorso ad alimentare in me la carità, perché l'esistenza del mondo e l'esistenza dell'uomo, il sacrificio di Cristo per salvare l'umanità, e la betitudine eterna sperata da ogni credente, con la viva conoscenza sopra affermata (di Dio come sommo Bene), mi hanno sottratto al mare delle passioni terrene, e mi hanno fatto approdare alla riva del vero amore. Amo le creature di cui è popolato, tutto il mondo creato da Dio in proporzione al bene che Dio concede a ciascuna di esse ». Non appena io tacqui, risuonò nel cielo un inno dolcissimo, e Beatrice cantava con gli altri: « Santo, santo, santo! ». E come all'apparire di una luce intensa ci si risveglia perché la facoltà visiva corre incontro a questa luce che passa attraverso i successivi tessuti dell'occhio, e colui che è stato (così) svegliato rifugge dal fissare lo sguardo su ciò che vede, tanto è inconsapevole quell'improvviso risveglio finché non viene in suo aiuto la riflessione, così Beatrice allontanò ogni impurità (che potesse offuscare i miei occhi) con la luce del suo sguardo, che risplendeva in modo da essere vista a più di mille miglia di distanza: per cui (grazie a questo suo intervento) potei poi vedere meglio di prima; e quasi stupefatto chiesi notizia di un quarto lume che vidi con noi. E Beatrice: « Dentro quella luce contempla con amore Dio, suo creatore, la prima anima che è stata creata dalla virtù divina ». Come fa l'albero che piega la sua cima al passaggio dei vento e poi torna a sollevarsi per la sua forza naturale che lo riporta in posizione verticale, così feci io mentre Beatrice parlava, (piegando il capo) pieno di stupore, ma poi mi rese ardito il grande desiderio di interrogare (Adamo). E incominciai: «0 frutto che, solo, nascesti già maturo, o antico padre per il quale ogni sposa è figlia e nuora, ti supplico, con la maggiore devozione possibile, di parlarmi: tu conosci ciò che desidero sapere e, per poterti ascoltare subito, non perdo tempo ad esportelo ». Come talvolta un animale coperto da un panno si agita, così che il suo desiderio si vede palesemente perché l'involucro che lo copre segue i suoi movimenti, allo stesso modo Adamo (anima primaia: la prima anima creata) lasciava trasparire attraverso la luce che lo fasciava la sua gioia di compiacere alle mie domande. Poi parlò: « Senza che tu me lo abbia manifestato, conosco il tuo desiderio meglio di quanto tu non conosca le cose per te più certe, perché io lo vedo nello specchio veritiero di Dio, che riflette in sé tutte le cose, ma non può essere riflesso da nessuna. Tu vuoi sapere da me quando Dio mi pose nel giardino del paradiso terrestre dave Beatrice ti preparò a salire attraverso i cieli, e per quanto tempo i miei occhi godettero di esso, e la causa precisa dello sdegno divino contro di me, e la lingua che io creai e usai. Ora, figlio mio, non il fatto di aver gustato il frutto proibito fu di per sé la causa della cacciata dal paradiso terrestre ma soltanto l'aver superato i limiti fissati da Dio per l'uomo, Dal limbo (quindi) da dove Beatrice fece muovere in tuo soccorso Virgilio (cfr. Inferno, II, 52 sgg.), per 4302 anni (volumi di sol: rivoluzioni solari) bramai il paradiso; e durante la mia vita terrena vidi il sole ritornare 930 volte in tutti i segni dello Zodiaco. La lingua da me usata era già scomparsa prima che il popolo di Nembrot si accingesse alla costruzione (della torre di Babele) che non poteva mai essere condotta a termine, perché mai nessun prodotto della ragione umana fu immutabile, perché il gusto dell'uomo cambia (continuamente) a seconda del variare degli influssi celesti. A un fatto naturale che l'uomo si esprima con parole; ma che si serva di una lingua piuttosto che di un'altra, è poi dalla natura lasciato all'arbitrio degli uomini, secondo il loro gusto. Prima che io scendessi all'inferno (dove si trova il cerchio del limbo), Dio, il sommo Bene da cui proviene il gaudio celeste che mi avvolge con la sua luce, si chiamava I; ed in seguito si chiamò EL: e questo mutamento è un fatto naturale, perché tutto ciò che è usato dagli uomini (e quindi anche il linguaggio) è simile alle foglie di un albero, dove le une muoiono e le altre germogliano. Sulla vetta del monte del purgatorio (dove si trova il paradiso terrestre) che più di ogni altro si innalza sulla superficie del mare, rimasi, prima del peccato e dopo averlo commesso, dalla prima ora del giorno a quella che segue, cioè la sesta, quando il sole muta quadrante ».
Tutti i beati del paradiso intonarono: « Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo! », così dolcemente che la loro melodia mi inebriava. Quello che io vedevo mi sembrava un sorriso dell'universo, perché l'ebbrezza entrava nel mio animo attraverso l'udito e lo sguardo. Oh gioia! oh allegrezza indicibile! oh vita perfetta piena d'amore e di pace! oh beatitudine sicuramente posseduta senza desideri insoddisfatti ! Dinanzi ai miei occhi fiammeggiavano le quattro luci (Pietro, Giacomo, Giovanni, Adamo), e quella di San Pietro che si era avvicinata prima degli altri incominciò a farsi più splendente, e nel suo aspetto si fece rosseggiante, quale diventerebbe l'argenteo pianeta Giove, se esso e il rosso Marte fossero uccelli e si scambiassero le penne. La provvidenza di Dio, che nel cielo distribuisce l'avvicendarsi delle azioni e il compito proprio a ciascuno, aveva imposto il silenzio al coro dei diversi gruppi di beati, quando udii dire (da San Pietro): « Non stupirti, se io muto colore, perché, mentre io parlo vedrai diventare, rossi di sdegno tutti costoro. Bonifacio VIII, colui che in terra occupa indegnamente la mia sede, che è come fosse vacante agli occhi del Figlio di Dio, di Roma, il luogo della mia sepoltura ha fatto la fogna dove scorre il sangue delle discordie civili e donde sale il puzzo dei vizi; per cui Lucifero , si rallegra laggiù nell'inferno ». Allora vidi tutto il cielo dei beati cospargersi di quel color rosso, che tinge una nube alla sera o al mattino quando il sole le sta di fronte, E come una donna onesta, la quale pur restando sicura