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Giovanni Meli - ODI
Seconda parte


















































































GIOVANNI MELI
Commento di
Francesco Coppola
(Ricercatore I.R.R.E. Sicilia)



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Facendo un salto di alcuni secoli vorrei soffermare la mia attenzione su Giovanni Meli, uno dei poeti più interessanti della nostra tradizione letteraria, l’opera che ci ha lasciato dimostra la sua vastissima cultura; egli è conosciuto soprattutto per “La Buccolica” e le “Favuli Morali”, ma è autore anche di “Odi” oltre che di vari altri componimenti, e proprio in questa raccolta, forse poco organica e senza un filo conduttore, si trovano alcuni gioielli che è il caso di analizzare.
Vorrei partire da “Lu labbru”, un componimento di estrema eleganza formale che si trova spesso citato come uno degli esempi più significativi della musa meliana. Qui non potrei proprio parlare di simbolismo floreale, qui il fiore è utilizzato in senso proprio, non è metafora di altro. Ma leggiamo qualche verso: Dimmi, dimmi, apuzza nica,/ Unni vai cussì matinu?/ Nun cc’è cima chi arrussica/ Di lu munti a nui vicinu:/ Trema ancora, ancora luci/ La ruggiada ‘ntra li prati:/ Duna accura nun ti arruci/ L’ali d’oru dilicati!/ Li sciuriddi durmigghiusi, ‘Ntra li virdi soi bottuni, Stannu ancora stritti e chiusi/ Cu li testi appinnuluni./... (Odi, 6). Nel prosieguo dell’ode il poeta dà indicazioni all’ape su dove posarsi per trovare il miele più dolce, naturalmente sulle labbra della sua amata Nicia. Ma per quel che ci interessa, vorrei far notare l’estrema delicatezza di questi fiorellini addormentati, coi boccioli serrati, con le loro corolle ancora chiuse e la testa reclinata; sembra quasi si stia parlando di bambini che dormono. Questi versi rappresentano forse il culmine della poesia meliana!
Il componimento e altri due che ora affronterò fanno parte di una più ampia corona poetica che ha come oggetto la donna amata dal Meli, i componimenti esaltano le varie parti fisiche della donna o alcuni suoi aspetti, focalizzando un particolare, per es. “La Vuci”, “L’Alitu”, “Lu Neu”, il poeta usa una tecnica molto simile a quella della macrofotografia: un particolare ingrandito fa perdere la percezione del tutto e rende l’oggetto focalizzato come un piccolo mondo a sé. Questa poesia del particolare opera una sorta di trasfigurazione che toglie all’oggetto quasi la sua consistenza reale.
“Lu Pettu” è un'altra prova degna d’interesse, composta nel 1777, fu ispirata da donna Mela Cutelli (cui è dedicata anche “L’occhi”). Il titolo forse non è molto indicativo, dal momento che nel componimento si parla piuttosto del velo che impedirebbe al poeta di vedere le delizie della sua donna, il petto per l’appunto. I modelli cui s’ispira il Meli sono molteplici, fra tutti cito il Marino e il Fontanella: “Qual bianca nube l’odorosa tela”. Ma non sarebbe difficile citare altri poeti che hanno cantato il motivo del velo, si pensi al Gessner, che ha un’immagine che sembra aver suggestionato il Nostro: “Al giovin seno il vel stringea, che ardito/ scoprir tentava il lascivetto Zefiro”, ma potrei ancora ricordare il Pucci e il Sannazzaro quando nell’Arcadia descrive il seno di Amaranta.
In quest’ode il Poeta descrive un giardino che appare come un piccolo mondo primigenio, un giardino edenico in cui Amore raccoglie rose ed altri fiori per farne due mazzetti, vi spruzza poi fiocchi di neve per ravvivare la composizione e il bouquet è pronto per essere donato, qui Amore, che è l’innamorato, si identifica col Poeta il quale con altra variazione celebra le qualità della sua donna. Vi sono tutti i motivi di un canto erotico: il dio, i fiori, il candore della neve e infine il paradiso. Questo però avviene soltanto nella prima strofe del componimento, nel prosieguo il godimento contemplativo è limitato dal velo della pudicizia. Amore non trova il suo completo appagamento e il poeta chiama in aiuto Zefiro, che spazzi via questo velo, il canto termina lasciando intendere la difficoltà della cosa.
L’ultimo componimento di questa serie è “Lu Non-So-Chi”, nell’odicina, pubblicata nel 1814, è svolto il tema dell'indefinibile fascino per il quale la donna del cuore è sempre più bella di tutte le altre. Il motivo del non-so-che, quale espressione usata per indicare l’indefinito e l’ineffabile, è frequente nell’ambito della poesia arcadica, si ricordi ad es. Il Bugiardo del Goldoni, il ritornello della serenata di Florindo nella I scena. Il componimento ha una sua notorietà: in un saggio, intitolato Per l’arte (Catania 1885) il Capuana dice “ddu certu non so chi dell’Abate Meli”. Questo componimento a mio avviso appare un po’ diverso dai precedenti perché, sia pur nella sua leggerezza, sia pur all’interno di un genere laudativo, si caratterizza per un maggiore realismo. Qui la figura della donna mi pare un po’ meno idealizzata, a partire da quel “Bedda bedda-nun cci sì”; il poeta è comunque tenero con la sua donna perché la chiama “vijuledda”, un fiore, direi quasi, più familiare senza essere di tono minore, un fiore non impegnativo ma bello perché prodotto di natura, certamente non caricato di altri significati, un fiore non aristocratico insomma, ma popolare senza essere volgare.
Passiamo ora ad un componimento in cui il fiore è veramente utilizzato in senso simbolico, l’ode si intitola “Lu gesuminu”, in essa viene svolto il tema della caducità della bellezza congiunto con quello dell'incostanza del cuore femminile. La celebrazione del gelsomino è motivo frequente nella lirica amorosa del Sei e Settecento, si pensi al sonetto anonimo “Gelsomino in bocca di bella donna” o ad una cantata del Rolli “Son gelsomino, son piccolo fiore”. Ma qui, come altrove, l’Autore ha la capacità di rinfrescare lo spunto ben noto e tradizionale con la novità della invenzione. Il Poeta si rivolge direttamente al fiore chiedendogli perché si mostri a lui in maniera sostenuta: tu m’ammaschi; è già la prima prefigurazione di un rapporto uomo-donna, l’uomo infatti continua dicendo Stari in menzu di sti raschi, (fiordilatte) / nun lu negu, ch’è un gran chi. La terza strofe (vv. 9-12) è un invito alla moderazione, alla modestia. La quarta strofe (vv. 13-16) riprende il classico motivo dell'incostanza
femminile e quello della fugacità della bellezza, rappresentato per analogia con la brevità della bellezza dei fiori; ed è un luogo comune nella tradizione letteraria, si veda per es. il Gessner “Debil narciso, ahi come tristamente/ chini il languido capo a me daccanto./ In tua freschezza ancor l’alba ti vide;/ or sei svenuto...”. Quindi viene additato, come monito un garofano che il giorno prima era stato considerato una divinità, mentre ora si trova in bassa fortuna e non tocca più “cantusciu” cioè veste femminile lunga, elegante e verosimilmente pregiata, e pertanto si lamenta. La chiusa dell’ode (vv. 29-32) è di carattere moraleggiante: è una cuccagna laddove regna l’incostanza perché la fortuna con la sua mutevolezza può toccare chiunque. Il finale risente un po’ delle “Favuli morali” che abbiamo detto il capolavoro del Meli.
Ciò che mi pare strano nell’ode, e per questo, interessante notare, il fatto che il gelsomino venga visto come simbolo d’orgoglio, mentre la sua leggerezza, forse fragilità, lo destinerebbero quasi ad altri usi, - ma poco importa -, per il Meli il gelsomino è simbolo di altezzosità.
Col carme successivo, “L’aruta”, rimaniamo sempre nell’ambito della poesia moraleggiante, quest’ode è un po’ il contraltare della precedente, la ruta infatti è un’erba perenne, tipica dei luoghi aridi, dall’apparenza modesta, quindi molto diversa dal gelsomino, simbolo della lussuria. L’ode prende spunto da una malattia di Nicia, la donna del Poeta, che ammalatasi, è stata salvata dalla ruta, da qui quasi una maledizione agli altri fiori, rose, gigli e gelsomini, e l’esaltazione della ruta. Leggendo il componimento rileviamo che l’immagine ai vv. 3-4: nudda Ninfa chiù vi tegna/ ntra lu so pittuzzu finu l’abbiamo in qualche modo già vista nell’ode “Lu pettu”: Ntra ssu pittuzzu amabili, ortu di rosi e ciuri,/ dui mazzuneddi Amuri/ cu li soi manu fa.”
Gli ultimi versi (21 e segg.) hanno carattere più moraleggiante, tutta la strofe è un rimprovero ai fiori per la loro altezzosità, per l’orgoglio che mostrano; in questo rimprovero “fiori, in mezzo a questo mare di guai voi ve ne state freddi e oziosi” forse c’è un’eco di un famoso verso catulliano: “Piangete Veneri e Amori, è morto il passero, gioia della mia ragazza”. C’è, sia in Catullo che in Meli, il chiamare a raccolta un mondo per un canto di dolore ma anche d’amore; però i fiori del Meli sembrano più insensibili delle creature di Catullo. Il carme finisce con la lode della ruta, simbolo di modestia, virtuosa e dimessa, che vive semplice e beata e s’appaga di se stessa. Potrebbe essere un ammonimento valido per chiunque.



