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ALDA MERINI


POESIE VARIE
Parte prima
Pagina a cura di Nino Fiorillo == e-mail:nfiorillo@email.it ==
Tutto su mia madre Alda Merini
_________

di
Emanuela Carniti
__________________
ALDA MERINI  - POESIE VARIE - Parte prima









































FINE
Parte prima


Come ti senti oggi?

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

La mia poesia è alacre come il fuoco
trascorre tra le mie dita come un rosario
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnanànna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce.






La verità è sempre quella

La verità è sempre quella,
la cattiveria degli uomini
che ti abbassa
e ti costruisce un santuario di odio
dietro la porta socchiusa.
Ma l’amore della povera gente
brilla più di una qualsiasi filosofia.
Un povero ti dà tutto
e non ti rinfaccia mai la tua vigliaccheria.




Pensiero,io non ho più parole

Pensiero,io non ho più parole.
Ma cosa sei tu in sostanza?
qualcosa che lacrima a volte,
e a volte dà luce.
Pensiero,dove hai le radici?
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?
Sei così ardito vorace,
consumi ogni distanza;
dimmi che io mi ritorca
come ha già fatto Orfeo
guardando la sua Euridice,
e così possa perderti
nell’antro della follia.





Le più belle poesie

Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da argenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.

Io sono certa che nulla......

Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,
il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola
come una trappola da sacrificio,
è quindi venuto il momento di cantare
una esequie al passato.

Corpo, ludibrio grigio

Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?
anima circonflessa,
circonfusa e incapace,
anima circoncisa,
che fai distesa nel corpo?

Io sono folle, folle

Io sono folle, folle, folle d’amore per te .
io gemo di tenerezza perchè sono folle, folle, folle
perchè ti ho perduto .
Stamane il mattino era cosi caldo
che a me dettava quasi confusione
ma io era malata di tormento
ero malata di tua perdizione.

A tutti i giovani raccomando

A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruivi tombe,
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.


Le mie impronte digitali

Le mie impronte digitali
prese in manicomio
hanno perseguitato le mie mani
come un rantolo che salisse la vena della vita,
quelle impronte digitali dannate
sono state registrate nel cielo
e vibrano insieme
ahimè
alle stelle dell’Orsa maggiore.


Spazio spazio, io voglio

Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.


Bacio che sopporti il peso

Bacio che sopporti il peso
della mia anima breve
in te il mondo del mio discorso
diventa suono e paura.


Non avessi sperato in te

Non avessi sperato in te
e nel fatto che non sei un poeta
di solo amore
tu che continui a dirmi
che verrai domani
e non capisci che per me
il domani e’ gia’ passato.


Il Poeta raccoglie i dolori e sorrisi

Il Poeta raccoglie i dolori e sorrisi
e mette assieme tutti i suoi giorni
in una mano tesa per donare,
in una mano che assolve
perché vede il cuore di Dio.
Ma la città è triste
perché nessuno pensa
che i fiori del Poeta
sbocciano per vivere molto a lungo
per le vie anguste della grazia.



Amore,

Amore,
vola da me
con l’aeroplano di carta
della mia fantasia,
con l’ingegno del tuo sentimento.
Vedrai fiorire terre piene di magia
e io sarò la chioma d’albero più alta
per darti frescura e riparo.
Fa’ delle due braccia
due ali d’angelo
e porta anche a me un po’ di pace
e il giocattolo del sogno.
Ma prima di dirmi qualcosa
guarda il genio in fiore
del mio cuore.



Accarezzami, amore,

Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.


Ti aspetto e ogni giorno

Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.


Solo un mano d’angelo

Solo un mano d’angelo
intatta di sè, del suo amore per sè,
potrebbe
offrirmi la concavità del suo palmo
perché vi riversi il mio pianto.
La mano dell’uomo vivente
è troppo impigliata nei fili dell’oggi e dell’ieri,
è troppo ricolma di vita e di plasma di vita!
Non potrà mai la mano dell’uomo mondarsi
per il tranquillo pianto del proprio fratello!
E dunque, soltanto una mano di angelo bianco
dalle lontane radici nutrite d’eterno e d’immenso
potrebbe filtrare serena le confessioni dell’uomo
senza vibrarne sul fondo in un cenno di viva ripulsa.



Bambino

Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia
legalo con l’intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l’ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell’acqua del sentimento.



Sono folle di te, amore

Sono folle di te, amore
che vieni a rintracciare
nei miei trascorsi
questi giocattoli rotti delle mie parole.
Ti faccio dono di tutto
se vuoi,
tanto io sono solo una fanciulla
piena di poesia
e coperta di lacrime salate,
io voglio solo addormentarmi
sulla ripa del cielo stellato
e diventare un dolce vento
di canti d’amore per te.





Del tutto ignari della nostra esistenza

Del tutto ignari della nostra esistenza
voi navigate nei cieli aperti dei nostri limiti,
e delle nostre squallide ferite
voi fate un balsamo per le labbra di Dio.
Non vi è da parte nostra conoscenza degli angeli,
né gli angeli conosceranno mai il nostro martirio,
ma c’è una linea di infelicità come di un uragano
che separa noi dalla vostra siepe.
Voi entrate nell’uragano dell’universo
come coloro che si gettano nell’inferno
e trovano il tremolo sospiro
di chi sta per morire
e di chi sta per nascere.




ED ERA UN MATTINO BUGIARDO

a Rino Escalante
Ed era un mattino bugiardo
uno dei tanti mattini
in cui entrai in un nefasto sogno:
era un sogno di pesanti paure,
di zolle devastate
era il sogno di un impossibile amore.
Le nostre mani furono disserrate
schiodate come le mani del Cristo
inutili furono i nostri abbandoni,
qualcuno ci ferì alle spalle
non so chi, non so chi
forse una forza umana
forse la forza del destino
forse tu stesso, amore,
mi hai colpita alle spalle.





