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Giovanni Meli - FAVULI MORALI
Seconda parte
































































GIOVANNI MELI
Commento di
Francesco Coppola
(Ricercatore I.R.R.E. Sicilia)



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Facendo un salto di alcuni secoli vorrei soffermare la mia attenzione su Giovanni Meli, uno dei poeti più interessanti della nostra tradizione letteraria, l’opera che ci ha lasciato dimostra la sua vastissima cultura; egli è conosciuto soprattutto per “La Buccolica” e le “Favuli Morali”, ma è autore anche di “Odi” oltre che di vari altri componimenti, e proprio in questa raccolta, forse poco organica e senza un filo conduttore, si trovano alcuni gioielli che è il caso di analizzare.
Vorrei partire da “Lu labbru”, un componimento di estrema eleganza formale che si trova spesso citato come uno degli esempi più significativi della musa meliana. Qui non potrei proprio parlare di simbolismo floreale, qui il fiore è utilizzato in senso proprio, non è metafora di altro. Ma leggiamo qualche verso: Dimmi, dimmi, apuzza nica,/ Unni vai cussì matinu?/ Nun cc’è cima chi arrussica/ Di lu munti a nui vicinu:/ Trema ancora, ancora luci/ La ruggiada ‘ntra li prati:/ Duna accura nun ti arruci/ L’ali d’oru dilicati!/ Li sciuriddi durmigghiusi, ‘Ntra li virdi soi bottuni, Stannu ancora stritti e chiusi/ Cu li testi appinnuluni./... (Odi, 6). Nel prosieguo dell’ode il poeta dà indicazioni all’ape su dove posarsi per trovare il miele più dolce, naturalmente sulle labbra della sua amata Nicia. Ma per quel che ci interessa, vorrei far notare l’estrema delicatezza di questi fiorellini addormentati, coi boccioli serrati, con le loro corolle ancora chiuse e la testa reclinata; sembra quasi si stia parlando di bambini che dormono. Questi versi rappresentano forse il culmine della poesia meliana!
Il componimento e altri due che ora affronterò fanno parte di una più ampia corona poetica che ha come oggetto la donna amata dal Meli, i componimenti esaltano le varie parti fisiche della donna o alcuni suoi aspetti, focalizzando un particolare, per es. “La Vuci”, “L’Alitu”, “Lu Neu”, il poeta usa una tecnica molto simile a quella della macrofotografia: un particolare ingrandito fa perdere la percezione del tutto e rende l’oggetto focalizzato come un piccolo mondo a sé. Questa poesia del particolare opera una sorta di trasfigurazione che toglie all’oggetto quasi la sua consistenza reale.
“Lu Pettu” è un'altra prova degna d’interesse, composta nel 1777, fu ispirata da donna Mela Cutelli (cui è dedicata anche “L’occhi”). Il titolo forse non è molto indicativo, dal momento che nel componimento si parla piuttosto del velo che impedirebbe al poeta di vedere le delizie della sua donna, il petto per l’appunto. I modelli cui s’ispira il Meli sono molteplici, fra tutti cito il Marino e il Fontanella: “Qual bianca nube l’odorosa tela”. Ma non sarebbe difficile citare altri poeti che hanno cantato il motivo del velo, si pensi al Gessner, che ha un’immagine che sembra aver suggestionato il Nostro: “Al giovin seno il vel stringea, che ardito/ scoprir tentava il lascivetto Zefiro”, ma potrei ancora ricordare il Pucci e il Sannazzaro quando nell’Arcadia descrive il seno di Amaranta.
In quest’ode il Poeta descrive un giardino che appare come un piccolo mondo primigenio, un giardino edenico in cui Amore raccoglie rose ed altri fiori per farne due mazzetti, vi spruzza poi fiocchi di neve per ravvivare la composizione e il bouquet è pronto per essere donato, qui Amore, che è l’innamorato, si identifica col Poeta il quale con altra variazione celebra le qualità della sua donna. Vi sono tutti i motivi di un canto erotico: il dio, i fiori, il candore della neve e infine il paradiso. Questo però avviene soltanto nella prima strofe del componimento, nel prosieguo il godimento contemplativo è limitato dal velo della pudicizia. Amore non trova il suo completo appagamento e il poeta chiama in aiuto Zefiro, che spazzi via questo velo, il canto termina lasciando intendere la difficoltà della cosa.
L’ultimo componimento di questa serie è “Lu Non-So-Chi”, nell’odicina, pubblicata nel 1814, è svolto il tema dell'indefinibile fascino per il quale la donna del cuore è sempre più bella di tutte le altre. Il motivo del non-so-che, quale espressione usata per indicare l’indefinito e l’ineffabile, è frequente nell’ambito della poesia arcadica, si ricordi ad es. Il Bugiardo del Goldoni, il ritornello della serenata di Florindo nella I scena. Il componimento ha una sua notorietà: in un saggio, intitolato Per l’arte (Catania 1885) il Capuana dice “ddu certu non so chi dell’Abate Meli”. Questo componimento a mio avviso appare un po’ diverso dai precedenti perché, sia pur nella sua leggerezza, sia pur all’interno di un genere laudativo, si caratterizza per un maggiore realismo. Qui la figura della donna mi pare un po’ meno idealizzata, a partire da quel “Bedda bedda-nun cci sì”; il poeta è comunque tenero con la sua donna perché la chiama “vijuledda”, un fiore, direi quasi, più familiare senza essere di tono minore, un fiore non impegnativo ma bello perché prodotto di natura, certamente non caricato di altri significati, un fiore non aristocratico insomma, ma popolare senza essere volgare.
Passiamo ora ad un componimento in cui il fiore è veramente utilizzato in senso simbolico, l’ode si intitola “Lu gesuminu”, in essa viene svolto il tema della caducità della bellezza congiunto con quello dell'incostanza del cuore femminile. La celebrazione del gelsomino è motivo frequente nella lirica amorosa del Sei e Settecento, si pensi al sonetto anonimo “Gelsomino in bocca di bella donna” o ad una cantata del Rolli “Son gelsomino, son piccolo fiore”. Ma qui, come altrove, l’Autore ha la capacità di rinfrescare lo spunto ben noto e tradizionale con la novità della invenzione. Il Poeta si rivolge direttamente al fiore chiedendogli perché si mostri a lui in maniera sostenuta: tu m’ammaschi; è già la prima prefigurazione di un rapporto uomo-donna, l’uomo infatti continua dicendo Stari in menzu di sti raschi, (fiordilatte) / nun lu negu, ch’è un gran chi. La terza strofe (vv. 9-12) è un invito alla moderazione, alla modestia. La quarta strofe (vv. 13-16) riprende il classico motivo dell'incostanza
femminile e quello della fugacità della bellezza, rappresentato per analogia con la brevità della bellezza dei fiori; ed è un luogo comune nella tradizione letteraria, si veda per es. il Gessner “Debil narciso, ahi come tristamente/ chini il languido capo a me daccanto./ In tua freschezza ancor l’alba ti vide;/ or sei svenuto...”. Quindi viene additato, come monito un garofano che il giorno prima era stato considerato una divinità, mentre ora si trova in bassa fortuna e non tocca più “cantusciu” cioè veste femminile lunga, elegante e verosimilmente pregiata, e pertanto si lamenta. La chiusa dell’ode (vv. 29-32) è di carattere moraleggiante: è una cuccagna laddove regna l’incostanza perché la fortuna con la sua mutevolezza può toccare chiunque. Il finale risente un po’ delle “Favuli morali” che abbiamo detto il capolavoro del Meli.
Ciò che mi pare strano nell’ode, e per questo, interessante notare, il fatto che il gelsomino venga visto come simbolo d’orgoglio, mentre la sua leggerezza, forse fragilità, lo destinerebbero quasi ad altri usi, - ma poco importa -, per il Meli il gelsomino è simbolo di altezzosità.
Col carme successivo, “L’aruta”, rimaniamo sempre nell’ambito della poesia moraleggiante, quest’ode è un po’ il contraltare della precedente, la ruta infatti è un’erba perenne, tipica dei luoghi aridi, dall’apparenza modesta, quindi molto diversa dal gelsomino, simbolo della lussuria. L’ode prende spunto da una malattia di Nicia, la donna del Poeta, che ammalatasi, è stata salvata dalla ruta, da qui quasi una maledizione agli altri fiori, rose, gigli e gelsomini, e l’esaltazione della ruta. Leggendo il componimento rileviamo che l’immagine ai vv. 3-4: nudda Ninfa chiù vi tegna/ ntra lu so pittuzzu finu l’abbiamo in qualche modo già vista nell’ode “Lu pettu”: Ntra ssu pittuzzu amabili, ortu di rosi e ciuri,/ dui mazzuneddi Amuri/ cu li soi manu fa.”
Gli ultimi versi (21 e segg.) hanno carattere più moraleggiante, tutta la strofe è un rimprovero ai fiori per la loro altezzosità, per l’orgoglio che mostrano; in questo rimprovero “fiori, in mezzo a questo mare di guai voi ve ne state freddi e oziosi” forse c’è un’eco di un famoso verso catulliano: “Piangete Veneri e Amori, è morto il passero, gioia della mia ragazza”. C’è, sia in Catullo che in Meli, il chiamare a raccolta un mondo per un canto di dolore ma anche d’amore; però i fiori del Meli sembrano più insensibili delle creature di Catullo. Il carme finisce con la lode della ruta, simbolo di modestia, virtuosa e dimessa, che vive semplice e beata e s’appaga di se stessa. Potrebbe essere un ammonimento valido per chiunque.



Tratto da: www.lires.altervista.org

Pagina a cura di Nino Fiorillo == e-mail:dlfmessina@dlf.it == Associazione DLF - Messina
XLVI.
Li Ciauli, e lu Turdu.
       Dui Ciauli scutularu
'Ntra un vausu li facenni,
E ddocu poi 'ntunaru
'Na chiàcchiara sullenni.
       Spartutisi li lodi
Prima, e li cirimonj,
Parraru poi di modi,
Di ziti, e matrimonj,
       Sparraru li vicini,
Li soggiri, l'amichi,
Si confidaru infini
Li soi galanti intrichi.
       Dissiru unni tinianu
Li nidi situati;
Quantu Ciauliddi avianu
Di già menz'impinnati ;
       Multi nni ripitavanu
Scacciati in ova, e morti;
'Nzumma ciarmuliavanu
E sempri a vuci forti.
       Un Turdu, chi passannu
L'intisi, dissi: oh sciocchi!
Chi jiti abbanniannu!
Timiti anchi ssi rocchi.
       Nè chiàcchiari, nè picchi,
Silenziu cci voli,
Li macchi ànnu l'oricchi,
Li petri ànnu paroli.
       E quasi profetatu
Lu Turdu avissi: un Cuccu

Avianu risbigghiatu,
Chi dda tinia lu giuccu.
       Chistu chi aveva apprisi
Li lochi disignati,
Unni cci avianu misi
Li cuvi, e li nidati;
       Vinuta già la notti
Di dda sbulazza, e scappa,
Junci, e 'ntra, quattru botti
Midi, e Ciauliddi appappa.

XLVII.
Lu Pasturi, e lu serpi
Impastura-vacchi.
       Spissu pri riparari a qualchi mali,
O pri dari a un delittu la sua pena,
Si commetti la cura a certi tali,
A cui cchiù di li rei feti la lena.
Eccu un esempiu truvatu con arti
'Ntra li tradutti camuluti carti.
       Un Pasturi avia Vacchi fausi, e barri,
Chi jianu spissu pri viola storti,
Facennu guastu a li lavuri, e all'orti,
Appurtannu disturbi, intressi, e sciarri.
       Mentr'iddu cci gridava: avò-irri-arri,
Cci accosta un Serpi, e parra di sta sorti:
Pri serviriti a costu di mia morti,
Mi offru d'impasturarli pri li garrì.
       Accetta lu Pasturi lu serviziu,
Pirchì di lu Sirpazzu tradituri
Nun vidi di luntanu l'artifiziu.
       Ferma li Vacchi è veru, ma in poc'uri


Cci suca latti, e sangu a precipiziu,
E lassa peddi, ed ossa schitti, e puri.