Tratto da: www.lires.altervista.org

Pagina a cura di Nino Fiorillo == e-mail:dlfmessina@dlf.it == Associazione DLF - Messina
XXXII.
Contra la sua professioni di Medicu, chi l'auturi cridia d'aviricci smurzatu lu geniu di la puisia.
       L'Anacreonticu
Geniu brillanti,
Ninfi chiancitilu,
È agonizzanti.
       Mesti li Grazj
A lu so latu
Lu sguardu languidu
Tennu appuntatu.
       Lu briu 'ngramagghiasi
D'un vilu fuscu,
Comu 'ntra tenebri
Striscia un surruscu.
       Comu succurrirlu,
Ah comu mai,
Quannu li farmaci
Su li soi guai?
       L'arti asclepiaca,
Ahimè, chi affannu!
Idda è la causa
Di lu so dannu.
       Cu la patetica
Sua gravitati
L'estru, e li spiriti
Cci à congelati.

XXXIII.
Scherzu di l'Auturì su la condiscendenza di lu so Amicu D. Marianu Scassu.
       Cui voli vidiri
Jochi, e pruvitti
D'un omu machina
Chi mai si vitti;
       Sù vegna subitu,
Spresci lu passu,
Lu prezzu è picciuliu,
Granni è lu spassu.
       Vi farrò vidiri
Cosi mai visti
Nell'autri seculi,
Nè mancu in chisti.
       Chistu è un Automatu
Cussì benfattu.
Ch'avi un consimili
Di gustu, e tattu.
       Arriva a vidiri,
Ma cu l'ucchiali,
Senti benissimu,
Nè odura mali.
       Fa cirimonj,
Parra, saluta,
Abballa, sauta,
Ridi, stranuta.
       Si copri, e scoppula
S'avi cappeddu,
Gesta cu grazia,

È aggarbateddu.
       Dici facezj
Bizzarri, e strani,
Da fari ridiri
E gatti, e cani...
       (Junti tinitivi
Però li risi)
Junci a traduciri
Libri francisi.
       Lu cridirissivu?
Cc'è un attestatu,
Cc'è provi validi,
Ch'à generatu.
       Tanti prodigj,
Tanti portenti
Sù fatti a penn'uli
Machinalmenti.
       Chi abbenchì mustrasi
'N'omu benfattu,
Liberu arbitriu
Nu' nn'avi affattu,
       Sulu lu movinu
L'oggetti intornu,
'Na donna, un cavulu,
Un servu, un cornu.
       Stu pupu organicu,
Chi fa li moti
Pri susti, ed organi,
Pri ordigni, e roti,
       Muntatu è in comica,
Ed è a momenti
Saggiu, o freneticu
Comicamenti.

       Tuccati st'organu,
E l'avirriti
Santu, o diavulu,
Comu vuliti.
       Stiddi, e meteori
Cuntempla spissu;
Ma poi sprimitilu,
Sempr'è lu stissu.
       Quann'entra in chiacchiara
Cu li pirsuni,
Cui parra l'ultimu
Sempri à ragiuni.
       Pri quantu fussiru
L'ordigni esatti,
Nun sempri accordanu
Paroli, e fatti.
       Mettiri in opera
Fini, e disigni
Ddocu nun juncinu
L'interni ordigni.
       Però 'ntra giubili
'Ntra spassi, e sciali
E un capu d'opera,
Chi 'un à l'eguali.
       Chisti, e non autri,
Chisti tassati
Sù di sta machina
Li risultati.
       Nè cc'è a sperarinni
Affattu cchiui;
Finuta st'opera
Vi chianta e fui.
       Cui pò lagnarisi?

E murmurari?
Da un puru automatu,
Cc'è cchiù a sperari?
       Cunsidirannulu
Attentamenti
Nun lassa d'essiri
Cosa eccellenti.

XXXIV.
LA CANUZZA.
A S. E. la sig. Cuntissa Giggi.
       Privileggiu è di li musi
Lu putiri penetrari
Di li Dei l'arcani chiusi,
Lu profunnu di li mari,
Li pianeti, e stiddi fissi,
E lu centru di l'abbissi.
       In virtù di tanta, e tali
Facultà, mia musa scisi
Ad un battiri di l'ali
'Ntra li beddi campi Elisi.
Dda truvau sutta di un ramu
Lu Filosofu di Samu.
       Dimm' in grazia, o anticu saggiu,
Cci diss'idda, quali armuzza,
Anni sù, fici passaggiu
'Ntra lu corpu a dda canuzza.
Chi di Giggi a la Cuntissa
Tantu in cori cci sta fissa?
       Cci rispusi: È 'na fidili
Arma tenera, e amurusa.
Chi 'ntra un nobili, e gentili
Giuvinettu stetti chiusa;

Chistu pr'idda di amuri arsi,
Squagghiau comu cira e sparsi.
       Si presenta l'arma amanti
A Minossi. E chistu: Orsù
Grida in tonu fulminanti:
Cosa veni a fari tu?
Comu ardisci 'ntra stu locu
Di purtari focu a focu?
       Dici, ed apri in ferreu stili
Lu gran libru di lu Fatu,
Duvi leggi: Arma fidili
Passi in cani. Eccu svelatu
Lu destinu to, e si appressu
Voi carizj, muta sessu,
       Torna in terra, e darai vita
A 'na cani fortunata,
Da li Grazj favurita,
Chi sarà la ben'amata
Di la tua cuntissa Giggi...
Parti e scordati lu Stiggi.
       Chistu in premiu ti si dà
Di la scelta... Ma già chiama
Lu Destinu... Curri... Và...
Nasci arreri, godi, ed ama,
Giacchì amari un dignu oggettu
È doviri, e non difettu.

XXXV.
Lu sistema sessuali di li ciuri di lu celebri Linneu.
       Nici sai pirchl stu ciuri,
Chi stà sutta la tua gorgia,
Tanta pompa e lussu sforgia
Di fraganza e di culuri?
       Pirchì è un lettu nuziali,
Chi natur'à priparatu
A 'na Zita ch'avi a latu
Deci spusi in fiocchi e in gali
       Vidi quantu sù galanti
L'apparati, li curtini!
Quantu vaghi, quantu fini
Sù li rasi di li canti!
       'Ntra 'na conca chi cc'è menzu
Stà la spusa, e ogni maritu,
Aspittannu lu so invitu,
A l'abbrazzi è già propenzu.
       'Ntra li palpiti amurusi
Si distilla la ducizza,
Chi si cogghi a stizza a stizza
Poi da l'api industriusi...
       Ma tu canci, oimè, d'aspettu;
Tu ti copri di russuri!
Nun è chistu, ah no, lu ciuri,
Chi cunveni a lu to pettu.
       Eccu cca chist'autru: osserva
Cca cc'è sula 'na Spusina,
Chi 'na pura cìamma fina
Per un Zefiru cunserva.
       Iddu parti all'alba avanti,

E radennu prati e lidi,
'Ntra li ciuri si providi
Di l'assenzi fecondanti;
       Senza pausa scurri, e in fretta
Movi l'una e l'autra aluzza,
E amurusu poi li spruzza
Sù la spusa chi l'aspetta.
       Vidi comu a lu so ciatu,
Idda s'anima, e ravviva?
Nici apprendi a quantu arriva
Un amuri dilicatu!
       Ed ammira, o Cori miu,
Jetta l'occhiu a tutti banni,
Quant'estisu, quantu granni,
E l'imperiu di stu Diu!

XXXVI.
DAFNI.
       A la forma, ed a lu ciauru
Sugnu un arvulu di addauru;
Puru oimè! sti virdi cimi
A li primi tempi foru
Fila d'oru a fiocchi, o a munti
Supra vaga, e bulla frunti!
       Sti mei rami stisi, aperti,
Da li pampini cuverti,
Foru vrazza bianchi, e fini
Cu li vini trasparenti;
Lu parenti, e patri meu
Fu lu fluidu Peneu.
       Stu miu pedi nun è statu
Sempr'in terra sprofundatu;
Nè sì ruvidu, e pisanti;

Fu galanti, e si speditu
Chi l'arditu Apollu stessu
Cursi indarnu ad iddu appressu.
       Pri saharimi illibata
Fici, oimè! dda gran scappata;
Pri cui chiamami crudili
Lu gentili, e biundu Iddiu.
Ahi! Pers'iu l'anticu aspettu,
E aju figghi a miu dispettu!
       Sti razzini, sti jittuni,
Ch'in mia forman'un macchiuni,
Sù li mei figghi, e niputi,
Cunciputi da mia sunnu
A lu munnu tanti eredi
'Ntra li vini di lu pedi.
       Da li mei paterni spiaggi
Ccà 'ntra prosperi presaggi
Da li Musi fui purtata
Pri 'na data profizia:
Chi duvia sta macchia tutta
Divintari stanza, e gratta:
       Acciò quannu Febbu scagghia
Rai cucenti, e l'occhi abbagghia,
Jeu d'Apollu ad un dilettu
Umbra, e tettu cci pristassi,
E ecà stassi assemi chiusa
La sua paci, e la sua Musa.

