da tanta di vapori evanescenza,
questo languido raggio che m'accese
d'improvvisa letizia, io vo' goderlo
fra i nostri vepri dove fischia il merlo
e fioriscon le rose d'ogni mese.
fra i canneti che crosciano a' rovai,
fra i tamarisci che scolora autunno,
mentre tu, dolce de' miei ozi alunno,
ridirai gl'inni che a' bei dì cantai.
Lo so, lo so: la pergola dell'orto,
già di pampinei grappoli sì grave,
non ha più ombre; ben lo so che ignave
pendon le braccia sue nel sole smorto.
Ma, sempre verde in sua fronda perenne,
alla luce infinita e alla grand'aria
dalla medicea torre solitaria
chiama ancora la gran selva contenne,
la gran selva dei pini, il gran viale
che su l'estatica anima pacata
s'inarca austero, come la navata
d'una selvaggia immensa cattedrale.
Ed io verrò, da questo freddo e putre
tedio, a' miei secolari alberi soli,
che, giocondi di musiche, di voli
e di fragranze, la pia terra nutre.
Al gran tempio verrò, dove adorare
possa io pur anche l'Iside infinita,
dalla navata altissima, romita,
piena del sacro cantico del mare.