XLVIII.
Li Signi.
       Vistu avianu li Signi da luntanu
Da l'omini un gran tempiu fabricari;
E mentri cci vugghievanu li manu
Pri fari chiddu chi vidianu fari,
Subitu in testa cci sotau lu griddu
Di fabricarinni unu uguali a chiddu.
       Pri tantu tutti quanti s'impegnaru
A traspurtari lu materiali
Di ligna, petri, e taju; sparagnaru
Sulu (in virtù di l'ugna soi) li scali:
Mettinu manu all'opra, e pri disastru
Ogni Signu è 'ngigneri, e capu-mastru.
       Ogn'unu fa da capu, e d'architettu,
E fabrica a so modu, incominciannu
Unu da la suffitta, e da lu tettu;
Nautru veni la cubula inalzannu;
Cc'ò cui comincia da lu campanaru,
Cc'è puru cui principia da l'otaru.
       Tutti sti pezzi restanu isolati
Senza li basi, e senza appidamenti,
A li primi, perciò, vintuliati
Precipitanu a terra, e ogni scuntenti
Signu fabricaturi, chi cc'è sutta
Di sua bestialità la pena scutta.
       L'operi cchiù ammiranni (nni convegnu)
Sù da imitarsi; però esaminati
Prima si aviti li forzi, l'ingegnu,


Li circustanzi, li menzi adattati;
Chi oprari senza piani, nè disigni
È l'imitazioni di li Signi.

XLIX.
Lu Cignali, e lu Cani-corsu.
       S'avia fattu in un voscu 'na tuccata;
E un Cignali, ed un Corsu mortalmenti
Firuti tutti dui 'ntra 'na vaddata
Urlavanu di rabbia, e di turmenti:
L'unu dintra lu pettu avia dui baddi,
L'autru gran scagghiunati in ventri, e spaddi.
       Lu Porcu avennu 'ntisu lu lamentu
Di lu Cani cci dici: eu chianciu, e penu;
Ma tu nun ridi, e nenti si cuntentu;
Ora 'ntra l'uri estremi dimmi almenu
Pirchì nnimicu a la mia razza? Quali
Vantaggiu porta a vui lu nostru mali?
       Rispunni: (ultra l'istintu, chi nn'incita)
Nui semu nati, e campamu sirvennu,
Cu l'obbligu di esponiri la vita
Di lu patruni ad un capricciu, o cennu,
Semu, comu suldati additti all'usu
Di lu conquistaturi ambiziusu.

L.
Cani Maltisi, e Cani di mandra.
       Sidia 'mi pasturedda sutta un chiuppu,
E un agnidduzzu cci pasceva allatu,
Mentr'idda si tineva pri lu tuppu
Un Canuzzu maltisi, chi scappatu

Era pri istintu di libertinaggiu
Ad una dama, chi facia viaggiu.
       A 'na certa distanza un forti, e grossu
Cani di la sua mandra valurusu
Stavacci a li talài, ed arriddossu,
Ma a lu nicu, (chi arditu, e prosuntusu,
Pirchì protettu) cci acchianau la verra,
Minacciaunu di fari all'autru guerra.
       Idda lu teni forti, ed amminazza
Lu grossu a jirisinni: su spirisci,
Cci dici, pani persu, mala razza...
Eccu fratantu un Lupu comparisci,
E parti pri l'agneddu. A lu momentu
La pasturedda cadi in svenimentu.
       Lu Canuzzu cci scappa, e ancora curri,
Ma lu Cani di mandra coraggiusu
Stagghia lu Lupu, e l'agneddu succurri,
E doppu un gran contrastu sanguinusu,
Lu Lupu appi la peju, ed è scappatu,
E lu Cani turnau 'nsanguniatu.
       Lu pasturi sintennu lu successu,
Dissi a la figghia: ài vistu lu periculu?
Si lu Cani di mandra 'un t'era appressu
Ti puteva salvari ddu ridiculu?
Quann'utili, e piaciri 'un poi componiri,
L'utili a lu piaciri nun posponiri.

LI.
Lu, Sceccu, e l'Api.
       Viziu molestu e bruttu
È chiddu di li Scecchi,
Mettiri mussu a tuttu,
'Ncucciari 'ntra li necchi.
       Chistu si pò vidiri
'Ntra la cchiù chiara luci
Da quantu veni a diri
Lu vecchiu chi traduci.
       Suspisa a li dui capi
Da travi 'na pinnata
Multi fasceddi d'api
Chiudia 'ntra 'na murata.
       Un Sceccu chi livatu
Si aveva lu capistru,
Si cc'era avvicinatu
Cu l'aria di ministru.
       Versu di li fasceddi
Sporgi lu mussu avanti
Ma l'Api sintineddi
Accorti, e vigilanti,
       Appena chi tanticchia
Lu vidinu accustari
Cci dicinu a l'oricchia:
Cca tu nun ài chi fari:
       Nun è locu pri tia,
Vota, vattinni all'erva,
Giacchi idda ti sazia,
Ed idda ti cunserva.
       Ma predicaru a un ortu
Di cavuli, e ddi trunza;

Lu Sceccu è veru tortu,
'Ngnuranti cu la 'nzunza.
       Ncucciusu dici: Afforza
Cca vogghiu stari; esiggi
Rispetta la mia forza;
Da vui nun soffru liggi.
       Sti sensi sù 'ntra pocu
Purtati dintr'a chiddi,
Ed eccu tantu focu,
Tant'ira sbampa in iddi,
       Chi ogni Apa è già un Achilli,
Armata d'asta, e dardu:
Nascinu a milli a milli
Con impetu gagghiardu.
       'Na squatra attacca l'occhi,
E un nuvulu si sparti
'Ntra oricchi, e 'ntra crafocchi
D'ogni segreta parti;
       Tri squatri sani sani,
Chi sù quanta la rina,
Tiranu a li castani,
Chi àv'iddu 'ntra la schina,
       Li gammi 'un sunnu esenti
Da lu tremennu attaccu,
Ma quattru riggimenti
Cci vannu a dari saccu.
       Pri accrisciri li baschi
Cchiù squatri, e battagghiuni
Si avventanu a li naschi
Cu dardi, e cu spuntuni,
       Uncia com'utri a ventu
Lu Sceccu 'ntra mumenti,
Dà cauci, fa lamentu,

Si sbatti inutilmenti.
       Si accorgi, benchì tardu,
Quantu periculusu
È l'essiri tistardu,
L'essiri prosuntusu.

LII.
Lu Corvu biancu, e li Corvi nivuri.
       Scuppau da la Lapponia
Supra sti spiaggi stancu,
Sbattuu da li turbini.
Un raru Corvu biancu.
       Pusau, vinni a calmarisi
L'affannu, e ciatatina;
Poi cerca di trnvarisi
La razza sua curvina.
       Nni vidi un sbardu nivuru,
E all'aria, e lu linguaggiu
Conusci chi sta specj
È di lu so lignaggiu.
       Vola, e l'agghiunci all'astracu
Di un turrigghiuni anticu;
Cei dici: chi desidera
D'essirci sociu, e amicu.
       Si li culuri spattanu
'Ntra nui di l'ali, e schinu,
Nè tonica fa monacu,
Nè cricchia fa parrinu.
       Li Corvi da principiu
Scossi a dda novitati,
Lu guardanu l'ammiranu

Di supra, e da li lati:
       Ma macchia nun truvannucci,
Dicinu: chistu in nui
Cu sta bianchizza attirasi
L'occhi, e nni oscura cchiui.
       Pertantu lu sdiilligianu,
Dicennu: nun è onori,
Nun è decenti, e propriu
Pri Corvi stu culuri.
       'Nzamai 'na Corva scuvacci
'Na tali maravigghia,
Sarria pri nui gran scandalu
Corvu, chi a Ha sumigghia.
       Lu meritu, ch'è in autri,
E a nui nun fa riflessu,
O passa pri demeritu,
O restasi depressu.

LIII.
La Furmicula.
       Cc'era 'ntra un chianu un vausu,
E chistu aveva in cima
'Na petra, e dipoi nautra
Supra di chista prima.
       Circannu 'na Furmicula
Di suli qualchi ucchiata
Supra la petra appiccica,
Ch'era la cchiù elevata;
       Mentri chi assulicchiavasi
Si vidi pri la testa
Strisciari, e attornu chioviri
Di petri 'na timpesta.

       Eranu alcuni giuvini,
Chi avianu jutu in cerca
Di petra misa in autu
Da servirci pri merca.
       Vidennu sfriciarisi
L'insettu sti rigali,
A terra si precipita,
Comu s'avissi l'ali.
       Juntu chi fu, la purvuli
Un Cacciaturi prova,
Ed a dda petra ammirasi
Chi supra l'autri trova.
       La povira Furmicula
Trema a dda botta strana,
Vidi la petra cadìri,
E subitu s'intana;
       E dici, 'ncrafucchiannusi
Dintra ddi lochi chiusi:
Posti eminenti... cancaru!
Chi sù periculusi!

LIV.
La Musca.
       'Na Musca si crideva cosa granni
Pirchì supra lu re, di la rigina
Passiava, e gustava li vivanni,
Chi li cochi apparicchianu in cucina;
E chi anchi putìa viviri in comuni
Cu lu Tauru superbu, e lu Liuni.
       China la testa di sti vani fumi
Cchiù nun vidi la sua fragilitati,
E tuttu a propriu meritu si assumi
Chi nun à l'andamenti limitati.

Nun sapi, chi unni posa, la pirsuna
Chi l'àvi supra, d'idda nun si adduna.
       Fratantu si li re, si li rigini
Da sta Musca sù appena calculati.
Figuramu l'insetti cchiù mischini
Di qual'occhiu ponn'essiri guardati!..
No, nun tanta superbia, cala l'ali,
Scàntati, cchiù di tutti da sti tali.
       Tardi, e senza profittu apprinnirai
Sta verità, ch'eu vegnu ora di diri,
Quannu 'ntra 'na tinagghia sbattirai
D'una tarantulicchia, chi scupriri
Mai tu putivi 'ntra li toi fastusi
Idei tutti sublimi, e grandiusi.

LV.
Lu Zappagghiuni, e l'Omu.
       Un Omu s'era appena appinnicatu,
Chi s'intisi a la facci 'na lanzetta,
Chi avia sinu a lu vivu penetratu;
L'arduri lu fa scotiri a l'infretta,
Apri l'occhi, smicciannu attentamenti
Tuttu a l'intornu, e nun discopri nenti.
       S'ingatta cotu cotu, e si tratteni
Lu ciatu in pettu, e poi l'oricchi affila
Pri sentiri cui cc'è, cui va, cui veni,
O peditozzu di cui si la sfila;
Ma nun senti, chi un rusicu nojusu
E un non so chi, chi cci sfricia stizzusu.
       Atomu insolentissimu, cci dici,
Dimmi: sì tu chi punci, e chi fai mali?
Si tu? Palisa almenu eu chi ti fici
Pri cui m'ài datu spuntunati tali?

Pirchì picciulu tantu, tantu infestu,
E tantu nojusissimu, e molestu?
       Giustu, cci rispus'iddu, pirchì nenti
Jeu cuntu 'ntra lu munnu, àju pinsatu
Stu nojusu, o molestu espedienti;
Ti l'avirrissi mai tu imaginatu
Sta invisibili mia specj di bestia
Senza pruvarni duluri, e molestia?