di sé, soltanto all'udire i falli altrui, si fa vergognosa, così divenne Beatrice mutando aspetto; e un tale oscuramento io credo che sia avvenuto in cielo (solo) quando il Figlìo di Dio fu crocifisso. Poi San Pietro continuò a parlare con voce tanto alterata da quella di prima, che l'aspetto non si era mutato più della voce: « La Chiesa, sposa di Cristo, non fu fondata e nutrita col sangue mio, e dei miei successori Lino e Cleto, per essere adoperata come strumento di lucro, ma, perché fosse guida all'acquisto di questa nostra vita beata, i papi Sisto, Pio, Calisto, e Urbano sparsero il loro sangue dopo molte sofferenze. Noi non intendemmo che una parte della cristianità sedesse a destra dei nostri successori, e un'altra parte a sinistra; né che le chiavi che mi furono affidate (come simbolo d'autorità) diventassero emblema in una bandiera che combattesse contro altri cristiani; né che la mia immagine fosse posta sul sigillo papale impresso sui documenti che concedono privilegi falsi e simoniaci, per cui io spesso arrossisco e divampo d'ira. Da quassù si vedono in tutte le chiese sotto la veste di pastori di anime, lupi rapaci: o soccorso divino, perché ancora stai inerte? Già si preparano a bere il nostro sangue Caorsini e Guasconi: o Chiesa che avesti così buoni inizi, a quale ignobile corruzione per forza di cose tu partecipi! Ma la provvidenza divina che per mezzo di Scipione preservò a Roma la gloria del dominio del mondo, verrà presto in aiuto, così come io vedo. E tu, o figliolo, che a causa del corpo mortale tornerai ancora sulla terra, non tacere e non nascondere (agli uomini) ciò che io non nascondo a te ». Come l'atmosfera sulla terra fa scendere fiocchi di neve, quando la costellazione del Capricorno è in congiunzione con il sole, così vidi l'ottavo cielo adornarsi e fioccare verso l'alto per la moltitudine delle fiamme splendenti delle anime che prima si erano fermate con noi, Il mio sguardo seguiva i loro aspetti, e li seguì finché lo spazio situato in mezzo, per la distanza troppo cresciuta, gli impedì di spingersi oltre. Per cui Beatrice, che mi vide libero dalla cura di guardare verso l'alto, mi disse: «Abbassa lo sguardo, e guarda quale arco hai percorso (muovendoti con questo cielo)». Da quando avevo guardato in giù la prima volta vidi che mi ero mosso per tutto l'arco che la prima zona descrive dalla sua metà al termine, cosicché oltre Cadice vedevo la rotta temeraria tentata da Ulisse, e di qua da Cadice il mar Mediterraneo fin presso il lido dove Europa fu un dolce carico per Giove. E di là mi sarebbe stata visibile una plaga più ampia di questa nostra terra; ma il sole procedeva nel suo corso sotto i miei piedi separato da me trenta gradi e più. Il mio animo innamorato che vagheggiava sempre Beatrice, più che mai ardeva dal desiderio di tornare a guardare verso di lei: e se mai la natura o l'arte crearono, in corpi umani o in pitture, immagini che fossero allettamenti tali da attrarre gli occhi per conquistare l'anima, tutte queste bellezze riunite, sembrerebbero niente a paragone della bellezza divina che io vidi rifulgere quando mi volsi a guardare gli occhi ridenti di Beatrice. E la virtù che i suoi occhi mi largirono, mi staccò dalla costellazione dei Gemelli, e mi spinse nel nono cielo, il più veloce di tutti. Tutte le parti di questo cielo, fulgidissimo e altissimo, sono così uniformi, che io non saprei dire quale di esse Beatrice scegliesse per salirvi con me. Ma ella, che vedeva la mia brama di conoscere, ridendo con tanta letizia, che Dio stesso pareva gioire nel suo volto, incominciò: « La struttura dell'universo, la quale mantiene immobile al centro la terra e muove tutte le altre cose intorno ad essa, incomincia da questo cielo come dalla sua origine; e questo cielo non ha altro luogo che lo contenga al di fuori della mente divina, nella quale s'accende l'amore che lo fa girare e la virtù che esso trasmette ai cieli sottostanti. La luce e l'amore dell'Empireo lo contengono in sé come in un cerchio, così come questo racchiude glí altri; e come questo cerchio possa essere contenuto lo comprende solo Dio, il quale lo circoscrive. Il movimento di questo primo cielo non è misurato dal movimento di un altro; anzi il moto degli altri è misurato dal moto di questo, così come il dieci è misurato dalla sua metà, il cinque, e dal suo quinto, il due. E ormai ti deve esser chiaro come il tempo abbia le sue radici in questo cielo come in un vaso e abbia le sue fronde nei cieli sottostanti. Oh cupidigia umana che sommergi a tal punto i mortali sotto di te, che nessuno è capace di alzare gli occhi sopra le tue onde! Certo negli uomini fiorisce la buona volontà; ma (l'imperversare delle passioni la spegne come) la pioggia continua tramuta le susine buone in susine guaste. Fede e innocenza si trovano solo nei fanciulli, ma poi l'una e l'altra si dileguano prima ancora che le loro guance siano ricoperte dal primo pelo. Vi è chi osserva i dìgiuni, quando è ancora bambino balbettante il quale poi, nell'età matura (quando la lingua si è ormai sciolta), divora ogni cibo in qualunque epoca dell'anno ; e un altro, ancora bambino balbettante, ama e ascolta docile la mamma, e, una volta adulto, quando il suo linguaggio è ormai perfetto desidera poi vederla morta e sepolta. Allo stesso modo (in cui il candore dell'infanzia si corrompe con il passare dell'età) la pelle dell'uomo, naturalmente bianca, diventa nera, appena compare l'Aurora, la bella figlia del Sole che porta il mattino sulla terra e tramontando lascia la sera. Per non stupirti di ciò, pensa che sulla terra non vi è chi governi; per cui la umanità va così rovinosamente fuori strada. Ma prima che gennaio esca del tutto dal periodo invernale a causa della frazione centesimale del giorno trascurata dal calendario, questi cieli del paradiso irradieranno tali influssi, che la tanto attesa tempesta farà volgere le poppe delle navi dove sono le prue (cioè: rimetterà la nave nella giusta direzione), così che la flotta correrà diritta e frutti buoni seguiranno alle promesse ».