Mi sono innamorata

Mi sono innamorata
delle mie stesse ali d’angelo,
delle mie nari che succhiano la notte,
mi sono innamorata di me
e dei miei tormenti.
Un erpice che scava dentro le cose
o forse fatta donzella
ho perso le mie sembianze.
Come sei nudo, amore,
nudo e senza difesa.
io sono la vera cetra
che ti colpisce nel petto
e ti dà larga resa.



Sogno d'Amore
Se dovessi inventarmi il sogno
del mio amore per te
penserei a un saluto
di baci focosi
alla veduta di un orizzonte spaccato
e a un cane
che si lecca le ferite
sotto il tavolo.
Non vedo niente però
nel nostro amore
che sia l'assoluto di un abbraccio gioioso



Ho bisogno di sentimenti

Non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all' orecchio degli amanti.
Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Prendimi la pelle di un tempo

Prendimi la pelle di un tempo,
divino amore,
quella scorticata e precisa
che hanno dato le mie labbra:
le mie labbra sono ombre funeste.
Prendi i miei baci,amore,
prendimi la polvere delle ali,
perché possa volarti sul cammino,
io,fantasma giocoso degli specchi




Alla tua salute, amore mio

Amore,
vola da me
con l'aeroplano di carta
della mia fantasia,
con l'ingegno del tuo sentimento.
Vedrai fiorire terre piene di magia
e io sarò la chioma d'albero più alta
per darti frescura e riparo.
Fa' delle due braccia
due ali d'angelo
e porta anche a me un po' di pace
e il giocattolo del sogno.
Ma prima di dirmi qualcosa
guarda il genio in fiore
del mio cuore.




TORNA AMORE

Torna amore
vela delicata e libera
che occupi
il pensiero della mia terra
sto morendo sulla grandiosità di un fiume
che è rosso di desiderio
e vorrebbe
travolgere il tuo amore
   


Accarezzami, amore

Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all'alba
se io sarò tra le tue braccia.




Sono nata il ventuno a primavera

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.




I poeti lavorano di notte

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.

La carne degli angeli

Un punto è l'embrione
un secolo di vita
che ascolta l'universo
la memoria del mondo
fin dalla creazione.
L'uomo che nascerà
è un'eco del Signore
e sente palpitare in sé
tutte le stelle.

Ascolta il passo breve delle cose

Ascolta il passo breve delle cose
-assai più breve delle tue finestre-
quel respiro che esce dal tuo sguardo
chiama un nome immediato:la tua donna.
E' fatta di ombre e ciclamini,
ti chiede il tuo mistero
e tu non lo sai dare.
Con le mani
sfiori profili di una lunga serie di segni
che si chiamano rime.
Sotto, credi,
c'è presenza vera di foglie;
un incredibile cammino
che diventa una meta di coraggio.

Quando l'angoscia

Quando l'angoscia
spande il suo colore
dentro l'anima buia
come una pennellata di vendetta,
sento il germoglio

dell'antica fame
farsi timido e grigio
e morire la luce del domani.
E contro me le cose inanimate
che ho creato dapprima
vengono a rimorire dentro il seno
della mia intelligenza
avide del mio asilo e dei miei frutti,
richiedenti ricchezza ad un mendico.
    



I versi sono polvere chiusa

I versi sono polvere chiusa
Di un mio tormento d'amore,
ma fuori l'aria è corretta,
mutevole e dolce ed il sole
ti parla di care promesse,
così quando scrivo
chino il capo nella polvere
e anelo il vento, il sole,
e la mia pelle di donna
contro la pelle di un uomo.





Ribaciami in uno stelo di amore

Ribaciami in uno stelo di amore
e pensa alla giovinezza che mi
prende e mi ha lasciato sola
per lunghi anni.






Spazio

Spazio spazio io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita;
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch'io lanci un urlo inumano,
quell'urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.

    



Superba è la notte

La cosa più superba è la notte
quando cadono gli ultimi spaventi
e l'anima si getta all'avventura.
Lui tace nel tuo grembo
come riassorbito dal sangue
che finalmente si colora di Dio
e tu preghi che taccia per sempre
per non sentirlo come rigoglio fisso
fin dentro le pareti.




Il mio passato
Spesso ripeto sottovoce
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che e’ passato
e’ come se non ci fosse mai stato.
Il passato e’ un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato e’ solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho gia’ visto
non conta piu’ niente.
Il passato ed il futuro
non sono realta’ ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacche’ non esiste altro tempo
che questo meraviglioso istante.




O il veleggiare del tuo caldo pensiero

O il veleggiare del tuo caldo pensiero
sopra la mia parola
  e il tuo dormire selvaggio
  accanto al mio seno vivo;
o l’adombrarsi della primavera
quando cade il suono del seme
sulla terra feconda di parola.
Così tu sei l’esempio
  del sole mio.

    

A volte Dio

A volte Dio
uccide gli amanti
perché non vuole
essere superato
in amore...

Ogni mattina il mio stelo.....

Ogni mattina il mio stelo vorrebbe levarsi nel vento
soffiato ebrietudine di vita,
ma qualcosa lo tiene a terra,
una lunga pesante catena d'angoscia
che non si dissolve.
Allora mi alzo dal letto
e cerco un riquadro di vento
e trovo uno scacco di sole
entro il quale poggio i piedi nudi.
Di questa grazia segreta
dopo non avrò memoria
perchè la malattia ha un senso
una dismisura, un passo,
anche la malattia è matrice di vita.
Ecco, sto qui in ginocchio
aspettando che un angelo mi sfiori
leggermente con grazia,
e intanto accarezzo i miei piedi pallidi
con le dita vogliose d'amore.