XXXVII.
LA FILOSOFIA D'ANACREONTI.
Diretta a lu Cav. D. Antoniu Forcelli.
       Saggiu è cui disiu nun stenni
Fora mai 'di la sua sfera,
E nun cura li vicenni
Di la sorti lusinghera:
       Chi sà cogghiri l'istanti
Menu amari di la vita,
L'autri annega tutti quanti
Ntra 'na malaga squisita,
       O 'ntra un siculu licuri,
Chi la facci avviva in russu,
E li càncari, e li curi
Manna tutti in emmaussu.
       S'inflessibil'è lu fatu
Cosa mai sperarni d'iddu?
Sia benignu, sia sdignatu
Manciu caudu e vivu friddu.
       E di chistu oppognu all'onti
Scutu ben timpratu, e finu,
Armi assai sicuri, e pronti
Di buttigghi, gotti, e vinu.
       E lu suli di jinnaru
Lu piaciri a li murtali,
Nun si affaccia chi di raru
'Ntra li negghi di li mali.
       Giacchì uman'arti, o scienza
A domari nun arriva
Di li stiddi l'inclemenza,
L'alma almenu sia giuliva.

       Sin chi megghiu panacia
Nun si trovi a fari smaccu
Di ogni scura e trista idia,
Jeu mi tegnu forti a Baccu.
       E a vui sfidu o saggi, e dotti,
Si scummetta oggi fra nui,
Vui cu libbra, ed eu cu gotti,
Cu' è echiù allegra e saggiu cchiui.

XXXVIII.
Su lu stissu sistema.
       -Jeu sù vecchiu, e cchiù di mia
-Fu già vecchiu Anacreonti
-Di l'allegra poesia
-Di li grazj lu fonti;
       -Dunca via dammi la lira,
-Si sù vecchiu, e chi cci fà?
-Quann'Apollu e Baccu spira,
-Tutti semu di un' età.
       È lu briu chi fa l'essenza
Di l'amata gioventù,
A cui Baccu nni dispenza
S'era vecchiu, nun cc'è cchiù.
       Vecchiu allegru è quasi un ciuri
'Ntra lu rigidu frivaru,
Chi si ammira cu stupurì,
Chi s'apprezza pirchì è raru.
       Jeu sù chistu, o donni cari,
Baccu tuttu mi rinova,
Sù sfidatimi a scialari
Ch'eu mi dugnu ad ogni prova.

XXXIX.
L'ILLUSIONI.
       'Ntra un'altura inaccessibili
Di la terra a li viventi
Lu gran beni incomprensibili
Situau l'Onnipotenti.
       In distanza a latu oppostu
La buggiarda Illusioni
'Ntra li testi umani à un postu,
E un gran specchiu ad iddu opponi,
       Chi l'imaggini nni accogghi
In abbozzu, e la rifletti
Poi cca 'nterra sù li spoggbi
Di caduchi e vani oggetti.
       E st'imagini vacanti,
Senza nenti di riàli
Ten'in motu tutti quanti
L'individui mortali.
       Ora splendiri si vidi
Supra imperj, e dignitati:
Da luntanu ogn'unu cridi,
Chi dda sia felicitati.
       E si affretta, si turmenta,
Si affatiga ansanti, e lassu,
Nè cc'è cosa, chi nun tenta
Pri avanzari almenu un passo.
       'Ntra la fudda, ch'è infinita,
Lu gran numeru scuntentu
Passa in pàsimi la vita,
Cu nutririsi di ventu.
       Chiddi pochi a cui succedi
Di arrivari a ddi confini,

Misu appena dintra un pedi,
Nun cci trovanu chi spini.
       Chi l'imagini brillanti,
Chi dda vistu avianu allura,
È passata multu avanti,
E l'invita a nova altura.
       Dunca senza ripusari,
Su da capu, e li soi stenti
S'incumincianu a cuntari
Da li novi avanzamenti.
       Li doviri ad iddi additti
Sù li spini non previsti,
Pri cui spissu sù custritti
Fari un ponti supra chisti :
       E di stordirsi la menti
'Mbriacandula di lussu,
E di fumi prepotenti,
Chi a lu cori 'un ànnu influssu
       'Ntra lu fastu, unni scialacqua,
Lu so cori è siccu, e spinna
Comu un'anatra 'ntra l'acqua,
Chi nun vagnasi 'na pinna.
       Accusai l'Illusioni
Si trastulla, e si fa jocu
Di l'umana ambizioni,
Chi mai trova situ o locu.
       Di lu specchiu lu riflessu
Mai pri l'omu cadi in fallu;
Anchi fa l'effettu stessu
Supra un pallidu metallu.
       Nè suduri, nè delitti,
Mai sparagna un cori avaru,
Chi l'imagini nni vitti

Supra l'oru, e lu dinaru.
       Li periculi cchiù astrusi
Pr'iddu affrunta a middi a middi,
Passa mari timpistusi,
Sfida a Scilla ed a Cariddi.
       Quali eccessu 'un persuadi
Scelerata fami d'oru!
A toi pedi virtù cadi!
Neghi all'organi un ristoru!
       Tu li visceri a la terra
Sinu a funnu ài laceratu!
Unn'accosti sbampa guerra,
Ogni drittu è vijulatu!
       Turri a Danai, e forti muru
Su assai debuli pri tia!
La valanza abbucchi puru
'Ntra li manu anchi di Astria!
       Lu gran Messicu distruttu,
Morti populi, ed Incassi,
Menzu munnu ancora in luttu
Trema, e fremi a li toi passi.
       Da tua rabbia st'innoccenti
A salvari 'un è bastatu
Lu divisu continenti
Da un oceanu esterminatu?
       Cui produci tanti mali
Cridiremu, chi in se stissu
Sia ddu beni originali
A cui l'omu fussi ammissu'
       Nò, lu specchiu è chi nni 'nganna;
Giacchì all'omu la ricchizza
E un castigu, 'na cunnanna,
Chi a bramari cchiù l'attizza;

       E pirciò a multiplicari
E l'usuri, e l'angarj,
Li delitti, e li ripari,
Li timuri, e firnicj.
       E st'angustj all'alma impressi,
Chi cci rudinu anchi l'ossa,
Sempri criscinu, e indefessi
L'accumpagnanu a la fossa.
       Saggiu è cui l'oru apprizzari
Cupidigia non incita,
Ma l'idia di sudisfari
Li bisogni di la vita.
       E a li Curti ed a li Sali
Va accussi di mala-vogghia,
Comu infirmu a lu spitali
Strascinatu da 'na dogghia.
       L'oru è pr'iddu uguali all'unna
Chi scurrennu pri li prati,
Li 'nvirdica, e li fecunna
Di li frutti cchiù priggiati :
       Si però in un locu resta
Tutta in massa ristagnata,
L'erba esterna è sicca, e mesta,
Dintra è fradicia, ammargiata.
       Cussi avaru sceleratu
Manna l'oru 'ntra un subbissu
A lu Publicu, a lu Statu,
Gravi, e inutili a se stissu.
       Avirà da genti accorta
Qualchi omaggiu, o qualch'inchinu.
Pirchì è l'asinu, chi porta
Li reliquj 'ntra lu schinu...
       Vagu giuvini a tia ridinu

La furtuna, e l'elementi
Te felici tutti cridinu...
Tu suspiri e ti lamenti!
       Chi ti manca, salvi a tia?...
Ma tu guardi fissu, e attentu
Lu riflessu, chi spicchìa
Dintra dd'occhi...ah già ti sentu:
       Dintra dd'occhi, 'ntra dd'aspettu
'Ntra ddi labbra, ntra ddu risu
Tu cci vidi chiaru' e nettu
Lu gran beni, un paradisu.
       Chi sia chistu lu riflessu,
E non già l'originali,
Lu pacificu possessu
Nni è la prova essenziali.
       Spissu ad autri lusingheru
Lu riflessu si cci appresta
Da una spata, e da un cimeru,
Chi fa pàrtirci la testa;
       E l'istintu di natura,
Chi fa l'omu sociali,
A ddu lampu si sfigura,
Cedi all'impetu brutali.
       Già fatt'emulu di Achilli,
Sogna, e imagina conquisti,
E Deidàmj a milli, e milli
Spasimanti pr'iddu, e tristi.
       Un gran campu di battagghia
Si presenta in fantasia:
Idd'è avanti, chi si scagghia,
E la fama In talia.
       Sì. La fama in cchiù di un tomu
(Ti l'accordu tua parenti)