Dopo che Beatrice, colei che innalza la mia anima alle gioie del paradiso, parlando contro la presente corruzione degli uomini mi ebbe rivelato la verità, come colui che scorge riflessa in uno specchio (che ha davanti), la fiamma di una torcia che lo illumina alle spalle, prima di averla vista (direttamente) o di avere pensato (che fosse lì), e si volge a guardare per vedere se lo specchio riflette un oggetto reale, e costata che l’immagine riflessa riproduce perfettamente quella vera allo stesso modo in cui il canto si accorda con la musica che l’accompagna, così mi ricordo di aver fatto io guardando nei begli occhi (di Beatrice) dei quali Amore si servì per legarmi a lei. E quando mi volsi a guardare e i miei occhi furono colpiti da ciò che appare in quel cielo (volume; cfr. canto XXIII, verso 112), ogni qualvolta si fissi bene lo sguardo nel suo giro, vidi un punto che irradiava una luce così potente, che l’occhio, che esso abbaglia deve chiudersi a causa della forte intensità di tale luce; e anche la stella che dalla terra appare più piccola, sembrerebbe grande come la luna, se fosse posta accanto ad esso come (nel cielo) una stella è collocata accanto all’altra. Forse non più distante di quanto si vede l’alone circondare l’astro (luce: il sole o la luna) che lo produce o lo illumina, quando il vapore che forma tale alone è più denso, così un cerchio di fuoco girava intorno al punto luminoso tanto velocemente, che avrebbe superato anche il moto del cielo che più rapido si volge intorno alla terra. E questo (cerchio) era circondato da un secondo, e questo da un terzo, e poi il terzo dal quarto, il quarto dal quinto, e poi il quinto dal sesto. Al di fuori del sesto seguiva il settimo così esteso ormai in larghezza, che l’arcobaleno sarebbe troppo stretto per poterlo contenere anche se costituisse (invece di un arco) un circolo intero. Concentrici come i precedenti e sempre più larghi seguivano l’ottavo e il nono; e ciascuno si muoveva con velocità decrescente , a seconda che il suo numero d’ordine fosse più o meno distante dall’ unìtà (cioè dal primo cerchio); ed aveva una fiamma più limpida il cerchio che era meno lontano dal punto luminoso, perché, credo, (essendo più vicino a Dio) tanto più riceve la sua verità. La mia donna, che mi vedeva assorto in un grave dubbio, disse: «Da quel punto dipendono il cielo e tutta la natura. Osserva quel cerchio che gli è più vicino; e sappi che il suo moto è così veloce per l’amore ardentissimo da cui è stimolato ». Ed io: «Se le sfere della terra e dei cieli fossero disposte nell’ordine che io vedo in questi cerchi angelici, la spiegazione data mi avrebbe soddisfatto; ma nel mondo sensibile si possono vedere i cieli tanto più veloci e infiammati di amore divino, quanto più sono lontani dal loro centro (la terra). Perciò, se il mio desiderio deve essere appagato in questo mirabile e angelico cielo che ha per confine solo l’ Empireo, cielo fatto di amore e di luce, Al di sopra del Primo Mobile non c'è più alcuna sfera materiale, ma solo l'Empireo, il cielo fatto di amore e di luce perché sede di Dio. è necessario che io sappia anche come mai il modello non corrisponda alla sua copia, perché inutilmente cerco di capirlo con le mie sole forze ». « Se le tue dita non sono capaci di sciogliere un tale nodo, non c’è da meravigharsi; tanto esso è diventato rigido e resistente, poiché nessuno ha mai tentato di scioglierlo! » Così parlò la mia donna; poi disse: «Ascolta attentamente quello che ti dirò, se vuoi saziarti; ed esercita acutamente il tuo ingegno intorno alle mie parole. I cerchi materiali (i cieli) sono più o meno ampi o stretti in proporzione della maggiore o minore virtù che si diffonde in tutte le loro parti. Quanto più grande è la virtù, tanto più grande è il benefico influsso che essa vuole esercitare; quanto più grande è un corpo materiale, tanto più grande è il benefico influsso che può ricevere, purché sia perfetto in tutte le sue parti. Dunque questo cielo (il Primo Mobile) che trascina con il suo movimento tutto quanto il resto dell’universo, corrisponde al coro angelico (quello dei Serafini) che è più infiammato d’amore e illuminato di sapienza. Per tale motivo, se tu misuri la virtù, non l’apparente dimensione dei cori angelici, vedrai la mirabile corrispondenza di ciascun cielo a ciascuna intelligenza angelica, corrispondendo i cieli maggiori alle maggiori virtù angeliche e i cieli minori alle minori virtù ». Come l’aria rimane luminosa e limpida, quando Borea (il vento di tramontana) soffia da quella parte da cui spira più temperato, per cui viene spazzata e dissolta la nebbia che prima offuscava il cielo, in modo che esso risplende con le sue bellezze in ogni parte (paroffia: letteralmente significa " parrocchia "), così avvenne in me, dopo che la mia donna mi ebbe offerto la sua chiara risposta, ed io vidi (si vide: fu vista; sottinteso: da me) la verità con la stessa chiarezza con cui si vede una stella brillare nel cielo. E dopo che il suo discorso fu concluso, i cerchi angelici sprigionarono faville come fa il ferro incandescente. Ogni scintilla (cioè: ogni angelo) continuava a girare con il suo cerchio infuocato; e il loro numero era così alto da inoltrarsi nelle migliaia più che la progressiva duplicazione degli scacchi. Udivo (gli angeli ) cantare osanna rispondendosi da cerchio a cerchio, al punto fisso (Dio) che (appagando ogni loro desiderio) li mantiene, e li manterrà sempre, nelle sedi nelle quali sono sempre stati. E Beatrice, che vedeva i dubbi che si agitavano nella mia mente (a proposito della disposizione delle gerarchie angeliche), disse: «I primi due cerchi sono quelli dei Serafini e dei Cherubini. Essi (girando) così veloci seguono il vincolo d’amore che li lega a Dio (i suoi vimi: questo termine deriva dal latino vímen, " legame "), per essere simili a Dio quanto più possono; e tanto più possono (assomigliarGli) quanto più si elevano nella contemplazione (rispetto a tutte le altre creature), Le altre sostanze angeliche che girano intorno alle prime due, sono chiamate Troni di Dio, per la qual cosa furono destinati a chiudere la prima terna. E devi sapere che questi tre ordini godono di una beatitudine proporzionata alla profondità della loro visione di Dio, visione nella quale ogni intelletto trova pace. Da quanto ho detto si può capire come la beatitudine si fonda sulla vista (di Dio), non sull’amore, che è una conseguenza (di tale visione); e la visione è in proporzione del merito, il quale nasce dalla grazia divina e dalla buona volontà (con cui essa è accolta): così si procede di gradino in gradino (dalla grazia alla volontà, dalla volontà al merito, dal merito alla visione, dalla visione all’amore). La seconda terna (o gerarchia), che così fiorisce in questa eterna primavera celeste che l’autunno non priva di foglie, canta (sberna: era il verbo usato per indicare il canto degli uccelli alla fine dell’inverno) il suo eterno " Osanna " con tre melodie che risuonano nei tre ordini angelici da cui (questa terna) è formata. In questa gerarchia si trovano le altre intelligenze angeliche: prima le Dominazioni, e poi le Virtù; il terzo ordine è quello delle Potestà. Poi nei due penultimi cori tripudianti si volgono i Principati e gli Arcangeli; l’ultimo è tutto costituito dagli Angeli festanti. Questi ordini in alto contemplano tutti Dio, e in basso esercitano il loro influsso (sui cieli sottostanti), in modo che ciascun coro è attratto verso Dio, e attrae a sé (le cose sottostanti). Dionigi l’Areopagita si dedicò alla contemplazione di questi ordini con tanto desiderio (di pervenire alla verità), che li chiamò e li distinse come ho fatto io ora (che ne ho conoscenza diretta). Ma San Gregorio Magno espresse poi una diversa opinione; per la qual cosa sorrise di se stesso non appena conobbe la verità arrivando in questo cielo. E non voglio che tu ti stupisca se un mortale ha potuto rivelare in terra una verità così misteriosa, perché gli fu rivelata da colui (San Paolo) che la poté contemplare quassù insieme con molte altre verità riguardanti questi cieli ».
