CULTURA
COLLABORA
GRANDI POETI
NEWS









































Arturo Graf


LE RIME
DELLA SELVA

4



ALLA SELVA

Selva cupa e sonora
Sotto il cielo sereno;
Tu che una volta ancora
Mi ricevesti in seno;

Tu che allo spirto ansante
Contro un pensier pugnace,
Tu che alle membra affrante
Desti riposo e pace;

Poiché son dileguati
I dì tranquilli e brevi,
Tu del mio core i grati
Sensi e l’addio ricevi.

Parto. Laggiù, lontano,
La rea città m’aspetta,
Albergo disumano
Che all’uom la morte affretta.

M’aspettano le cure
Fastidïose, amare,
Le mescolanze impure,
Le disoneste gare,

E la malvagia febre,
Angosciosa ed oscena,
Che le menti fa ebre,
Che le carni avvelena.

O cara Selva, addio!
Dovunque io muova il piè,
Con tenere desìo
Mi sovverrò di te.

Queste che, il core esprime,
Queste ch’ebber lavacro
Di pianto umili rime,
Al nume tuo consacro.



CHIUDENDO IL LIBRO

Libro palese e segreto,
Nato dal tristo mio core,
Come da zolla di greto
Nasce un selvatico fiore;

Libro, ove l’arte raffrena
In molli serti di rime
Un aere spirto, e la pena
Con dolce canto redime;

O libro del mio passato,
O memore libro, in cui
Vaneggia quel trasognato
E quel deluso ch’io fui;

Dalle bugiarde lusinghe
Sciolto lo spirito ignudo,
Sotto quest’ombre solinghe,
Ecco, per sempre, ti chiudo;

E con la mano che trema,
Nell’ora muta e decline,
Sulla tua pagina estrema
Scrive la parola: Fine.

APPENDICE
____________________


























FIORI

Di pie rugiade aspersi
Nascono i fior sui prati;
Di lacrime bagnati
Dal mio povero cor nascono i versi.
Tolto al suo cespo verde

Illanguidisce il fiore;
Strappato il verso al core
Entro la muta oscurità si perde.

LA MORTE DI CAINO

Caino è vissuto ormai cinque secoli. Procedette da lui tutto un popolo, del quale egli, oltreché padre, è institutore, legislatore e re. Inventate le arti tutte che richiedonsi a civiltà, egli, insieme col suo popolo, ha fatto ritorno dalla terra d’esilio, e in prossimità del Paradiso Terrestre costruisce, in gran parte ha già costruita, una città meravigliosa. Della sua discendenza solo pochissimi sanno del fratricidio, e quelli chiudono in cuore il segreto: tra i pochissimi, Tubal, uno dei figliuoli di Lamech. Dagli altri si crede comunemente che Abele sia stato dilaniato da belve12.

SCENA PRIMA

Selva. Declina il giorno. Caino, alle prese con un orso, sta per essere sopraffatto. Sopraggiungono di corsa due suoi pronipoti, Tubal e Giabal. Tubal, con un colpo di lancia, trafiggo e atterra la belva.

TUBAL
T’offese?
CAINO
No.
TUBAL
Già t’avvinghiava.
GIABAL
(ritraendo insanguinata la mano con cui aveva sorretto Caino)
Sangue!...
Sangue tuo!
CAINO
Poche stille.
TUBAL
Al primo colpo
Le più gagliarde e più feroci belve
Sei pur uso atterrar...
_________________________
12 Superfluo avvertire che la favola, come eccede, nei termini, il breve racconto biblico, così in alcuni particolari lo trascura, in altri lo contraddice.
==>SEGUE






Pagina a cura di Nino Fiorillo == e-mail:nfiorillo@email.it ==
 
Arturo Graf
(1848-1913) e
Giacomo Leopardi (1798-1837)
_________

di Ayleen Boon
__________________
Leopardi e Graf

In questo capitolo cerchero di spiegare quali sono le differenze tra Leopardi e Graf nelle loro correnti e nei pensieri filosofici, e nelle differenze e le analogie nell.uso de luoghi poetici da parte di Graf e da parte di Leopardi.

Differenze e analogie:
Le idee e il modo
di usare i topoi

Per capire le differenze e analogie nel modo di usare il topos, dobbiamo analizzare le idee e la filosofia di Graf. La concezione pessimistica del poeta ha una duplice origine; si e sviluppata da un.innata deviazione della mente (cioe proprio una malattia psicologica) e dall.influenza dei poeti Leopardi e Baudelaire; quest.ultimo poeta infatti e predominante e la maggior parte dei suoi lavori tristi sono stati composti mentre stava camminando metaforicamente nel suo giardino avvelenato e artificiale. In Leopardi prevale una perfezione classica, sfumata pero con un pathos romantico. Le poesie di Graf lasciano il disgusto nel cuore, e non con quel senso di un.enorme bellezza che, come in Leopardi, s.erge sopra la sua desolazione disperata. La differenza tra Graf e Leopardi si trova nella raffinatezza dei pensieri e nella melodia dell.anima della poesia. In Graf sta crescendo il pensiero malvagio nelle tenebre, silenzioso; lentamente riempie tutta l.anima smarrita. Ho visto che il poeta ha un gusto malato per la bruttezza e per il bizzarro e il macabro. A parte questo, alcune delle sue poesie sono poco realistiche e piene di fantasie. La sua mente e uno specchio, offuscato dalla nebbia del dubbio, dai pensieri scuri, dalle idee incongruenti, in base alla filosofia di Schopenhauer. Come esuli volontari, questi filosofi si ritirano dal mondo degli uomini, e mantengono fino all.ultimo sospiro la loro attitudine nemica contro la vita. Graf riconosce in se un fiero spirito ribelle, duro per se stesso, nato per essere la sua rovina e per causare disagio agli altri. E terrorizzato dal potere di forze inspiegabili, dall.immensita dello spazio dove ogni cosa vede la nascita e la morte di innumerevoli mondi, i quali vengono buttati nei .golfi inesplorati. delle .fontane inesauribili e ardenti. dell.abisso. Parla dell.orrore dell.oceano infinito e senza fondo nel quale, per sempre, le ore passano e spariscono e nel quale l.eta muore. Egli parla anche del cielo nero e profondo, in cui la vanita del mondo, clamorosa e variopinta, svanisce come la nebbia.
Nella sua concezione, l.universo diventa per lui un enigma odioso; nei suoi incubi lui si perde nei boschi, dove la morte lo aspetta; il poeta vaga sulle pianure desolate, lungo le paludi grigie; egli si eleva nello spazio senza limiti, dove le stelle si sono diffuse come la polvere dei fiori. Ed egli si paragona a una meteora ardente, che vola attraverso il buio pauroso della notte infinita. La poesia diventa per lui un tormento, un immenso dolore. Leopardi invece non ha una testa cosi ribelle e despotica come quella di Graf. Egli e in grado di vagheggiare le sue illusioni piacevoli, le segue e le ama ed e triste quando viene riportato alla realta che distrugge i suoi sogni perche in lui domina il sentimento. Leopardi sa distinguere la fantasia dalla ragione, ma quando vive la vita dove predomina la ragione, il suo cuore cerca di contraddirlo e lo conduce ai mondi diversi, nei suoi sogni. Il cuore o il sentimento di Graf non ardisce di contraddire la ragione. Ha soltanto il sentimento .della tristezza invincibile di chi sa di vivere senza utilita e senza scopo..78 Leopardi riesce a pensare che finche l.immaginazione e il sentimento sono vivi, nascono nel pensiero care illusioni che spingono alla vita, come nei popoli e negli uomini giovani. E quando c.e la forza di immaginare, di sentire o di amare, il male della scienza si puo signoreggiare ed egli puo scappare dal mondo intellettuale. E chiaro che per loro due rispettivamente la luna e il mare ricoprono un ruolo importante e li trovano il loro conforto per la mente triste. I due poeti fanno entrambi un viaggio mentale nel passato, si lasciano tutti e due portare in un altro mondo per cercare il .perche. della vita. Essi pensano che la vita terrena sia senza scopo, sia inutile e questo li fa sentire tristi. Per Graf questa tristezza e invincibile, non trova una soluzione per superarla. Ma, come accennato prima e chiaro nella poesia di Leopardi, egli si perde nel sentimento e nei suoi sogni: Anche se il poeta sa bene distinguere la fantasia dalla verita, in quel momento i sogni sembrano la verita ed egli vive dei momenti di felicita, pensando al passato. Il viaggio grafiano invece e una .simbolizzazione della morte, un.allegoria tragica della vita sospinta da una tenace e delusa speranza a schiantarsi contro il nulla finale..79 Questo l.abbiamo visto anche con l.uso del termine .naufragare nel mare. in Medusa e ne .L.Infinito.: mentre Leopardi gode il momento dei suoi pensieri infiniti che lo portano via, Graf conclude che la vita sulla terra e solo lo schantarsi contro il nulla. Non puo godere totalmente quel momento di ricordare momenti dal passato.
Se analizziamo la descrizione del mare .come abbiamo visto nel secondo capitolo- il mare di Graf non e un mare bellissimo, tranquillo e colorato. Esso viene sempre descritto in modo tragico e terribile; presenta sempre un viaggio pauroso e misterioso, che finisce con lo schiantarsi contro la morte. Dopo aver paragonato le differenze tra l.uso e la descrizione della luna di Leopardi (calma dolce e amorosa) e il mare di Graf (sinistro,oscuro e misterioso), potremmo dire con Anna Dolfi che il mare di Graf e .una luna sanguinolenta.80, invece della luna dolce di Leopardi.