LVI.
Lu Struzzu, l'aquila, ed autri animali.
       Nasci in nui l'amur propriu,e cu nui mori,
Ed è un istintu, ch'avemu in comuni
Cu l'animali tutti chi ànnu cori.
Lu libru, chi traduci lu vicchiuni,
Cci lu dimustra 'ntra un dialoguzzu
Unni parra cu l'Aquila lu Struzzu.
       Lu Struzzu avia vidutu da lutanu
Vinìri, e da un'autizza smisurata
L'Aquila, chi di poi di manu in manu
Calannu, 'ncostu ad iddu era pusata.
D'unni veni? spiau...da Calicutti,
Rispunni, e d'autri regni ignoti a tutti.
       Bellu piaciri, lu Struzzu ripigghia.
Di aviri un paru d'ali sì robusti
Da sollevarsi in autu tanti migghia!
Scurriri un munnu!.. Chisti sù li gusti!
Cci avirria ad essiri Aquila un gran preu,
Senza però scurdarmi ca sugn'eu.
       Lu stissu replicaru unitamenti
'Na Tartuca, un Gamiddu, e un Elefanti,

Ch'eranu a stu dialogu presenti,
E cci scummettu, chi si dda davanti
Tu puru, o miu letturi, ti truvavi
Lu stissu unitamenii riplicavi.

LVII.
L'Omu, lu Truncu, e lu Pasturi.
       Un Omu bonu assai
Jeva a sfogari spissu
Tutti l'amari guai
Avanti a un truncu fisso.
       Lu vidi un Pastureddu,
Chi passa pri accidenti,
E dici: Oh puvireddu!
Partuta è la tua menti!
       A un Truncu senza oricchi,
Duru, chi azzann'accetti,
St i lagrimi, e sti picchi,
Pirchì tu spargi, e jetti?
       Susiti. Chi nni accanzi?
Chi grazia ti pò fari?
Cunta li toi lagnanzi
A cui ti pò giuvari.
       Lu sacciu cci rispusi,
Perdu lu tempu, e l'uri;
Ma ricchi, e facultusi
Sù menu surdi, e duri?
       Almenu 'na ritagghia
Cca cc'è chi mi cunsola:
Mi sfogu, e nun mi stagghia
Stu truncu la parola.

LVIII.
Lu Cervu. lu Cani, e lu Tauru.
       Un gran Cervu inalberava
Dui ramuti, e longhi corna,
Di cui tantu si picava,
Ch'impunia 'ntra ddi cuntorna;
       Pirchì nuddu ancora avia
'Ntra l'armali di ddu locu,
Fattu prova si valia
Cu ddi corna o multu, o pocu;
       Ma un Livreri peddi, ed ossa,
Nun curannu l'armatura,
Si cci scagghia, e a prima mossa
Chiddu fui, e sauta mura;
       E fuennu grida: amici,
Nuddu veni ad ajutarmi?
Corna persi, un Tauru dici,
Lu coraggiu è cchiù di l'armi.

LIX.
La Ciaula, e lu Pappagaddu.
       Vidutu avia 'na Ciaula
Pasciutu, e accarizzatu
Un Pappagaddu in nobili
Alloggiu situatu.
       Cuntrafacia li Passari,
Si li sintia cantari;
Cuntrafaceva l'omini,
Si li sintia parrari.
       Un jornu capitannulu
Da sula a sulu, accosta,
Dicennu fammi grazia,

Jeu sù vinuta apposta,
       Dimmi: qual'è in origini
Lu veru to linguaggiu?
Ca tanti tu nni arrozzuli,
Ch'eu sturdu, e mi ammaraggiu.
       Rispusi: In confidenzia
Su finti sti mei provi;
Veru linguaggiu propriu
In mia nun cci nni trovi.
       Jeu conoscu chi l'omini
Vonnu essiri adulati;
Replicu zoccu dicinu.
Cuntenti sù, e gabbati.
       Jeu d'iddi li carizi
Guadagnu e li favuri
Ed iddi si confirmanu
Cchiù 'ntra li proprj errori.

LX.
Lu Cardubulu, e l'Apa
       All'Apa lu Cardubulu
Dissi: Eu ben disceruu
In vui talenti, e industria,
Ma schiavi di un governu.
       Pri l'essiri sensibili
In terra nun si dà
Pregiu maggjuri, e nobili
Cchiù di la liberlà.
       Li liggì di ogni generi
Su cippi su catini;
O mura, chi vi chiudinu
'Ntra picciuli confini.

       'Ntra l'abbundanza triscanu
Pochi chi su a la testa,
Soffrinu tutti l'autri
Travagghi, e feria sesta.
       L'usu vi fa suffribili
Lu jugu chi vi affliggi
Ma eu natu,e avvezzu liberu
Da nuddu soffru liggi:
       Nun aju cui mi sìndica
Li gesti, e l'azioni,
E campu divirtennumi
senza soggezioni...
       Ma chi durata cuntanu
Sti pregi toi vantati?
(Rispusi l'Apa) speddinu
'Ntra un cursu di un'estati.
       Appetta ohi finiscinu
In terra ciuri, e frutti,
All'ultima miseria
Vi siti già ridutti.
       Circati li ricoveri
Contra di li jilati;
Ma nenti cci sarvastivu,
E nenti cci truvati.
       Vantativi ora liberi!
Nun dura la bunazza;
Vita perciò precaria
Avi la vostra razza.
       Intornu a lu discreditu
Datu a la società,
Provu, ch'in idda trovasi
La vera libertà.
       La tua è licenza, è un viviri

Da latru, e da sarvaggiu,
In preda a li disordini,
E a lu libertinaggiu.
       Ma in essiri cchiù nobili
Capaci di cultura
La societati è un meritu,
Chi li gran specj onura.
       Cui cchiù la liggi venera
Chist'è liberu cchiui;
La liggi è partu propriu,
Dunca obbidemu a nui.
       Nè pirchì fatta trovasi
Nesci da sti confini;
L'avuli chi la ficiru,
Nni avianu 'ntra li rini.
       E si li nostri vizj
Nni soffrinu disaggiu
E pocu sagrifizi
Riguardu a lu vantaggiu.
       Di nui si in ogni singulu
La forza è poca, o nenti,
La liggi, la cuncordia
La rendinu imponenti.
       Cu tanti onuri, e commodi,
Chi vidi a pochi dati,
Li gran sollecitudini
Sù appena compensati.
       Si ossequia l'individuu,
Chi sedi da regnanti,
Stà di la liggi in guardia,
E n'è rappresentanti.
       Chistu a lu beni, all'ordini
Vigghia, providi, e occurri,

Premia lu veru meritu,
E a miseri succurri.
       Chist'è di menti savj
La vera libertati,
Qualunqui autra è deliriu
Di testi scavigghiati.
       Si di lu beni pubblicu
Si perdi in nui l'idia,
O casa di diavulu,
O chiamala anarchia.

LXI.
Li Passagagghi. O sia
li Muschi, e la Tarantula.
       Dui Muschi 'ntra 'na cammara
Vidinu a la fmestra
Passari 'na Tarantula
Da la sinistra a destra.
       Junta chi fu, di un subitu
La vidinu turnari,
Ed in sensu cuntrariu
Lu so viaggiu fari.
       Quann'è arrivata all'angulu
Torna, e di dda ripassa,
Stu zichi-zachi sequita,
E sempri passa, e spassa.
       Dici 'na Musca all'autra:
Sentu pigghiarmi dica,
Multu mi scannalianu
Sti Passagagghi, amica.
       L'autra cchiù timiraria

Cci dici: Lassa fari,
È ostrutta 'ntra lu ficatu,
E voli passiari.
       No, dici l'autra, trappuli,
E inganni mi nni aspettu;
Cui voli stari stiacci,
Pri mia mi la sbacchettu.
       Dici, e diventa pruvuli;
Ma l'autra sciocca, e tosta
Si resta dunniannusi,
Pirdennu tempu apposta.
       Ma poi vulennu nesciri
Si vidi 'nviluppata,
Ed eccu la Tarantula
Di supra cc'è sotata.
       Cu vui si parra o fimmini,
Fuiti sti canagghi,
Chi cercanu 'ncapparivi
Cu li soi passagagghi.

LXII.
La Taddarita, e lì Surci.
       'Na Taddarita stavasi
Tuttu lu jornu 'nchiusa
'Ntra tani, unni abitavanu
Li Surci a la rinfusa.
       E chisti la suffrevanu
'Ntra la sua cumpagnia,
Un Surci la cridevanu
Siccu pri malatia.
       Idda però in curcarisi
Lu suli, si la sbigna,

E l'ali sparpagghiandusi
All'aria si cunsigna;
       E in idda sammuzzandusi,
Tissennu a tutti banni
Passa li notti a vidiri
Li furti, e contrabbanni;
       E quannu a casu incontrasi
Cu Varvajanni, o Cucchi,
L'adula cu lodaricci
Li belli soi pilucchi.
       Li cosi visti sbómmica.
Nè sunnu sparagnati
Li Surci unn'idda 'nzemmnla
Cci passa li jurnati.
       A chiddi chi si acciurranu
Li Surci pri lu cozzu
Cala cu sta notizia
Meli pri cannarozzu.
       Alliscianu, accarizzanu
La Taddarita ria,
Cun iddi si la portanu,
Sirvennucci di spia.
       Ed a li tani subitu
Juncinu a strata fatta,
S'appostanu, e si aggranfanu
Li Surci a la strasatta.
       Genti di aspettu duppiu
(Ditti da nui faccioli)
Scugnatili, fuitili,
Sfruttatili, figghioli.

LXIII.
Li Lupi.
       A tempu chi l'armali discurrevanu,
Dui Lupi ntra 'na grutta 'ncrafucchiati,
'Nzemmula sti discursi si facevanu:
       Nui semu veramenti diffamati,
Cui nni voli lu sangu, e cui la peddi;
'Nzumma semu dui testi abbaninati;
       Facemu straggi, è veru, di l'agneddi;
Ma ch'avemu a muriri di miciaci?
Si 'un manciamu, pri nui lu munnu speddi.
       Manciati, nni dirrannu, oriu, e spinaci;
Chisti 'un sù nostru pastu; e chi curpamu?
L'à fattu la Natura; vi dispiaci?
       Dispiacitivi d'Idda, nui ch'entramu?
Si cca cc'è culpa, è sua; lu nostru coriu
Nui cu fari li latri arrisicamu.
       Si nni putissi alimintari l'oriu,
O avissimu lu comodu di jiri
A sonu di campana a rifittoriu;
       In chistu casu sì, si purria diri,
Vidennunni ammazzari un animali,
Oh li mostri chi fannu inorridiri!
       Stu casu, non in nui, ma tali quali
Nell'omu si verifica appuntinu.
Nell'omu, chi si vanta razionali.
       Prodighi la Natura, e lu Distinu
L'abbundaru di menzi pri campari,
Ervi, frutti, simenzi, ed ogghiu, e vinu;
       Puru chisti nun ponnu sodisfari
L'intemperanza sua. Lu sceleratu
Autru nun fa, chi ocidiri, e squartari.

