GIAMBI ED EPODI
L'opera è composta da due libri formati il primo, da quindici, il secondo da quattordici componimenti, il tutto è preceduto da un Congedo e fu pubblicata nel 1868. L'orizzonte tematico vede prevalere nel primo libro tematiche più intimistiche nel secondo vengono alla luce spunti politici e sociali. Il clima in cui nasce quest'opera è particolare, ormai l'Unità d'Italia è stata realizzata, ma si tratta di una riunificazione monca di Roma e Venezia e questo non ha fatto che deludere e infangare gli ideali del Risorgimento che avevano mosso verso l'indipendenza dallo straniero. Altri episodo come l'inibizione di Garibaldi sull'Aspromonte e le sconfitte di Custoza e Lissa non facevano che esacerbare l'insoddisfazione e la critica verso una classe politica che costruiva poco le sue vittorie sul campo di battaglia rispetto a successi ottenuti con sotterfugi e accordi. Il Congedo esprime la valenza dissimulatrice della poesia che ritorna in un mondo dominato dalla violenza e dalla guerra per denunziarne i mali e i vizi. I ricordi più cari spesso si stagliano nella campagna collinare dell'amata Maremma come avviene nello struggente ricordo del morto fratello Dante in Per val d'Arno. Ma egli sa anche celebrare figure integerrime che in questa società dalla nera moralità risaltano per il candore dell'animo e per la nobiltà dei comportamenti come in A Pietro Thouar, commosso ricordo di un amico che lo aveva aiutato nei primi anni bolognesi, figura umile ma valente studioso e letterato che non si fregiava di titoli per esprimere la propria eminenza ma di generosità. La critica già rivolta nei confronti del potere temporale in Agli amici della val Tiberina, si rinnovella nell'ode a Edoardo Corazzini, in cui il ricordo del giovane amico ferito a Mentana gli da l'occasione di allargare lo sguardo alla Francia che pure aveva sparso ai quattro venti i dogmi della rivoluzione (libertà, fratellanza, uguaglianza) che guidata dal "cesare sinistro" Napoleone III, era diventata "masnadiera papale". Nel frattempo il successor di Pietro "smentisce Iddio" e "Di sangue, mira, il tuo calice fuma; / E non è quello di Cristo". In conclusione l'anatema e la scomunica (vv. 166-172): "Te […] io scomunico, o prete Te pontefice fosco del mistero vate di lutti e d'ire io sacerdote de l'augusto vero, vate dell'avvenire". Essa si corrobora ancor più esacerbata nell'ode Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, l'uno muratore l'altro operaio, che si erano prodigati, avvicinandosi a Roma i garibaldini, a far saltare la caserma Serritori, per provocare una rivolta popolare. Ebbene la vicenda non andò per il verso giusto e i due catturati, furono giustiziati e il loro carnefice fu proprio Pio IX. In un plumbeo giorno di novembre il pontefice è radioso, quasi si celebri una festa e si frega le mani prima dell'esecuzione. Poi il rimprovero si estende a tutte le latitudini partendo dall'Europa che ha permesso questa insania e l'ode ha una conclusione consolatoria : "Savi, guerrier, poeti ed operai, / Tutti ci diam la mano: / Duro lavor ne gli anni, e lieve ormai / Minammo il Vaticano". Non si salvano in questa "Sodoma" nemmeno i politici, essi in Heu pudor!, sono designati come "gregge indegno" e l'Italia appare in mano a Fucci e Bonturi e senza rispetto per coloro che si sono sacrificati per "fare l'Italia", "Ora barattan sulla vostra fossa". Anche una cerimonia toccante come quella dello "Sposalizio del mare", nell'ode Le nozze del mare, viene corrosa "ora" da un aura di decadenza cosi avviene che: "Dopo il dramma lacrimevole /La commedia oggi si dà". Infatti non c'è più il Doge sulla poppa de "l'antico bucentauro" a gettare nelle fredde acque l'anello simbolo di un legame vicendevole che unisce la città e il mare, ma una donna : "De i grandi avi i padiglioni / Son velari, onde una femmina / Il mar d'Adria impalmerà". Egli non può nemmeno giustificare il cieco e anacronistico gesto del neonato