Conclusione

In questa tesi ho provato a trovare una risposta alla domanda seguente:
Il ruolo del mare in Medusa di Graf ha la stessa funzione della luna ne I canti di Leopardi? Entrambi sono luoghi di conforto? Ci sono anche delle differenze tra i due poeti nel modo di esprimere questo concetto di conforto?
Per rispondere a questa domanda bisognava approfondire le differenze tra i due poeti, cresciuti in diverse fasi del periodo del Romanticismo in cui l.uomo riscopre quello che esiste fuori dalla capacita della gente: l.infinito. I filosofi hanno cercato di confrontarsi con quel fenomeno, sperando di trovare un significato alla realta. Come ho detto nell.introduzione e proprio di un romantico soffrire per l.esistenza umana vuota e senza senso e vedere la vita piena di infelicita e imperfezione, e per questi motivi andare a cercare altrove la propria felicita: nei sogni e ideali, nel passato e nella natura.
Il Romanticismo ha influenzato entrambi i poeti. Nel mondo stanno cercando la risposta alla questione: .qual e lo scopo della vita sulla terra?. Dal momento che nessuno e in grado di dar loro una risposta, vanno a cercarla altrove: come abbiamo visto Leopardi nella luna e Graf nel mare. Questi sono i loro topoi naturali, dai quali sperano di trovare una risposta. In realta questo e un viaggio mentale, che entrambi i poeti compiono. Visto che ne la luna ne il mare sono in grado di parlare con loro, il viaggio e un viaggio interiore: Graf e Leopardi ci riflettono e pensano in modo filosofico alla vita che vivono. Ma abbiamo anche visto che entrambi i poeti prendono gia un po.di distanza dal Romanticismo: cominciano a scollegare l.unita tra l.uomo e la natura. Non vedono piu la natura come un testimone per l.essere del poeta, ma una presenza indifferente. Graf e piu sperimentale di Leopardi. Leopardi osa distaccarsi un po. dal romanticismo, Graf prende elementi da altre correnti come il Simbolismo e La Scapigliatura.
Abbiamo visto nel primo capitolo che Leopardi e in grado di lasciar perdere i suoi pensieri razionali ed egli e in grado di vagheggiare le sue illusioni piacevoli, le segue e le ama ed e triste quando viene rigettato nella realta che distrugge i suoi sogni perche in lui predomina il sentimento. Condivide i suoi sogni con la sua amica luna, che ammira e ama con tutto il suo cuore, perche e la stessa luna con cui parlava anche quando era giovane; e stato l.astro che c.era gia nel passato con cui ha condiviso tutti i suoi segreti. Proprio questo sentirsi giovane e per Leopardi molto piacevole: il fatto che la luna riesce a portare i pensieri del poeta al passato, lo fa sognare di ritornare a quando era piu giovane, pieno di felicita e allegria. Si puo dire, come abbiamo visto, che la luna e un posto fuori dal mondo umano che e in grado di dare conforto a Leopardi e ai suoi lettori. Anche Graf ha la sua fonte d.ispirazione: il mare. Il riflesso nell'acqua del mare e riflesso dell'anima. Graf usa il mare per fare un tuffo nell.acqua infinita e fare un viaggio mentale, sperando di trovarci la verita della vita; riflettendosi nelle sue acque, pensando alla vita dell.uomo. Graf cerca di godere il momento di riflettere e tornare al passato, ma non ci riesce sempre; arriva sempre alla conclusione pessimista che la vita sulla terra e senza scopo ma e solamente un viaggio verso la morte.
Come abbiamo visto nel secondo capitolo, non si puo dire che il mare e come la luna di Leopardi. Nell.introduzione ho scritto che i poeti che sono nati dopo il disastro del Vesuvio nel 1826, non descrivono piu la natura come una fonte di bellezza ma questa diventa un tema lugubre e triste. Come ho descritto prima, entrambi i poeti mettono l.uomo opposto alla natura, ma Leopardi ci riesce ancora a valorizzare qualche elemento naturale. Pensiamo alla poesia .La Ginestra.(1836)81 nella quale dichiara che l.uomo e da sola; in generale non significa niente in paragone con la natura. Pero, in questa tristezza, Leopardi ci riesce a ammirare una pianta, la ginestra, che cresce sulla colle del Vesuvio: questa pianta riesce bene di mantenersi in vita. A parte questo, Graf aveva una grande affinita con gli scrittori del Decadentismo (come Baudelaire), i quali usavano un tono tetro. Come sappiamo dal capitolo 2, Graf si e fatto ispirare dal profondo pessimismo di Leopardi che appartiene al Romanticismo; egli canto gli aspetti piu tragici e angosciosi della vita con una predilezione per il tema del dolore desolato, della morte e della natura. Ma possiamo dire che Leopardi e proprio un pessimista, se conosciamo anche il modo di scrivere di Graf? E quali sono le differenze nel loro pessimismo? Dopo aver analizzato le loro poesie, direi che le poesie di Graf sembrano piu apocallitiche e cupe in confronto con il pessimismo di Leopardi: dato che per Leopardi esistono momenti di gioia, di felicita, di piacere quando si abbondona alle illusioni, ai sogni e vola nei pensieri al passato, il che gli da un forte sentimento di conforto. Abbiamo osservato che Graf descrive il suo mare come un posto orribile; e scuro, ci sono gli abissi, c.e sempre una tempesta. Quindi per Graf l.intelletto domina sui sentimenti, non e in grado di trascinarsi nei sogni o nella fantasia. Questa differenza viene anche rinforzata dal fatto che Graf e stato influenzato dal Simbolismo. Come ho detto prima, i simbolisti avevano l.idea fondamentale che sotto la realta si nasconde una realta piu profonda e misteriosa quindi nella poesia usano oggetti simbolici che hanno tutto un significato magico, le descrizioni dei paesaggi sono piu scure, vaghe e indefinite. E spesso la natura viene descritta come una natura .matrigna. Come simbolo, Graf compara la vita dell.uomo con un battello sul mare, che alla fine ha un solo scopo: incontrare la morte.
Si potrebbe concludere dunque che il ruolo dei diversi topoi e paragonabile, che l.uso dei topoi avviene sia in Graf che in Leopardi con lo scopo di cercare un rifugio, un luogo che li metta al riparo dai loro tormenti e nei quali possano partorire riflessioni, ma e chiaro che lo esprimono in modo diverso appartenendo a correnti diverse.
CAINO
TUBAL
Che t’avvenne?
CAINO
Non so. D’un tratto mi fallì la vista,
Sentii mancarmi le ginocchia: l’ascia
Mi sfuggì dalle man: pensate!...
TUBAL
Ed ora?
CAINO
Non so. Non anche m’era occorso. È questa
La prima volta.
TUBAL
Ed or?
CAINO
Come se alcuno
Stratto m’avesse ogni vigor dal corpo
Subitamente... Pur mi reggo...
GIABAL
Tremi?
CAINO
Pur mi reggo. Suvvia! diam volta insieme.
(A Tubal)
L’ascia ricogli. A me la porgi.
TUBAL
È greve!
CAINO
A me la porgi. Andiam.
GIABAL
Vacilli!
TUBAL
Entrambi
Ti reggeremo: a noi t’appoggia, Padre.
CAINO
No. — Pur m’è forza... Che così s’annunzii
Quella?... Digià!... Molti più anni Adamo...
TUBAL
Che pensi?
CAINO
Nulla. Andiam. Se tu non eri...
(Si avviano, sorretto Caino dai due).
GIABAL
Prode è il fratello mio.