Farà imprimirti lu nnomu;
Ma tu mortu chi nni senti?
       Si tu campi, a la furtuna
Nn'è lu meritu dovutu;
Cedi ad idda la curuna,
Ed appenditi pri butu.
       Quannu poi la Patria grida,
Chi vol'essiri difisa,
Curri, o novu Leonida,
Va. Tua gloria è già decisa.
       Autru poi lu lampu osserva
Su la gloria di li littiri,
Si sagrifica a Minerva;
Ma 'un cc'è menzu a farlu zittiri;
       Vigghia, suda, e si affatia,
Su li libri, e li scienzi,
Ma Virtù, Filosofia,
Nun sù dati a vui st'incenzi.
       Nun è omaggiu chi dispenza
A la bella verità,
Ma un trofeu, chi alzari penza
A la propria vanità.
       Sulu cerca ammobbigghiari
Lu so spiritu di ciuri,
E cu chisti cummigghiari
Di lu cori li lurduri.
       La ragiuni, lu bon senzu
Nun consulta, e sulu in menti
Ch'à d'Oturi un boscu immenzu
Per imponiri a li genti.
       Ogni massima, chi dici
Nasci in menti, e in bucca mori,
Cchiù nni ostenta è cchiù infelici,

Nudda scinni a lu so cori.
       E quant'iddu cchiù la vana
Gloria cerca, e brama e ambisci,
Chista tantu si alluntana
Cchiù cci sfui, e cci spirisci.
       'Nzumma ogn'unu lu riflessu
Vidi in cosa, chi cci manca,
E cci curri sempri appressu,
E si affanna, suda e stanca.
       Oh infelici razza umana
Nata a jiri assicutannu
Di li beni l'umbra vana,
Chi cca 'nterra nun cci stanuu!
       Si non fariti felici,
La virtù putria a lu menu
Di l'interni toi nnimici
Dari in manu a tia lu frenu;
       Tu fratantu l'abbanduni
Pri acchiappari l'umbri vani!
Si (ed oh ceca 'un ti nni adduni)
Di la favula lu cani!

XL.
INNU A DIU.
       A Tia l'inni gran Din, a Tia li canti,
Chi 'ntra la sfera di tua gloria immersu
Fatt'ài pri lu to Verbu l'Universu
Surgiri a un sulu istanti.
       A Tia, di li cui pedi Eternitati
Forma sgabellu, mentri 'ntra profunni
Vortici di l'abissi urta, e cunfunni
Tempi, epochi, ed etati.

       E lu spaziu stupennu tuttu interu,
L'immenzi giobbi in iddu equilibrati
Divisi da distanzi smisurati
Nun sù pri tia chi un zeru.
       Cosa dunqui sarà davanti a Tia
L'omu, di cui 'ntra li sovrani e granni
Oggetti portentusi, ed ammiranni
Sparisci anchi l'idia?
       Puru a stl'atomu menti, ed intellettu
'Ai datu da suspincirsi a li celi,
Duvi a cifri di stiddi cci riveli
Lu so grandi architettu.
       O generusu Iddiu chi ti dignasti
Manifestarti a nui 'ntra li stupendi
Operi toi! Ma oimè! cui li comprendi;
Tu sulu poi, tu basti.
       Reggi, e governi di tua gloria in cima
Lu tuttu, chi per idda fu criatu,
Chi turnira (da Tia s'è abbandunatu)
A nenti comu prima.
       Granni, immensu, stupendu si nell'opri
Eccelsi di tua mam i, ed ugualmenti
Grandi 'ntra lu cchiù picciulu viventi,
Chi l'occhiu miu nun scopri.
       Fusti, e serrai chiddu, chi si; nè fini,
Nè principia cc'è in Tia: suvranamenti
Bonu, Giustu, Beatu, Onnipotenti,
Granni senza confini.
       Esaltinu li celi, Angili, e Santi
Li gran prodigj di l'onnipotenza;
Ma la bontà infinita di tua essenza
Fa, chi in godirti eu canti.

XLI.
A LA MUSA.
Dedicata a li RR. Altizzi di Maria Cristina
Borbuni, e Carlu Di Savoja
       'Ntra lu miu cori agghiorna,
Surgi l'età briusa
Quannu ti affacci, o Musa,
Di li to grazj adorna.
       Oh quantu mi consola
L'aspettu to immortali!
L'alma di li soi mali
Si scorda, e ad iddu vola.
       All'aura tua suavi
Ogni timpesta taci,
Portu in tia trova, e paci
La mia sbattuta navi.
       Tu di sta vaddi impura
Mi liberi, e trasporti
Dintra l'Esperid'orti
In brazz'a la natura.
       Tu da la turba granni
Dannata a cecu obbliu
Scarti lu nnomu miu,
E lu dilati, e spanni.
       E fors'inutilmenti
(Tu scutu miu) l'alatu
Vecchiu cu mia sdignatu
Arrutirà lu denti.
       Tu dui Riali Altizzi,
Dui spusi eccelsi, e digni
Rendi cu mia benigni
'Mmenzu a li soi grandizzi.

       Ma postuchi lu fatu,
Sempri cu mia inumanu,
Si li purtau luntanu,
Tu poi, tu vacci allatu.
       Unni Anfitriti abbrazza
Di Corsica a li sguardi
L'isula di li Sardi
Trova l'eccelsa razza.
       Ti accosta e rispittusa
Da parti mia t'inchina,
Bacia a Maria Cristina
La manu generusa.
       Sù parti, e va giuliva.
Giacchi ristata è in mia
'Ntra cori e fantasia
L'imagini sua viva.
       Chi ad ogni dittu o gestu
Nova una grazia esprimi,
E li virtù sublimi
Compiscinu lu restu.
       Chist'è chi ogni momentu
In mia si riproduci
Tali, chi già la vuci,
Quasi nni ascutu, e sentu.
       Chi un beneficlu,quannu
Cadi in un cori gratu,
Non da distanza, o fatu
Soffri, o da tempu, dannu.

XLII.
A S. E. Sig. D. Franciscu D'aquinu Prìncipi dì Caramanica, e Viceré di Sicilia.— In occasioni di la sua provida, e generosa cura in preservari lu dittu Regnu nella terribili carislia accaduta l'annu 1793.
       O bella età di Pindaru
Quann'odi, e canti alati
Aprianu lu gran tempiu
Di l'Immortalitati !
       E li poeti, judici
Di l'opri di l'eroi,
La gloria cumpartevanu
'Ntra l'aurei versi soi.
       Ah! dunca, o santu Apollini,
Toi doni limitati
Foru a virtù, ed a meriti
Di chidda sula etati?
       Nessunu in oggi reputi
Dignu di toi favuri?
O forsi cchiù 'ntra l'omini
Nun c'è virtù, e valuri?
       Sò chi la forza, e l'animu
Sù meriti, e virtuti
Quannu pr'oggettu guardanu
La pubblica saluti;
       Pirchì la Patria purganu
D'omini, e mostri rei,
Perseu, e Alcidi, e Teseu
Su eroi, sù semi-dei.
       Vennu a li jochi Olimpici
Li forti curunati
Pirchì a la patria dunanu

Intrepidi suldati.
       Ora chi la Sicilia,
Già quasi desolata
Pri caristia terribili,
Da un sulu è preservata,
       Quali sarà la gloria
A la grand'opra uguali?
Si dà maggiuri meritu
Pri rendirsi immortali?
       Qual'è 'ntra li cchiù celebri
Eroi, chi uguagghi a chistu,
Chi fa di cori, e d'omini
Non già di regni acquistu?
       Jeu mi protestu, o seculi,
Chi viniriti appressu:
Chi non incensu un idolu,
Dicu lu veru stessu.
       Tu, chi cu raggi lucidi
Tuttu discopri e sai,
Sai si a venali encomj
L'estru avvilivi mai.
       Mai l'inesperti jidita
All'auria lira stisi,
Ma flauti tenui, ed umili
Sunai 'ntra macchi, e ddisi,
       Mi sentu ora tutt'autru,
E lu miu cori in senu
Chinu di un Diu, chi l'agita,
Nun pò cchiù stari a frenu...
       Da la diserta Libbia
Spirannu orruri, e straggi,
Un Idra smunta, ed arida
Vinni a li nostri spiaggi.