Quando il sole e la luna, in congiunzione l’uno con il segno dell’Ariete e l’altra con quello della Bilancia, si trovano contemporaneamente sulla linea dell’orizzonte (letteralmente: si fanno entrambi cintura dell’orizzonte ), per il tempo che intercorre dal momento in cui lo zenit è equidistante da essi fino al momento in cui, uno tramontando e l’altra sorgendo, si staccano dall’orizzonte, per tale frazione di tempo, Beatrice, con il volto illuminato dal sor riso, rimase in silenzio, guardando fissamente quel punto (Dio) che mi aveva abbagliato (con la sua luce). Poi incominciò: " lo dico, senza chiedertelo, quello che tu desideri ascoltare, perché l’ho letto in Dio, in cui ogni luogo e ogni tempo sono presenti. Non per acquistare un ulteriore bene per sé, cosa che è impossibile (perché Dio è il Bene supremo e infinito), ma perché lo splendore riflesso della sua luce (cioè le creature) potesse (affermando la propria sussistenza) dire: "Io sono", nella sua eternità, fuori del tempo, fuori dello spazio che circoscrive le cose, Dio, lo eterno amore, spontaneamente, si estrinseca in nuove creature amanti (gli angeli). Né prima della creazione Dio rimase inoperoso, perché l’opera della creazione non ebbe né un prima né un poi. La forma e la materia, unite fra di loro e allo stato puro, uscirono (dalla mente divina): ad un esistenza priva di difetti, coma da un arco munito di tre corde (escono contemporaneamente) tre frecce. come attraverso il vetro, l’ambra o il cristallo un raggio di luce passa così istantaneamente, che tra il suo giungere (in questi corpi) e il penetrarvi tutto non c’e intervallo di tempo, così la triplice creazione si irraggiò da Dio tutta insieme nella pienezza del suo essere senza distinzione di tempo nell’atto di nascere. Insieme con le tre sostanze (sopra nominate) fu creato l’ordine (secondo il quale devono agire) e la struttura: del cosmo; e quelle sostanze che furono prodotte come puro atto (gli angeli) occuparono il luogo più alto dell’universo (I’Empireo); la pura potenza fu posta nel luogo più basso; nel mezzo atto e potenza furono uniti insieme con un tale nodo, che non potrà mai essere sciolto. San Gerolamo vi lasciò scritto che gli angeli furono creati molti secoli prima della creazione del mondo sensibile; ma la verità che ti ho manifestata: (questo vero: gli angeli furono creati insieme con la materia prima e i cieli ) è scritta in molti passi degli autori ispirati dallo Spirito Santo; e te ne accorgerai tu stesso, se leggerai (quei testi) con attenzione; Le pagine della Sacra Scrittura alle quali Dante fa riferimento nei versi 40-4 1 sono quelle della Genesi ( I, 1 ), dei Salmi (CII, 26), dell'Ecclesiastico (XVIII, 1). e per quanto le è concesso di capire se ne rende conto anche la ragione umana, la quale non potrebbe ammettere che le intelligenze motrici dei cieli siano rimaste per tanto tempo senza essere perfette. Ora tu sai dove e quando e come gli angeli furono creati, così che sono ormai soddisfatti tre punti del tuo desiderio (cfr. versi 10-12). Non si giungerebbe, contando, fino al numero venti con la stessa rapidità con la quale una parte degli angeli sconvolse la terra, il più basso dei quattro elementi. Gli angeli fedeli rimasero (nell’Empireo), e incominciarono a svolgere con tanto diletto questo ufficio che tu vedi, che non cessano mai di girare intorno (al punto luminoso). Causa della caduta fu la maledetta superbia di Lucifero, colui che tu vedesti imprigionato sotto tutti i pesi dell’universo. Quelli che tu vedi qui in cielo furono umili nel riconoscere il loro essere derivato dalla bontà di Dio, che li aveva creati capaci di intendere cose così grandi; e perciò le loro capacità intellettuali furono accresciute per mezzo: della grazia illuminante e del loro merito, così che essi hanno una volontà ferma e perfetta (nel compiere il bene). Né voglio che tu abbia qualche dubbio, ma sii persuaso che il ricevere la grazia divina costituisce un merito proporzionale alla misura dell’affetto con cui essa si riceve. Ormai se hai bene ascoltato e meditato le mie parole, puoi capire, riguardo al tema del consorzio angelico, molte cose senza nessun altro aiuto. Ma poiché in terra nelle vostre scuole si insegna che gli angeli sono dotati di intelligenza e di memoria e di volontà, prolungherò il mio discorso, affinché tu possa vedere nella sua purezza la verità che in terra viene distorta poiché in questi insegnamenti si chiamano con uno stesso nome due cose diverse. Gli angeli, dal momento in cui godettero della visione diretta di Dio, non distolsero mai il loro sguardo da Lui, nel quale tutto è presente: perciò in essi la conoscenza non è mai interrotta da un oggetto nuovo, e per tale motivo non hanno bisogno di ricordare un concetto (temporaneamente) dimenticato, così che in terra si sogna ad occhi aperti, sia da parte di coloro che credono (in buona fede) di insegnare la verità, sia da parte di coloro che sono coscienti di non dire la verità, anche se la colpa e la vergogna più grandi sono da addebitare a questi ultimi. Voi sulla terra non procedete tutti sulla stessa via negli studi filosofici; a tal punto vi lasciate trascinare dal desiderio e dalla preoccupazione di apparire (abili e ingegnosi). E tuttavia questa ambizione è tollerata con minore sdegno di quando la Sacra Scrittura viene posposta (alle dottrine filosofiche), oppure di quando ne viene distorto il significato. Non si pensa sulla terra quanto sangue di martiri sia costata la diffusione (della parola divina) nel mondo, e quanto sia gradito (a Dio) chi si accosta ad essa con umiltà. Ciascuno si ingegna ed escogita novità per mettersi in mostra; e queste novità vengono accolte ed esposte dai predicatori mentre viene trascurato il vangelo. C’è chi dice che al momento della morte di Cristo la luna tornò indietro sul proprio cammino e si interpose (fra il sole e la terra), per cui (a causa delle eclissi così provocata) la luce del sole non poté mostrarsi in terra; e costui sostiene una cosa falsa, perché il sole si oscurò da se (non per interposto oggetto); perciò tale eclissi apparve ai popoli della Spagna e dell’India come ai Giudei. In Firenze non vi sono tanti Lapi e Bindi (due nomi molto comuni in quella città) quante sono le favole di tal genere che ogni anno dal pulpito si bandiscono dovunque, così che i fedeli ignoranti tornano dalla predica pasciuti di chiacchiere inutili, e il fatto di non veder il danno (che deriva loro da una tale predicazione) non li giustifica (perché dimostra la loro leggerezza e la loro ignoranza delle verità fondamentali della fede). Cristo non disse alla sua prima comunità ( quella degli apostoli ): "Andate, e predicate ciance al mondo"; ma diede loro una verità sicura. E quella dottrina risuonò sulla bocca degli Apostoli, così che nella lotta per la diffusione della fede, essi non usarono altra arma che il Vangelo. Ora si va a predicare con motti di spirito e sciocche piacevolezze, e purché si rida molto ( da parte degli ascoltatori), il cappuccio (del predicatore) si gonfia (di vanità ), e non si richiede altro ( né da lui né dagli ascoltatori). Ma nella punta del cappuccio (del frate) si nasconde un uccello tale (il diavolo) che, se il popolo lo vedesse, si accorgerebbe di che genere sono le indulgenze (promesse dai frati) nelle quali ripone la sua fiducia; e per tale motivo (per la fiducia nelle indulgenze) è tanto aumentata la stoltezza umana, che tutti sarebbero pronti ad accorrere ad ogni promessa, senza chiedere nessuna testimonianza (che comprovi la concessione dell’indulgenza da parte della legittima autorità religiosa). Di questa incredulità si ingrassa il porco di Sant’Antonio, e (s’ingrassano) persone peggiori dei porci stessi, pagando con monete false (cioè: contraccambiando le offerte dei fedeli con false promesse di indulgenze e di grazie). Ma poiché ci siamo allontanati molto (dal nostro tema), rivolgi ormai la tua attenzione verso l’argomento principale, così che la via (che ci resta da percorrere) si abbrevi in armonia. col (poco) tempo (che ci rimane da passare in questo cielo). Gli angeli raggiungono un numero così sterminato, che non ci furono mai parola o concetto umano capaci di rappresentarlo; e se tu consideri quello che viene rivelato da Daniele, vedrai che nelle migliaia (di cui parla) il numero preciso rimane nascosto. La luce di Dio, che irraggia tutta la natura angelica, è ricevuta in essa in tanti modi diversi, quanti sono i singoli angeli con i quali essa lì si unisce. Per tale motivo, poiché all’atto della visione intellettuale di Dio è proporzionato l’affetto, la dolcezza dell’ amore ( verso di Lui ) nella natura angelica è più o meno intensa. Considera ora l’altezza e l’immensità (la larghezza) di Dio, poiché ha creato un numero così grande di specchi ( gli angeli ) nei quali la sua luce si riflette in modi diversi, conservando la sua immutabile unità come prima (della creazione).
