Umberto Saba
aderisce agli umili aspetti della realtà familiare della vita triestina.
Le poesie sono raccolte nel Canzoniere (1900-45) e in Mediterranee e le prose in Scorciatoie e raccontini (1946); l'opera Storia e cronistoria del Canzoniere (1948) costituisce il miglior commento e la più sincera testimonianza della sua arte.
Il mondo poetico pieno di malinconia e di triste saggezza e la sincerità e innocenza della sua lirica collocano Saba tra i più importanti autori del nostro Novecento.
Il canzoniere
(Raccolta poetica)
ll canzoniere di Saba, pubblicato nel 1948, è opera poetica senza interruzioni, concepita come un lungo poema, sulla linea di un'autobiografia che lega indissolubilmente ogni evento lirico e fornisce quindi la trama della evoluzione artistica ed esistenziale del poeta. La formazione culturale dell'autore non è facilmente inquadrabile in un profilo storico della letteratura italiana, in quanto egli rimase sempre piuttosto estraneo alle correnti dominanti, libero da facili suggestioni e da superficiali adesioni, teso al contrario verso la personale elaborazione dei propri ritmi poetici. Il suo travaglio artistico infatti si è venuto svolgendo in modo quasi segreto, minuzioso, costante, deciso nel netto rifiuto di avanguardie e retroguardie poetiche. La lettura del Canzoniere mostra inequivocabilmente in Saba la propensione alla cura assidua e tenace dell'espressione poetica, la scrupolosa ricerca introspettiva, la grande onestà umana. L'evocazione degli oggetti è pervasa da una costante affettuosità, come se la realtà racchiudesse sempre gli spunti e le occasioni per la elaborazione poetica. Nascono così i grandi temi della poesia di Saba: il dolore e il conforto. Attraverso una estenuante ricerca nella realtà circostante, il poeta assimila con solidarietà la sofferenza che è negli uomini, nella natura, nelle cose, ne rimane coinvolto, tenta un chiarimento e restituisce un personalissimo discorso poetico.
Autobiografismo, quindi, ma purificato da ogni sovrastruttura individualistica, perchè inevitabilmente coinvolto nel dolore comune, teso a riassumere liricamente e in modo autentico la condizione umana. Si può affermare con il critico De Robertis che in Saba "la ricerca poetica tende a diventare "moralità", a raggiungere insomma il vertice di un'unità universale uguale per tutti, in quanto avvertita da tutti". L'esperienza drammatica della guerra provoca nel poeta una partecipazione ancora maggiore alla tragedia umana e dal Canzoniere, sia pure nella unitarietà di temi e di forme che lo caratterizzano, traspare questa insanabile frattura. "Negli anni posteriori alla tragedia europea Saba avrà saputo, avrà dovuto - avverte il critico Manacorda - armare il suo linguaggio anche dell'invettiva più aspra e tagliente che sarà tuttavia non la negazione dell'antico ideale di comprensione e di amore tra gli uomini, ma la sua sublimazione dopo l'esperienza della guerra e della persecuzione scatenata da chi rifiutava l'etica della fratellanza".
La poesia diventa allora più tormentata nella introspezione, tesa a scavare nel profondo, a penetrare lucidamente i tratti del male di vivere. Il dolore è per Saba ormai una condizione ineliminabile per l'umana esistenza, non può certo essere placato dalle parole e dalle emozioni liriche. Resta la concentrazione del poeta nella volontà di scoprire la vena più nascosta dell'amore per gli altri, nel rintracciare ancora una volta, nella realtà, le motivazioni dell'agire e le ragioni del cuore. Tutto questo alla luce di una commozione sempre trattenuta e di una coscienza onesta e attenta a seguire, come afferma il critico Carlo Bo, "la sua naturale umanità, che è qualcosa di molto diverso dalle altre umanità programmate dagli scrittori, e assomiglia piuttosto a un tentativo di denudamento insensibile, con la speranza di arrivare a un discorso diverso tra gli uomini, non più basato sulle facoltà di potere ma sull'umiltà, sulla semplicità, sulla pietà".
La poetica di Saba
Saba ha sempre dichiarato di aver cercato nella propria opera la verità , quella più profonda e nascosta, di cui noi stessi non abbiamo chiara conoscenza e che solo l'esperienza del dolore è capace di rivelarci. Con "la verità che giace al fondo" Saba si riferisce alla profondità dell'inconscio. La poesie diventa quindi strumento per la ricerca della verità interiore e si serve di versi chiari e trasparenti (antiermetismo) che fa apparire un mondo e lo rischiara.