==>SEGUE



CAINO
Tu molto l’ami...
Il fratel tuo?
GIABAL
Più che me stesso.
TUBAL
Taci.
GIABAL
Oh, molto più. Come da fiero lupo
Mi scampasse, ben sai. Con le sue mani
La belva strangolò; ma i segni ancora
Mostra di quelle zanne; ond’io...
TUBAL
(accennando col capo a un ingombro della via)
Quel ceppo!
GRLABAL
Volentieri darei per lui la vita.
TUBAL
Smetti. Bada alla via. Già manca il giorno.
GIABAL
A te, Padre, ei somiglia. Oh, se tu fossi
In tempo giunto, non avrian le belve
Dilanïato il tuo fratello Abele.
TUBAL
Tacer non vuoi? Non vedi tu che il Padre
Ha mestier di riposo? e tu col vano
Tuo cicaleccio l’affatichi...
CAINO
(come astratto).
Abele!...
Abele ucciso!... da una belva!...
TUBAL
Sia
Con lui la pace, e con noi tutti ancora.
CAINO
(c. s.).
Pace!... Fratelli!... Chi parlò di pace?
Fratelli voi?... Pace non sa Caino,
Non sa riposo.
TUBAL E GIABAL
A noi t’appoggia, Padre.


==>SEGUE

SCENA SECONDA

Spaziosa caverna. Fabbri in gran numero, ignudi le braccia e il torso, lavorano il ferro, arroventandolo al fuoco, martellandolo sulle incudini, e lavorando cantano.

Noi del metal le crude
Tempre domiam col foco
E in tempestoso gioco
Tra martello ed incude:
Ed ecco armi forbite,
Ecco addestrati ordegni,
Schermo alle nostre vite,
Ajuto ai nostr’ingegni.
Altri di noi la dura
Gleba sforzar non teme,
E confidarle il seme
Della messe futura.
Curvo dissoda ed ara,
Poscia con man non lenta
Strappa alla madre avara
Il pan che ne sostenta.
Altri di fermo sasso
Erge colonne ed archi,
Munisce intorno i varchi,
Cerchia le prode al basso;
E la città murata,
Mole soggiunta a mole,
S’innalza e si dilata,
Meraviglia del sole.
Altri sui flutti incerti
Spande le vele ai venti,
Scrutando i cieli ardenti
E i pelaghi deserti:
Le flagellate prore
Spinge a confini ignoti,
E novelle dimore
Inaugura ai nepoti.
E chi nell’alte selve
Tronchi nodosi atterra;
E chi s’affronta in guerra
Con predatrici belve;
Chi la ferrigna scorza

==>SEGUE

Di monti rovinosi
Spezza e dall’imo a forza
Tragge i tesori ascosi.
E di tutt’arti è solo
Fabbro e inventor Caino;
Ei che al nostro destino
Scemò vergogna e duolo;
Ei che ci cresce e regge,
Che tutto oprò per noi,
E noi siamo il suo gregge,
Noi siamo i figli suoi.
O fratelli, sudate!
Gareggiate, o fratelli!
Col furor de’ martelli
Il ferro mansuefate.
Ansin nell’ombra i mantici,
Rugghi ne’ covi il foco;
Dia lena ai nostri cantici
L’opra conversa in gioco.

(S’affaccia a l’ingresso della caverna Tubal, agitando un ramo di cipresso. A quella vista i fabbri ristanno e dal canto e dall’opera).

TUBAL
Malo annunzio vi reco. Infermo è il Padre.
MOLTE VOCI
Infermo?... Il Padre?...
TUBAL
Fugge
Da’ suoi polsi la vita.
Giace colui che tanto
Ebbe in odio il giacer. L’opra cessate.
UNA VOCE DI COMANDO
Posate i martelli!
UN’ALTRA
Si spengano i fuochi!
MOLTE VOCI
Al Tempio, fratelli!
MOLTE ALTRE
L’Eterno s’invochi.