Il mezzogiorno (l’ora sesta) arde lontano dal punto dove siamo forse a distanza di seimila miglia, e la terra (questo mondo) inclina già il suo cono d’ombra fino quasi a portarlo sul piano dell’orizzonte, quando lo spazio celeste, per noi più lontano, incomincia a rischiararsi, tanto che alcune stelle non sono più visibili fin quaggiù sulla terra; e non appena avanza l’aurora, la luminosa ancella del sole, ecco che il cielo (rischiarandosi) spegne tutte le sue luci, una stella dopo l’ altra, finché scompare anche la più fulgente. Allo stesso modo il coro trionfale dei nove cerchi angelici il quale tripudia sempre intorno al punto centrale che mi aveva abbagliato, e che sembrava contenuto dai cerchi angelici mentre in realtà li contiene nella sua onnipotenza divina, a poco a poco impallidì scomparendo alla mia vista; per cui il non veder più nulla e l’amore per Beatrice m’indussero a volgere gli occhi verso di lei. Se tutto quanto è stato detto finora da me della bellezza di Beatrice, potesse venire racchiuso tutto in una sola lode, questa sarebbe sempre inadeguata ad assolvere tale compito (quello, cioè, di parlar degnamente di lei ). La bellezza che io vidi ( in Beatrice ) non solo va al di là delle nostre capacità umane, ma sono certo che soltanto Dio, il suo creatore, possa goderla appieno. Da questo punto mi dichiaro vinto più di quanto non sia mai stato sopraffatto da un punto qualsiasi del suo tema uno scrittore di stile comico o di stile tragico, perché, come fa la luce del sole riflessa in un occhio debole (il quale resta abbagliato), così il solo ricordo del dolce sorriso di Beatrice mi priva di tutte le facoltà della mia mente (abbagliata da tanto splendore). Dal primo giorno che vidi i suoi occhi sulla terra, fino a questa visione, non mi è mai stato impedito di proseguire il mio canto; ma ora devo rinunciare a seguire, con la mia poesia, l’immagine della sua bellezza, come deve desistere ogni artista giunto al limite estremo delle sue capacità espressive. Cosi risplendente di sovrumana bellezza quale io la lascio da celebrare ad una voce poetica più potente della mia, la quale svolge verso il suo termine il difficile argomento, Beatrice con atteggiamento e voce di guida che ormai ha finito il suo compito ricominciò: "Noi siamo usciti fuori dal Primo Mobile, il più grande dei corpi celesti per entrare nell’Empireo, il cielo che è pura luce; luce della mente divina, traboccante d’amore; amore del vero bene, pieno di beatitudine; beatitudine che supera ogni altro godimento. Qui vedrai la schiera degli angeli e la schiera dei santi del paradiso, e vedrai quella dei beati con le stesse sembianze che essi avranno il giorno del giudizio finale (all’ ultima giustizia, quando ogni anima riprenderà il suo corpo)". Come un lampo improvviso che disperda le facoltà visive, così che l’occhio non può più distinguere oggetti diventati troppo luminosi, così tutt’intorno mi rifulse la viva luce (dell’ Empireo); e mi lasciò avvolto dal velo così intenso del suo fulgore, che non vedevo più nulla. "L’amore divino che rende immobile questo cielo, accoglie sempre con questo saluto chi vi entra, per preparare la candela a ricevere la sua fiamma". Non erano ancora penetrate nella mia mente queste poche parole, che io m’accorsi di essermi elevato al di sopra della mia normale facoltà visiva; e mi illuminai di nuova potenza visiva, tale che non esiste luce tanto viva, che gli occhi miei non sarebbero stati in grado di sopportare. E vidi una luce in forma di fiume fluente di fulgore, tra due sponde coperte di meravigliosi fiori, come a primavera. Da questo fiume uscivano faville splendenti e andavano a posarsi sui fiori dell’una e dell’altra riva, simili a rubini incastonati in oro. Poi, come inebriate dal profumo dei fiori, le faville tornavano a inabissarsi nel mirabile gorgo di luce; e mentre una entrava, un’altra ne usciva. "L’intenso desiderio che ora ti accende e ti stimola ad aver cognizione chiara di quello che tu vedi, piace tanto di più quanto più si accresce; ma bisogna che tu beva dell’acqua di questo fiume prima che in te sia placata una sete di sapere tanto grande": così mi disse Beatrice, il sole dei miei occhi. Soggiunse ancora. "Il fiume di luce e le faville simili a topazi che vi s’immergono e ne escono e il risplendere dei fiori sono anticipazioni velate della verità in essi racchiusa. Non già che essi siano per loro natura difettosi; ma l’insufficienza è in te che non hai ancora occhi tanto potenti da vederli quali sono". Non vi è bambino che cosi precipitosamente si volga col viso per prendere il latte, se si sveglia molto più tardi dell’ora consueta, come io mi volsi al fiume, affinché i miei occhi diventassero migliori specchi (di quelle realtà), piegandomi verso l’acqua che scorre fra le due rive perché, guardando in essa, si possa diventare perfetti; e non appena i miei occhi cominciarono a dissetarsi in quell’onda, essa mi apparve trasformata in un cerchio mentre prima si estendeva in lunghezza. Poi come persone che celate sotto maschere, allorché si tolgono il falso aspetto sotto cui si nascondono, appaiono diverse da prima, allo stesso modo i fiori e le faville (cambiando aspetto) si tramutarono davanti a me in una visione più festosa, così che io potei vedere chiaramente ambedue le corti celesti (quella degli angeli e quella dei beati). O splendore di Dio, per grazia del quale vidi l’eccelso trionfo del regno celeste, dammi la capacità di descriverlo come lo vidi! Nell’Empireo vi è il lume di gloria che rende visibile il Creatore alla creatura che trova la sua pace solo nella visione di Lui. Questo lume si allarga in forma circolare, tanto che la sua circonferenza sarebbe una cintura troppo ampia anche per il sole. Tutta la sua figura visibile è formata da un raggio (emanante dalla luce divina) riflesso dalla superficie convessa del Primo Mobile, il quale da questo raggio riceve la forza vitale che trasmette agli