Il colloquio confidenziale con la realtà (secondo la lezione pascoliana) si arricchisce in seguito di toni lirici e si volge ai temi della gioia, del dolore, della morte (Cose leggeri e vaganti, 1929 - 1931, L'amorosa spina, 1920, Preludio e canzonette, 1922 - 1923, Cuor morituro, 1925 - 1930, Preludio e fughe, 1928 - 1929, Il piccolo Berto, 1929 - 1931) e gradatamente la poesia diviene riflessione esistenziale ed accettazione rassegnata del tempo che fugge (Parole, 1933 -1934, Ultime cose, 1935 - 1943, Varie, 1944, Mediterranee, 1946, raccolte poi nel 1948 nel Canzoniere). La produzione letteraria di Saba vede negli ultimi anni aggiungersi al lirismo proprio del poeta il motivo moralistico e sentenzioso delle prose di Scorciatoie e raccontini (1946) e della raccolta Uccelli, quasi un racconto (1951). Postumi furono pubblicati il romanzo Ernesto ed il volume Amicizia. Per contro, i primi versi di Saba erano prosastici, incerti, il motivo psicologico di fondo era dato dalla malinconia, le figure rappresentate simboli di una vita grigia e comune. Eppure, il linguaggio che dal prosaico diviene talvolta - secondo alcuni - sciatto, e la costante aderenza al reale non sfociano nel verismo provinciale ma esprimono un'intensa carica sentimentale che diviene canto. I luoghi domestici e le figure care e quotidiane accompagnano e consolano la vita malinconica del poeta ed il suo canto esprime un desiderio di affratellamento. È questa una costante di Saba. Anche le poesie come quelle della raccolta Preludio e fughe (1927 -1928) che poterebbero apparire come una pausa meramente musicale, racchiudono un attento ascolto delle voci interiori e sono spesso simbolo di sentimenti sofferti e di memorie.
Ricordo e nostalgia del passato
Nelle ultime raccolte, accanto alla contemplazione assorta della vita si insinuano il ricordo e la nostalgia del passato, spesso affidati alla musicalità dei versi. Persistono, tuttavia, gli aspetti domestici e le figure amate, i versi sono, però, più scanditi e la composizione è breve e incisiva. Restano immutabili i temi originari: i fanciulli di Trieste, le vie solitarie, i caffè fumosi del porto, le donne amate. Sono temi immobili, poiché Saba concepisce la vita come immutabile: l'uomo - ed in questo segue il pensiero di Leopardi - spera sempre un domani migliore, anche se sa che il nuovo giorno porterà le stesse sofferenze di quello trascorso. Saba è ritenuto una delle voci migliori e più riconoscibili del '900 italiano, per la fedeltà ai propri temi, la ricchezza sentimentale, l'impegno umano, l'itinerario spirituale e stilistico non condizionato dalle mode. La sua poesia è, soprattutto, storia della sua esistenza, contemplata con la fermezza di chi sa trovare nel dolore e nella pena il segno del destino umano, in nome del quale si sente unito agli altri uomini (Leopardi - La ginestra).
Mentre i poeti del periodo fra le due guerre tendono ad una riflessione e ad una grande consapevolezza letteraria, che conduce all'ermetismo, in Saba è evidente la volontà di esprimersi in modi semplici, musicali, a volte con notazioni diaristiche, anche se l'autobiografismo gradualmente si dissolve nel canto. Il fondo costante di Saba è la consapevolezza malinconica di una esistenza immutabile e la malinconia è alleviata dalla contemplazione delle cose quotidiane, dal sentirsi vivere, dall'accettare le passioni come sempre diverse e sempre le stesse. I paesaggi non sono descritti, bensì evocati dal ricordo e dall'affetto che modulano un canto monotono, ma intimo e suggestivo. Di Saba esistono due documenti critici di altissimo valore: Quello che resta da fare ai poeti (1911), articolo rifiutato dalla Voce e la Storia e cronistoria del Canzoniere (1948) che appartiene all'ultima fase della sua opera.