==>SEGUE

SCENA TERZA

Davanti alla porta del Paradiso Terrestre, a guardia della quale vigila il cherubino con in pugno la spada fiammeggiante. Naamah, sorella di Tubal e di Giabal, si avvicina con timidità non disgiunta da risolutezza, si sofferma presso la soglia e rimane in silenzio.

IL CHERUBINO
Perché t’accosti alla vietata soglia,
O fanciulla? Che vuoi? Già non ignori
Il divino decreto, ancor che taccia
Il ciel con voi. Nessuno mai di quanti
Nacquer del seme dell’ingrato Adamo,
O in avvenire nasceran, nessuno
Più mai la varcherà.
NAAMAH
Né di varcarla
Io chiedo.
IL CHERUBINO
Quale la ragione adunque
Del tuo venir?
NAAMAH
Caino è infermo.
IL CHERUBINO
È anch’essa
Amaro frutto della prima colpa
L’infermità.
NAAMAH
Molto egli soffre; molto
Noi per lui trepidiam.
IL CHERUBINO
Vostro destino: —
E tal non era.
NAAMAH
Mite hai tu lo sguardo,
E, penso, il cor. Forse di noi t’incresce.
Se tu volessi...
IL CHERUBINO
E che? Fa’ ch’io t’intenda.

==>SEGUE





NAAMAH
Molti nutre il giardin che tu difendi
Soavi frutti e generosi semi
Atti a lenir la doglia, a scior l’occulta
Forza de’ moti e a prolungar la vita.
Se tu men dessi alcun, n’avria Caino
Ristoro e sanità.
IL CHERUBINO
Che chiedi?
NAAMAH
Assai
Chiedo, il conosco; ma non fu tal grazia
Negata ai primi trasgressori, a quelli
Che furon causa d’ogni nostro danno:
Adamo, ed Eva13.
IL CHERUBINO
Adamo ed Eva! Grande
La colpa lor; ma picciol fallo quasi
Tu la diresti a paragon di quella
Onde Caino è reo.
NAAMAH
(stupita, sgomenta).
Caino? Il nostro
Padre e signor? Caino, infaticato
Benefattor di tutti noi?
IL CHERUBINO
Caino.
NAAMAH
Quale colpa?
IL CHERUBINO
Un orribile delitto.
NAAMAH
(atterrita).
Un delitto?...
IL CHERUBINO
Che al ciel vendetta grida
E griderà finché risplenda il sole.
NAAMAH
Un delitto?...

_________________

13 In proposito corsero leggende nel medio evo.
==>SEGUE


IL CHERUBINO
Un atroce, mostruoso
Delitto, tal che il reo sotto alle fiere
Abbassa e il fa d’ogni pietade indegno.
Al folle Adamo ed alla sua compagna
Fu perdonato: a quel che tu pur vanti
Benefattor di tutta sua progenie
Non sarà perdonato.
NAAMAH
Io mi smarrisco
Nel giro oscuro delle tue parole.
So che veraci siete e nondimeno
Darti fede non posso... Oh, sventurati!...
Dici tu il vero?... D’un’orribil colpa
Reo Caino?... Caino il Padre nostro?...
Dici tu il vero?... E tal che pur di quella
Misericordia che non fu negata
A chi diè primo di fallir l’esempio
Indegno il rende? Quale colpa? quale?...
Taci?
IL CHERUBINO
Meglio per te se tu l’ignori.
Pochi tra voi n’hanno memoria e muti.
NAAMAH
Ch’io sia tra quelli, e men crudele forse
II tuo rifiuto mi parrà.
IL CHERUBINO
Non io
Tel dirò. Vanne ormai. Se vuoi saperlo,
A tuo fratello, a Tubal ne dimanda.

SCENA QUARTA

In fondo a una valle appartata ed angusta, tra nudi e alti dirupi. Tubal e Lucifero, l’uno a fronte dell’altro.

LUCIFERO
M’invocasti. Che vuoi?
TUBAL
(dopo alcuni istanti di muta contemplazione).
Dal male oppresso
Giace Caino.

==>SEGUE
LUCIFERO
Il so. Caino è grave
D’anni e mortal.
TUBAL
Non così grave d’anni
Che non si possa riaver, se alcuno,
Che sia da tanto, ne lo ajuti.
LUCIFERO
Forse.
TUBAL
Ajutarlo tu puoi.
LUCIFERO
Posso?
TUBAL
E potendo
Devi.
LUCIFERO
Devo? e perché?
TUBAL
Caino è tuo.
LUCIFERO
Forse ch’io lo creai?
TUBAL
Caino è tuo.
Instigato da te, mostro d’insidie,
Caino il proprio suo fratello uccise.
LUCIFERO
Instigato da me! Vostro costume,
Magnanima progenie, accagionarmi
D’ogni peccato e mancamento vostro.
Di chi v’instighi a mal oprar, mel credi,
Uopo non è.
TUBAL
Come, se tu non eri,
Potuto avria metter le man nel sangue
Del fratello il fratel?
LUCIFERO
Perché lo chiedi
A me? Chiedilo a lui, che sì perfetti
V’ebbe a crear. Chiedilo a lui, ch’esige
Olocausti dall’uom. Se disprezzata
Ei non avesse di Cain l’offerta,
Non avrebbe Caino ucciso Abele.
==>SEGUE


TUBAL
(dopo essere rimasto pensoso un istante).
Ajutarlo non vuoi?
LUCIFERO
Ché non ti volgi
A quel poter che vi creò dal nulla,
E della vita vi fe’ lieti? È quella
La causa prima e la ragion del tutto.
Essa, sol essa, le universe cose
Per il meglio ideò, volle e produsse, —
Me compreso. Caino è sua fattura.
TUBAL
Ma fu poi tuo strumento.
LUCIFERO
A dire il vero,
Egli non volle esser né suo, né mio,
Né di nessuno, e sol lasciò che il volgo
Proceduto da lui tornasse all’are
Ch’egli avea disertate, ai riti smessi,
Al prono culto, e sofferisse pago
L’antica servitù. Poiché conobbe
Che la stirpe d’Adamo è a servir nata.
TUBAL
Ajutarlo non vuoi?
LUCIFERO
Chiedi lo ajuti
Quei che nascer lo fe’, quegli che adesso
Lo fa morir.
TUBAL
Male si fida, il veggo,
Chi di te pur si fida.
LUCIFERO
Or dunque voi
Vi fidate di lui che i suoi giardini
Voluttuosi di tranelli sparge.
TUBAL
Ajutarlo non vuoi?
LUCIFERO
Scritto è ch’ei muoja.
TUBAL
Scritto! Intendo. E tu, spirito superbo,
Tu vinto insorto, a cancellar lo scritto
Tu già non vali. Sterile, bugiarda
Parvenza il tuo poter. Più non ti chieggo.