altri cieli. E come un colle si specchia nell’acqua di un lago che è ai suoi piedi, quasi per contemplare la sua bellezza, quando è ricco di verde e di fiori, allo stesso modo, stando sopra al lago di luce, disposte tutt’intorno ad esso, su più di mille gradini vidi specchiarsi tutte le anime beate che dal nostro mondo sono tornate all’empireo. E se il gradino più basso può contenere in se un lago di luce così ampio, (si immagini) quanto sia estesa la circonferenza dei petali estremi di questa rosa! La mia vista non si smarriva nell’immensità e nella profondità di questo spettacolo, ma percepiva quella beatitudine in tutta la sua estensione e intensità. Nell’Empireo, né la vicinanza aggiunge, né la lontananza toglie qualcosa alla possibilità di vedere, perché dove Dio governa direttamente, le leggi della natura non hanno alcun valore. Nel centro luminoso della rosa eterna, che si allarga e si estende per successivi gradini ed emana profumo di lode a Dio, il sole che crea perenne primavera, Beatrice guidò me, che ero nello stesso stato d’animo di colui che tace per lo stupore ma vorrebbe parlare, e mi disse: "Guarda quanto è grande la comunità dei beati vestiti di bianco (delle bianche stole; I’immagine delle bianche stole deriva dall’Apocalisse VII, 9; cfr. Paradiso XXV, 95)! Vedi quanto è ampia la nostra Gerusalemme celeste: vedi come i nostri seggi hanno già tanti posti occupati che ormai qui ci attende solo poca gente. E su quel grande seggio, a cui tieni fissi gli occhi a causa della corona imperiale che già vi è sopra, prima che tu salga a questo banchetto nuziale (cioè: prima della tua morte), verrà a sedersi l’anima, che sulla terra sarà ) augusta, del grande Arrigo, che scenderà a ristabilire l’ordine in Italia prima che essa sia preparata a ciò. La cieca cupidigia dei beni mondani che vi toglie ogni retto discernimento, vi ha resi simili al bambino che muore di fame eppure respinge la balia. Allora sarà a capo della Chiesa un pontefice che riguardo ad Arrigo agirà pubblicamente e segretamente, in modo diverso. Ma sarà tollerato da Dio nel santo ufficio per poco tempo ancora dopo la morte di Arrigo, perché sarà sprofondato nell’inferno, nella bolgia dove Simon Mago riceve il meritato castigo, e farà scendere più in basso (nella sua buca) Bonifacio VIII, il papa di Anagni".
I beati che Cristo unì a Sé con la sua morte in croce mi apparivano dunque nella forma di una candida rosa; ma gli angeli (l’altra: riferito a milizia), che volando contemplano e cantano la gloria di Dio che li avviva d’amore e la sua bontà, che li creò tanto perfetti, allo stesso modo in cui uno sciame d’api ora si immerge nei fiori ed ora ritorna all’alveare (là) dove la sua fatica si trasforma in dolce sapore di miele, scendevano nel grande fiore che si adorna di foglie così numerose (ogni beato, infatti, costituisce un petalo della candida rosa), e da lì risalivano là dove Dio, oggetto del loro amore, soggiorna per l’eternità. Il loro volto aveva il colore della fiamma viva, e le loro ali quello dell’oro, e il resto della figura era così bianco, che nessuna neve può arrivare a quell’estremo (di candore). Quando scendevano nel fiore, passando da un gradino all’altro comunicavano ai beati la pace della beatitudine e l’ardore della carità che essi attingevano volando (fino a Dio). L’interporsi di un così grande numero di angeli fra il punto in cui si trovava Dio e la rosa non impediva alle anime di contemplare Dio, e allo splendore divino di giungere alle anime, poiché la luce divina penetra nell’universo secondo che ogni cosa sia più o meno degna (di riceverla), così che nulla può esserle di ostacolo. Questo regno privo di ogni turbamento e pieno di beatitudine, popolato di anime dell’Antico e del Nuovo Testamento, rivolgeva il suo sguardo e il suo amore verso una unica meta (Dio). Oh luce della Trinità, che risplendendo agli occhi dei beati nell’unica essenza della tua luce, li appaghi in modo così completo, guarda quaggiù sulla terra le nostre procelle! Se i barbari, scendendo da regioni così settentrionali che l’Orsa Maggiore (Elice) vi rimane sempre visibile, ruotando insieme con il figlio che tanto ama, vedendo Roma e i suoi grandiosi edifici, rimanevano attoniti per lo stupore, quando Roma superò (in grandezza e in potenza ) tutte le cose mortali, io, che ero venuto al mondo divino dal mondo umano, all’eterno dal tempo, e da Firenze ai beati del paradiso, di quale stupore dovevo essere colmo! Certamente stupore e gioia insieme mi rendevano gradito non udire e non parlare. E come il pellegrino che si riposa (dalle fatiche del viaggio) contemplando il tempio che aveva fatto voto di visitare, e già spera di poter raccontare ( al suo ritorno) come esso era fatto, così io facendo scorrere lentamente lo sguardo sulla viva luce (della candida rosa) osservavo gradino per gradino, volgendo lo sguardo ora in alto, ora in basso e ora all’intorno. Vedevo volti che ispiravano carità, risplendenti della luce di Dio e della propria gioia che si manifestava nel sorriso, e atteggiamenti ricchi di ogni decoro e nobiltà. Avevo già abbracciato col mio sguardo tutto l’aspetto del paradiso nel suo complesso, senza essermi ancora fissato su nessuna parte: e mi volgevo con il desiderio riacceso di sapere, per interrogare la mia donna su cose intorno alle quali la mia mente era ancora incerta. Di una cosa avevo intenzione (di interrogare Beatrice), ma altro rispose al mio intento: credevo di vedere Beatrice, e vidi un vecchio vestito (di una bianca stola) come tutte le anime beate. Nei suoi occhi e nel suo volto era diffusa una benevola letizia, nel suo atteggiamento si dimostrava affettuoso come un tenero padre. E subito chiesi: "Dov’è?" Per cui egli: "Per soddisfare il tuo desiderio (che è quello di vedere Dio) Beatrice mi ha fatto venire (qui) chiamandomi dal mio seggio; e se guardi nel terzo gradino a cominciare dall’alto, la rivedrai sul trono che il suo merito