La "poesia onesta"
L'apparente contraddizione tra la poesia onesta propugnata nell'articolo e la critica della propria opera, attenta a sottolineare i meriti e a trascurare le manchevolezze, si risolve nell'essere il Saba critico di se stesso e, quindi, in possesso di una verità diretta che fa della seconda opera la conclusione logica di una vita trascorsa al servizio della poesia. La prima ragione di Saba, la sua umanità, fa sì che la sua poesia sia un dono per gli altri (Pascoli), con la speranza di giungere ad un discorso fatto di umiltà, semplicità e pietà. L'esame critico si riallaccia all'affermazione del 1911: - ai poeti resta da fare la poesia onesta (N.B. - si è in pieno clima di avanguardia, il manifesto di Marinetti è del 1909). Saba contrappone il Manzoni degli Inni sacri (versi mediocri ma immortali perché onesti, frutto di autentici sentimenti), al D'Annunzio delle Laudi e della Nave (versi magnifici, ma effimeri perché disonesti in quanto artificiali, non rispondenti ai sentimenti, bensì costruiti ad effetto). Saba ha quindi già ben chiara la nozione di una poesia che non deve essere frutto di artificio, di finte passioni, di menzogna, esclusivamente volta ad ottenere un bel risultato. Compito dello scrittore è far collimare contenuto e forma, magari limitando la spinta emotiva, piuttosto che correre il rischio di esagerare e mentire. Il poeta, lo scrittore in genere, deve essere, tanto nella vita, quanto nella letteratura, un uomo onesto. Tale principio, che è il punto di partenza di Saba, è ancore determinante al momento della critica della propria opera e tale possibilità critica gli viene dalla consapevolezza di ciò che egli ha inteso realizzare (non è crepuscolare, come a volte è definito, per gli stessi motivi per i quali rinunzia al dannunzianesimo e tutto ciò che può essere o sembrare posa). Saba parla della necessità di sostenere con il ritmo l'espressione della passione, fissando così i limiti dello strumento, a vantaggio del sentimento da esprimere. Saba mira al giusto equilibrio tra sentimento ed arte, tra contenuto e forma, seguendo l'ispirazione, senza timore di ripetere se stesso o gli altri, (al contrario dei simbolisti, sostenitori della poesia pura). Saba si accosta ad una poesia discorsiva, capace di accogliere tutte le occasioni di ispirazione che la vita può offrire.
Poeta, non letterato di professione
Il poeta deve rileggersi cercando di rilevare la corrispondenza fra stati d'animo e versi, tra pensato e scritto, mediante moduli tradizionali e semplici, in netto contrasto con le soluzioni allora di moda. Il poeta, inoltre, deve abbandonare il modello del letterato di professione (D'Annunzio) rifiutando sia le soluzioni dei futuristi, sia quegli esiti dannunziani che hanno prodotto una poesia artificiale e la collusione tra letteratura e politica. Parimenti Saba rifiuta la ricerca esasperata dell'originalità e la sperimentazione eccessiva e gratuita, mirando, invece, ad una equilibrata opera di revisione, di selezione e di rifacimento. Al contrario di quanto vede fare intorno a sé, Saba adotta il più semplice dei linguaggi e propone un discorso non drammatico, alieno da violente speculazioni, cercando di sviluppare la naturale capacità dell'uomo - Saba nello stabilire il contatto con gli altri, sulla base di uno scambio fondato su una diversa, ma sempre semplice ed umana interpretazione dell'esistenza. Saba vive pazientemente aspettando la serena disperazione, ossia la serenità che viene dalla volontaria partecipazione a ciò che deriva dall'esperienza del mondo, dalla ricerca dell'equilibrio e dal senso delle proporzioni, mentre la disperazione è la consapevolezza dell'inalterabilità della vita e dell'inevitabilità del destino. A tale consapevolezza, Saba contrappone la pazienza, il gusto dell'interpretazione, l'amore della vita, per arrivare non alla spiegazione (alla maniera di Montale) bensì a mitigare l'impatto con la realtà. La malinconia e la dolente consapevolezza dell'esistenza, la meditazione sul trascorrere del tempo, diviene accorata saggezza della maturità e un doloroso amore della vita. Che trova voce nel dialogo interiore fra passato e presente e la consapevolezza delle propria vicissitudini esistenziali diviene coscienza della tragedia storica di tutto un popolo, sempre restando aliena dalla retorica.