==>SEGUE
SCENA QUINTA

Stanza secreta nella reggia di Caino. Questi è per metà coricato sopra un ricco letto, dal quale solleva il capo e il busto. Accanto a lui, sopra un seggio, le armi sue, la corona, lo scettro. Davanti a lui, appiè del letto, l’Angelo della Morte. È l’alba.
L’ANGELO
Esser solo ti piacque. Allontanasti
Dal tuo cospetto ogni persona, e solo,
O Caino, non sei.
CAINO
(intentamente e acutamente mirando).
Mai non ti vidi;
Pur ti conosco; e il tuo venir...
L’ANGELO
Caino!
Prima che il sole in grembo al mar s’asconda,
Tu quest’oggi morrai.
CAINO
(dopo breve pausa).
Morrò! Caino
Morrà!... prima che il sole in mar s’asconda!...
Il non mai stanco artefice Caino,
Colui che mai non riposò, Caino,
Riposerà... forse per sempre... forse.
Ben io sapevo di dovere un giorno
Sottostare a tal legge. O tosto, o tardi.
E sia, se altro esser non può. Ma dimmi:
Perché m’annunzii tu ciò che non suoli
Ad altri annunzïar?
L’ANGELO
Perché tu possa
Tutta di morte pregustar l’angoscia.
CAINO
Così crudeli anche lassù?
L’ANGELO
Crudeli?
Giusti, dirai. Crudele tu, Caino,
Morte non desti?
CAINO
Morte diedi, è vero;
Né scuse accatto. Ma non io la morte
Inventai; ma non io sovra la schiatta
Miseranda dell’uom le diedi impero.
==>SEGUE
L’ANGELO
Non uccidesti il tuo fratello Abele?
CAINO
Abele uccisi mio fratello, e troppo
Me ne sovvien. Basti di ciò. Ma vita
Ebbe un popol da me; ma incontro al vostro
Giardin delle delizie edificai
Una città che vi fa ombra; e il vostro
Giardino è voto, ed è la mia cittade
Piena d’immenso popolo.
L’ANGELO
Che tutto
Fia cancellato dalla terra, insieme
Con essa ancora la città.
CAINO
Divina
Giustizia!
L’ANGELO
Tu quella giustizia ardisci
Censurar? tu?
CAINO
Che mi varrebbe? troppo
Essa è confusa con la forza. Or via,
Non più parole!... Pronto son...
(Dopo alcuna esitazione)
Ma pure...
Se si potesse...
L’ANGELO
Il tuo pensier palesa.
CAINO
Differire alcun dì...
L’ANGELO
Temi?
CAINO
Non temo.
Né tal cosa è la vita (questa vita
Che il tuo signore ne lasciò per solo
Potercela ritor), che troppo s’abbia
A doler chi la perde. Ma cert’opre
Ho inizïate che finir vorrei.
L’ANGELO
No, non le finirai: ecco finisci
Tu stesso.

==>SEGUE
CAINO
Tutto? No! Non può la morte
Aver di noi piena vittoria. Ancora
Vive di noi la miglior parte quando
Perita è l’altra. Onde non temo. Eterni
Siamo al pari di voi. Caino muore;
Ma Caino vivrà.
(Come parlando a sé stesso)
In quale stanza?
A qual destino? Ed a qual’opra?
L’ANGELO
Prima
Che il sol s’asconda, questo dì morrai.
(Sparisce).

SCENA SESTA

Terrazzo sulla fronte della reggia, con larga veduta di parte della città, di colli e campi, e di un lembo di mare lontano, con navi. Il giorno è presso alla fine. Scure nubi procellose hanno ingombrato l’occidente e si vanno spandendo in alto e all’intorno. Il tuono rumoreggia approssimandosi, e si fa via via più frequente. Nel piazzale davanti la reggia tutto il popolo è raccolto, muto, costernato, in attesa. Compare sul terrazzo Caino, avvolto nella porpora, con la corona in capo, con lo scettro in pugno, e si fa innanzi sorretto da Tubal e Giabal.

TUBAL
Padre, non più. Benché ne fosse pena,
Il tuo voler facemmo. Hai riveduto
Il filïal tuo popolo: la tua
Città crescente, e gli ubertosi campi
Folti di nova messe, e i clivi lieti
Di fruttifera vite, e là, nel chiuso
Porto, lo stuol delle volanti prue,
Che, perseguendo il sol, sfidaron l’ire
D’inesplorati pelaghi, dall’alto
Del colle sacro onde regnasti e regni,
Hai riveduti. Ora non più. Deh, lascia
Ch’abbian riposo le tue stanche membra;
Lascia...
CAINO
(sciogliendosi dalle braccia dei nepoti).
Caino dee morire in piedi.

==>SEGUE

TOBAL
Ma tu vacilli?
CAINO
In piedi, nel cospetto
Di quant’egli operò, vuole Caino
Al popol suo dar l’ultimo saluto.
(Fa cenno di voler parlare.
La moltitudine è come scossa da un brivido, ma non fiata).
O figli!... O popol mio!...
(Caino non può proseguire e ricade fra le braccia dei nepoti).
LA MOLTITUDINE
(tutta prosternandosi).
Caino muore!
Pietà di lui, pietà di noi, Signore!
(Scoppia un tuono).
NUMEROSE VOCI
Egli il ferro plasmò.
(Scoppio di tuono).
ALTRE
Egli le belve
Crudeli spense.
(Scoppio di tuono).
ALTRE
Della terra il grembo
Rese fecondo.
(Scoppio di tuono).
ALTRE
La città costrusse.
(Scoppio di tuono).
ALTRE
Corse del mar le fortunose vie.
(Scoppio di tuono).
ALTRE
Generò questo popolo.
(Scoppio di tuono).
TUTTA LA MOLTITUDINE
Signore,
Guarda benigno al grande operatore!
VOCE TONANTE DAL CIELO
Egli il sangue versò del fratel suo...

==>SEGUE
NUMEROSI ECHI TUTT'ALL'INTORNO
...Versò del fratel suo...
(Il sole, pendente sul mare, squarcia un tratto le nubi, riveste di sanguigna luce Caino).
CAINO
D’Abele il sangue!
(Muore. La moltitudine è come impietrata. Tenebre; silenzio).


EURIDICE14

SCENA PER MUSICA

Spaziosa, multipartita caverna infernale. Non tenebre, ma penombra. Pluto e Persefone in trono, con insegne di sovranità. In loro cospetto Orfeo, avente tra mani la cetra. All’intorno, in varii gruppi, deità minori e ministri infernali.