       Stu mostru formidabili
Di un subitu chi apparsi
Cu l'alitu mortiferu .
Cunsumau tuttu, ed arsi.
       Li campi li cchiù fertili,
Li valli cchiù cuverti,
Li costi cchiù fruttiferi
Fa sterili, e deserti.
       Stendi pri tutta l'isula
Li centu testi, e centu,
S'avanza, e la precedinu
L'orruri, e lu spaventu.
       Sulu la guarda intrepidu
Cor'avidu, induritu,
Cui lagrimi di poviri
Sù nettari graditu.
       Crudili, inesorabili,
Figghiu di alpestri rupi,
Chi ereditau cu nasciri
L'istintu di li lupi;
       E chi per indorarisi
La vili sua ginia
Arma contra li debuli
Lu vrazzu anchi di Astria.
       Lu mostru intantu rapidu
Camina a passi granni,
Purtannu, (oh infaustu seguitu!)
Fami, miserj, affanni.
       L'erbi cchiù vili, e inutili,
Li radichi nocivi
Cu l'animali spartinu
L'omini appena vivi.
       'Mmenzu li strati pubblici

Lu passeggeru abbucca
Cu facci smunta, e pallida,
Cu pocu d'erba in bucca.
       Li gammi vacillarisi
Senti l'agricolturi,
Mancannu a li soi musculi
Lu nutritivu umuri.
       Si vidi a terra cadiri
La matri illanguidita,
L'addevu, oimè! trov'aridi
Li fonti di la vita.
       Non beni ancora saziu
Di l'apportati orruri,
Lu mostru avanza, e medita
Ruini assai maggiuri.
       Eccu, chi li testi orridi
Da l'auti turri affaccia,
E li città cchiù floridi
Disordina, e minaccia!
       Scurri un trimuri gelidu
Di tutti dintra l'ossa,
E lu cchiù forti, e intrepidu
Senti ogni fibra scossa.
       A lu spaventa pubblicu,
A li comuni allarmi
Suggetti rispettabili
Misiru manu all'armi.
       Friscau, sfardannu l'aria,
Lu primu acutu dardu';
Però, pri quantu dicinu,
Arrivau lentu, e tardu.
       L'Idra mustrau 'ntanarisi,
Ma pri cuvari occulti

Assalti cchiù terribili,
Novi miserj, e 'nsulti.
       Già l'autru dar«t'u scagghianu
Oimè pri nui fatali!
Lu feru mostu s'irrita,
E agghiunci mali a mali.
       Lu fatu di Sicilia;
Era di già a l'estremu.
Oh statu deplorabili!
Ah ch'in pinsarci eu tremu!
       Quannu l'eccelsa Principi,
Chi a nomu di Firnandu
Stava fra nui li retini
Politici guidandu:
       Franciscu Caramanica,
Chi nun valuta l'oru,
Chi comu sulu a miseri,
Ed a virtù ristora;
       Illustri, granni, e splendidu,
Ch'in menzu a soi fortuni,
E' un suli chi diffundisi
A tutti li persuni;
       Visti delusi, e invalidi
Li vrazza in cui confida,
St'imprisa memorabili
Supra se sùlu affida:
       E prima a la Dia Cereri
In spiaggi a'nui luntanu
Offersi in sagrifiziu
Tesori a larga manu.
       A Cereri, ch'in colura ,
E contra nui sdignata,
Da nui pri castigarinni

Erasi alluntanata.
       Ma lu pietusu Principi
Nell'attu chi la Dia
Placava cu olocausti,
Lu mostru cummattia.
       Paria Giovi medesimu,
Chi d'autu in bassi chiani
Scagghia saitti, e fulmini
In testa a li Titani.
       lodarnu pri ammucciarìsi
A lu so giustu sdegnu
L'Idra circau 'ntanarisi
'Ntnt un angulu di Regnu.
       La scopri, la persecuta,
Cu penetranti sguardi,
L'abbatti, la suppedita
Cu l'asta, e cu li dardi.
       Li miseri, li debuli
A sti stupendi provi
Currinu a ripararisi
Sutta di lu so Giovi.
       Alzau d'ora purissimu!
Gran scudu risplendenti,
Simili a quintadecima,
Chi spunta d'orienti.
       Scudu ben vastu, e solidu,
Chi all'umbra sua ripara
Da mali, e da infortunj
Li populi a migghiara.
       La pubblica liducia
Eccu diggià si avviva,
E sù li facci pallidi
Già mustrasi giuliva.

       La sua virtuti applaudì,
La sua pietati approva
Lu celu, e in letu auguriu
Ci dà la bona nova.
       Eccu di già si annunzia
La Dia cu nui placata,
Di biunni spichi mustracci
La testa curunata!
       Pomona si cci associa,
E veni a sti fistini
Chinu lu cornucopiu
Di frutti senza fini.
       E Baccu, ed anchi Palladi
Dunanu di luntanu
Lu signu di raggiuncirli
Anch'iddi a-manu-a-manu.
       Vincisti eccelsu Principi,
Tua generusa cura
Salvata ha la Sicilia
Da l'ultima sciagura,
       Mentri sarrà a li populi
La società gradita,
La sussistenza pubblica,
E l'ordini e la vita,
       Vivrà, Principi egregiu,
To nomu, e tua virtuti
In pettu a li tardissimi
Ed ultimi niputi.
       Di l'immortali tempiu
Sculputu 'ntra li cimi,
Sarai modellu, esempiu
Di l'animi sublimi.
       E tu di la Trinacria,

Mia lira, ecu viraci
Oflri li voti unanimi
A lu gran tempiu, e taci.

XLIII.
A S. E. Sig. Cav. D. Luigi Medici Segretariu allura di Statu di S. M.Re di Sicilia,
       Cussi cu mia Polinnia si esprimi:
Centu alàti cavaddi autu-vulanti
Pascinu ad usu miu l'aerei cimi
Di Pindu e si abbiviranu a l'ameni
Ripi di l'ippocreni
Di armoniusi Cigni risunanti.
Picciuli tratti sunnu a li mei voli
L'Antipodi, li poli,
Li spazj esterminati,
Unni l'immenzi globi erranti, e fissi
Natanu equilibrati,
O attornu a proprj ellissi.
       Figghia di Apollu luci in mia risplendi,
Chi avviva, e anchi li regni di la morti
Popula di chimeri, e mostri orrendi.
Di li Dei la Saturnia dinastìa
Regna in celu pri mia:
Pri mia Nettunu impugna lu so forti
Tridenti, e duna liggi a li profunni
Voraggini di l'unni.
Grati, e riconoscenti
A li mei doni Proteu, Glaucu, ed Inu
Scheranu li soi armenti
Quann'iu mi cci avvicinu.
       Anfiuni pri mia spitrau li forti
Salvaggi cori, e vausi alpestri attrassi,


D'unni Tebi surgìu di centu porti,
E Orfeu per Euridici in mia fidatu,
Di la sua lira armatu,
Drizzau vivu a l'infernu li soi passi;
A li suavi noti, present'iu,
Cerberu si ammutiu;
E da li cori atroci
Cadiu l'ira a li furj, in un balenu
Di Plutu lu feroci
Aspettu fu serenu.
       Si allatu miu li campi cchiù salvaggi
Vai passiannu, o voscura, o poggetti,
O muntagni scoscisi, o vaddi, o spiaggi.
Tutt'av'anima, e vita: in fonti, e in undi
Najadi bianchi, e biundi,
Satiri vidirai 'ntra li ruvetti;
Silvestri Driadi, e Oreadi muntanari,
Trunchi, e vausi animari
A un sulu miu camannu;
E li Silvani di curnuta testa
Li Ninfi assicutannu
Scurriri la foresta.
       Si un finu sentimentu in tia risbigghia
Un populu di affetti, eccu ch'in Cnidu
Jeu cci apr'un tempiu bellu a maravigghia;
Dda, nell'attu chi inchiaga, e chi ferisci,
Li cori ingentilisci
'Ncostu la matri Dia lu Diu Cupidu;
Mia lira 'nganna l'aspri affanni, e gravi;
Comu sfoga in suavi
Noti lu rusignolu,
Mentri li peni soi trovano intantu
(Ch'è puru un gran cunsolu)

Cumpagni a la so chiantu.
       Si nun cuntentu di li varj, e tanti
Sceni, chi 'ntra stu globbu, unni dimuri:
Jeu generusa ti presentu avanti,
Nni avrai cchiù granni e portentusi provi:
Eccu autri Munni novi,
Di cui lu Geniu to n'è creaturi!
Eccu l'età di l'oru, chi a tia piaci
Cu la Virtù e la Paci!
Sù nomi sconosciuti
La miseria, li guai, li patimenti.
Perpetua gioventuti
Li cori fa cuntenti.
       Ma si st'illusioni consolanti
E frasturnata da una turba immenza
Di mali, chi si paranu davanti,
Truvanduti suggettu a lu destinu
Di stu munnu mischinu,
Spera, e confida su la mia putenza.
Apru cummerciu cu l'età futuri
Di gloria in to favuri:
Sarai sempri presentì
All'ozj virtuusi.ed a li muti
Piaciri di la menti
Di l'ultimi niputi.
       Ieu misi in celu, ed eterna di luci
D'Orfeu la lira, e Perseu.e li gemelli
Figghi di Leda Castori, e Polluci;
Fici a Baccu di stiddi 'na ghirlanda,
Chi detti ad Arianna:
Di Ariuni un Delfinu, e setti belli
Pleadi figghi di lu mauru Atlanti
In celu sù brillanti:

'Ntra lu celesti largu
Obeliscu immortali è divintata
Pri mia la navi d'Argu
Di stiddi curunata.
       Quannu salvari da l'oscuru obbliu
Vogghiu un eroi, o un figghiu a mia dilettu,
Lu vestu tuttu di splenduri miu.
Abbagghiatu lu tempu l'armi abbassa,
Rispetta, ammira, e passa.
Ritorna a ripassari, e a so dispettu
Quantu cchiù scurri.e quantu cchiù invicchisci
Tantu cchiù fama crisci;
Cussi Piadaru, e Alcidi
Attraversu un torrenti d'anni, ed anni
Di trattu in trattu vidi
Farisi in mia cchiù granni,
       Figghiu di gratitudini un internu
Disiju eu leggiu in tia: brami 'ntra l'astri
Lu mecenati to chi splenda eternu?
Serenati, è superflua tua premura,
Superflua ogni mia cura;
Chi ad onta di calunnj, e disastri,
Da tempu immemorabili à dispostu
Giovi per iddu un postu,
E in celu a lu so latu
In una splindirà di l'autri luni,
Chi di lu so casatu
Sù lucidi curuni.