       Doppu chi ad una vacca cci à sucatu
Tantu tempu lu latti, poi la scanna,
Chista è la ricompensa di st'ingratu!
       Lu Voi, chi in so serviziu si affanna,
E l'agevola tantu, poi pri paga
Da l'omu a lu maceddu si cundanna!
       Nè stu crudili, e barbaru si appaga
Di la simplici morti; nè cuntenti
Resta, si prima 'un cci fà vozzu, o chiaga:
       Comu sunnu ddi belli complimenti,
Privannulu di attivu, e di passivu,
Pri cui resta a la specj indifferenti;
       O chidd'autru d'esponirlu anchi vivu,
Ad essiri di cani laceratu.
Chi cci pari un spettaculu giulivu;
       E si lu godi supra d'un sticcatu;
E si compiaci di li lamintusi
Grida di chidd'armali turmintatu.
       Nè l'oceddi 'ntra l'aria vennu esclusi
Di l'esegranna sua gula, nemmenu
L'abitaturi di li campi undusi;
       'Nzumma quantu viventi lu tirrenu!.
L'aria, e l'acqua producinu, sù pastu
Dì l'omu; o sù li soi vittimi almenu.
       E pri nun degradari lu so fastu
Cu la taccia di barbaru, decidi,
Chi su machini, e d'arma 'un nn'ànnu rastu.
       Ma lu puntu 'un stà ddocu; stà si cridi,
Chi nun àjanu sensu; 'ntra stu casu
A li soi sensi proprj nun dà fidi;
       Ed è insensatu, o tavuluni rasu
Iddu lu primu, quannu nun rifletti,
Chi l'animali ànnu occhi, vucca, e nasu;

       E chi chisti sù l'organi perfetti
Di lu sensu; e pri propria esperienza
Divi pruvari in se li stissi effetti.
       E si fà qnalchi picciula avvirtenza
A li convulsioni, e a li lamenti,
Di un'armali, chi sofìri violenza,
       Div'essiri convintu interamenti,
Chi lu sensu 'un è sua privata doti,
Ma ch'è comuni a tutti li viventi,
       Nun bastanu pertantu li rimoti
Pretesti pri ammazzarinni qualch'unu,
Ma motivi pressanti, e a tutti noti.
       Lu nostru sulu casu è l'opportunu,
Chi 'un avennu autri menzi pri campari 
Senza straggi muremu di dijunu,
       Lu propriu individuu conservari
E prima liggi; nè avemu autru mensu
Pri putiri la vita sustintari.
       L'Omu.chi sempri adula, e duna incensu
Sulu a se stissu, vistu chi nun spunta
Lu pretestu, chi l'autri 'un ànnu sensu,
       Nni à truvatu unu novu,osserva,e cunta
Li denti di l'armali, si sù fatti
A pala, o puru a chiovu cu la punta,
       Decidi: chi li denti larghi, e chiatti
Su destinati a manciari ervi, e frutti,
E li puntuti sù a li carni adatti;
       Dipoi conchiudi, chi li specj tutti
Di denti imaginabili l'àvi iddu.
Perciò l'onnipossibili s'agghiutti.
       Facennucci anchi bonu stu so griddu,
Pri cui si cridi in drittu di manciari
A crepapanza di chistu, e di chiddu,

       Nun pò l'abusu mai giustificari
Di li carni, giacchì 'ntra tanti denti
Quattru suli scagghiuni pò cuntari;
       Quattru si ponnu diri, o picca, o nenti
'Ntra trenta ,o trentadui, chi nn'àvi in vucca,
O chiatti, o di figura differenti.
       Cu quali drittu dunca scanna, e ammucca
Quanti armali cci sù? Sta conseguenza
Da li principj soi certu nun sbucca.
       E si mai pò vantari 'na dispenza
Di carni in forza di li denti a punta,
La quatttitati è parca, e non immenza.
       Chi quattru a trentadui giustu cci spunta,
Comi'unu all'ottu, pirchi in trentadui
Ottu voti lu quattru si cci cunta;
       Perciò la carni nun trasi a lu cchiui
'Ntra li soi cibi, chi in ottava parti,
Pirchì dunqui nni mancia cchiù di nui?
       Pirchì arriva a manciarisi li quarti
Di la sua propria specj?..Passu passu,
L'autru ripigghia, 'un smuvemu sti carti;
       L'Omu è dui voti Lupu, e cca ti lassu.

LXIV.
La Surcia e li Surciteddi
       Dintra un crafocchiu d'una pagghialora,
Ch'era in funnu a 'na stadda, avìa la tana
'Na Surcia cu li figghi nichi ancora.
     Lu cchiù grannuzzu 'na jurnata acchiana,
S'affaccia 'ntra la stadda, e 'ntra un momentu
Torna, jittannu  'na gran vuci strana.

       Mamà, mamà, chi vitti, chi spaventu!
Ivi ca tremu!.. ajùtu!..E mentri esprimi,
L'afllittu gangulàru un avi abbentu.
       La matri, chi pri aftettu sempri timi.
Si scuncerta, ed occurri premurusa;
Chi vidisti? Chi fu? Pirchì ti opprimi!
       Vitti...ripigghia cu lena affannusa,
Vitti... ajutu, figghioli... ancora tremu!..
Vitti 'na bestia, grossa, spavintusa,
       Cu 'na vucca, chi a tutti quantu semu,
Pari, chi sani sani nni agghiuttissi;
E sbruffa forti, e fa un terruri estremu;
       E zappa cu superbia, comu avissi
A fari gran fracassi, e a la sua vuci
Tutta la casa pari chi cadissi.
       Nun cc'è autru? rispusi duci duci
La matri; và cuétati, babbanu;
Ddocu sù cchiù li vuci, ca li nuci;
       Chistu è 'n'armali bonu; un pocu olanu,
Si chiama lu cavaddu, e quannu zappa,
E un trasportu di focu juculanu;
       Pari in vista, chi l'aria s'appappa;
Ma lu so cori è comu carta bianca;
Nun ciunna, nun divora, e mancu attrappa.
       'Nzumma cu chisti armali a manu franca
Trattaticci sicuri, e 'un dubitati;
L'autri nun vannu d'iddi un pilu d'anca.
       Cussi dicia la matri, ed ammirati
Stavanu tutti a sentiri li figghi
Cu vucca aperta, ed oricchi affilati.
       Poi ripigghia lu primu: meravigghi,
Mamà, nni cunti; ma ti vogghiu diri
'Nzoccu poi vitti 'mmenzu a certi stigghi;

       Un armaluzzu, chi facìa piaciri
Sulu a guardarlu: era di pilu griciu;
E adaciu, adaciu si videva Jiri;
       Li genti cci dicianu: miciu, miciu,
Ed iddu cu modestia, ed occhi bassi
'Ncugnava vasciu vasciu, e sbriciu sbriciu;
       E paria chi la testa si ficcassi
Sutta quasi li pedi di li genti,
E chi mancu la terra scarpisassi.
       Avia 'na vuci melenza, languenti;
Si turceva lu coddu; e si jittava
Facci pri terra a tutti li momenti.
       Basta... gridau la matri, chi trimava,
Mi arrizzanu li carni, e friddu friddu
Sentu un suduri, chi tutta mi lava.
       Ah figghiu, figghiu, tu sì picciriddu,
Giudichi da l'esternu! Oh si sapissi!..
Scànzanni, o celu, da li granfi d'iddu.
       E si avversu distinu a nui prescrissi...
(Ah chi a sulu pinsarlu mi cunfunnu!)
Fa, chi prima la terra nni agghiuttissi.
       Di tutti l'animali chi cci sunnu,
Chistu è lu cchiù terribili; nun cridi,
Nè cridiri lu pò cui nun à munnu.
       A sti cudduzzi torti 'un dari fidi;
Guàrdati da sti aspetti mansueti;
L'occhiu è calatu, però nun ti sbidi.
       Chisti sù sanguinarj, inquieti.
Crudi, avari, manciuni, spietati,
Tradituri, latruni, ed indiscreti.
       Impjeganu li jorna, e li nuttati
'Ntra 'na gnuni, cuvannu qualchi prisa
Cu l'occhi chiusi, e li manu ligati.

       A signu chi cui passa, li scarpisa,
Pirchì si fannu purvuli, e munnizza;
Ma fattu colpu la sua testa attisa.
       Nèscinu l'ugna, e tutta la fierizza;
E mittennusi in cima a li canali,
Passanu di lu fangu a chidd'altizza;
       E tantu in iddi crudeltà prevali,
Chi 'un si appaga di morti violenta,
Ma pruvari cci fa tutti li mali.
       Prima nni rumpi l'ossa,e poi nni allenta;
Nni strascina, nni ammutta.e morti arriva
Tantu crudili cchiù, quantu cchiù lenta.
       Celu fammi cchiù tostu d'occhi priva,
Chi vidiri un spettaculu di chisti
In qualchi figghiu meu, mentri eu sù viva.
       Aimè! quali accurtizza mai risisti.
D'iddi a l'insidj, quann'anchi durmennu
Tramanu novi inganni, novi acquisti?
       Nè sonnu è chiddu sò, pirchì sintennu
Appena un peditozzu, aprinu l'occhi,
E adaciu adaciu si vannu spincennu;
       Si sù guardati, fannu li sant'occhi;
Ma quannu 'un si cci avverti, di la casa
Ciorianu li gnuni, e li crafocchi;
       E intenti sempri a fari la sua vasa,
S'informanu di tuttu, e da la 'ntrata
Passanu sinu all'astrachi la rasa.
       La carni d'ogni specj cc'è grata;
La mancianu ammucciuni, e arraggiatizzi;
Però la cruda d'iddi è cchiù gustata;
       La guardanu in effettu allampatizzi,
Si la vidinu in autu; e prestu, o tardi
Cci jùncinu cu astuzj e scaltrizzi.

       Cci sù Cani a lu spissu; chi riguardi
'Annu a la carni, e regginu custanti
A li tentazioni cchiù gagghiardi,
       E cci stannu indefessi pri davanti
Senza mancu tuccarla, anzi fidili
Da li granfi la salvanu di tanti;
       Ma li Gatti di genia sempri vili,
Vidennula anchi pinta 'ntra lu muru,
Squagghianu pri disiu comu cannili.
       Nnimici a li viventi, odianu puru
La propria specj, ed anchi sgranfugnannu
Fannu l'amuri. Chistu è cori duru!
       'N'zumma è 'na razza, nata a fari dannu:
Ma lu peju qual'è? chi 'ntra l'aspettu
Nun si cci sapi leggiri l'ingannu.
       Guardativi, vi dicu chiaru, e schettu,
Da chisti mansuliddi, comu pani,
Criditi a cui vi parra per effettu;
       E nuddu nescia mai da li soi tani,
Si prima 'un sciogghi sta prighera, e dici:
Giovi scànzanni a tutti, anchi a li cani,
       Da l'orribili trami di sti mici.