PLUTO
Orfeo, che chiedi? Ignori tu la legge
Che nell’Averno impera?
Nessun che dopo morte
Abbia qui posto il piede,
Nessun più varca le fatali porte;
Del sole il lume più nessun rivede.
ORFEO
La legge non ignoro;
Ma il tuo poter, ma la tua grazia imploro.
Re della Notte,
Re della Morte,
Non è la legge
Che l’Ombre regge,
Non è di te più forte.
PLUTO
Orfeo, che chiedi?
Se per alcun potesse
L’alto decreto
Essere infranto,
Per te saria,
Per te soltanto,
Re della cetra,
Signor del canto,
Signor dell’armonia.
Ma eccezïon non soffre la severa,
L’eterna legge che sull’Ombre impera.
________________

14 — Chi si meravigliasse vedendo Orfeo, contrariamente alla tradizione classica, ricuperare dall’Inferno Euridice, rifletta che i miti sono materia fluida, e che la fluidità loro è quella che rende possibile la perpetua lor giovinezza.
==>SEGUE
ORFEO
Troppo sono diserto,
Troppo sono infelice.
Per lo scettro che impugni e per il serto
Che ti cinge la fronte,
Dominator di Lete e d’Acheronte.
Ob, lascia ch’io riabbia,
Ch’io riabbia Euridice.
PLUTO
Orfeo, che chiedi?
Se dessi ascolto
Alla tua prece, tutto
N’andria sconvolto,
Saria distrutto,
L’ordinamento delle inferne sedi.
ORFEO
Per l’amor che ti vinse,
Per l’amor che ti spinse
Sui campi d’Enna alla dolce rapina;
Per colei che al tuo fianco
Siede regina,
Del nume tuo consorte e beatrice;
Re della Notte,
Re della Morte,
Oh, lascia ch’io riabbia,
Ch’io riabbia Euridice.
PLUTO
Orfeo, che chiedi?
PERSEFONE
Se puoi, se lice,
Tu l’implorata grazia
A cotanto amator, Pluto, concedi.
ORFEO
Oh, lascia ch’io riabbia,
Ch’io riabbia Euridice.
PLUTO
Ma dimentichi tu
Che i rinchiusi quaggiù
Bevvero l’onda dell’ignavo Lete;
L’onda che spegne
Nella sopita
Anima attrita
Ogni ricordo di passata vita?
==>SEGUE

ORFEO
Esser non può sì reo
Il destino d’Orfeo.
Non può la spegnitrice
Onda di Lete
Spegner l’ardore,
Spegner la sete,
Di così alto e generoso amore.
Ciò che sì vivo fu, Pluto, non muore.
No, non può Euridice
Dimenticare Orfeo.
Oh, lascia ch’io riabbia,
Ch’io riabbia Euridice.
PERSEFONE
Se puoi, se lice,
Tu la grazia concedi
A cotanto amatore.
PLUTO
Or sia. Ma tale
Condizïon vi pongo,
Che se da lei sarà riconosciuto,
Riabbia Orfeo la tanto amata donna;
Se non, con l’altro innumerabil stuolo
Ella quaggiù rimanga, ei parta solo.
(Facendo cenno ad alcuni ministri):
Sia qui tratta Euridice.
ORFEO
Oh, mio core! oh, mia cetra! oh, me felice!
(Silenzio; aspettazione. Tutti rimangono immobili: Orfeo con la destra levata verso Pluto; volto il capo alla parte onde torneranno i ministri. Questi tornano dopo alcuni istanti, conducendo Euridice, che collocano a fronte di Orfeo, il quale, al primo vederla, giunge le mani, senza far motto. Euridice lo guarda, muta, rigida, immersa in profondo stupore).
ORFEO
(con voce tremante di passione).
Euridice! Euridice!
(Ella non dà segno d’avere inteso, né il proprio nome, né quella voce. Dopo un altro silenzio, Orfeo prosegue, in tono sempre più appassionato).
==>SEGUE





O mia pallida rosa,
O mia tenera sposa,
M’ha la doglia angosciosa
Mutato sì che più non mi conosci?
CORO DI DEITÀ MINORI
Vano clamore!
Querele vane!
La donna in suo stupore
Muta rimane.
Non un accento,
Né un movimento.
Spense l’onda di Lete entro quel core
Ogni memoria dell’antico amore.
ORFEO
(con impeto, baciata la cetra).
Tu, tu, mia cetra,
Dissolvi la malìa,
Il miracolo impetra,
O cetra mia!
(Fa udire alcuni accordi sommessi).
CORO DI DEITÀ MINORI
Che incantamento è questo?
Qual di soavi note
Inaudito concento;
Qual tremebondo e lento
Di voci ignote
Mormoramento
Il neghittoso e mesto
Aer percote?
Oh, portento! oh, portento!
ORFEO
(accompagnandosi con la cetra).
Anima dolce e cara,
La voce mia non odi?
La voce che sì chiara
Sonò nelle tue lodi?
La voce che ti disse,
La voce che ti dice,
Con eterno richiamo:
T’amo, mia Euridice!
Mia Euridice, t’amo!

==>SEGUE

CORO DI DEITÀ MINORI
Oh, portento! oh, portento!
Oh, novo incantamento!
Deh, mirate. Non sembra
Che un rabbrividimento
Corra per quelle membra?
All’improvviso
Di sangue una risorta
Onda alla donna morta
Tinge e rinfiora il viso!
ORFEO
O cara sposa! o amante!
Più non ricordi i baci
E le carezze sante
E le promesse? Taci?
Più per colui che visse
Solo di lei, felice
E fidente in lei sola,
Più non ha Euridice
Un gesto, una parola?
EURIDICE
(rinvenuta a poco a poco, e dopo essere rimasta alcuni istanti perplessa e confusa, fatto un passo innanzi, aperte le braccia, con voce tremante di pianto e di letizia, abbandonandosi sul petto di Orfeo).
Orfeo!
ORFEO
(strettamente avvincendola).
Amore!
PERSEFONE
Ciò che sì vivo fu, Pluto, non muore.
CORO DI DEITÀ MINORI
Oh, portento! oh, portento!
Oh, nuovo incantamento!
Più Lete non l’assonna.
PLUTO
Vincesti. È tua la donna.
ORFEO
Re della Notte,
Re della Morte,
Poiché avesti pietà della mia sorte,

==>SEGUE
LA MORTE DI FAUSTO

Camerone assai spazioso, con grande vetrata nel fondo e un solo uscio da un lato. Notte. Sopra un cippo marmoreo arde con piccola e stanca fiamma un’antica lucerna, che fu già nell’officina di Fausto in Vittemberga. Fausto, giunto al termine della seconda e miracolosa sua vita, la quale molto più della prima fu lunga, giace, vestito di tutti i suoi panni, assopito, sopra un lettuccio. Nel mezzo del camerone, un globo terracqueo e una sfera celeste, di straordinario volume, sì l’uno che l’altra. Sparsi qua e là, modelli di macchine, arnesi e strumenti di molte sorta. Attorno attorno, scaffali con libri, quadri recanti piante di edifizii e di città. In un angolo, una statua d’Iside, parte velata, parte ignuda. In un altro, un grande oriuolo. Sotto la volta, un serpe di bronzo, che facendo cerchio di sé, attornia la scritta: Nunc et semper.