    

Anche oggi sarò dentro la storia

Anche oggi sarò dentro la storia
della mia vita. Ma non era l'oggi
che io volevo quand'ero bambina :
oggi è un giorno diverso, senza grida,
afono e grigio come una fontana.
Oggi è l'oggi di ieri manifesto
solo nel mio respiro prigioniero:
o larghe nubi come fonderei
volentieri il mio passo
dentro quel cielo che racchiude tutta
tutta l'avversità del mio destino.




Ho conosciuto in te le meraviglie

Ho conosciuto in te le meraviglie
meraviglie d'amore sì scoperte
che parevano a me delle conchiglie
ove odorano il mare e le deserte
spiagge corrive e lì dentro l'amore.
Mi son persa come alla bufera
sempre tenendo fermo questo cuore
che (ben sapevo) amava una chimera.




Ah se almeno potessi

Ah se almeno potessi,
suscitare l'amore
come pendio sicuro al mio destino!
E adagiare il respiro
Fitto dentro le foglie
E ritogliere il senso alla natura!
O se solo potessi
Toccar con dita tremule la luce
Quella gagliarda che ci sboccia in seno,
corpo astrale del nostro viver solo
pur rimanendo pietra, inizio, sponda
tangibile agli dei
e violare i più chiusi paradisi
solo con la sostanza dell'affetto.

io come voi

io come voi
sono stata sorpresa
mentre rubavo la vita
buttata fuori
dal mio desiderio d'amore.

io come voi
non sono stata ascoltata
e ho visto le sbarre del silenzio
crescermi intorno e strapparmi i capelli.

io come voi
ho pianto ho riso e ho sperato.

io come voi
mi sono sentita togliere
i vestiti di dosso
e quando mi hanno dato in mano
la mia vergogna
ho mangiato vergogna ogni giorno.

io come voi
ho soccorso il nemico
ho avuto fede
nei miei poveri panni
e ho domandato
che cosa sia il signore
poi dall'idea della sua esistenza
ho tratto forza
per sentire il martirio
volarmi intorno come colomba viva.

io come voi
ho consumato l'amore da sola
lontana persino dal cristo risorto.

ma io come voi
sono tornata alla scienza
del dolore dell'uomo
che è la scienza mia
   


No, non chiudermi ancora....

No, non chiudermi ancora nel tuo abbraccio,
atterreresti in me questa alta vena
che mi inebria dall'oggi e mi matura.
Lasciamo alzare le mie forze al sole,
lascia che mi appassioni dei miei frutti,
lasciami lentamente delirare
e poi coglimi solo e primo e sempre
nelle notti invocato e nei tuoi lacci
amorosi tu atterrami sovente
come si prende una sventata agnella.




La casa non geme più....

La casa non geme più sotto
lo scricchiolio dei tuoi passi,
la casa non geme più
e datemi i rumori
i rumori pesanti
datemi i rumori di Charles
datemi il suo pensiero e il suo lento fuggire
ridatemi i rumori, della sua carne perfetta.




O poesia , non venirmi addosso

O poesia , non venirmi addosso
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
poesia, non schiacciarmi
l’insetto è alacre e insonne,
scalpita dentro la rete,
poesia, ho tanta paura,
non saltarmi addosso, ti prego.





   


Abbi pietà di me che sto lontana

Abbi pietà di me che sto lontana
che tremo del tuo futile abbandono,
tienimi come terra che pur piana
dia nella pace tutto il suo perdono
od anche come aperta meridiana
che dia suono dell'ora e dia frastuono,
abbi pietà di me miseramente
poiché ti amo tanto dolcemente.




Ci sono pittori che scrivono....

Ci sono pittori che scrivono con le rime
e disegnano foreste entro cui
vanno a vivere con i loro amori.
Si contentano di un solo pensiero,
lo vestono di rubini e
credono che sia un re.
I poeti non credono alle date,
credono che la loro storia cominci
dalla presenza.




Bambino, se trovi l'aquilone....

Bambino, se trovi l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell'acqua del sentimento.
    


L'anima

L'anima
Che grande scultore sei tu
che hai scolpito il tuo volto di pietra
tra le mie braccia
e ormai amore morto
mi sei diventato figlio
ti tengo sulle ginocchia
e piango perché il ricordo di te
mi pesa come un sepolcro.



Vedessi com'è grande il pensiero

Vedessi com'è grande il pensiero del mare
dove il mio dolce amore oggi è andato a pescare.
Vedessi come è grande la vela del pensiero
eppure sono sola come un vecchio mistero.
Vedessi che coralli ci sono in fondo al mare
e lui non mi ha pescato perchè doveva andare.
Vedessi come piango un pianto universale
un amore così bello non doveva far male.





Apro la sigaretta

Apro la sigaretta
come fosse una foglia di tabacco
e aspiro avidamente
l'assenza della tua vita.
E' così bello sentirti fuori
desideroso di vedermi
e non mai ascoltato.
Sono crudele, lo so
ma il gergo dei poeti è questo:
un lungo silenzio acceso
dopo un lunghissimo bacio.
    
Lettere

Rivedo le tue lettere d'amore
illuminata adesso da un distacco,
senza quasi rancore.

L'illusione era forte a sostenerci,
ci reggevamo entrambi negli abbracci,
pregando che durassero gli intenti.
Ci promettemmo il sempre degli amanti,
certi nei nostri spiriti divini.