le ha destinato in sorte". Senza rispondere, alzai gli occhi, e vidi Beatrice che riflettendo la luce divina irradiava intorno a se un aureola di luce. Nessun occhio mortale, anche se guardasse dal più profondo del mare, disterebbe da quella regione dell’aria nella quale si formano i tuoni, più di quanto la mia vista lì distava da Beatrice; ma ciò non mi era di alcun ostacolo, perché la sua immagine non giungeva a me velata dall’atmosfera. "O donna in cui prende vigore la mia speranza, e che non disdegnasti di lasciare le tue orme nell’inferno per la mia salvezza (cfr. Inferno 11-52 e sgg. ) riconosco che dal tuo potere e dalla tua bontà (non dai miei meriti) ho ricevuto la grazia e la capacità di vedere tante cose quante ne ho vedute (durante il mio viaggio). Tu mi hai condotto dalla schiavitù (del peccato) alla libertà (della virtù) servendoti di tutte quelle vie, di tutti quei mezzi che avevi la possibilità di usare. Conserva in me il tuo mirabile dono, affinché la mia anima, che hai risanato dal peccato ( nel momento della morte), si sciolga dal corpo cara a te (come lo è ora)". Cosi pregai; e Beatrice, così lontana come appariva, sorrise e mi guardò; poi si volse verso Dio, eterna sorgente di luce e d’amore. E il santo vecchio disse: "Affinché tu concluda il tuo viaggio perfettamente, per il quale scopo mi ha mandato la preghiera di Beatrice dettata da santo amore; vola col tuo sguardo su questa rosa, perché la sua visione preparerà la tua vista a salire su per i raggi della luce divina (fino a contemplare direttamente Dio). E la Vergine, regina del cielo, per la quale io ardo tutto d’amore, ci concederà ogni grazia, perché io sono il suo fedele Bernardo". Come il pellegrino che forse dalla Croazia viene (a Roma) per vedere il sudario della Veronica, e che per il desiderio lungamente nutrito non si sazia mai di contemplarlo, ma dice dentro di sé, per tutto il tempo in cui (I’immagine) viene mostrata ai fedeli: "Signore mio Gesù Cristo, vero, così, dunque, fu il vostro aspetto?" nello stesso stato d’animo (di stupore e di smarrimento ) mi trovavo io guardando l’ardente amore di colui che (ancora) sulla terra, gustò la pace (del paradiso), con le sue mistiche contemplazioni. "Figliolo rigenerato dalla Grazia" incominciò a dire "la condizione beata del paradiso non ti sarà manifesta, finché tu continuerai a guardare solo nel fondo (della rosa); ma guarda i gradini circolari fino al più alto, sì che tu possa vedere la regina della quale questo regno è suddito e devoto. Io alzai lo sguardo; e come all’alba la parte orientale dell’orizzonte supera (in luminosità) quella occidentale, dove il sole tramonta, Così, salendo con gli occhi dal basso verso l’alto, vidi una zona nel gradino più alto che vinceva con la sua luce tutta la parte che le stava di fronte. E come il punto dell’orizzonte in cui si aspetta di vedere sorgere il carro del sole si infiamma di una luce più intensa, mentre da una parte e dall’altra (di quel punto) la luce si attenua (man mano che ci si allontana), così quella pacifica orifiamma si avvivava di splendore nella sua zona centrale, e la luce diminuiva in uguale misura da entrambe le parti. E intorno a quel punto centrale, con le ali spiegate, vidi innumerevoli angeli festanti, ciascuno distinto dagli altri per intensità di luce e per ardore di canti e di atteggiamento. Io vidi qui sorridere ai loro voli e ai loro canti il bel volto della Vergine, che era motivo di letizia per tutti i beati che lo contemplavano. E se anche avessi tanta ricchezza di parole quanta ne ho di fantasia, non oserei tentare di descrivere neppure la minima parte del gaudio che da lei derivava. Bernardo, non appena vide il mio sguardo fisso e attento in Maria, oggetto del suo ardente amore, rivolse i suoi occhi verso di lei con tanto amore, che rese i miei ancora più desiderosi di guardarla.
San Bernardo, che ha sostituito Beatrice come guida di Dante nell’Empireo, incomincia a spiegare l’ordinamento della candida rosa e la disposizione dei beati. Il seggio più alto è occupato dalla Vergine, ai cui piedi si trova Eva. Nel terzo scanno siede Rachele con Beatrice. Seguono Sara, Rebecca, Giuditta, Rut e, fino al gradino più basso, altre donne del Vecchio Testamento. Esse costituiscono così una lunga fila che taglia verticalmente, in due parti, l’immenso anfiteatro celeste: a sinistra, dove tutti i seggi sono ormai occupati, si trovano i credenti in Cristo venturo, a destra,: dove appaiono ancora dei posti vuoti, godono la loro beatitudine i credenti in Cristo venuto. In alto, nella parte opposta al seggio della Vergine, siede San Giovanni Battista. Sotto di lui appaiono San Francesco, San Benedetto, Sant’Agostino e altri teologi e fondatori di ordini religiosi. Le due parti dell’Empireo - continua San Bernardo - saranno occupate da uno stesso numero di beati, perché agli eletti del Vecchio e del Nuovo Testamento è stato riservato un uguale numero di seggi. La candida rosa appare divisa anche orizzontalmente in due parti uguali: mentre nella zona superiore appaiono le anime che si sono salvate per merito proprio, in quella inferiore si trovano le anime dei bambini che morirono prima di giungere all’età della ragione. Essi, nei primi secoli dell’umanità, da Adamo ad Abramo, ricevettero la salvezza grazie alla fede dei loro genitori; da Abramo a Gesù grazie al rito della circoncisione; dopo l’avvento di Cristo divenne necessario il battesimo, senza il quale i bambini morti precocemente sono relegati al limbo. San Bernardo invita Dante a guardare la Vergine, che appare circondata dagli angeli, mentre l’arcangelo Gabriele ripete, cantando, le parole dell’annunciazione: "Ave Maria, gratia plena".Il Santo riprende poi a presentare i beati dell’Empireo, indicando al suo discepolo gli eletti che occupano i seggi più vicini a quello di Maria. Infine afferma che, prima di volgere lo sguardo verso Dio, è necessario invocare l’aiuto della Vergine.