XLIV.
A S. E. Sig. Marchisi Simonetti. — In occasioni chi dimandau, all'Auturi li stampi di li soi poesii pri la secunda volta, stanti chi li primi cc'eranu stali divorati da lu focu unitamenti all'autri libri e mobili, per un incendiu, chi suffriu la sua casa; di lu di cui dannu nni era statu compensatu da la munificenza di S. M. di cui truvavasi Ministru di Stalu.
       Murritiavanu
Cu l'accidenti
'Ncostu di Stronguli
L'umani eventi.
       Vulcanu in colura,
Chi da cchiù jiorna
Cci avia li càncari
Dintra li corna,
       Forti sgridannuli
Cu brusca cera.
Si fici laidu
Cchiù chi nun era.
       Ma (com'è solitu
Di li vavusi.
Chi cu li retichi
Sù cchiù strudusi)
       Cci zuppichianu
Facennu gabbu,
E lu inciurianu
Vicchiazzu babbu.
       A st'improperj
Lu Diu di Lennu
Muntatu in furia

Persi lu sennu.
       Sutta li mantaci
Ardia un tizzuni
L'afferra e scagghiasi
Com'un liuni.
       Chiddi 'mpanneddanu,
Ed iddu appressu,
Cchiù chi carpianu
L'ànnu cchiù 'mpressu:
       Lu mari passanu,
E di continu
Guardanu, e vidinu
Chi cc'è vicinu:
       Vennu in Calavria,
Già lassi e stanchi.
Ed iddu è 'nzemmula
Quasi a li cianchi,
       Scurrinu voscura,
Vaddi, e muntagni,
E si lu sentinu
A li calcagni:
       Juncinu in Napuli,
E 'ntra li tetti
Vannu ammucciandusi
Di Simonetti;
       Lu Diu pri chiudirci
Qualunqui scampu
Lu focu appiccica!
Ed eccu un lampu!
       'Na luminaria
Di manu, in manu
Sbampa, e in ogn'angulu
Regna Vulcanu...

       Ch'ài fattu! oh caspita?
(Grida Minerva
Chi 'ntra li cammari
Lu focu osserva).
       Ah lu miu tempiu
Tu m'ài distruttu!
Cca di li studj
Cugghia lu fruttu:
       Cca la Giustizia,
Cca lu Sapiri
Cca cci regnavanu
Li saggi miri...
       Ma lu lagnaricci
Di l'accadutu
È spisa inutili,
Tempu pirdutu.
       Saprà ritorciri
La mia saggizza
Sta gran disgrazia
In alligrizza.
       Giacchì a lu meritu
Viju propenza
L'eccelsa Reggia
Munificenza,
       Chi pronta ad apriri
Lu fonti granni
Teni a rifarimi
Di li mei danni,
       E cu st'incendiu
Splindirà cchiui
La vera gloria
Di tutti dui.

XLV.
A lu Sig. Comandanti Cav. D. Giuseppe Poli. In risposta ad un sonettu, chi avia scrittu a l'Oturi in lingua siciliana,
       Circannu Urania
So figghiu Poli
Di matematica
Girau li scoli...
       Cc'è statu, dissiru,
Ma passau avanti,
S'inchiu la vertula,
E arricchiu a tanti...
       Dunca vui fisici
Datimi nova...
Cci fu, rispusiru,
Ma 'un si cci trova.
       Cci lasciau l'operi
Chiari, immortali,
Dissi, aspittatimi,
E allargau l'ali....
       Unn'avi ad essiri?
Forsi dimura
Intenta all'operi
Di la natura?
       Parrati, o Vausi,
Fonti, Undi, e Grutti?
Chisti rispundimu
In noti rutti:
       Di pocu, oh caspita!
Tu lu sgarrasti,
Cci scursi, e celebri
Lasciau li rasti.
       Vidi, ed ammiralu,

Vidi scherati
Tuttì chisl'ostrachi
Notomizzati!..
       Basta, finitila,
Ognunu sà
Soi pregi, e meriti;
Ma unn'è chi fa?
       'Nzumma sgammannusi
La Dia si sfascia,
Lu cridirissivu
Unni poi l'ascia?
       'Ntra lu Castaliu
Fonti, chi pisca
Cu Musi Siculi
In festa, e trisca!

XLVI.
A la celebri Signura Cornelia Ellis Miss
Knjght, chi avia tradutti alcuni Idilj di lu
Auturi nellu so idioma inglisi.
       Sospintu in aria
Da sforzu, e impegnu
Sull'ali debuli
Di lu miu ingegnu,
       Arrivu a scopriri
(Benchì di arrassu)
Lu tantu celebri
Munti Parnassu.
       Oh comu splendinu
Li costi attornu
Di lu cchiù vividu
Brillanti jornu!
       E allatu spiccanu

Di lu gran fonti
Omeru, Pindaru,
E Anacreonti!
       Versu li margini
Di dd'acqui chiari
Cigni castalj
Sentu cantari:
       Maruni, Oraziu
Gravi, e sonori,
Tibullu teneru
Tocca li cori.
       Cu stili armonicu
Lu Ferrarisi
Spusa a li grazj
L'eroichi imprisi:
       Li belli lagrimi
Di Erminia, oh quantu
Torquatu, spiccanu
'Ntra lu to cantu!
       A la gravissima
Miltonia trumma
'Ntona l'Empireu,
L'orcu ribumma.
       Pope li pelaghi
Di umani cori
Sulca cu placidi
Noti canori,
       L'accendi Apollini
Tutti, e l'investi
Di lu so energicu
Focu celesti.
       Oh li Meonj
Casti surelli

Quantu sù armonici
Quantu sù belli!
       Ma...Lu so numeru
Di novi fù,
Pirch'oggi cuntasi
Una dicchiù?
       Forsi chi sbaria
L'occhiu? Ma intona
Cu estremu giubilu
Tuttu Elicona:
       Veni a compirinni
L'Aoniu coru
Miss-Knaight Anglica
Decima soru.

XLVII.
Scritta in, occasioni chi S. E. Sig. Principi di Belmunti avia intraprisu di fari costruiri una casina nobili con una villa di attornu, supra di una eminenza, o sia d'una falda di muntagna, chi sporgi sinu ad un picciulu crateri di mari nominatu l'Acqua-Santa.
       Surgi da l'unni Proteu,
Fissa di l'Acqua-Santa
L'occhiu a la schina sterili,
S'infoca d'estru, e canta:
       Quantu felici augurii
Ruccuni fortunatu
Di sti toi nudi vausi
Viju schirzari allatu!
       Sublimi Geniu e splendidu
Cu nobili armunia
Bella natura, e industria


Saprà spusari in tia:
       Chissa chi sporgi in aria
Tua frunti aspra, e pitrusa
Sarrà di l'Orti Esperidi
L'emula cchiù famusa.
       Surgirà in menzu nobili
Casina dominanti
L'ampiu crateri e insemmula
Tanti campagni, e tanti.
       Quasi bell'Orti pensili
Di Babilonia attornu
Jardini di delizii
Ti ridirannu intornu.
       A lu suavi strepitu
Di fonti e di acqui erranti
Lu passeggeri estaticu
Nun saprà jiri avanti.
       Flora, Pomona, e Zefiru
'Ntra ssa tua costa intera
Farrannu un gratu accordiu
Di Autunnu, e Primavera.
       Vaghi vuschitti in fertili
Allegru, amenu situ
Farrannu a li sensibili
Cori suavi invitu.
       Sagru sarrai ricoveru
Dintra ssi macchi ameni
Ad un felici Geniu
Dilettu a li Cameni.
       Eccu chi già propiziu
Lu Fatu a mia rispunni...
Dissi, avvirau l'augurii,
E si attuffau 'ntra l'unni.

XLVIII.
INNU A LUCINA.
       Salvi Lucina pia,
Chi a li parturienti
Minuri li turmenti;
       Chi avvivi, e metti in via
Li feti, e li conduci
A vìdiri la luci:
       E chi a li matri afflitti
Da li sufferti affanni
Calma, e ristoru spanni.
       Estendi li toi dritti
Supra ogni miu cuncettu,
Ch'è partu d'intellettu,
       Chi straccu, e fatigatu
Da la nimica sorti
Sulu produci abborti.

IL.
LU DIVORZIU.
       Stanca di viviri
Vita pinusa,
Fici divorziu
Da mia la Musa;
       Dicennu: È angustia
Pri tutti dui
Lu stari 'nzemmùla
Uniti cchiui.
       Pri nui stu seculu,
Ch'è se-dicenti
Luminusissimu,
Nun luci nenti.