E hai potuto lasciarmi,
e hai potuto intuire un'altra luce
che seguitasse dopo le mie spalle.

Mi hai resuscitato dalle scarse origini
con richiami di musica divina,
mi hai resa divergenza di dolore,
spazio, per la tua vita di ricerca
per abitarmi il tempo di un errore.

E mi hai lasciato solo le tue lettere,
onde io le ribevessi nella tua assenza.

Vorrei un figlio da te,
che sia una spada lucente,
come un grido di alta grazia,
che sia pietra, che sia novello Adamo,
lievito del mio sangue
e che dissolva più dolcemente
questa nostra sete.

Ah se t'amo!
Lo grido ad ogni vento
gemmando fiori da ogni stanco ramo,
e fiorita son tutta
e di ogni velo vò scerpando il mio lutto
perché genesi sei della mia carne.

Ma il mio cuore trafitto dall'amore
ha desiderio di mondarsi vivo,
e perciò, dammi un figlio delicato!
Un bellissimo vergine viticcio
da allacciare al mio tronco.

E tu, possente padre,
tu olmo ricco di ogni forza antica,
mieterai dolci ombre alle mie luci.

Se la morte

fosse un vivere quieto,
un bel lasciarsi andare,
un'acqua purissima e delicata
o deliberazione di un ventre,
io mi sarei già uccisa.
Ma poichè la morte è muraglia,
dolore, ostinazione violenta,
io magicamente resisto.
Che tu mi copra di insulti,
di pedate, di baci, di abbandoni,
che tu mi lasci e poi ritorni

senza un perchè
o senza variare di senso
nel largo delle mie ginocchia,
a me non importa

perchè tu mi fai vivere,
perchè mi ripari da quel gorgo
di inaudita dolcezza,
da quel miele tumefatto

e impreciso
che è la morte di ogni poeta





L'albatros

Io ero un uccello
dal bianco ventre gentile,
qualcuno mi ha tagliato la gola
per riderci sopra non so.
Io ero un albatro grande
e volteggiavo sui mari.
Qualcuno ha fermato il mio viaggio,
senza nessuna carità di suono.
Ma anche distesa per terra
io canto ora per te
le mie canzoni d'amore.

O New York notturna

del nostro amore
così decapitata, ogni tua luce
è stata il vagito

della nostra poesia.
Tu non puoi morire quando sogni
poichE' noi italiani ti abbiamo
cullato tra le nostre braccia.
Penso che l'amore

sia una grande torre
una torre addormentata

nel cuore della notte.
Ma questi giganti che ormai

non parlano più
hanno sepolto

sotto le loro macerie
anche i nostri sospiri d'amore,
" quando la sera si stendeva

sopra un tavolo
come un paziente in preda

alla narcosi "




Tu che nel mio grembo riposi

Tu che nel mio grembo riposi
Come un fiore che vibra alto
E diventerà terra d’amore
io ripongo i miei occhi di fanciulla
che per la prima volta quieta
nella vita.
Niente per una donna
È più simile al paradiso
Di un figlio
che le farà sognare l’amore
per sempre.


Far camminare un bimbo

Far camminare un bimbo
è cosa semplice
tremendo
è portare gli uomini
verso la pace
essi accontentano la morte
per ogni dove
come fosse una bocca da sfamare.




Fosse mai scesa una carezza

Fosse mai scesa una carezza
che attraversasse i secoli
come una lama aperta.
oh strazio della mia mente
che ha amato un ragazzo libero
che non conosce patria
ti avrei rinchiuso in un manicomio
se le lacrime verdi del tuo sguardo
non mi avessero regalato canzoni




Non voglio dimenticarti amore

Non voglio dimenticarti amore,
ne' accendere altre poesie:
ecco, lucciola arguta, dal risguardo dolce,
la poesia ti domanda
e bastava un'inutile carezza
a capovolgere il mondo.
La strega segreta che ci ha guardato
ha carpito la nudità del terrore,
quella che prende tutti gli amanti
raccolti dentro un’ascia di ricordi.

Beati coloro che si baceranno sempre

Beati coloro che si baceranno sempre
al di là delle labbra
varcando il confine del piacere
per cibarsi dei sogni




ogni poeta

ogni poeta
laverà nella notte
il suo pensiero
ne farà tante lettere
imprecise
che spedirà all'amato
senza un nome




Le madri non cercano il paradiso

Le madri non cercano il paradiso
il paradiso io l’ho conosciuto
il giorno che ti ho concepito.
Perché vuoi morire?
Non ti ricordi la tua tenera infanzia
e quanto hai giocato con me?
Perché vuoi inebriarti della tua anima?
Tu stai uccidendo tua madre
eppure non riesco a dimenticare
i gemiti del parto.
Anch’io quel giorno sono morta
quando ti ho dato alla luce,
tu sei peggio
di qualsiasi amante figlio mio
tu mi abbandoni.





Tu insegui le mie forme

Tu insegui le mie forme
segui tu la giustezza del mio corpo
e non mai la bellezza
di cui vado superba
sono animale all’infelice coppia
prona su un letto misero d’assalti
sono la carezzevole rovina
dai fecondi sussulti alle tue mani
sono il vuoto cresciuto
sino all’altezza esatta del piacere
ma con mille tramonti
alle mie spalle
quante volte amor mio
tu mi disdegni







PER CESARE PAVESE

Piango per te
per la tua stanchezza
per la tua grande malinconia
ma soprattutto
per il tradimento dei fogli
che noi conosciamo.
Sentirsi brutto
e non poter cantare
la favola dell'amore
sentirsi stanco
e non poter lavorare.
E' questo il peggior
castigo dell'uomo
che vuole innalzare
la sua croce
perché Dio la consumi.