LXV.
lu Cani, e lu Signu.
       Un gentilomu avia
'Na vigna, e si lagnava,
Chi frutti 'un nni vidia,
La vurza cci scalava,
Lasciandulu dijunu
Curatulu importunu.
       Lu Vecchiu era presenti,

Lu libru sfugghiau,
Ed opportunamenti
Un simili truvau
Casu, ch'è chistu appuntu
Ch'eu, già traduttu, cuntu.
       Un Cani avìa adocchiata
'Ntra un arvulu sublimi
'Na viti carricata,
Attorta 'ntra li cimi;
Saziavasi a guardari;
Ma 'un cci putia acchianari.
       Vidennu chi pirdutu
Era lu tempu indarnu,
Pinsau circari ajutu
D'unu, chi siccu, e scarnu,
Agili appiccicassi,
E cci la vinnignassi.
       Vidi 'na Vulpi in tana
Nisciuta pri mità,
Cci dici: Veni, acchiana
Chidd'arvulu, ch'è ddà,
Guarda comu stà china
La cima di racina.
       La Vulpi, chi acchianari
Dda supra 'un si la senti,
Cci dici: lassa stari,
Amicu, 'un vali a nenti,
Cci appizzu la fatia,
È agra, 'un fa pri mia.
       Lu Cani però gira
Di cca di dda circannu;
A un Signu poi si ammira,
Ch' incontra trippiannu;


Cridi chi saria chistu
Per iddu un bonu acquistu.
       Affabili cci accosta
Dicennu: tu sì in oziu;
Ti àju circatu apposta
Pri dariti un nigoziu.
Si tu cu mia voi stari
Cc'è viviri, e manciari.
       Sarrà la tua incumbenza
Di appiccicari a un ulmu,
Duvi racina immenza
Pendi da lu so culmu;
Tu cogghi, e jetti a mia,
Jeu poi nni dugnu a tia.
       Cunsenti a un tali invitu
Lu Signu, e di cuncertu
Si avvianu a lu situ,
Già consaputu, e certu:
Arrivanu, e d'un sautu
L'unu è a li cimi in autu.
       La viti era provista
Di frundi, e frutti tantu,
Chi cci spiriu di vista.
Lu Signu trisca intantu
Chiusu'ntra l'abbundanza,
Manciannu a crepa-panza.
       Di quannu in quannu alcuna
Rappa purrita, o virdi,
La jetta, e l'abbanduna,
Lu Cani grida: oh spirdi!
Chi purcaria, chi jetta!
E cu pacenzia aspetta.
       Doppu chi saturatu

Si fu lu furbu, scinni,
Dicennu: Sù arrivatu
Pri fma 'ntra l'intinni,
Ma fradici, e corrutti
Truvai li rappi tutti.
       Chisti, chi ti jittai
Nni su la 'mmustra, e avverti,
Li megghiu ti scartai...
M'àju li rini aperti!
E un jornu, chi a lu stagghiu,
Dijunu ohimè! travagghiu.
       L'afflittu cani in attu
Quasi di santiari:
Veru è, dici, lu pattu
Di dariti a manciari;
Ma jeu cridia sicuru,
Chi avia a manciari puru.
       Comu jiu jiu lu 'mbrogghiu,
Jeu sù razza onorata,
Ed adempiri vogghiu
La mia parola data.
Va sfunna. Ti cunsignu
Stu restu, e mi la sbignu.

LXVI.
L'Insetti maritimi di li sponzi.
       'Ntra tanti,e tanti sponzi chi sù in mari,
Da migghiara d'insetti populatii,
Duvi cci ànnu li casi, e li sulari,
Ciumi, ponti, curtigghi, chiazzi, e strati,
Pri vidirni una, e staricci 'na picca
Lu spiritu di Esopu si cci ficca.

       E in virtù di la sua potenza innata,
Vidi non vistu, e gira, e senza scala
Scinni, e acchiana ogni loggia; allurtimata
Penetra in una specj di sala,
Duvi eranu in consessu radunati
L'insetti li cchiù saggi, ed accimati.
       Si ferma, ed eccu senti recitari
D'unu d'iddi un discursu, unni si prova
Chi l'universu cunsisteva in mari
Duvi la sponza, o munnu so si trova
(Sponza si chiama munnu 'ntra sti banni,
Nun avennu autra idia di cosi granni).
       Agghiunceva dicchiù: chi falsamenti
Avevanu l'antichi soi cridutu,
Chi un munnu sulu cci fussi esistenti:
Mentr'iddu da 'na specula vidutu
Nni avia cu novi soi strumenti esatti
Multi autri in gran distanza accussi fatti.
       Benchì nun si distingui, poi soggiunci,
Si ch'isti tali fussiru abitati;
Lu miu strumentu a tali signu 'un junci;
Ma, si grata udienza mi accurdati,
Mi'ngignirò, signuri, di pruvarlu,
Ma nun mi fidu poi di a vui mustrarlu.
       Pri criari stu munnu da lu nenti
Cci vosi 'na putenza auta, infinita,
E a un Essiri Infinitu, Onnipotenti
Tant'è creari un munnu, e darci vita,
Quant'è crearni centu miliuni:
Ddocu vi lasciu, e bongiornu patruni.
       Lu spiritu di Esopu 'ntra se dissi;
È l'omu pri rapportu all'universu
Picculissimu insettu comu chissi,

'Ntra un restrittu orizzonti chiusu, e immersu
L'atmosfera è lu mari, ed è lu munnu
Sponza chi fluttua di stu oceanu a funnu.

LXVII.
Surci, Giurana, e Merru.
       Cc'è statu sempri 'ntra Surci, e Giurani
Un mari vecchiu, un odiu radicatu
Sin da quannu lu figghiu a Rudi-pani
Cci fu da Guncia-tempuli annigatu:
D'unni surgìu 'na guerra sanguinusa,
Chi 'ntra 'na trumma risunau famusa.
       Finiu di poi: chi Giovi truniannu
Li Granci armati di duri curazzi
Di li Giurani in succursu marciaunu.
A li Surci spilaru li mustazzi,
Truncaru gammi, e cudi cu tinagghi,
'Ntra 'na parola cci dettiru l'agghi.
       Di allura insinu a nui nun cc'è mai stata
'Ntra sti dui specj nessuna azioni,
Chi fussi digna d'essiri nutata;
Ma o sia pri istintu, o pri prevenzioni,
Di cui li testi cci ristaru guasti,
Nun s'incontranu mai senza cuntrasti.
       Dunca un jornu a la ripa di un pantanu
Un Surci avvicinannusi scupriu
Vinìri 'na giurana di luntanu,
Chi senza diri: bongiornu, nè addiu,
D'una punta di juncu lu vrazz'arma,
Poi dici: trasi si ti basta l'arma.
       Ripigghia l'autru: nesci, e veni in terra,
Sugnu cca, pruviremu cui cchiù vali,
Nun manciu filu, veni caniperra...

Ed idda: sollennissimu jacali
Si di valuri, e coraggiu ti vanti,
A 'ncugnari unni mia pirchì ti scanti?
       E tu, ripigghia l'autru, pirchì timi
A viniri cca 'nterra putrunazza?..
Ma mentri cu l'inciurj ognunu esprimi
Cchiù assai chi nun farria cu spata, e mazza,
Si senti un Gaddu dda ncostu cantari,
Ed autri cchiù luntanu replicari.
       Un Merru, chi avia 'ntisu li cuntrasti,
Grida: Nun cchiù, zittitivi un momentu,
Sintitivi sti Gaddi, e tantu basti:
Ognunu in casa sua vali pri centu,
E a stu cricchiutu oceddu lu cumparu,
Canta ogni Gaddu 'ntra lu so puddaru.

LXVIII.
Li Crasti, l'Api, e lu Parpagghiuni.
       Diversi Crasti a forza di curnati
Un gran fasceddu fracassaru d'Api,
E lu meli, e li vrischi sprannuzzati
Si persiru 'ntra vrocculi, acci, e rapi,
Vidennu farni sta mala vinditta
L'Apuzzi si chiancevanu la sditta.
       Un Parpagghiuni dissi: nun è nenti;
Fabbricamuli arreri, l'opra mia
Jeu puru mittirò, stati cuntenti.
Rispusir'iddi: Va pri la tua via;
Qualunqui bestia è bona pri guastari,
Ma nun è poi di tutti lu cunzari.

LXIX.
Li Porci.
    Un rumitoriu quasi clausuratu
Da macchi, e spini, da rocchi, e fussati,
Multi Porci si avevanu furmatu
'Ntra un voscu.chi avia ghiandri in quantitati.
L'istitutu si cridi da Epicuru;
Oraziu l'assicura, eu nun cci juru.
    Si eliggi ogn'annu lu cchiù grossu e grassu
E veni fattu patri guardianu:
L'autri sù eletti poi di passu in passu,
Resta fratellu cu' è cchiù siccu, e nanu,
E pri alcuni soi punti nun decisi
Fannu conclusioni in ogni misi.
    Nesci un gran varvasapiu a disputari,
Lu multu reverennu Anghi-ammulati:
Nesci poi lu priùri ad impugnari,
Lu reverennu fra Commoditati:
Lu primu sputa, e poi 'ntunatu, e sodu,
'Ntavula l'argumentu di stu modu,
    Precettu è in nui lu viviri, e manciari:
Precettu nun lu negu è ancora l'oziu:
L'unu nun divi all'autru ripugnari:
Dunca manciàri è oziu in negoziu...
Ripigghia l'autru: Patri chistu è sbagghiu,
Manciannu si fa motu, ergo è travagghiu.
    La nostra saggia regula è funnata
Supra un precettu di putrunaria.
Atquì facennu lunga masticata,
La vucca cu ddu motu si fatia
Ergo manciari pri puri alimenti,
E dipoi stari senza fari nenti.

    Dissi l'autru: Ritorciu l'argumentu:
S'è travagghiu pri vui lu masticari,
Pirchì la vucca fa ddu movimentu,
Ergo è travagghiu ancora lu parrari,
Ergo vui tantu d'oziu zelanti
Argumentannu siti già in fraganti.
    Ddocu un comuni applausu di 'ngui-'ngui
Interrumpiu lu cursu a la disputa, Chi comu tutti l'autri accussì
Finìu senza conchiudiri...Ma sputa
Un Purcidduni, chi avia la zimarra
Di crita, e fangu, nesci in menzu, e parra:
Oh Reverenni, finirannu in summa
     Sti quistioni di lana caprina?
Pirchì 'ntra vostri vucchi nun rimbumma:
Multiplicati la razza purcina?...
Sautàru altura tri vecchi majali
Dicennu: Chiudi ssa vuccazza armali.
Si la moralità mi ricircati,
     Vi dicu: chi la favula è istruttiva,
E chi cunteni 'na gran ventati,
Di cui nni avemu esperienza viva;
Cchiù d'unu adatta la Religioni
A la sua dominanti passioni.
Dici un avaru: sobriu sù abbastanza
     Pri aviri (cca a mill'anni) all'autra vita
'Ntra li beati una sicura stanza;
Purria fari 'na tavula squisita;
Ma poi nun cci starria beni in cuscenza;
Piaci multu a lu celu l'astinenza.
Lu prodigu si fida chi 'un à avutu
     Nè a beni, nè a dinari attaccamentu,
Da l'impacci tirreni s'à sciugghiutu,

Nè lassa liti 'ntra lu tistamentu;
Cu stu cunfortu opera quantu pò
A fari chi lu so nun fussi sò.
Mi staju in chiesa, dici lu putruni,
     E casa, e figghi raccumannu a Diu.
L'arma 'un allorda, dici lu manciuni,
Chiddu chi trasi in vucca, anzi è ricriu;
Ma quantu da la vucca si tramanna,
Dici lu testu, li nostri almi appanna.
Alliga lu lascivu: È un gran precettu
    Natu cu l'omu lu multiplicari,
A li codici antichi mi rimettu.
Finalmenti àju 'ntisu perorari
Anchi un'mbrugghiuni chi acchiappau pri scutu
Ajùtati, Diu dici, ch'eu t'ajutu.

