Il crepuscolarismo
di Guido Gozzano
I poeti crepuscolari fiorirono tra il 1905 e il 1915 in piena età giolittiana, in quel periodo che fu definito poi della belle époque. La denominazione del movimento trae origine da un saggio del critico A. Borgese intitolato Poesia crepuscolare, nel quale venivano presi in esame poeti come Marino Moretti, Fausto Maria Martini e Carlo Chiaves. Di questa corrente fanno parte però anche Corrado Govoni, Enrico Thovez e Angelo Silvio Novaro. Ma il più grande di loro, se non proprio il caposcuola, viene considerato Guido Gozzano.
Fondamentale è la raccolta intitolata Colloqui, apparsa nel 1911. Il titolo della su citata raccolta è già un elemento declarativo del crepuscolarismo gozzaniano. La parola, usata in senso etimologico nell'accezione di "parlare con", dal latino cum loquere, e che ricorda il titolo di "Sermones" dato da Orazio alle sue satire, sta a significare la volontà, che fu ampiamente condivisa da tutti poeti in di quella corrente, di sviluppare una poesia in tono minore rispetto a quella accademica e retorica dei poeti "laureati" della cultura ufficiale. È espressione cioè di una scelta per la quale i poeti crepuscolari, Gozzano in testa, si posero in diretta polemica con la poesia declamatoria, politicamente impegnata e ideologicamente connotata ad esempio di un D'Annunzio ricercando uno stile umile, quotidiano, fatto di parole usuali, di ritmi scorrevoli e quasi cantabili. Un trobar leu, potremmo dire, nascente sia da una vocazione letteraria democratica sia da un desiderio di semplicità. Egli infatti già aveva dichiarato: Chi s'adopra scrivendo, a farsi intendere con poca fatica, sarà valido e sincero…così farò. Quanto al suo stile poi, aggiunge che può sembrare quello di uno scolare corretto un po' da una serva, ma in esso tutto si riconosce, tanto da poter anche dire: Buon Dio, puro conserva questo mio stile…non ho nient'altro di bello al mondo. Naturalmente non deve sfuggire quell'aggettivo puro che ci porta su un'altra connotazione, quella cioè di una poesia che non scende a compromessi, che non conosce padroni, che non è in vendita, e, soprattutto, che riflette la purezza del poeta stesso, nella forma come nei contenuti. Una poesia che potremmo dire tutta positiva, dove non c'è mai una parola che disturbi, una nota che stoni, un'immagine che ci infastidisca, una similitudine di cattivo gusto, giacché sempre sostenuta anche da una encomiabile volontà di solidarietà sociale: un fiore gitterò dal mio rifugio, sempre a chi soffre e sogna e piange e cade…
Tipicamente crepuscolare è poi la considerazione che di sé il poeta esprime. Egli si raffigura non come colui che forgia le spade all' Avvenire, non come un vate, non come un trascinatore di folle; egli non assume atteggiamenti ieratici, non si pone su di un alto podio a rivelare alle masse profonde verità, a spargere intorno la luce, come fa un faro nella notte. Bensì come colui che vive tra il Tutto e il Niente, come una strana cosa vivente detta Guido Gozzano…un po' scimunito che tuttavia ringrazia la Natura per averlo fatto gozzano e non gabrieldannunziano perché sarebbe stato peggio! (La via del rifugio). Non un eroe, non un personaggio della vita mondana, non un viveur, bensì solo un borghese onesto che della poesia fa impegno umano e testimonianza.
A siffatta poetica si adeguano certamente i contenuti e i personaggi che la realizzano. Così l'esaltazione della vita di provincia, della classe piccolo borghese, delle buone cose di pessimo gusto quali emergono dai Colloqui.