"Vergine madre, figlia del tuo figlio, la più umile e la più alta di tutte le creature, termine immutabile del decreto divino (per la redenzione dell’umanità), tu sei colei che nobilitasti tanto la specie umana, che il suo Creatore non disdegnò di farsi umana creatura. Nel tuo ventre si accese l’amore ( di Dio per gli uomini) per il cui calore è germogliata nell’eterna pace del paradiso la rosa dei beati. In cielo sei, per noi beati, una fiaccola di carità ardente come sole meridiano, e in terra, fra i mortali, sei sorgente inesauribile di speranza. Signora (donna: dal latino domina, "padrona", "signora"), sei tanto grande e hai tanto potere (presso Dio), che chiunque voglia la grazia divina e non ricorra a te, nutre un desiderio vano, come di chi voglia volare senza ali. La tua bontà non solo viene in aiuto a chi l’invoca, ma molte volte previene spontaneamente la preghiera. In te si raccolgono misericordia, pietà, munificenza, tutto ciò che di buono può esserci in una creatura. Ora questi (Dante), che dal luogo più basso dell’universo (cioè: dall’inferno) fino all’Empireo ha visto, ad una ad una, le diverse condizioni delle anime separate dal corpo, ti supplica (il verbo è costruito, come in latino, con il dativo) affinché, per grazia divina, gli sia concessa tanta virtù, da poter contemplare la visione suprema di Dio. Ed io, che non arsi mai dal desiderio di vedere Dio più di quanto ardo ora perché sia concesso a lui (Dante) di vederLo, innalzo a te tutte le mie preghiere, e supplico che non siano insufficienti, affinché tu, con la tua intercessione, lo liberi da ogni impedimento terreno, così che possa apparirgli in tutta la sua grandezza Dio, la suprema beatitudine. Ancora ti prego, o regina, che puoi ciò che vuoi, di mantenere puri, dopo una simile visione, i suoi sentimenti. La tua tutela raffreni (in lui) le umane passioni: guarda Beatrice e quanti beati congiungono le mani in atto di preghiera per avvalorare la mia domanda!" Gli occhi da Dio amati e venerati, fissi sulla figura dell’orante, ci mostrarono quanto le fossero giunte gradite le devote preghiere; poi si rivolsero alla luce eterna di Dio, nella quale non si deve credere che alcun’altra creatura possa penetrare tanto a fondo con uno sguardo così limpido (come quello della Vergine) . Ed io che mi avvicinavo al fine di tutti i miei desideri, portai al grado massimo di intensità, così come era giusto, l’ardore del mio desiderio. Bernardo mi faceva cenno e sorrideva perché guardassi in alto; ma io mi ero già messo spontaneamente nella disposizione d’animo che egli voleva ( cioè: pronto a contemplare Dio ), perché il mio sguardo, diventando limpido, penetrava sempre di più nel raggio della luce divina che è vera per sua propria essenza (diversamente dalle altre che sono un suo riflesso). Da questo momento in poi la mia di vedere fu maggiore della nostra possibilità di esprimere con le parole ( ciò che vediamo), perché ogni linguaggio umano viene meno (di fronte a tale visione), e (anche) la memoria cede di fronte a ciò che va al di là delle nostre capacità. Come colui che vede in sogno qualcosa, e dopo il sogno gli rimane impressa (nell’animo) l’emozione provata, ma il contenuto della visione non ritorna alla sua memoria, in questa condizione mi trovo io, perché è scomparsa dal ricordo quasi tutta la mia visione, ma ancora sopravvive (distilla: fa piovere qualche stilla) nel mio cuore la dolcezza del sentimento che da essa si generò. (Come viene meno, a poco a poco la visione) così la neve si scioglie (si distilla: perde la sua forma) al sole; così si perdevano al vento i responsi della Sibilla scritti sulle foglie leggiere. O somma luce che tanto ti innalzi al di sopra della possibilità dell’umano intelletto, ridona alla mia memoria un’immagine, sia pur tenue, di quello che sei apparsa alla mia vista, e fa che le mie parole siano tanto capaci, da poter descrivere per le genti future almeno una piccola parte della tua gloria, perché ( coloro che leggeranno la mia opera) potranno avere un concetto più chiaro della tua trionfante grandezza se essa tornerà in parte alla mia memoria e potrò celebrarla in piccola misura in questi versi. Io credo che, a causa dell’intensità del fulgore divino che la mia vista sopportava, sarei rimasto abbagliato, se i miei occhi non si fossero distolti da quel fulgore. E mi ricordo che proprio per questo ( per il timore di rimanere abbagliato se avessi distolto subito lo sguardo ) mi feci ardito a sopportare ( l’intensità della luce divina ), tanto che congiunsi il mio sguardo con Dio. O abbondante Grazia, per la quale osai penetrare con lo sguardo nella luce eterna di Dio, tanto che esaurii in essa ogni capacità di vedere! Nel profondo della luce divina vidi che era contenuto, legato in un amoroso vincolo d’unità, ciò che nell’universo appare diviso e sparso; ciò che sussiste per sé e ciò che sussiste in dipendenza dalle sostanze e i loro rapporti, come fusi fra di loro, in modo così mirabile che le mie parole possono esserne una vaga illustrazione. Credo di aver visto il principio costitutivo dell’unione di tutte le cose perché, dicendo queste cose, sento maggiormente dilatarsi di gioia il mio cuore. Un solo attimo ( il momento della visione divina) è per me causa di maggior oblio che non i venticinque secoli passati dall’impresa ( degli Argonauti), quando l’ombra proiettata dalla nave Argo suscitò lo stupore di Nettuno. (Come l’ombra della nave fece stupire Nettuno) così la mia mente, tutta assorta, mirava fissa, immobile e attenta, e si accendeva continuamente di nuova gioia contemplativa. Alla luce divina si diventa tali, che è impossibile che qualcuno mai voglia distogliersi da essa per guardare un altro oggetto, perché il bene, che è l’oggetto verso il quale si muove ogni volontà, è raccolto tutto in quella luce; e fuori di essa non c’è che bene imperfetto (letteralmente: è difettivo ciò che lì è perfetto). D’ora in poi le mie parole, sia pure limitate a quel poco che ricordo, saranno più insufficienti del balbettio di un lattante. Non perché ci fosse più di un unico aspetto nella luce divina che io contemplavo, la quale luce è sempre quale era prima, immutabile, ma, per il fatto che, mentre guardavo, le facoltà visive si rafforzavano in me, uno stesso oggetto (in questo caso: Dio), con il mutare delle mie capacità visive, passava da un aspetto all’altro. Nella profonda e luminosa essenza della luce divina mi apparvero tre cerchi di tre colori diversi ma della stessa dimensione; e uno di essi appariva riflesso dall’altro come un arcobaleno da un altro arcobaleno, e il terzo appariva come un fuoco spirante in uguale misura dai primi due (quinci e quindi: da una parte e dall’altra). Oh come è insufficiente e debole la mia parola rispetto al concetto! e questo, in confronto a ciò che vidi, è così poca cosa, che la parola "poco" non basta ad indicarlo (perché bisognerebbe dire "nulla"). O luce eterna che sei una sola nella tua sussistenza (sola in te sidi: in te sola ti posi), che sola ti intendi, e nell’essere intesa e nell’intenderti ti ami e gioisci! Quel cerchio che appariva in te generato come luce riflessa (dal primo cerchio), dopo che l’ebbi guardato tutt’intorno per alquanto tempo, mi apparve dipinto, nel suo interno, con il suo stesso colore, dell’immagine umana; per la qual cosa il mio sguardo si fissava tutto in esso. Come il geometra che si concentra con tutte le sue facoltà mentali per trovare l’esatta misura del cerchio, e, per quanto pensi, non trova il principio di cui ha bisogno, in questa stessa situazione mi trovavo io di fronte a quella visione straordinaria: volevo comprendere come l’effigie umana si adattasse alla forma del cerchio e come potesse trovarvi luogo (cioè: volevo comprendere il mistero della coesistenza in Cristo della natura divina e di quella umana); ma le mie ali non potevano farmi volare tanto in alto: se non che la mia mente fu percossa da un’illuminazione per mezzo della quale avvenne ciò che essa desiderava. A questo punto alla fantasia, che si era innalzata a tanto , venne a mancare la forza (di seguire l’intelletto in questa intuizione): ma già ogni mio desiderio e ogni mia volontà, erano mossi come ruota che gira con moto uniforme, da Dio, l’amore che imprime movimento al sole e alle altre stelle.
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