Mentre la vita geme

Mentre la vita geme

rattratta nelle prigioni
si alzano le vele

del bellissimo canto
e tutte quelle rive

che furono già chiuse
salpano come il mare

e tremano di flutti
odora la cervice

dello stolto nemico
e la pace lo morde al piede

come serpe








La donna di picche 

a Eugenio Montale

i tuoi acini d'oro
i limoni perduti
nel grembo di altre donne
che ti hanno solo sognato
capita anche a me maestro
di aver fatto l'amore
con quelli
che non ho mai conosciuto    





Non piangere mai

Non piangere mai
su chi ha abbandonato la sua vita

nei manicomi
L'hanno fatto spontaneamente
per non essere molestati
E' gente che ha un'anima sola

e se perde quella muore
Voi uomini  avete più anime
e molte maschere sul vostro viso
Giocate in enormi teatri del non senso
ma noi eravamo felici
di andare verso la morte
tragica soluzione di una vita

che non volevamo

dedicata a Simone Cristicchi autore di ti regalero' una rosa - sanremo 2007

A volte succedono cose strane

A volte succedono cose strane 
un incontro   un sospiro   un alito di vento
che suggerisce nuove avventure
della mente e del cuore
Il resto arriva da solo
nell'intimità dei misteri del mondo




Quelle come me

Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.
Quelle come me donano l’anima,
perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.
Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi,
pur correndo il rischio di cadere a loro volta.
Quelle come me guardano avanti,
anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.
Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano,
tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.
Quelle come me quando amano, amano per sempre.
e quando smettono d’amare è solo perché
piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.
Quelle come me inseguono un sogno
quello di essere amate per ciò che sono
e non per ciò che si vorrebbe fossero.
Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai,
sono caduti nel dimenticatoio dell’anima.
Quelle come me vorrebbero cambiare,
ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.
Quelle come me urlano in silenzio,
perché la loro voce non si confonda con le lacrime.
Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore,
perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.
Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio,
non riceveranno altro che briciole.
Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,
purtroppo, fondano la loro esistenza.
Quelle come me passano inosservate,
ma sono le uniche che ti ameranno davvero.
Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita,
rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti
e che tu non hai voluto…



La presenza di Orfeo

a Paolo Bonomini

Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perchè nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò all’informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, eleborata e viva,
ridivenire caos…
Orfeo novello, amico dell’assenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.
Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola essenza.
Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d’animale
e mi dirò che non andrò più oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura,
in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla…
Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l’addietro non l’ho maturato
e non l’ho poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?
Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?
Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita…
Ma la presenza d’ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e più presto risolversi d’enigmi!

==>SEGUE


E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di più rare e più estranee conclusioni,
quando del mio “sentirmi” voluttuoso
rimase un’aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.
Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze più serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgano e riprendano in accordo,
quando la garanzia dell’immanenza
ci fasci di un benessere assoluto.
Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.



CANZONE DELL'UOMO INFEDELE

Il mio uomo è uguale al Signore
il mio uomo è uguale agli dèi
se lui mi tocca
io mi sento una donna
e mi sento l’acqua che scorre
nei lecci della vita.

Il mio uomo è un purosangue che corre
mentre io cavallerizza da nulla
sto immobile a terra

il mio uomo è una chitarra felice
e io sono la sua canzone
ma lui non mi canta mai
perché?
Aspetto che la chitarra si rompa
per vivere...

Il mio uomo è un uomo crudele
il mio uomo è la mia preghiera
è uguale a Savonarola

ma il mio uomo tocca altri inguini ed altri capelli
è generoso con le fanciulle dorate
e lascia me povera
di vecchiezza e di vita a morire per lui.

Il mio uomo se si denuda
ha il petto villoso come le aquile
ma un rostro che ferisce a fondo
e punisce i pentimenti d’amore
allora io gli mostro le mie carni ferite
e maledico la sorte,

ma se il mio uomo sorride
io torno a fiorire e divento una bianca luna
che si specchia nel mare.



TU NON SAI

Tu non sai: ci sono betulle che di notte levano le loro radici,
e tu non crederesti mai che di notte gli alberi
camminano o diventano sogni.

Pensa che in un albero c'è un violino d'amore.
Pensa che un albero canta e ride.
Pensa che un albero sta in un crepaccio e poi diventa vita.

Te l'ho già detto: i poeti non si redimono, vanno
lasciati volare tra gli alberi come usignoli pronti a morire.







ALLEGRAMENTE DENTRO LA FUNESTA

Allegramente dentro la funesta
ora d’eloquio io ti rappresento
magnifico e gagliardo o come idea
tu mi sei quasi simile alla zona
del più acre silenzio eppure canto
e lo so, amor mio, che tu mi senti.
Le sottane sono fragili a vedersi
sotto, l’inizio della tua cultura
il tuo passo deciso di Mercurio
o alato Dio che ti innamori pure
se il verbo è delicato, dolcemente chino alla fede
bevi di quell’acqua
che satura il tuo indocile dolore;
tu sei soltanto un uomo e non è colpa
io son soltanto donna ed è un avvio
ed entrambi siam figli del Signore:
e per questo moriamo.





Veleggio come un ombra

Veleggio come un ombra
nel sonno del giorno
e senza sapere
mi riconosco come tanti
schierata su un altare
per essere mangiata da chissà chi.
Io penso che l'inferno
sia illuminato da queste stesse
strane lampadine.
Vogliono cibarsi della mia pena
perchè la loro forse
non s'addormenta mai.