       Di voli altissimi
Sarrà capaci;
Ma unn'è Giustizia?
Unn'è la Paci?
       Unni si trovanu
Virtù, e costumi?
Dunca a chi servinu
Sti tanti lumi?
       Cu l'oru sbuccanu
Da un novu munnu
Li guai, chi abbundanu
Cchiù chi nun sunnu.
       La genti a st'Idolu
Stendi li manu,
E anchi offri vittimi
Di sangu umanu.
       Virtuti, e meriti
Sagrificati
Sunnu a sta barbara
Divinitati.
       Si 'ntra stu pelagu
Profunnu, e cupu
Cercu ajutariti
Cchiù ti sdirrupu:
       Ma giacchì libera,
E Dia sugnu iu,
Un megghiu seculu
Mi cercu. Addiu...

L.
Pri li nozzi di lu Signuri N. N.
       O Baccu, o anima
Di l'alligria
Sti spusi amabili
Cunsignu a tia.
       Deh tu abbivirali
Di stu licuri,
Facci produciri
Frutti di Amuri.
       Lu primu è in gorbona:
Forsi cci manca
Un pedi, un anca,
Ma si farrà.
       Tu, Baccu, avvivalu
Cu lu to focu
Mustracci ddocu
L'attività.
       Cc'è lu narcoticu
Superbu vinu,
Chi scoti, tillica
'Nforza lu schinu.
       La rispettabili
Sua vecchia vutti
Li figghi in fieri
Cunteni tutti.
       Longhi li masculi,
Comu lu patri,
Beddi li fimmini,
Comu la matri.
       In chisti grazj
Forma e costumi,

In chiddi meriti
Menti, e volumi.
       Baccu verifica
Sta profezia
Ch'ài fattu scurriri
Pri bucca mia.

LI.
Pri li dui fratelli Bartolomeu e Marco Costanzi, nativi di la Sambuca incisuri e disignaturi
       Curria per anni, e seculi
Di la natura appressu
L'Arti per acchiapparinni
L'abbozzu o lu riflessu:
       Nun potti mai ragghiuncirla,
Fissarla 'un potti mai:
Sibbeni pochi Genj
Cci avvicinaru assai.
       Si dici: chi la Grecia,
'Ntra l'autri cosi belli,
La vitti quasi 'nzemmula
Di Prassitèli e Apelli.
       Si vitti ancora ridiri
Cu teneru 'mmizzigghiu
Ora ad un Micalancilu,
Ora d'Urbinu a un figghiu.
       Ma tolti autri rarissimi,
Chi à riguardatu in parti,
Sfui a l'immensu numeru
Proselitu di l'arti.
       Vanta però un prodigiu
Oggi la nostra etati:

Di l'una e l'autra in grazia
Cci stannu li dui Frati.
       Li dui Costanzi uniscinu
Rapporti tanti, e tali
Chi fannu un gratu accordiu
'Ntra li dui gran rivali.

LII.
Cumposta estemporania ad una Comedianti, chiamata la Davì, chi malgradu, chi nun era multu giuvina, cantava cu bona grazia, ed era, eccellenti comica.

       Sai, bella Veneri,
Sai tu pirchì
Li Grazj currinu
A la Davì?
       Pri fari vidiri,
Chi ad idda sta
Rendiri amabili
Qualunqui età:
       E chi tu propria,
Tu stissa, tù,
S'iddi ti lassanu,
Nun cunti cchiù

LIII.
SAFFICA.
A S. A. R. D. Leopoldu Borbuni Princìpi di Salernu — In occasioni chi fici cuniari una midagghia all'Auturì.
   Sutta pindarich'ali eu viju pronti
Sprofundarsi li nuvuli, spariri
La tirrestri atmosfera, ed appariri
               Novu orizzonti.
   Di risu sconosciutu a li murtali
Pura l'aria d'intornu brilla, e ridi;
Sublimi, e maistusu dda si vidi
               Tempiu immortali.
   Gloria vi regna: a pedi soi calpesta
Supra di un tronu lucidu, e gemmatu,
A lu devoraturi vecchiu alatu
               La calva testa.
   Cu li cent'ali chi 'ntra l'aria stenni
Sta Fama in autu, la gran trumma abbraccia,
E da l'unciati tempuli cci caccia
               Ciatu perenni.
   Proclamannu disfattu l'ingrussatu
'Ntra straggi, e sangui orribili colossu,
Ch'autari, e troni avia di Europa scossu
               E divastatu.
    E chi l'esatta sua valanza Astria
Di lu geniu Brittannicu a li manu,
Di lu Russu, lu Prussu, e lu Germanu
               Depost'avia.
   E chi lu munnu, chi di sti allegati
Potenzi avia ammiratu lu valuri,
Stavasi pri ammirarni spettaturi

               L'integritati.
   Chiudi lu tempiu 'ntra li mur'interni
Genj inventuri, eroi, poeti summi,
Ch'in sonori sampugni, e liri, e trummi
               Vivinu eterni.
   Ma quali sfulguranti di surruschi
Fusca nnvula vidisi abbassari!
È Momu Momu di li frizzi amari,
               E l'occhi bruschi.
   Malgraditu a li Dei si occulta, e fui:
Pensa a st'eroi scagghiari li mutteggi;
Ma in canciu di oscuraricci li prcggi,
               L'avviva cchiui.
   Dici a l'amenu Ferrarisi cignu:
Giacchì cca lu citari è culpa estrema
L'oscuri nomi, un purpuratu emblema
               Ti mustru in signu:
   E li tanti ministri rovesciati
'Ntra lu concavu visti di la luna.
Chi foru encomj toi, pri tua sfortuna
               Mal'impiegati.
   Poi scopri Augustu, e grida: insanguinatu
Da li vittimi umani usurpat'ài
L'imperiu di lu numnu, ed ora stai
               Di gloria allatu!
   E vui (dici ad Oraziu, ed a Maruni)
Pr'indorari chist'operi perversi
Qual'oprasti magia 'ntra vostri versi,
               O pannidduni?
   Taci lingua di assinziu, infami Momu,
Vuci sull'arpa d'Urania 'ntunau,
Cui fama ottinni mai si 'un s'imbrattau
               Di sangu d'omu?

   Ma pirchi, mala lingua, pirchi taci
Lu tempiu chiusu a lu bifrunti Gianu,
E chi lu munnu sutta Ottavianu
               Respirau paci?
   E chi tanti li fasti, e tanti foru
L'oggetti di la sua beneficenza,
Chi lu seculu so per eccellenza
               Fu dittu d'oru?
   E quann'autru di granni lu so imperu
Nun vantassi, sarria sulu bastatu
Di avirc'in dui gran genj rimpiazzatu
               Pindaru, e Omeru.
   Tantu operau munificenza summa,
Chi da ruggiada, chi li germi avviva,
Sepulti in terra, fici rediviva
               Meonia trumma.
   E la lira di Oraziu, chi cuntrasta
A Pindaru l'imperiu di l'anni
Vinc'in iddu li fasti cchiù ammiranni
               Di spata ed asta.
   St'esempiu ch'in grand'anima si stampa
Foch'è, chi cadi supra linu, e stuppa
L'investi, ed a l'istanti nni sviluppa
               Ardenti vampa.
   Guarda lu rnunnu, l'occhi in terra cala,
Di eccelsa stirpi principi reali
Vidi, ch'emulu d'iddu, impinna l'ali
               A 'na cicala!
   Ch'avvezza cu li rauchi accenti soi
Cantari all'arsu metituri, incalza
Ora la vuci, e lu so cantu inalza
               Sinu a l'eroi!
   Presenta cca non imbrattatu, e lordu

Di umanu sangui, un cori generusu,
Purtatu à lu sublimi, e grandiusu
               In Leopoldu.
   Non la putenza di l'imperiu fiaghia,
Ma li meriti Augustu ànnu esaltatu,
Li stissi ora cci mettinu a lu latu
               Cui cci sumigghia.
   Di chist'astru Borbonicu la raja,
Chi la beneficenza attiva rendi,
Sviluppa li gran genj, e cca risplendi,
               Tu Momu abbaja...
   Ma diggià l'ali, indocili a li vogghi
Di lu so non legitimu retturi,
Mancanu, e 'ntra li grassi soi vapuri
               Terra mi accogghi.