LXX.
Lu Gattu, e lu Gaddu.
    Maravigghiatu un Gattu di li tanti
Provi di omaggiu, e ossequiu chi un puddaru
Prestava a lu so Gaddu dominanti;
Si cci avvicina, e dici; Amicu caru,
Fammi a parti di tua saggia politica,
Giacchì iu mi trovu in circustanza critica.
    Li Gatti, pri lu cchiu, da mia nun'ncugnanu,
Mi chiamanu a jinnaru...accostu e arrazzanu,
'Ntra d'iddi 'un fannu lega.si sgranfugnanu.
S'arrobbanu a vicenna, e s'amminazzanu;
'Nzumma nun cc'è nè capu, nè unioni,
E si campa 'ntra guerri, e quistioni.
    Viju a l'incontru poi stu to puddaru

Regulatu con ordini eccellenti,
E tu chi cci passìi cu fastu raru,
Comu un imperaturi d'Orienti;
Appena gridi, tutti ti obbediscinu,
E inginucchiati l'ordini eseguiscinu.
    Lu Gaddu gravi cci dà sta risposta:
Tu vidi sulamenti li vantaggi
Pi lu miu statu, e 'un sai quantu mi costa
Di firnicj, di curi, e di disaggi!
Sta Fidi di li mei, stu attaccamentu,
E' ricumpensa, e nun è complimentu.
    Jeu sù, chi quann'occurri di cummàttiri
Cu qualchi armali a lu puddaru infestu,
Lu pettu espognu, e mi cci mettu a bàttiri;
Jeu vigghiu a la custodia, eu manifestu
L'ura di l'arrisbigghiu, ed eu rivelu
Li vicenni di l'aria, e di lu celu.
    Jeu dugnu avvisu a starisi guardigni,
O 'ntariarisi dintra li pagghiari,
Si scopru un nigghiu in aria,o in terra signi
'Aju di cui cci veni ad assaltari,
Lu pisu è miu, su l'organu efficaci
Di la saluti pubblica, e la paci.
    Jeu, si trovu pri terra un cicireddu,
O un cocciu di frumentu mi nni privu
Di farinni usu pri lu mia vudeddu,
Ma chiamu a tutti fistanti, e giulivu,
Lu mustru ad iddi, e lu cedu cu grazia,
E lu vidirli sazj mi sazia.
    Jeu cci scegghiu li lochi cchiù opportuni
Pri farisi li cuvi, e li ciuccati;
Cci staju a li talài da campiuni,
Pri 'un essiri figghiannu disturbati,

Poi fattu l'ovu iu lu miu cantu sparu
Pri dari avvisu a tuttu lu puddaru.
    Jeu sugnu chi mantegnu l'armunia
In tutti quanti, e si qualchi gaddina
O fa la capizzuta, o s'inghirria,
Jeu curru, e cu severa disciplina,
Abbia di pizzuluni.e corpa d'ali,
Cc'insignu li doviri sociali.
    Amicu caru, chistu è lu segretu
Per essiri acclamatu, e pri rignari;
Ti lu confidu, pirchì si discretu,
E da bravu allegatu poi guardari
Da baddottuli, e vulpi stu puddaru,
Chi su pri nui flagella aspru, ed amaru.

LXXI.
La cursa di I'Asini.
       Multi vespi, e muscagghiuni
Scuncirtavanu la testa
A li scecchi, e a li stadduni,
Pri poi farinni la festa.
       Chisti troppu insuperbuti
Di la propria asinitati.
Da ddi bestj punciuti
Intunaru: Libertati.
       E cu sauti a muntuni,
E cu cauci senza fini
Li zimmili, e li varduni
Si scucciaru da li schini.
       Freni rumpinu, e tistali,
Cui cchiù reggiri li pò?
Già si cridinu l'armali
Chi lu numnu è tuttu sò.


       Scioti, e liberi sfirrannu,
La cità è desolata,
Cui pò diri, ohimè! lu dannu,
Chi appurtau sta gran scappata?
       Tutti currinu a migghiara,
L'unu all'autru 'mmesti, e ammutta,
Lu patruni si 'un si para
Si lu chiantanu di sutta.
       Jennu tuttu a devastari,
Cu li vespi sempri addossu,
Poi si vannu a sdirrupari
Tutti quanti dintra un fossu.
       Testi, e gammi fracassati
Sparsi sù 'ntra terra, e fangu.
E li vespi dda appizzati
Si nni sucanu lu sangu.
       A sta nova, chi ricivi
Lu patruni, chi è climenti,
Pri succurriri li vivi
Sauta, e vola prestamenti.
       Nni cacciau li vespi feri,
Chi si cci eranu appizzati,
E a ddi poveri sumeri
Li succurri, e li cumpati.
       Puru (cui lu cridiria!)
'Ntra lu stissu pricipiziu
Cc'è cchiù d'unu, chi caucia
Pri nun perdiri lu viziu.
       Lu patruni a sti maligni,
A sti bestj tradituri,
Fa tagghiaricci l'ordigni,
D'unni surgi stu viguri.
       Poi cu forti capizzuni,

'Nfrena l'autri, e si nni và:
Da li scecchi, e li stadduni,
Sempri arrassu si nni sta.

LXXII.
L'Asinu russu, e l'animali.
    Cumparsi 'na jurnata un sceccu russu,
Pirchì s'avia stricatu 'ntra lu taju,
E lu coddu, l'oricchi, testa, e mussu,
E tuttu in brevi era, 'ntra sauru, e baju,
E 'na crusta indurita anchi cci avia
Canciata tutta la fisonomia.
    L'animali in vidirlu si allarmaru,
Cridennulu un gran mostru novu, e stranu,
E tutti spavintati s'intanaru,.
Iddu a lu scantu d'iddi unciatu, e vanu,
Si critti cosa granni, e pigghiannu anza
Isa la testa, o s'inchi di baldanza.
    Passìa pri ddi campagni cu gran fastu,
Comu nni fussi assolutu patruni,
Nuddu 'ncuntrannu chi cci dassi 'mmastu;
Ma poi per isfogarsi lu pulmuni
Apri la vucca, etta un arragghiu, ed eccu
Chi si duna a conusciri pri sceccu.
     Chiddi chi prima timidi, e scantati
S'avianu 'ncrafucchiatu 'ntra li grutti,
Di l'equivocu cursi e nichiati
Cci fannu trattamenti strani.e brutti.
Giustamenti lu saggiu addunca dissi:
Parrami prima, acciò ti conuscissi.
    Quanti chi nui videmu cu gran tubba,
Chini d'insigni, e di ornamenti rari,
O chi adorni di toga, e lunga giubba,


Fannu a la vista li genti trimari,
Chi parrannu (non ragghi di sumeri)
Ma caccianu carteddi di fumeri.

LXXIII.
Li Surci, e lu Gattu vecchiu.
     Un Surci era malatu: li parenti,
L'amici, e li vicini si aggiuntaru
Pri scìgghiricci un medicu eccellenti,
Ma 'ntra la scelta poi nun si accurdaru:
Chistu.dicianu.è musciu e 'un parra nenti;
Chiddu è millantaturi munsignaru;
Chistu 'un stà 'mmenzu, nun è ricittanti,
Chiddu 'mmesti azzardusu, e ammazza a tanti.
    Mentri sù 'mmarazzati, irresoluti
Veni unu, e dici: lessi ìn certu avvisu.
Chi è vinutu da parti sconosciuti
Un Surci assai di medicina ìntisu,
Chi à rusicatu li libra saputi
D'ippocrati, e Galenu pri distìsu,
'Mpasta l'oturi antichi, e li moderni,
E di la vucca cci nescìnu perni.
    Ma pri lu rangu so nobili, e granni,
E pirchì ancora è multu facultusu,
Nun si abbassa di jiri a tutti batini
Visitannu malati 'nsusu, e gnusu,
Ma cui d'iddu à bisognu nni dumanni
unni vidi l'avvisu. Chistu è l'usu
Di li paisi granni: Persia, Egittu,
Francia, Germania. E cca fmia lu scrittu.
     A sta notizia tutti allegri vaunu
A la locanna, unni lu scrittu stava,

Lu malatu cun iddi carriannu
Nell'ura quannu ogn'omu ripusava,
Sutta la porta jennusi ficcannu,
Trasinu... ddocu appuntu l'aspittava
Lu Gattu vecchiu cu pacenzia e flemma,
Ch'era l'oturi di lu stratagemma.
     Quannu già vidi la vasa sicura
Dici: A guarirvi d'ogni infirmitati
La mia ricetta corrispunni allura,
Anzi vogghiu chi tutti li pruvati,
Dissi; e poi sfoderannu l'armatura,
Jetta c'un sautu, scàrrica granfati,
E 'ntra un grapiri, e chiudiri di vucca,
Lu malatu pri pinnula s'ammucca.

LXXIV.
Diri, e Fari.
       Eranu un tempu amici Diri, e Fari,
Anzi fratuzzi, e a filu duppiu uniti.
Poi lu primu alzau catrida a insignari
L'arti chi tessi di paroli riti.
       Appi in Ateni, e in Roma pri sculari
L'omini li cchiù insigni, ed eruditi,
Ed oggi è risu numi tutelari
Di li curti, li pulpiti, e li liti.
       Quannu si vitti denti, corna, ed ugna,
La forza, dissi, è l'unica chi regna,
E regnari cu socj repugna.
       Di miu frati lu nnomu si trattegna
'Mpizzu a sta lingua, ch'ogni cori espugna:
Iddu però unni sugnu eu nun vegna.

LXXV.
Li Vulpi.
       Avennu avutu rastu di gaddini
'Na Vulpi cu la figghia coti coti
Attraversannu prati, orti, e jardini,
Pri vijuleddi incogniti, e remoti,
S'incrafucchiaru 'ntra frascàmi, e ddisa,
Aspittanuu la notti a fari prisa.
       Vinuta già la notti, impazienti
La figghia d'aspittari, nesci, e scurri
Cu nasu, occhi, ed oricchi tutti attenti,
E s'incamina versu d'una turri,
Ma a lu passari pri certa nuara,
Vidi 'na testa, e subitu si para.
       Vota, torna a la matri, e cunta tuttu;
La matri dici: ed aspittamu un pocu,
La quatèla nun noci. Pri un cunnuttu
Doppu un pezzu si avvianu a ddu locu:
Eccula dda, grida la figghia, osserva
La testa, ch'è curcata supra l'erva!
       La matri attenta, e squatra d'ogni latu,
Vidi chi nun si movi, e 'un dici nenti,
S'anima di coraggiu, e pigghia ciatu;
Poi dici 'un ti scantari, teni a menti,
E a sti paroli mei lu senziu aguzza:
Testa chi 'un parra si chiama cucuzza..

LXXVI.
Traduzioni di la prima favula di Fedru.
Lu Lupu, e l'Agneddu.
    Arsi di siti un Lupu, ed un agneddu
Eranu capitati tutti dui
In un tempu ad un stissu ciumiceddu,
Lu Lupu stava supra, ed assai cchiui
Sutta l'Agneddu situatu arrassu
Unni lu ciumi discinneva abbassu.
    Lu latru,chi aducchiandulu 'ntra un lampu.
Gargiuliari la gula s'intisi,
Un pretestu di liti misi in campu,
Acciò putissi veniri a li prisi:
E dissi in tonu bruscu, e nichiatu:
Birbu! pirchì m'ài l'acqua intorbidatu.
    Chiddu trimannu rispusi: Vossia
Mi scusi, e comu mai lu pozzu fari?
È l'acqua sua, chi veni cca unni mia,
Lu ciumi scinni, nun va ad acchianari.
'Nzaccatu a sti raggiuni ddu furfanti,
Subitu nautru strunfu metti avanti.
     Dicennu: Ora pribiru mi suvveni,
Chi tu, sù circa li sei misi arreri,
Di mia nun nni parrasti troppu beni.
Rispunni ddu mischinu: E comu veri
Ponnu essiri sti culpi, quannu natu
Nun era allura, e mancu siminatu.
     Ah fu to patri certu, ripigghiau
Lu Lupu, chi di mia nni dissi mali;
E in dittu, e in fattu cursi, e lu sbranau.
Quant'omini cci sù a stu Lupu uguali,
Cui pretesti nun mancanu, e strumenti


Pri opprimiri li debuli, e innoccenti!

LXXVII.
Li Ciauli, e la Cucca.
       Dicevanu 'ntra d'iddi
Dui Ciauli 'ntra 'na rocca:
Giacchì semu suliddi
Sfugamu, ca nni tocca.
       Cca nuddu cc'è chi senti,
Putemu sbacantari
Lu saccu allegramenti.
A nui...vaja cummari.
       Cussì, senza un momentu
D'abbàcu, tutti dui
Parraru comu centu
Senza stagghiari cchiui.
       Dissiru cosi ancora
('Mparissi in confidenza)
Chi pri sbuccari fora
'N'ammettinu dispensa.
       Pistannu st'impapocchi
Arrisbigghiaru un Cuccu
Chi dintra a ddi crafocchi
Aveva lu so giuccu.
       Chistu ascutann'un pezzu
La chiàcchiara infinita,
Stizzatu: ora la spezzu,
Dissi, esclamau: pipita!
       Pesta! che 'ncuttu, e fittu
Stu ciarmuliu! mi sturdi.
Ma nun aviti dittu
A muti, e mancu a surdi.