CORO DI VOCI SPIRITALI
Invisibili forme,
Vegliam l’atleta affranto;
Versiamo un dolce incanto
Sul suo riposo: ei dorme.
Tepor di molti fiati,
Luci di plaghe ignote,
Echi d’eteree note
Ai sensi affaticati.
Molto ei sostenne, molto
Conobbe e oprò nel mondo:
Ora s’allevia il pondo,
L’antico laccio è sciolto.
L’anima un dì rejetta
Sta per uscir di pena;
L’eternità serena
Col novo sol l’aspetta.
FAUSTO
(nel sonno).
Margherita!... Perdona!...

==>SEGUE
CORO DI VOCI SPIRITALI
Ti perdonò. Beata
Ove s’eternan l’ore,
Ove ha pace il dolore,
Il martirio corona,
Dall’infinito amore,
Dalla mente increata
Ell’ancor perdonata.
FAUSTO
(destatosi).
Ah, per certo io la vidi, e non fu vano
Sogno d’infermo il mio. Tale m’apparve
Qual nel lontano, inobliabil giorno
Che primamente agli occhi miei s’offerse:
Solo fatta più bella, e infusa e cinta
Di siderale chiarità. Dall’alto
M’accennò con la destra, e mi sorrise...,
Oh, sì beata e sì benigna in vista!
Certo mi perdonò. Posso alla fine
Morire in pace...
(L’uscio si schiude senza rumore, lentamente. Appare sulla soglia Mefistofele, vestito all’antica, usata sua foggia).
FAUSTO
(dopo averlo guardato un istante).
T’aspettavo.
MEFISTOFELE
(appressandosi al lettuccio).
Fausto!
FAUSTO
T’aspettavo: — sebben già da gran tempo
Non avessi tue nuove.
MEFISTOFELE
(togliendo una scranna e sedendo al capezzale di Fausto).
C’è chi dice
Che morto io sia, ma non è vero. Pieno
Di false voci è sempre il mondo. — Ho avuto
Un monte di faccende.
FAUSTO
Orsù, v’aggiungi
Questa, o mio creditor. Qual sempre fosti,
Puntuale tu sei. — È l’ora.

==>SEGUE

MEFISTOFELE
Adagio!
Fretta non c’è, nel caso nostro. È l’ora,
E non è l’ora. Sì e no: secondo
Ch’uno l’intenda. Chi dà legge al tempo?
Che cosa è il tempo?
FAUSTO
Io non lo so; né credo
Lo sappiano i filosofi; ma forse
Lo sanno i creditori; e tu...
MEFISTOFELE
Io tuo
Creditore non son.
FAUSTO
Non sei? La scritta
Che segnai col mio sangue...
MEFISTOFELE
In diebus illis.
FAUSTO
E che tu mi dettasti...
MEFISTOFELE
Antiche storie.
FAUSTO
L’hai tu smarrita?
MEFISTOFELE
Oibò !- Son buon massajo:
Non smarrisco mai nulla.
FAUSTO
O data in pegno?
Ceduta?
MEFISTOFELE
Senti! E a chi l’avrei ceduta?
Non son valori ch’abbian corso in Borsa.
(Trae dalla tasca che gli pende al fianco una pergamena).
Vedila qua. La riconosci?
FAUSTO
O dunque?...
MEFISTOFELE
(lacerando la pergamena).
Dunque ecco l’uso ch’io ne fo. Ti garba?

==>SEGUE
FAUSTO
(con leggiero sorriso).
Per altra via sarebbe forse estinto
Il debito? Ne avevo, a dirti il vero,
Qualche sentore.
MEFISTOFELE
Estinto, o non estinto,
Io tel condono. Senza né cavilli,
Né occulte mire, nè restrizïoni
Mentali. Io, Mefistofele, rinunzio
A ogni dritto e ragion che aver potessi
Sopra di te.
FAUSTO
Il diavol più non sei?
MEFISTOFELE
Sono. Come (salvando la modestia)
Senza dïavol reggerebbe il mondo?
Ma son fatto diavolo moderno,
E sol conservo queste antiche fogge
Perché più mi si affanno alla persona
E al volto; e ancor perché quelle d’adesso
Troppo son brutte, sordide, plebee:
E tu sai ch’ebbi sempre per l’estetica
Un debole, e che sono aristocratico...
Ridi? Hai torto. Ma questo ora non c’entra.
Dicevamo che a Fausto, al Dottor Fausto,
Mefistofele il debito condona.
Libero sei.
FAUSTO
Libero son! Ne avevo
Certa segreta e vaga coscïenza.
MEFISTOFELE
Tutti liberi siam.
FAUSTO
Liberi!... Tutti
Forse no.
MEFISTOFELE
Lascia dir.
FAUSTO
Grande parola!
E com’altro il dïavolo moderno
Da quel ch’ei fu!

==>SEGUE
MEFISTOFELE
E tu da quel che fosti
Altro non sei?
FAUSTO
Pur Fausto sono.
MEFISTOFELE
Un altro
Fausto. Muta ogni cosa, e senza fine
Deve mutar ciò che finir non vuole.
Forse che questo tuo laboratorio
Somiglia a quel che in Vittemberga avevi?
(guardandosi intorno):
Salvo quella lucerna che t’ostini
A conservar, non so perché...
FAUSTO
Ho cara
La sua piccola fiamma.
MEFISTOFELE
(indicando col pollice, e senza levare il capo, il soffitto):
E credi forse
Che colassù... sì, dico, là nell’alto,
Sian sempre quelli d’una volta? Baje!
Se... Ma tu chiudi gli occhi!...
(Balzando in piè):
Olà!
FAUSTO
Mi sento
Mancar... Dammi la man...
MEFISTOFELE
Sta forte. Aspetta!
(Fausto accenna languidamente a una fiala che è sopra un deschetto ivi presso).
No, no!... So io... Ottima gente i medici
(Medico non sei tu?), ma non m’ispirano
Troppa fiducia... Aspetta!
(Toglie un bicchiere e vi fa un segno sopra: il bicchiere si riempie di un liquore luminoso).
Bevi questo.
FAUSTO
(dopo averne bevuto un sorso).
Ah, gran mercè!
MEFISTOFELE
Questo è niente. Bevi.
==>SEGUE

FAUSTO
(bevuto un altro sorso; rianimandosi).
Tutto mi sento riaver.
MEFISTOFELE
Ben altro,
Se tu volessi...
FAUSTO
S’io volessi?...
(Albeggia. A mano a mano che il cielo si rischiara, appare attraverso alla vetrata una vasta città, e di là da essa il mare. Fausto e Mefistofele interrompono il discorso e rimangono alcuni istanti in silenzio, fermi gli occhi in quella vista).
FAUSTO
(con voce commossa).
L’alba!
Riede la luce! — Che sereno immenso!
MEFISTOFELE
(con accento profondo).
La luce! — Fu Lucifero il mio primo
Nome. —
(Mutando tono):
E i fisici ancor non sanno dire
Che sia la luce. Ma torniamo al nostro
Discorso. Già: se tu volessi... Gli anni
Che insiem passammo scorrazzando il mondo
Sempre ho in memoria. Ti rammenti? Quante
Sperïenze e quant’opre! Sì, quant’opre!
Oh, non sciupammo il tempo! e si può dire
Che se il mondo è qual è (se meglio o peggio
Di quel di prima, non importa: basta
Che si mova e rinnovi: imputridisce
Quanto riposa troppo a lungo) a noi
In gran parte e’ si deve, all’inquieto
Nostro genio, alla santa impazïenza,
Alla sempre eccitata e insazïabile
Nostra appetizïone, al nostro ardire,
Alla invitta e incessante nostra critica,
E per dir tutto in uno, alla felice
Alleanza d’un uom quale tu sei
E d’un demonio qual son io.