Il gobbo

Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque così grigie,
dall'espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
... e nessuno m'aiuta.
Mi viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d'allegrezza
che ha il dono di una stana profezia.
E perché vada incontro alla promessa
lui mi traghetta sulle proprie spalle.
Pianto dei poeti

Ruba a qualcuno la tua forsennata stanchezza
o gemma che trapassi il suono
col tuo respiro l'ombra che sta ferma
di fronte ad un porto di paura
quel trascendere il mito
come se fosse forzatamente azzurro
o chi senza abbandono
che non sanno che il pianto dei poeti
è solo canto.
Canto rubato al vecchio del portone
rubato al remo del rematore
alla ruota dell'ultimo carro
o pianto di ginestra
dove fioriva l'amatore immoto
dalle turbe angosciose di declino
io sono l'acqua che si genuflette
davanti alla montagna del tuo amore








Canzone d'amore per Giuliano Gritti

Il mio vecchio che sembra un ragazzo
e che tante volte avrei voluto uccidere
per gelosia e amore.

Il mio vecchio che mi ha celebrato come venere
e mi ha messo su tutti i giornali.

Il mio vecchio con cui ho fatto numerosi viaggi
e che non tornerà più

Dovrebbe dire a certe donne che
i suoi bianchi capelli
sono quelli del divino apollo
che incanta tutte le donne
e che io dafne mi nascondo tra i rami degli alberi
per non essere presa dalle sue braccia.

Lui ha percorso mari e monti per conquistarmi
ma io sono un tronco di puro silenzio
e non gli farò vedere il fogliame.

Il mio uomo che è bianco di capelli
e giovane di anni mi ha sempre portato lontano
e non ha mai ritratto queste fanciulle
che credono che un uomo,

un uomo divino possa un giorno baciarle sulla bocca.


A tutte le donne

Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.

Il 21 marzo è la Giornata mondiale della poesia, istituita dalla XXX Sessione della Conferenza Generale UNESCO nel 1999.

Vorrei raccontarti

Vorrei raccontarti
una vecchia favola
che sembra vera
e che notte tempo
vengo a salvarti
e tremo perché ho paura
che tu mi veda
sono io il dio Amore
che di notte mette le ali
e ti guardo a lungo dormire
e non mi pensi
sono più gelosa del tuo sonno
che di quando vivi disordinatamente
aprendo duemila porte
che non ti sanno vedere
ma la sera io sono un lumino
che tu non vedi
e sto lì
tutta la notte
come la morte
e tu hai paura di dormire solo




Occorre un amore grande

Occorre un amore grande
per viverti accanto, amor mio,
e cavalcare un destino
che e' come un puledro avverso,
come una macchina astrusa.
E tu vorresti scendere,
guardare pascoli azzurri
e invece il destino bizzarro
sbatacchia le povere ali
e immiserisce l'amore.
Cosi'  quando e' sera,
io mi adagio al tuo fianco
come vergine stanca,
ne' so cosa tu mi puoi dare,
ne' sai cos'io voglia dire.
Dalla solita sponda/ del mattino/ Io mi guadagno/ palmo a palmo il giorno:/ il giorno dalle acque così grigie,/ dall’espressione assente./
(Il gobbo, poesia scritta da Alda Merini diciassettenne nel 1948: l’anno precedente c’era stato il suo primo ricovero in clinica psichiatrica)

«Di noi quattro sorelle, io sono la maggiore – nata nel 1955 – e quella con più ricordi. Fino ai miei 6 o 7 anni la vita in famiglia era stata abbastanza gradevole, con momenti belli e dolci. Ma dopo la nascita di Flavia, nel 1958, nostra madre andò in depressione e non le restò abbastanza energia per dare a mia sorella le attenzioni che chiedeva. Flavia fu mandata a vivere per dei periodi dalla nonna materna, e lì cominciò la sua difficile vita di figlia a singhiozzo.
«Il punto di non ritorno, quando la mamma si ammalò davvero, arrivò nel 1966. Io avevo 11 anni, Flavia 8, Barbara e Simona non erano ancora nate. Mio padre, che era un uomo molto chiuso, un giorno disse che usciva per andare a un funerale e tornò dopo due giorni. Non abbiamo mai saputo dove sia stato. Mia madre fu presa da una terribile ansia, lo cercò disperatamente e, quando papà tornò, gli chiese conto di dove era stato. Lui non rispose, scoppiò una scenata violentissima.
«Mio padre non seppe gestire il litigio. Invece di calmarla, chiamò qualcuno al telefono: non abbiamo mai saputo chi. Poi portò me e Flavia dalla portinaia, risalì e poco dopo sentimmo nostra madre che gridava mentre la trascinavano giù per le scale. La sera stessa papà ci portò a Torino, da parenti che quasi non conoscevamo. In poche ore era sparita la nostra famiglia, non avevamo più una casa e nemmeno dei genitori. Quando ci penso, sento dentro le stesse sensazioni di allora: terrore, disperazione, senso di impotenza».


Emanuela Carniti è la prima delle quattro figlie avute da Alda Merini e dal marito, il panettiere Ettore Carniti, uomo schivo e taciturno che la grande potessa aveva sposato nel 1953, a 22 anni. Come le sorelle – Flavia, Barbara e Simona – non si era mai svelata pubblicamente fino alla morte della madre settantottenne, avvenuta a Milano un anno fa, il primo novembre 2009. Solo allora, insieme, hanno deciso di aprire un sito, www.aldamerini.it, dedicato alla madre. Abitano distanti l’una dall’altra, tutte hanno figli. Barbara, nata nel 1968, e Simona, nata nel 1972, vivono appartate e lontano dai riflettori. Flavia si occupa del sito, Emanuela è la memoria storica della famiglia. Questa è una sua rara intervista.


