Giacomo Leopardi Nacque a Recanati il 29 giugno 1798 dal conte Monaldo Leopardi e da Adelaide dei marchesi Antici. Primo di sette, questo figlio dimostrò fino dai primi anni una straordinaria intelligenza ed un particolare desiderio di conoscere, pur non tralasciando i giuochi dell’infanzia e godendo della gioiosa compagnia dei fratelli. Con essi, di lui poco più giovani, studiò sotto la guida del padre coadiuvato dal precettore Don Sebastiano Sanchini. In età precoce iniziò con una applicazione da lui stesso poi definita “matta e disperatissima” ad ampliare da solo le sue conoscenze nelle più svariate materie. Rimangono di questi anni giovanili numerose composizioni in prosa e poesia, su argomenti storici, filosofici ed anche scientifici, sia in italiano che in latino. Da solo si impadronì in quel tempo delle lingue greca ed ebraica, con l’aiuto di una Bibbia poliglotta presente in biblioteca e ciò gli permise di addentrarsi sempre più nello studio dei classici. Negli anni immediatamente successivi si manifesta in lui il desiderio di tradurre in poesia le sue emozioni: nascono così i primi Canti “Le rimembranze” ed “Il primo amore”, quest’ultimo ispirato da un sentimento nuovo, l’amore, che sarà per lui nel tempo fonte di passione e di continua sofferenza. Nel 1817 nasce l’amicizia, inizialmente solo epistolare, di Giacomo con il letterato Pietro Giordani, che per primo riconobbe nel giovine il futuro genio. Molte sono le opere di Giacomo in questi anni, sia in prosa che in poesia: ricordiamo solo due canzoni patriottiche, “All’Italia” e “Per il monumento di Dante”. Sempre nel 1817 inizia un’opera in prosa la cui stesura occuperà gran parte della sua vita. Questo lavoro, cui diede titolo di “Zibaldone”, costituisce la più alta espressione del vastissimo pensiero leopardiano, un acuto studio di sentimenti umani, un esame approfondito dei più vari argomenti. Ignorato per lunghi anni, lo “Zibaldone” fu pubblicato per la prima volta dal Carducci nel 1898. Nel 1819 videro la luce gli idilli “Alla luna” e “L’infinito”: quest’ ultimo si può considerare la più alta espressione del genio poetico leopardiano. Desideroso di più ampi orizzonti e sperando di trovare fuori di Recanati ambienti più stimolanti e culturalmente più aperti, sogna di lasciare la casa paterna. A tale scopo chiede ed ottiene il passaporto (allora necessario) per recarsi a Milano, ma contrastato nel suo progetto dal padre, si rassegna poi a rinunciare alla partenza. La delusione non influisce sulla sua produzione letteraria, anzi in quel periodo compose numerosi idilli e canzoni, citiamo “Ad Angelo Mai”, “La sera del dì di festa”, “La vita solitaria”, “Il sogno”,“Nelle nozze della sorella Paolina”, “Ad un vincitore del pallone”, “Alla primavera”, “Ultimo canto di Saffo”. Sono di quel tempo anche le sue prime operette satiriche. Nel 1822 poté finalmente recarsi a Roma, dove si fermò qualche mese ospite dello zio Antici. La capitale però lo deluse non solo per la sua vastità dispersiva, ma anche e soprattutto per il modesto livello culturale della sua società, con l’eccezione di alcuni personaggi, come l’ambasciatore di Prussia Niebhur ed il suo successore Bunsen: questi rivestiranno un ruolo importante nella vita futura del poeta. Tornando volentieri a Recanati, scrisse nel 1823 “Alla sua donna”. Nel 1824 compose la maggior parte delle “Operette morali”, opera di alto contenuto filosofico, celato talora sotto una veste leggera e satirica. Nonostante l’avvenuta pubblicazione di alcuni suoi lavori, il poeta era allora