       Chiddi allamparu: e 'un sannu
Sta vuci d'unni vinni.
Poi jennusi vutannu
Dissiru: jamuninni.
       In vucca li naticchi
Mittemucci, o figghioli,
Li mura ànnu l'oricchi,
Li petri ànnu paroli.

LXXVIII.
Surci, e Gatti.
       Spissu pri riparari a qualchi mali,
O pri dari a un delittu la sua pena,
Si cummetti la cura a certi tali,
A cui cchiù di li rei feti la lena.
Si nni vidi un esempiu naturali
'Ntra un contrapostu, chi si metti in scena
Di Gatti, e Surci, e 'ntra 'na favulicchia,
Chi a propositu trasi 'ntra sta nnicchia.
       Li Surci fannu guastu. E chistu è veru.
Dunca mittemu Gattti? cchiù dammaggiu.
Si lu Surci fa un vadu a lu furmaggiu,
Lu Gattu si lu mancia tuttu interu.
       Lu Surci è latru; ma nun è poi feru,
Fui quann'è scuvertu, e nun fa oltraggiu;
Lu Gattu è tradituri, ed è malvaggiu,
E a li stritti si avventa pri ddaveru.
       Lu Surci cci penz'iddu pri li tozza,
Lu Gattu, ultra chi arrobba a tutti banni,
A tavula è lu primu chi s'intozza.
       Putria suppliri a stu svantaggiu granni
Quannu cu pleggi, o a pena di la crozza
Si obblighi risarciri intressi, o danni.

LXXIX.
Lu regnu di li Vulpi.
       Un Vulpi era timutu, rispettatu
Da tutta la sua specj a tali signu,
Chi Esopu nni ristau meravigghiatu:
Quali meritu, dissi, lu fa dignu:
       D'ossequj tanti?.. Rispus'unu a latu:
'Ntra lu regnu, e dominiu vulpignu
Malizia summa, frodi, astuzj, e inganni
Sù li scalini ad auti posti, e granni.

LXXX.
Lu Signu, e lu Cani.
       Spissu fannu a li granni impressioni
Cchiù li pregi apparenti, chi li veri,
Cchiù la tustizza, e l'ostentazioni,
Chi li virtù, e li meriti sinceri;
Nn'è 'na prova stu fattu, ch'eu trascrivu
Tali quali truvai 'ntra un vecchiu arcivu.
       Un Signu aveva apprisu ad imitari
Pochi lavuri, e cosi burginsatichi;
Di poi fu in curti, e misi a cuntrafari
Li curtigianarj li cchiù fanatichi,
E cu sti mimarli stu bistiuni
S'attirau l'occhi di lu so patruni:
       'Chi a cridirlu ammirau forsi staccatu
Da la specj comuni di li Signi,
E spissu spissu si lu misi allatu,
E lu trattava quasi cu carigni,
E cci avia tanta fidi, e deferenza,
Chi cci detti a curari 'na dispenza.

       Cci misi, è veru allatu un Cani braccu
Forti, e capaci; ma la sua fidanza
Era supra lu Signu; e stu vigghiaecu
Nun facia, chi abusarni cu baldanza;
Lu Cani cci vulia sotari addossu,
Ma pri digni rispetti nun si è mòssu.
       Stava un jornu lu Cani addurmisciutu
Supra lu limitaru di la porta;
Lu Signu pazzu, ed anchi 'nzallanutu,
E chi a forza, e pri jugu lu supporta,
Scippa un piruni di la megghiu stipa,
E pri supposta a chiddu cci lu 'ntipa;
       E cu tanta mastria, chi non s'intisi
Lu cani di st'estraniu, chi trasiu,
O pri la sprattichizza nun comprisi
Sta nova specj di vinditta, e sbiu,
Nè pri lu so darreri suspittava
Sapennu ch'era porta chi 'un spuntava.
       Trasi fratantu lu patruni, e trova
Le stipa senza vinu, né piruni
Cerca l'oturi di sta bella prova,
Ma lu Signu cci dici a l'ammucciuni:
Vuliti ('ma 'nsigillu) provi véri,
Guardateci a lu Carii lu darreri.
       St'armali pàti assai di stitichizza,
Non ostanti chi mancia, e mancia beni,
E si licca li piatti 'a stizza a stizza,
Suca lu grasciu di cui va, e cui veni,
Truvannusi lu stomacu indispostu.
Si misi lu piruni pri suppostu.
       Jeu mi nni accorgii tardu, nè putia
Staricci a frunti, è grossu lu 'nnimìcu;
Ma pri truvari a vui di già vinia

Pri essiri liberatu da stu intricu,
Iu cchiù d'iddu fidarimi nun pozzu,
Sfrattatilu, e a pietà daticci un tozzu.
       A lu patruni parsi ragiunevuìi,
E equitabili insiemi lu cunsigghiu,
Multu cchiù chi fu dittu cu amorevuli
Tonu di vuci, e cu piatusu cigghiu,
Quantu lu Signu cci proposi, e dissi,
Approvannu, lodau, si sottoscrissi.
       Cussì lu saggiu e Lu fidili cani,
Ultra lu consaputu complimentu,
Ch'appena cci lassau l'ingrispi sani,
Vinni sfrattatu, e sin da ddu momentu
Ristau 'ncura ad un pazzu la dispenza:
Tant'opra 'ntra stu munnu l'apparenza!

LXXXI.
L'allianza di li Cani.
       Ntra Concu, e Capu di Bona Spiranza,
E in tutta l'Etiopia cci sù Cani
Servaggi, o feri assai, ma chi allianza
'Annu 'ntra d'iddi d'antichi Spartani,
Eserciti furmannu, e battagghiuni
D'affruntari li tigri, ursi, e liuni.
       Lu jornu vannu a caccia squatrunati
Facennu predi di qualunqui sorti,
Poi tornanu a li tani carricati,
Di l'animali in guerra o prisi, o morti,
E cu esattu, economicu bilanciu
Si li spartinu, e fannu lu so ranciu.
       Or'avvinni (pri quantu lu vicchiuni
'Ntra lu tarlatu miu libru truvau)

Chi di sti cani cci nni fu un squatruni,
In cui la gran catina si smagghiau,
Pri l'abusu di avirsi postergatu
Lu pubblicu vantaggiu a lui privatu;
       Pirchì turnannu cu la preda ognunu
Si nni ammucciava deci, e vinti parti,
E dicchiù si spacciava pri dijunu,
Pri dumannari l'autra, chi si sparti,
Perciò la preda nun putia bastari
Pri tutta la gran chiurma saturari.
       Circaru riparari a stu scuncertu
Tutti obbligannu a li riveli esatti,
Ma nun pigghiaru, pri essiri scuvertu
Lu contrabannu, li misuri adatti,
Pirchì tutti sti liggi, e sti misuri
L'avianu imposta li contraventuri.
       Si agghiuncia: chi li dazj da pagari
Eranu ripartuti tantu a chiddi,
A cui l'abbastu vineva a mancari,
Quantu a cui supricchiavacci pri middi;
L'unu pagava a costu di la panza,
L'autru menu di menu chi cci avanza.
       Sta cosa chi purtau? chi l'osservanti,
Li debuli, li vecchi, e li malati,
Cu li ventri ristavanu vacanti,
E li forzi vinevanu mancanti,
Parti murianu di consunzioni,
Parti a la guerra 'un eranu cchiù boni.
       L'uni pri fami, l'autri pri l'eccessu
Di lu manciari abbuttati, e gravusi,
Nun putevanu curriri d'appressu
A l'imprisi cchiù forti, e cchiù azzardusi;
Eranu 'nsumma li pochi ristati

Li cchiù infmgardi, e li debilitati.
     La conseguenza fu chi a un primu attaccu
Foru, in locu di battiri, battuti,
Li lupi ed ursi nni ficiru smaccu.
Pozza st'esempiu so fari avviduti
Tutti li societati di dd'armali,
Chi vantati si sù razionali.

LXXXII.
La Vacca e lu Porcu.
    Mi pari porcu a la fisonomia,
Ma so, chi la tua specj è grassa, e grossa:
Tu sì siccu! patisci d'etisia?..
Ti meravigghi ch'eu sù peddi, ed ossa;
Sacci, chi nun mi tocca in nutrimentu,
Chi l'erva sula, e chista a summu stentu,
    Mi la vaju abbuscannu 'ntra rampanti,
Cca un filu, nautru dda, sempri stintannu.
Li tempi nun sù cchiù, ch'eranu avanti,
Comu sintia cuntari da me' nannu,
Quannu li porci avevanu a munseddu
Ghiandri.e manciari ad uffu 'ntra un tineddu.
    E chi dui misi avanti di la scanna
Li passavanu a tavula di favi,
Chi cci sapianu cchiù di meli, e manna.
Cu sii boni preludj li nostr'avi
Murennu lu tributu ànnu pagatu
All'omu, chi l'avia ben nutricatu.
     Chiddu l'agghiandri, e favi, chi cci dava
Pri meccanica, e chimica maggia,
Tutti poi carni, e lardu li truvava,
E macellannu un porcu s'arricria;
Ma in nui cci trovanu ossa da liccari,

E pri li suli cani diffamari.
    Si allura centu porci di un cantaru
Diffamavanu un populu, di sicchi
Pri diffamarlu nun basta un migghiaru,
Ancorchì d'ossa fussiru assai licchi.
Eccu lu sfragu di la nostra razza,
Chi va a finiri pri sta genti pazza!..
     Dici la vacca: 'Ntra lu stissu casu
Nui semu, e 'ntra l'uguali circostanzi
Pascemu tutti 'ntra un tirrenu rasu,
E di ristucci l'induriti avanzi;
E preni, e strippi, e magri a lu maceddu
Tutti quanti nni portanu a munseddu.
     Tralasciu quantu sentu raccuntari
Di li costumi di paisi saggi;
Chi l'armali, chi s'ànnu a macillari
Li nutricanu prima a grassi erbaggi,
Cci dannu anchi simenza di cuttuni,
E cci feddanu rapi a battagghiuni.
     E cca stissu l'antichi costumavanu
Abbiari 'ntra feudi, e 'ntra riservi,
E nutrivanu beni, ed ingrassavanu
Lu voi, la vacca cu li cchiù meggh'ervi;
Ma li Don Ninnari omini d'aguannu
Pirchì l'ànnu fattu autri nun lu fannu.
    Nun so spiegari sta fatalitati,
Modi frusteri riguardanti a lussu
In capitari cca sunnu abbrazzati;
Però la moda, e l'usu ch'ànnu influssu,
All'utili, o vantaggiu di lu statu
Si lodanu, e si mettinu di latu.

