Studiò filosofia, legge e retorica a Bologna, Pisa e Ferrara. Entrò nel 1597 al servizio del cardinale Ascanio Colonna, che seguì in Spagna come primo segretario (1600-03); successivamente (1618) divenne segretario a Roma dell’ambasciata del duca Emanuele I di Savoria, che lo scrittore riteneva “il più magnanimo principe che abbia la nostra età”, ammirandone la politica d’indipendenza nei confronti della Spagna. I suoi forti sentimenti anti-spagnoli animano un’opera di oratoria politica, praticamente un pamphlet, che rappresenta una delle poche espressioni letterarie della protesta contro la dominazione straniera: le Filippiche contro gli Spagnoli, ovvero contro il re Filippo II. Attraverso queste operette, che comparvero anonime nel 1615 ma che gli sono ormai attribuite con certezza, Tassoni invitava i principi italiani a ribellarsi, seguendo appunto l’esempio del duca di Savoia Carlo Emanuele, che nel 1612 aveva mosso guerra alla Spagna per il Monferrato. Tuttavia il rapporto di collaborazione tra i due non si sviluppò come desiderava Tassoni, probabilmente anche a causa del carattere particolare dello scrittore. Amareggiato, si ritirò a vita privata, risiedendo per lo più a Roma. Dopo un periodo passato al servizio del cardinal Ludovisi (1626-32), rientrò a Modena con il titolo di «gentiluomo di belle lettere» del duca Francesco I, restando alla corte estense fino alla morte (1635). Le biografie lo descrivono come un uomo dal carattere stravagante, amante del paradosso e ricco di contraddizioni, polemico , dall’ingegno vivace ed estroso; ne è una prova l’abbondante produzione saggistica. Per fare qualche esempio, del 1602 è la stesura delle Considerazioni sopra le «Rime» del Petrarca (pubblicate nel 1609), la prima espressione della rivolta secentesca contro la riproduzione pedissequa del modello petrarchesco e il dogmatismo degli aristotelici. Poi, come accademico della Crusca, si oppose ai principi linguistici dell’accademia e ne postillò severamente il vocabolario. Riconosciute come opere di valore sono i Pensieri diversi (1608-1612), completati nel 1620 da un decimo libro (”Paragone degli ingegni antichi e moderni”) in cui l’autore propone un argomento di discussione che conoscerà uno sviluppo straordinario nella cosiddetta “Querelle des Anciens et des Modernes” (”Disputa sugli antichi e i moderni”). Dall’insieme caotico dell’opera, che tratta di fisica, metafisica, astronomia, morale, letteratura, politica, e, infine, dal “Paragone”, emerge un atteggiamento nuovo, audacemente polemico nei confronti delle autorità e dei modelli tradizionali. Attaccando Aristotele, Petrarca e Omero, Tassoni esprime una ferma opposizione ad ogni forma di adorazione fanatica del passato e afferma senza mezzi termini la superiorità dei tempi moderni sugli antichi. Da queste opere esce l’immagine di uno scrittore intellettualmente molto vivace e attivo e non stupisce che si debba a un letterato di tale esuberanza la spinta per la nascita di un nuovo genere.
Al contrario di quanto si aspettava, infatti, la fama di Tassoni è affidata proprio alla Secchia rapita, poema in ottave di endecasillabi (ABABABCC) pubblicata a Parigi nel 1621, e ritoccata per soddisfare le richieste della Congregazione dell’Indice. L’edizione romana del 1624 infatti presenta due lezioni: una, in pochi esemplari, destinata al papa e una seconda destinata al grosso pubblico e corrispondente alle scelte originali dell’autore. L’edizione definitiva uscirà a Venezia nel 1630, ma il poema era già conosciuto al pubblico prima del 1618, anno in cui uscì l’opera di Bracciolini Lo scherno degli dei; tra i due, rispetto alla cronologia di pubblicazione, nacque una polemica riguardo la paternità del genere eroicomico, che però va senza dubbio attribuita a Tassoni se non altro per la qualità compositiva decisamente inferiore e la scarsa inventiva dell’ “avversario”.