La provincia è quella del Canavese, di Agliè, con i suoi splendidi alberi, i suoi verdi prati, le belle ville aristocratiche linde, silenziose, discrete, ordinate, la sua gente bene educata, timorata di Dio, rispettosa delle autorità, quieta e serena. Un mondo ideale dove la vita si svolge secondo ritmi naturali rapportati a quelli biologici dell'uomo, dove il giorno e la notte sono vissuti per lavorare per riposare, in una alternanza che non sfocia in monotonia. Un mondo dominato da una classe piccolo borghese onesta e laboriosa, che regola i rapporti interpersonali sui valori del rispetto, della discrezione, della fedeltà, dell'amicizia. Una umanità consapevole di sé, gelosa di ciò che ha, forse un po' chiusa, ma incapace di fare il male. Una umanità che fa della spontaneità e della semplicità un valore, della probità una virtù che ama la famiglia, le cene tra pochi amici, lo stare insieme nel salotto ove si può parlare anche di politica, ma senza passione, ove si può fumare un buon sigaro ascoltando suonare un pianoforte animato dalle bianche dita di una ragazza sognatrice. Ove la ricchezza non necessita, giacché ad ornare la casa bastano Scatole di latta senza confetti, frutti di marmo protetti da campane di vetro, scrigni fatti di valve, qualche oggetto col monito"Salve".
Quest' inno alla vita di provincia però non deve essere preso per un luogo letterario, anche se Gozzano è poeta colto che non ignora la presenza della tematica contrappositiva della città alla campagna nella nostra letteratura. Esso infatti va inteso come un canto nostalgico a ciò che è sano, fisicamente oltre che moralmente sano, in contrapposizione a ciò che è corrotto, fisicamente oltre che moralmente corrotto. La provincia è per Gozzano anche la salubrità dell'aria, la purezza delle acque, il cielo terso e cibi genuini. Oltre ad essere un'isola felice perché i rapporti umani sono autentici, perché non v'è maschera di ipocrisia, perché ancora regna la semplicità.
In questo contesto si inserisce e meglio si spiega l'esaltazione della ragazza di paese e degli amori ancillari. Non diversamente da Carducci che rimpiangeva la contadina "bionda Maria" dai ben torniti fianchi Gozzanoè attratto dalla "signorina Felicita " la protagonista, per così dire, della seconda sezione intitolata Alle soglie, descritta come quasi brutta priva di lusinga nelle vesti quasi campagnole ma con i bei capelli di color del sole con la bocca vermiglia il volto tutto sparso d'efelidi leggere e gli occhi con l'iride azzurra d'un azzurro di stoviglie. Questo tipo umano è esattamente l'opposto delle donne fatali cantate da Carducci o da D'Annunzio, dalle bellezze lussuose e corrotte delle donne cittadine, delle emancipate, delle colte e raffinate. Ma anche da quel tipo di donna che Gozzano frequentava, istruita, complicata, difficile. Singolarmente esigenza letteraria ed esigenza esistenziale scaturente da vita vissuta in quest'ideale di donna si incontrano.
A questo punto siamo in grado di meglio comprendere anche la figura di Totò Merumeni, il personaggio maschile protagonista della terza sezione dei Colloqui intitolata Il reduce. Totò vive con una madre inferma, una prozia canuta ed uno zio demente...ha 25 anni,... scarso cervello, scarsa morale, spaventosa chiaroveggenza. Egli è un buono (quello che Nietzsche derideva). Un solitario che ha per compagni una ghiandaia, un micio e una bertuccia. Egli ha sognato per anni l'amore che non venne, sognò attrici e principesse, ed alla fine ha preso per amante la sua cuoca diciottenne. Egli è un inetto, un esteta frustrato, un ormai indifferente ed estraneo alla vita, che ha scelto l'esilio e la rinuncia volontaria. In questo personaggio i critici hanno visto una figura di anti-eroe, un anti-superuomo, come difatti è. Ma esso è anche una proiezione mitica del poeta stesso, se vogliamo, una sua caricatura. Da qui discende la caratteristica stilistica predominante della raccolta, che è quella dell'ironia e che ci riporta a quanto sopra già detto riguardo alla considerazione di sé che Gozzano esprime ed alla sua poetica. E con ciò il cerchio si chiude.