Tu insegui le mie forme,/ segui tu la giustezza del mio corpo/ e non mai la bellezza/ di cui vado superba./ Sono animale all’infelice coppia/ prona su un letto misero d’assalti,/ sono la carezzevole rovina/ dai fecondi sussulti alle tue mani,/ sono il vuoto cresciuto/ sino all’altezza esatta del piacere/ ma con mille tramonti/ alle mie spalle:/ quante volte, amor mio,/ tu mi disdegni.
(Dies Irae, dedicata dalla Merini a suo marito nel 1953)


«Prima di ammalarsi, nostra madre era stata una persona allegra. Forse non aveva una grande capacità materna di comprensione, nel senso che non riusciva a mettersi nei nostri panni, era spesso concentrata nel suo mondo. Io la vedevo scrivere, scrivere, suonava il pianoforte, dava anche lezioni di italiano. Quando scriveva entrava in una sua bolla e noi ci rendevamo conto che si infastidiva se la disturbavamo.
«Eppure, fino alla grande scenata, il rapporto fra i nostri genitori era stato abbastanza buono. Mio padre la portava in palmo di mano, la chiamava “La mia signora”. Era piuttosto lei che lo abbacchiava un po’, ma lui non ne soffriva, almeno non lo dava a vedere. Papà era un uomo tradizionale che aveva bisogno di una moglie tradizionale, di essere coccolato e accudito, e lei non era brava in questo. Ma nonostante ci fosse molta differenza culturale fra loro, non era né geloso né invidioso. Era come se ognuno vivesse in un suo mondo, però si volevano bene.
«Ai primi tempi lui aveva una panetteria e la mamma ogni tanto lo aiutava. Smise quando restò incinta di me, perché dovette trascorrere la gravidanza a letto. Allora mio padre andò a lavorare per altri. Era pagato molto bene, ma mia madre non ha mai saputo gestire il denaro, così lui glielo lesinava. I soldi erano un argomento di discussione continua. Questo però capitava in molte famiglie. E poi la nostra era una casa aperta e vivace, da noi veniva tanta gente. E io ricordo di essere stata a casa di Salvatore Quasimodo.
«La mamma tornò a casa dalla clinica psichiatrica 15 giorni dopo, ma nulla fu più come prima. Io e mia sorella non abbiamo mai chiesto a papà le ragioni di quella telefonata, di quel gesto estremo e così duro. Non avevamo molta confidenza con i nostri genitori, allora non c’era l’abitudine di parlare con i bambini e noi non facevamo domande.
«Quanto a mamma, ha sempre avuto un rapporto labile con la ricostruzione dei fatti e delle date. Era lei che, anni dopo, mi chiedeva chiarimenti e cercava risposte. Una volta mi ha domandato: “Ti ricordi se papà mi tradiva?”. Credo avesse dei sensi di colpa, ma non li ha mai elaborati come tali. Lei scriveva poesie, era il suo modo di vivere se stessa, gli eventi, gli affetti.
«Entrava e usciva dagli ospedali psichiatrici, che non erano ancora quelli umanizzati di Basaglia, ma manicomi duri, repressivi. Lì dentro era facile perdere se stessi. Io a volte la accompagnavo per le visite di controllo e spesso tornavo a casa da sola perché la trattenevano, oppure era lei a chiedere di essere ricoverata. Vederla restare dentro era un trauma e insieme un sollievo, perché a casa lei e mio padre litigavano spessissimo, e a volte si picchiavano pure».


Io ero un uccello/ dal bianco ventre gentile,/ qualcuno mi ha tagliato la gola/ per riderci sopra,/ non so./ Io ero albatro grande/ e volteggiavo sui mari./ Qualcuno ha fermato/ il mio viaggio,/ senza nessuna carità di suono./ Ma anche distesa per terra/ Io canto ora per te/ Le mie canzoni d’amore./
(La Terra Santa, 1984)


«Mia sorella rimase a Torino: non tornò più a casa. Rotture così nette segnano per sempre, soprattutto se sei un bambino, perché da un giorno all’altro ti tolgono tutto quello che conosci e senza dirti perché. Se almeno ci avessero lasciate insieme ci saremmo confortate a vicenda, ma nessuno ci chiese che cosa desideravamo, nessuno ci domandò un parere, decisero i grandi e gli assistenti sociali per noi.
«Restammo insieme solo per poco tempo a Torino, ma non ci piaceva, piangevamo notte e giorno. Quando nostro padre venne a trovarci, pensavamo che ci avrebbe riportato a casa con lui, invece prese solo me, mi portò in istituto, dove rimasi per un mese e mezzo, e lasciò lì Flavia da sola. Non l’ho rivista per anni. Ci telefonavamo, ma raramente. Ognuna di noi era occupata nella propria sopravvivenza».


Emanuela interrompe il racconto, si nasconde la bocca con una mano, gli occhi intensi e truccati di nero guardano fisso un punto nel vuoto. «Questa intervista è durissima. Mi fa rivivere tutti insieme tanti momenti dolorosi… Non credevo fosse così difficile». Serve una pausa. Un po’ di silenzio nella sua casa sul lago d’Orta, colorata di giallo, piena di fiori, di quadri, di foto di Alda Merini, di tende di organza, di sapore orientale, di collane e orecchini vivaci. Poi il racconto riparte.