==>SEGUE
FAUSTO
(con leggiero sorriso).
Salvando
La modestia.
MEFISTOFELE
Salvando la modestia.
Del rimanente (e questo è quel che importa)
L’opra è bella per sé.
FAUSTO
Quasi.
MEFISTOFELE
Nell’opra
Sta la salute e sta la vita.
FAUSTO
Vero.
MEFISTOFELE
E perché dunque non torniamo all’opra?
Odi proposta che ti faccio. Io sono
Giovine in sempiterno: per natura,
Per dovere d’officio, ed anche un poco
Per impegno; e tu puoi per la seconda
Volta ringiovanir, se n’hai piacere.
Un bel caso, che ancor non succedette
Ad uomo nato.
FAUSTO
Tentator!
MEFISTOFELE
Sicuro.
Ringiovanir. Né credere ci voglia,
Come in quel, vecchio tempo, il beverone
Nauseabondo della strega. Punto.
La scïenza è in continuo progresso,
E nell’arte io mi son perfezionato.
Un motto, un gesto: è fatto.
FAUSTO
Tentatore!
MEFISTOFELE
E non temer che come l’altra volta
Io da prima t’impigli in pazze brighe
E ti pasca di fisime. Altri tempi!
Viete usanze! Ben altro or si richiede.
Agitarsi, operar! Chiudere, aprire,
Atterrar, costruir, mutar la vecchia
==>SEGUE



Faccia del mondo, e ancor l’interno (senza
Pretendere perciò di riposare
Dopo sei giorni), e in tal fatica solo
Vivere e compiacersi!... Accetti?
FAUSTO
Amico,
È tardi.
MEFISTOFELE
Tardi? Perché tardi? Tardi,
O di buon’ora? Chi dà legge al tempo?
Che cosa è il tempo?
FAUSTO
Sia che vuole: è tardi.
Credi, amico, un miracolo non deve
Ripetersi. Oltre a che, d’avere osato
Viver due vite ove, per legge, tutti
Una sola ne vivono; d’avere
Tutti veduto dileguar coloro
Ch’eran nati con me, che furon meco
D’una stagione e d'una usanza, io quasi
Sento rimorso...
MEFISTOFELE
(con comica serietà).
Wagner, per esempio,
Che si vantava d’esser tuo discepolo.
Te ne ricordi ancor?
FAUSTO
Povero Wagner!
MEFISTOFELE
Povero! Perché povero? Fu corto,
Ma di buon nerbo, e di sé pago, ed ebbe
Tutta la vita sua buon appetito,
E mai non diede ombra a nessuno, e disse
Bene di tutti, senza far mai nulla: —
Onde morì d’anni e d’onori pieno,
E gli fu fatto un degno monumento,
Tutto di marmo, e vi scrissero sopra...
FAUSTO
(facendo a Mefistofele cenno di smettere).
Aggiungi al resto che mi sento antico,
E greve: — greve del soverchio peso
De’ miei ricordi...
MEFISTOFELE
Se sapessi i miei!
==>SEGUE
FAUSTO
Altro è chi, come te, mai non invecchia;
Altro chi vuol ringiovanir, serbando
L’anima antica e il proprio sé.
MEFISTOFELE
Ricusi?
FAUSTO
Ti ringrazio e ricuso. È l’ora,
MEFISTOFELE
Molto
Sentirà Mefistofele di Fausto
La mancanza.
FAUSTO
Di Fausto!... Tu rimani:
E per un Fausto che sparisce, cento
Ne appariran. Fruttifero legnaggio
Quello dell’uom!
MEFISTOFELE
Sì, troppo.
FAUSTO
Ecco, ti lascio.
Mefistofele, addio!
MEFISTOFELE
Sta’ forte.
FAUSTO
È l’ora.
MEFISTOFELE
(accostandogli il bicchiere alle labbra).
Un sorso, un sorso ancor.
FAUSTO
Non più... La mano
Porgimi... Addio!
MEFISTOFELE
Non ci vedrem più mai?
FAUSTO
(con accento inspirato).
Sì, ci vedremo ancor... n’ho ferma fede...
E per sempre...
MEFISTOFELE
Per sempre! Ove?
FAUSTO
Fratello!
Liberi siamo, e tutte son del mondo
Le barriere abbattute...
==>SEGUE

(Dopo un istante, con espressione di estasi)
Oh, Margherita!
(L’antica lucerna s’è spenta. Irrompe dalla vetrata il primo raggio del sole nascente.)
CORO DI VOCI SPIRITALI
Con ali alfin disciolte
Sale all’eterna vita
Quegli che già due volte
Ha la mortal fornita.
Virtù pari e conserte,
Nell’opra amor si svela,
L’opra al suo fine anela
E in amor si converte.

(Il canto si allontana innalzandosi, e le parole cessano di farsi udire che il suono s’ode ancora. Mefistofele è rimasto in piedi, stringendo tra le sue la mano di Fausto, fisso in terra lo sguardo; impenetrabile il viso, in ascolto).
Grazie!
E tu, Regina
Del tuo Signore,
Poiché avesti pietà del mio dolore,
Grazie!
(Baciando novamente la cetra):
E tu, mia cetra,
Che dalle dita
Tocca dell’amator, ridai la vita,
Grazie!
(Accompagnandosi con la cetra):
E tu, sposa, mia candida sposa,
Al mio braccio sospenditi e vieni.
Sulla terra feconda e giojosa,
Ove al mirto è compagna la rosa,
E perenni verdeggian gli allori,
Nel respiro dei zeffiri leni,
Nell’ebbrezza dei canti sonori,
In un gaudio di pace operosa,
Rinnoviam con la vita gli amori,
Sotto il riso dei cieli sereni.
CORO DI DEITÀ MINORI
Esultanza di fervide note
Che d’Averno le tenebre scote!
ORFEO
Rinnoviam con gli amori la vita.
Oh, Amore, clemenza vittrice!
Oh, Amore, possanza infinita!
Tu il Dolore, il Destino, la Morte,
Tu sol vinci, di tutti più forte. —
Non tremare, mia dolce smarrita!
Sposa, vieni! Oltre l’orride porte,
Dalla pronuba terra nutrice,
Quanto vive, quant’ama t’invita:
Euridice! Euridice! Euridice!

(Orfeo ed Euridice, che su di lui si appoggia, si allontanano lentamente, mentre tutti gli altri rimangono immobili).






               ALL’OMBRE

               AI SILENZI

               ALL’ANIMA OCCULTA

               DELLA SELVA NERA.