governo di istituire una consulta araldica per valutare onoreficenze, stemmi, titoli e quant'altro vecchio nobilume impolverato, per questo un moto di sdegno e di condanna si alza in La consulta araldica in cui c'è il tentativo di risuscitare un mondo di "larve". In Avanti! Avanti!, il titolo è un'incitazione al "sauro destrier de la canzone!", che non è altro se non il moto creativo del poeta, a slanciarsi nella corsa attraverso la gloria, la bellezza, la libertà non illanguidendosi e spossandosi o coprendosi di fiori come la seconda generazione romantica e quindi autoincitazione a continuare la stagione poetica giambica. La corruzione morale emerge anche in A certi censori, in cui sullo sfondo si muovono personaggi a dir poco grotteschi con nomi presi dalla tradizione della satira antica: Mena, Pomponio. Ma la poesia emerge con la sua katàrsis: "E con la spada alto volando prostra I mostri e i giganti, / E con le trombe e la suprema giostra / Chiama i guerrier festanti." La farsa e la caricatura si fanno goliardata in Io Triumphe!, dove i conquistatori che giungono un anno dopo che Napoleone III ha tolto le tende, sono accolti dalle glorie del passato (Furio Camillo, Caio Duilio, Lucio Virginio, Tullio Cicerone, Cornelio Tacito, Marco Giunio, Bruto, Marcaurelio) che di fronte a tanto "sfolgorar" di animi e ingegni si fanno da parte lasciando ai moderni campo libero. L'abbattimento delle stesse smancerie delle favorite, la sfarzosità del re alla corte di Versailles e dell'ancien regime e dei ciechi dogmatismi ad esso collegati sono orgomento di Versagia (vv. 49-52): "E il giorno venne: e ignoti, in un desio /Di veritade, con opposta fé, /Decapitarono, Emmanuel Kant, Iddio, / Massimiliano Robespierre il re." L'immagine iniziale di un'Italia che, con passo felpato, si insedia sul Campidoglio, zittendo le proverbiali oche, campeggia in Canto dell'Italia che va in Campidoglio, dal momento che il loro starnazzare potrebbe insospettire il cardinale Giacomo Antonelli segretario di Stato di Pio IX. La prudenza, perseguita da Giovanni Lanza, in questo caso non è giustificata e appare anzi segno di viltà, tanto più che Napoleone III è ormai lontano da un po'. Queste oche offrono il destro per una critica alla scuola dei "poeti odiernissimi" . Si staglia poi l'immagine di un'Italia per secoli asservita, che passava con disinvoltura di dominazione in dominazione che si sente quasi in colpa per aver "preso" Roma ed è pronta a far penitenza. Nel 1871 la Francia corse un grave pericolo infatti il ritorno alla monarchia, abbattuta dalla Rivoluzione, era dato quasi per certo e l'investito da questo onore e onere era Carlo Ferdinando d'Artois conte di Chambord, col nome di Enrico V. Incarnano questi timori, i distici de La sacra di Enrico Quinto, in cui in un paesaggio a dir poco "sofferente" e "malato" , si svolge lo stuolo regale che si reca a Saint Denis per l'incoronazione, e una tregenda di fantasmi e ossa balla una dance macabre. Anche un fatto di cronaca nera avvenuto nel 1878 e più precisamente, uno scandalo familiare, entra in questa galleria dissoluta. È il caso di A proposito del processo Fadda, scritto in memoria della morte, per altro miserevole, del capitano G. Fadda, che aveva valorosamente combattuto nel 1859, ma che non mori sul campo ma per mano di un cavallerizzo di circo, amante di sua moglie. C'è il parallelismo tra le corrotte "nipoti di Camilla", le matrone romane assetate di sangue e le discendenti tanto dissolute da darsi all'adulterio quanto false nella loro pudicizia di facciata . Questa protesta, questa ironia, corrosiva e irriverente, dopo essere esplosa travolgendo tutto ciò che trovava ora si placava in Canto d'amore, che chiude l'opera. Al di là dei toni iniziali in cui l'arrogante progetto della rocca paolina, finisce sgretolato sotto l'avanzare del popolo umbro, c'è uno spirito di riconciliazione finale.
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