«Vivevo da sola con mio padre. Mia madre ogni tanto tornava dall’ospedale, litigava con lui, si deprimeva e rientrava in manicomio. Lei nelle liti non cedeva mai, però non si lasciavano. Non era autonoma economicamente, non sapeva dove altro andare. A scuola non avevo molte amicizie: la mamma ci aveva abituato a non invitare bambini perché la casa era piccola e la confusione le dava fastidio. Finii le medie e mi iscrissi a un istituto per segretarie di azienda. Non mi piaceva, avrei voluto studiare lingue, medicina, ma mi dissero che non c’erano abbastanza soldi. Però a scuola stavo bene. Tornare a casa invece non mi piaceva, perché non sapevo mai che cosa avrei trovato.
«Mi fidanzai a 15 anni, lui ne aveva 9 più di me, non ero innamorata. Fu mio padre a buttarmi nel matrimonio, quasi per caso, dopo che il mio fidanzato aveva cercato di placare una lite fra lui e mia madre. Papà gli disse di non farsi più vedere. Poi, guardandomi, aggiunse: “E se vuoi andare anche tu, prendi il tuo bel cappottino, puoi seguirlo”. Lo guardai sbalordita e me ne andai. Ero minorenne, intervenne il tribunale, la situazione si fece difficile, minacciarono di mandarmi in riformatorio. Mi sposai, perché sennò non sarei più riuscita ad andarmene di casa.
«Nel frattempo era nata la terza sorella, Barbara. Ero in casa quando mia madre ebbe le doglie e dopo, siccome lei era depressa, preparavo io il biberon. Diedero Barbara quasi subito in affido, non ha mai vissuto con i miei. Subito dopo la mia partenza mamma restò incinta di Simona, anche lei venne affidata a una famiglia lontana e praticamente non l’abbiamo quasi più vista. Ho sofferto molto per queste due sorelle. Fossi stata più grande le avrei prese a vivere con me. Per anni ho cercato di non pensare a loro, dovevo occuparmi della mia sopravvivenza, ma poi i sensi di colpa riaffiorano e te li porti dietro per sempre».


La vita è grama e deludente assai…/ Ho una placida figlia/ Con gli occhi azzurri/ ed i capelli d’oro/ Che mi sta, cuore mio,/ sempre lontana/ E ha le mani fanciulle/ E il volto bello pieno di ironia/ e mi vuole tanto bene/ Come soltanto se ne vuole/ a un Dio;/ questa fanciulla bella/ che nei liti remoti è dell’Italia/ a me pensa talvolta e mi sorride/ unica stella dentro la tempesta./
(A Barbara, 1980)


«A 15 anni andai a vivere con i suoceri, in una casa isolata sul lago, e lasciai la scuola. Fu un trauma: non c’era nulla, mi sentivo una sopravvissuta. Pensavo solo a tenermi assieme, prendevo quel poco di buono che c’era. A 18 anni, contro il parere di mio marito, sono andata a fare l’infermiera. A 21 ho desiderato avere un figlio ed è nata Sara. Non è stato facile imparare a fare la mamma, lo è sempre quando non hai un esempio da seguire. Tre anni dopo mi sono separata, ed è stato più difficile di quanto pensassi. Così, finalmente, ho inziato l’analisi.
«Nel frattempo era stata votata la legge Basaglia, che chiudeva i manicomi e riformava tutta la psichiatria. Allora ho frequentato un corso da infermiera psichiatrica, lo desideravo fin da quando mamma si era ammalata. Ho dato il concorso, l’ho vinto, ho contribuito ad aprire il primo centro di salute mentale a Omegna. All’inizio bisognava andare a cercare i malati a casa, dopo tutto quello che avevano passato nei manicomi non ne volevano più sapere di camici e infermieri. Poco alla volta gli abbiamo fatto capire che noi facevamo un lavoro diverso, e oggi sono orgogliosa del lavoro che faccio. Lo so: questo mestiere l’ho scelto per la storia che ho. In fondo è sempre così, si curano gli altri per curare anche se stessi, guardando negli altri guardi dentro di te.
«Intanto mia madre era uscita dal manicomio, stava meglio, aveva ricominciato a scrivere dopo quasi vent’anni di silenzio, mi veniva a trovare con mio padre, cercava di starmi vicino, ma io cercavo di starle lontano. Non c’è mai stato un recupero di contatto. Nel frattempo ho incontrato un altro compagno, è nato il mio secondo figlio, Riccardo, mi sono di nuovo separata e mio padre è morto. Era il 1983. Prima di andarsene riuscì a chiedermi solo due cose: se gli portavo delle arance e se ero felice col mio uomo. È morto senza riuscire a domandare mai nulla a nessuno.
«Io sono una da Mulino Bianco. Quando la sera, tornando a casa dal lavoro, vedo le luci accese dentro le case, mi perdo a immaginare famiglie felici che chiacchierano cenando. Mia figlia mi prende in giro per questo, ma credo sia normale per una come me che sognava di essere adottata.
«È stata l’analisi a riconciliarmi con mia madre. L’ho accettata quando ho capito che lei non poteva essere la madre che avrei voluto, quando l’ho vista come persona e non più come madre. Dai genitori bisogna separarsi per imparare a comprenderli e a vedere le loro fragilità. Anche l’entrare a contatto con la malattia mentale mi ha aiutato a capirla e a capirmi. La sua vita non è stata facile.
«Le sue cose non le ho lette tanto. Ho cominciato a farlo dopo che è morta. Una volta le ho chiesto: “Mamma, ma perché ti sei sposata?”. Lei mi ha risposto: “Io volevo farmi suora. È stata mia madre a impedirmelo, mi ha spinto a sposarmi”. Neanche lei ha potuto sempre scegliere il suo destino, però aveva la poesia che l’ha aiutata a vincere il buio. In realtà mia madre è sempre stata sposata con la poesia, è la poesia la luce che l’ha salvata».


Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,/ il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola/ come una trappola da sacrificio,/ è quindi venuto il momento di cantare una esequie al passato.
(La Terra Santa, 1984)


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