sconosciuto dalla maggior parte degli Italiani. Nel 1825 si recò a Bologna dove fu bene accolto dalla società letteraria, poi proseguì per Milano e qui ebbe modo di instaurare un rapporto di lavoro con l’editore Stella. Tornato a Bologna strinse alcune amicizie, fra l’altro con il conte Carlo Pepoli, cui dedicò una “Epistola” in versi. Passò l’inverno seguente a Recanati, continuando a lavorare per lo Stella, poi si recò a Firenze. La sua frequentazione del Gabinetto Vieusseux, circolo letterario dove si incontravano i più notevoli esponenti della cultura contemporanea, gli permise di conoscere fra gli altri Alessandro Manzoni e l’esule napoletano Antonio Ranieri con il quale in seguito strinse una forte amicizia. Desideroso però di trascorrere l’inverno in un clima più mite, il poeta si trasferisce a Pisa dove rimarrà poco meno di un anno, finalmente rasserenato perché entusiasta della città e ancor più dell’accoglienza a lui riservata dai pisani. Nei mesi qui trascorsi vedono la luce opere importanti, fra cui lo “Scherzo”,“Il risorgimento” e “A Silvia”. Da qui torna a Firenze e vi si ferma qualche mese, in cattive condizioni di salute ed amareggiato dall’inutile ricerca di un impiego; malvolentieri ritorna a Recanati. I mesi che seguono sono fecondi di opere: egli compone “Il passero solitario”, “Le ricordanze”, “La quiete dopo la tempesta”, il “Canto notturno” ed “Il sabato del villaggio”. Sperando di conquistare una certa indipendenza finanziaria, aveva già concorso con le sue “Operette morali” ad un premio letterario dell’Accademia della Crusca, ma al suo lavoro era stato di gran lunga preferito quello del Botta, “Storia d’Italia”. Fu così costretto ad accettare l’offerta fattagli, attraverso il Generale Colletta, da alcuni amici toscani; essi gli garantivano un prestito annuale da restituire con la pubblicazione di future opere. La tranquillità economica gli permise di ritornare a Firenze dove ebbe modo di conoscere e frequentare la bella Fanny Targioni Tozzetti che sarà l’ispiratrice del “Ciclo di Aspasia”, costituito da i canti “Il pensiero dominante”, “Amore e morte”, “Consalvo” , “A se stesso”,” Aspasia”. In questo soggiorno fiorentino Leopardi incontra nuovamente Antonio Ranieri e di comune accordo essi decidono di unire le poche risorse economiche di cui dispongono per trasferirsi insieme a Napoli. Questa città attrae Giacomo per il clima più favorevole alla sua precaria salute e per la vivacità culturale che la distingue. A Napoli Leopardi compone in poesia alcune opere satiriche, fra cui la “Palinodia al marchese Gino Capponi” ed i “Paralipomeni della Batracomiomachia”, mentre vengono nuovamente pubblicati i “Canti” e le “Operette morali”. Nel 1836 per sfuggire all’epidemia del colera il Ranieri si trasferisce con Giacomo a Torre del Greco nella villa di un parente ed ivi forse il poeta scrive “La ginestra” ed “Il tramonto della luna”. Tornato a Napoli stanco e sofferente, non può realizzare il nuovo desiderio di un ritorno a casa perché le sue condizioni di salute peggiorano. Assistito dal Ranieri e dalla sorella di questi Paolina, Giacomo Leopardi si spegne a Napoli il 14 giugno del 1837. Nel libro di casa si legge a firma della sorella Paolina: “Adì 14 giugno 1837 morì nella città di Napoli questo mio diletto fratello divenuto uno dei primi letterati d’Europa: fu tumulato nella chiesa di San Vitale sulla via di Pozzuoli. Addio caro Giacomo: quando ci rivedremo in Paradiso?”
Anni dopo, la tomba di Giacomo Leopardi venne traslata accanto a quella di Virgilio sempre a Napoli.