LXXXIII.
La Tigri 'ntra 'na gaggia di ferru.
    'Ntra 'na gaggia di ferru carcerata
Una Tigri frimia. Lu so custodi
Cci dissi: scatta ddocu scelerata,
    Tu, chi 'ntra sangu, e staggi trischi, e godi
Diri osi: chi la vita a sustiniri
Autri menzi nun trovi, ed antri modi?
    Ma pirchì saziannuti a doviri
La tua ferocia crisci, e a varia, e a nova
Straggi ti porta sempri a incrudeliri?
    Chista è certu, certissimu 'na prova
Di cori veru atroci, e sceleratu,
Chi godi in fari mali, e si nni approva.
    E cci scummettu, chi 'ntra ssu sticcatu
Di ferru, unni ti trovi, stai pinsannu
Di squartari, e sbranari ogn'omu natu.
     Nun lu fai, pirchì ostaculu ti fannu
Li ferrati ben forti: 'un ti lagnari
Dunca, si ddocu dintra stai penannu.
    Cci rispusi la tigri: Rinfacciari
Nun ti vogghiu li straggi, e crudeltà,
Chi soli l'omu all'autri specj fari,
    Nè chiddi, chi a la propria specj fà;
Ma ti parru di chiddi sulamenti,
Chi teni occulti 'ntra la voluntà.
    Pirchì nun pò spiegari apertamenti
Comu mia, stannu chiusu 'ntra firrati,
'Ntra li liggi, cioè, ch'avi presenti.
    Chistu si vidi chiaru a li nuttati,
Ch'iddu impiega pri leggiri, o vidiri
Li fatti atroci di li scelerati,

    Chi sù fatti suggetti di piaciri
'Ntra li teatri unni li morti antichi
Risurginu pri vidirsi muriri,
    Pri vidirni li palpiti, e li dichi,
Sintirinni li lastimi, e lamenti,
E di li scelleraggini l'intrichi.
    Antri vannu piscannu sti argumenti
'Ntra li fatti cchiù atroci, e sanguinusi
Di la cchiù vecchia istoria, o la currenti,
    Comu vuturi, chi a li cchiù fitusi
Carogni vannu in cerca a disfamari
Li brami soi crudili, e schifiusi.

LXXXIV.
Lu Codici Marinu.
       Conosciutu è in Sicilia l'anticu
Nomu di Cola-pisci anfìbbiu natu
Sutta di lu secundu Fidiricu:
Omu in sustanza ben proporzionatu,
Pisci pri l'attributu singulari
Di stari a funnu cu li pisci in mari.
       Scurrennu li gran pelaghi profunni
Facìa lunghi viaggi, e rappurtava
Li meravigghi visti sutta l'unni,
E multi di sua manu li nutava.
Mi è capitata 'ntra li tanti chista
Scritta di propria sua manu, e rivista.
       In funnu di lu Balticu, e a li spaddi
Di 'na muntagna in mari sprofundata,
Cuverta d'un voschittu di curaddi
Vitti 'na turba granni radunata
D'insetti molestissimi forensi,
Chi trattava un processu 'ntra sti sensi:

       Si truvau devoratu un grossu tunnu,
E pri st'accasu foru processati
Pochi sarduzzi ritruvati a funnu
Supra di un ossu cu li mussi untati.
Lu liscu, ch' è un strumentu chi vi frica,
Cci apriu di tunnicidiu la rubrica.
       E tantu ddi sarduzzi, chi liccaru,
Quantu chiddi, ch'in bucca avianu grasciu
Tantu chiddi, chi appena lu cioraru,
Tutti foru comprisi 'ntra lu fasciu,
Dicianu: Ccà nun cc'è ossu, nè spina,
Foru coti in fraganti, è prova china.
       La nostra liggi parra tunnu, e chiaru:
«Lu Pisci grossu mancia lu minutu»
Ccà li minuti lu grossu manciaru,
L'ordini di la liggi ànnu sburdutu,
D'una liggi, ch'è in nui fundamintali,
Dunca sù rei di pena capitali.
       Di li poveri esclama l'avvocatu:
Pri st'infelici la difisa è chiara:
Lu schéretru di l'ossa è smisuratu,
Lu tunnu almenu era di tri cantara;
Tutti sti sardi 'nzemmula assummati
Nov'unzi nun cci sù si li pisati;
       Si scapulanu cchiù di li nov'unzi
(Comprisi anchi l'entragnos tutti quanti
Cu li squami, li reschi, peddi, e 'nzunzi)
'Mpinnitili, e livatili davanti;
Ma si 'un ponnu nov'unzi scapulari
Stù tunnu unni si l'appiru a ficcari?
       Ripigghiava lu fiscu: li misuri,
E li pisi nun sù punti legali,
Servinu sulu pri li vinnituri;

Cca si tratta di causa capitali,
Nè 'na rubrica di cui vinni, e spenni
Putrà smuntari 'na liggi sollenni.
       E datu, chi nun fussiru li sardi
Rei tunnicidi, è puntu stabilitu:
Ch'unni mancia lu grossu nun azzardi
Nemmenu di liccari lu minutu...
Concedu, dici l'autru, chista è curpa;
Ma ccà si tratta d'ossu, e non di purpa.
       Si sbattiu di cca, e dda citannu testi
In gerghi girbunischi oltramarini,
E si citaru codici, e diggesti,
Commentati da cernj, e da 'mmistini,
Purtaru fatti, e tantu scarruzzaru
Chi lu puntu mattanti lu sgarraru.
       Sidevanu da judici li granci,
Lu prisidenti era un granciu fudduni;
Tutti a dui vucchi, acciocchì l'una manci,
L'autra addrizzi buggj, torcia ragiuni,
E cu ottu pedi a croccu a dritta, e a manca
Trasevanu di chiattu, e di fajanca.
       Nun ànnu accessu a sti divinitati
Salvu chi li supremi sacerdoti;
Cioè li compatroni, e l'avvocati;
Li curiali un pocu cchiù rimoti
Curunanu li vittimi di ciuri.
Mentri vannu sucannuci l'umuri.
       Tuttu lu restu è populu profanu,
Nè 'ntra stu santiuiriu metti pedi,
O 'cci trasi 'ntra un locu stramanu
S'agnuna, e guarda la suprema sedi,
Chi di la vita disponi, e di tanti
Aviri, e facultà di tutti quanti.

       Doppu chi sessionaru un lungu pezzu,
Da una parti, e da l'autra l'avvocati;
E lu fìscu a li straggi sempri avvezzu
Nni vulìa 'mpisi e nni vulia squartati,
Li judici gridaru: fora tutti,
E s'inchiusiru suli 'ntra li grotti.
       Chisti dunca spusannu a la prudenza
Li riguardi a li propj fortuni,
Consultanu lu codici, ma senza
Dari un ucchiata a lu sensu comuni,
Nun vulennu avvilirisi a pinsari
Comu pensanu tutti li vulgari.
       Dicevanu dicchiù: si s'apri strata,
A consultari la ragiunì un pocu,
La curia tutta quanta è ruinata,
Nè lu foru legali àvi cchiù locu,
E qualunqui idiota, o strafalariu
Trasirà 'ntra lu nostru santuariu.
       Si nui circamu cui effettivamenti
Si divurau lu tunnu, nni tiramu
L'odiu di l'iinmistini oggi potenti.
Basta ch'in chisti un qualch'esempiu damu.
O liccaru, o cioraru, è sempri un casu
Sunnu sensi ugualmenti è vucca, e nasu.
       Cu sti riflissioni santi e giusti,
Mittennusi lu testu avanti l'occhi,
Scrissiru cu li spini di lagusti
La sintenza racchiusi 'ntra crafocchi,
Chiusa cu un ita quod per appendici,
Ch'in gran parti la sburdi, e contradici.
       Si assolvanu li sardi di la morti,
Ita guod nun putissiru campari.
A st'oggettu li squami, ed ogni sorti

PRIMA PARTE
Favuli morali
PRIMA PARTE
MONUMENTO A
GIOVANNI MELI
Di grassu, e 'nzunzi, e peddi devorari
Si li diva lu fiscu; e in spiaggi ingrati
Li rimasugghi sianu confinati.
       Sta sintenza, riguardu a lu fatali
Codici, parsi d'equità vistuta;
Però certuni dissiru: chi mali
L'equità fussi stata cumpartuta;
Ch'in canciu di distinguiri confunni
Li ciauraturi, e li licchiabunni,
       'Ntra un annu intantu di fricazioni,
Di carceri, stritturi, e assaccareddi
Va trova sardi cchiù? Di porzioni
Nun nni ristau, chi sula resca, e peddi:
L'autra mitati sfumau pri la strata
Da l'insetti fiscali divurata:
       Pri riguri di codici st'insetti
Nun putianu li sardi devorari;
Ma lu ritu in virtù di soi ricetti
Fa tuttu impunementi fari, e sfari;
Pertantu cui stu ritu oggi professa
Si metti supra di la liggi stessa.
       Cola proposi sta diificultati:
Si cca la forza è chidda chi privali
Pirchì inventari sti formalitati,
Judici, foru, e codici legali?
Chista da Cola a un trigghiu fu proposta,
Ed eccu qual'è stata la risposta.
       Li granci avvezzi a perdiri jurnati
'Ntra l'oziu insidiannu li pateddi,
Nè avennu forza, lena, e abilitati
Di assicutari vopi, ed asineddi,
Idearu un sistema di sta sorti,
E poi l'insinuaru a li cchiù forti.

       Dimustrannunni l'utili, e profittu,
Chi quantu cu la forza ànnu defattu
Cunvinìa, chi l'avissiru di drittu
Autenticatu in codici, e cuntrattu;
E li niputi o pocu, o nenti bravi
Di li vantaggi godanu di l'avi.
       Chiddi chi li soi figghi, e li niputi
Si vidinu pri drittu assicurati
Sunnu ad autorizzari divinuti
Li granci cu li vucchi scancarati,
E d'unanimi votu si proponi
Fidarni ad iddi l'esecuzioni.
       Stu codici li granci esaggerannu
Mustraru ad evidenza lu vantaggiu
Di li potenti, e lu minuri dannu
Possibili pri l'autri. E tantu saggiu
Parsi a la vista da la scorcia in fora,
Chi fu abbrazzatu, e si osserva tuttora.

LXXXV.
Lu Castoru, e autri animali.
       Un Castoru elogj senti
Di una Vulpi celebrari;
Cui lodava li talenti,
Cui li soi numeri rari.
Dici a chisti: in pregi tanti,
Chi mi aviti decantati,
       Pirchì 'un sentu misi avanti
Bona fidi, e probitati?
Sù li primi chisti tali,
E senz'iddi 'un vannu un cornu
L'autri pregi, anzi cchiù mali
Fannu a tuttu lu cuntornu;

       Ddocu vitti chi ammuteru;
Iddu torna a lu so tonu:
Lu talentu è pri mia zeru,
Si lu cori nun è bonu.
Cca finisci lu testu; jeu vi promisi
Chi a drittu, o a tortu cci avia a cafuddari
       Qualchi moralità; si lu curtisi
Letturi franca mi la fa passari
Cci la dugnu pri vera, e dimustrata,
Pirchì da longa esperienza è nata.
Nun sempri è saggiu l'omu, pirchì è dottu,
Ne sempri è dottu l'omu, pirchì è saggiu,
       Cui quattru.e quattru nun sà chi fann'ottu,
Spissu in costumi è a Socrati paraggiu:
Nautru chi a li scienzi va di trottu
Pò sciddicari 'ntra un libertinaggiu,
O si mai junci ad un postu eminenti
Pò divintari superbu, e insolenti.
       Sunn'utili a lu statu li scienzi,
Ma però la saggizza, e lu costumi
Sù necessari, e su l'unici menzi
Pri mantiniri l'argini a stu ciumi.
Giacchì pr'istintu propriu a violenzi
L'omu è purtatu, e assai di se presumi,
       E sin da lu so nasciri palisa
Sta sua tendenza ben chiara, e decisa:
Chi si ad un picciriddu dati in manu
Un pupu, a lu momentu è decollatu,
E doppu pocu 'un cci nn'è un pezzu sanu.
Granni da la ragiuni è raffrenatu,
       Ma l'insitu di chista spissu è vanu,
Pirchì veni a l'istanti suffucatu
Da passioni chi pri so ritaggiu
Caccia di sutta lu truncu sarvaggiu.