LIV.
A S. E. l'Ammiragghiu, Nelson Duca di Bronti.
       Mi guardi d'occhiu tortu
L'istabili Fortuna,
Melpomeni mi duna
A l'immortalità sicuru portu,
E mi concedi 'ntra li regni soi
Purtaricci cu mia grandi, ed eroi.
       Propizia eccu mi spira
La Musa, e da stu solu
Mi fa spiccari un volu;
Senti 'ntra li soi cordi la mia lira
Li fatti illustri jirisi affuddannu
Di lu gran Nelson fulmini brittannu.
       Salvi Brittagna invitta,
A cui Nettunu istessu

Lu so tridenti à cessu.
Tu liggi a regni, e l'ampiu mari ditta,
Ma di li figghi toi l'opri ammiranni
Pindu curuna, e a l'antri età li spanni.
       'Ntra l'Eliconj spiaggi
Febu cc'impinna l'ali
Pri alzarisi immortali
Supra lu Vecchiu mai saziu di straggi.
Chi tutta agghiutti.e scagghia ancora l'armi
Contra li brunzi, e li sculputi marmi.
       Già l'ali autu-vulanti
Movi la Musa arrassu,
Resta lu vulgu bassu.
Mentri a l'Eroi Brittanicu davanti
Tutti l'età futuri invita, e chiama,
E di l'imprisi soi spargi la fama.
       Tremanu a la so manu
Li figghi impii e feroci
Di lu delittu atroci,
Chi fici in tigri trasmutari l'omu,
E chi esaltatu avianu su l'augustu
Depressu tronu e 'nsanguinatu bustu.
       Non d'acqui cchiù la Senna,
Ma di accaniti genti
Sbuccau ampii turrenti,
Olanna, Italia, e già quasi Vienna
Avia inundati; e immensi navi aduna
Per ecclissari l'Ottumana luna.
       Spavintata la terra
S'affretta d'ubbidiri
A lu superbu ardiri,
Chi troni, autari, e tempj, e liggi atterra,
Nè cc'è cui lu rispincia, o lu minacci,

O si cimenti di guardarlu in facci.
       Nettunu stissu oppressu
Sutta l'auti carini
Di turriggianti pini
Rumpirni appena ardisci lu riflessu,
E a vindicarsi di l'insultu, un gridu,
Nelson, Nelson, 'ntunau di lidu in lidu.
       Senti la nota vuci
Di lu gran Diu di l'unni
Lu figghiu, e cci rispunni
Prontu, e giulivu, ed a la nova luci
Scioti li vili di la squadra inglisa
Vola comu falcuni a la sua prisa.
       Già si cci avventa, scinni,
Rumpi, fulmina, avvampa,
E la sua gloria stampa
A littiri di focu in milli 'ntinni,
Mentri incerta la Morti si confunni
'Ntra l'orridu Vulcanu, e li sals'unni!
       Attonita la testa
Spinci Alessandria, e guarda;
E intantu l'aria sfarda
Di brunzi fulminanti 'na timpesta,
Chi li puppi 'nnimichi urta, e fracassa,
E navi, e genti sfrantumati lassa.
       Già la vittoria insigni,
A cui pindìa vicinu
D'Europa lu distinu,
Su li puppi Brittanni jisa l'insigni,
E la Fama l'annunzia ntra rimbummi
Di centu aperti vucchi, e centu trummi.
       Ma la Gloria ti chiama,
Nelson, a novi imprisi:

Và, curri a vili stisi,
Di la Sicilia sazia la gran brama,
Lu so Re, la famigghia sua reali
Pertacci sani e salvi d'ogni mali.
       Veni gran Firdinannu
Miu Re benignu, e saggiu,
Sutta lu to curaggiu,
Com'unni a scogghi rumpiri si vannu
Li gran vicenni, chi la sorti aggira,
E rimbummanu poi sù la mia lira.
       La disiata calma
T'offri Palermu, e appresta
Ristoru, omaggiu, e festa;
Respira, e poi preparati a la palma;
La vittoria è cu tia, si.l'à juratu
Mentri di Nelson cumbatteva allatu.
       Partenopi infelici,
Ahimè quantu mi accora
Lu novu di Pandora
Vasu, ch'in tia virsaru li 'nnimici!
Ahi misera! ma calma lu to affannu.
Fidati a lu clementi Firdinannu.
       E tu Anglu-Sicanu
Eroi, chi a nui 'na parti
Di tua gloria cumparti;
Eccu di novi fulmini la manu
Già t'arma Bronti, chi a li tanti provi
Cridi in tia trasmutatu lu gran Giovi.
       A nui vivi, e a la tua
Patria mill'anni, e cchiui,
Gloria di tutti dui,
Supra la navi d'Argu la tua prua
Da li futuri astronomi osservata


Sarà in celu di stiddi curunata.

LV.
A lu Signurì Cavaleri D. Giuseppi Poli in
occasioni di duvirisi alluntanari da la Sicilia.
       Cui truzza cu lu Fatu?
Postu chi accussì voli,
Parta l'amicu Poli,
Ma cu l'augurii allatu.
       Spirinu venti ameni,
E in fundu ad un gruttuni
Lu torbidu Aquiluni
Sulu racchiuda, e freni:
       Li Genii precursuri
Di la sirena paci
Supra lu lignu audaci
Sparganu rosi, e ciuri:
       'Na specii ad iddu nova
D'ostrichi, o di cunchigghi
Nereu 'ntra biundi figghi
Cei offra, si mai lu trova.
       Scherzinu li delfini
Attornu a la carina
Pruennucci la schina ,
Cu sauti, omaggi, e inchini:
       Vulennucci spiegari,
Chi nautru Ariuni in gruppa
Cu la sua lira in puppa
Disianu purtari.
       Scurri superba o navi
Di un cussì raru pignu,
In iddu a tia cunsignu

Di l'alma mia la chiavi.
       Sacci, chi pri sua dota
Porta li cori additti
D'ogn'unu chi lu vitti,
O lu trattau 'na vota:
       E di tant'autri, a cui
La sorti avara dissi:
Liggiti quantu scrissi,
Nun vi si accorda cchiui.
       A lu Sebetu amicu
Portalu salvu, e sanu,
Cunsoli a manu a manu
L'afflittu patri anticu.
       Vui Melicerta, ed Inu
Itilu accumpagnannu;
Spittaculu ammirannu
D'un saggiu è lu distinu.
       Tali fu a li cilesti
Orfeu, chi si partiva
Supra la navi argiva
Sfidannu li timpesti.
       Li novi mostri, e l'ira
Di furibundi venti
Frena cu lu potenti
Incantu di sua lira.
       Deh! ferma, o saggiu Traci!
Ah! nun previdi quantu
Custirà luttu, e chiantu
Stu primu azzardu audaci.
       Di turri fluttuanti
Si abitirà lu mari
Pri jiri a suggiugari
Incogniti abitanti.

       Lu fulmini inumanu
Novu flagellu in guerra
Insuppirà la terra
Di sangu americanu.
       Di l'oru a li murtali
La massa aumentata
Avrà multiplicata
La summa di li mali.
       E a mia caggiunirai
Tanta tristizza, e pena.
Chi un beni vistu appena
Forsi 'un vidrò cchiù mai.

LVI.
LA BENEFICENZA
Pri monsignuri Lopez, Arcivisc. di Palermu.
    Gran Diu di Pindu.chi a toi cari impresti
Parti di tua divinità, di quali
Sentimentu distingui li cilesti
Da li murtali?
    Suavità forsi d'ambrosia? ah tocca
L'arma ugualmenti all'omu, e la ravviva
Lu travagghiatu pani, e d'una rocca
L'acqua surgiva.
    Vivia Giunu l'ambrosia, nè la menti
Ci rudia menu lu nigatu pumu,
Nè mai cissau, finchì Iliu, e la sua genti
'Un misi in fumu.
    Si ssu licuri nun cancella, e sgasta
Da l'immortali ogni molestu affettu,
Nun vi l'invidiu, o summi Dei, mi basta
Lu vinu elettu.

    Forsi amati uziàri 'ntra piaciri,
Luntani da li curi, e li disaggi?
Quali drittu accussì putriti aviri
A nostri omaggi?
    Sonnu, crapula, ed ozii lascivi,
Appannaggi di sensu ottusu, e tardu,
In vui di l'Asia lu tirannu vivi
Pigru e 'nfingardu.
    La voluttà, chi sutta l'usu manca,
E lassa agonizanti lu disiu,
Nè l'armi, nè li spiriti rinfranca,
Nun è pri un Diu!
    Vantati lu putiri? Ma si spira
O la vinditta, o la distruzioni,
Tristu l'alloggiu so, guai pri la mira,
Chi si proponi.
    Putrà supporsi mai letu, e filici,
Cui medita ruini, e 'ntra l'internu
Cuva rancuri? un Diu cussì infilici
È Diu d'Infernu.
    V'esalta dunca lu putiri, quannu
Spusa beneficenza, e senti e gusta
La voluttà di risarciri un dannu
Di sorti ingiusta.
    Si dari a la virtù li meritati
Riguardi, ed a lu meritu cumpensì,
Ccà conusciu li dei summi, e beati
Digni d'incensi.
    No lu piaciri, chi direttu veni,
Ma chi circula in tornu, e si rifletti
Da cori in cori, fà lu summu beni
D'armi perfetti.
    Chistu è lu sentimentu riserbatu

A li cilesti, e si mai cca nasciu,
Cui pò, e cui sa gustarlu, oh fortunatu!
E' quasi un diu.
    Chi dirrai tu, Sicilia, di cui vigghia
A lu duppiu timuni, mentri lutta
Cu tempesta, chi scoti, urta,e scumpigghia
L'Europa tutta?
    Chi, novu Ulissi, dintra l'utri affrena
Li venti furibunni, e in leta calma
Teni lu mari, e a l'aria serena
Li veli spalma?
    Chi nun chiama piaciri? 'un è cuntentu
Si non chiddu chi ad autri in tutti banni
Diffunni, e chi da centu cori, e centu
Trabucca, e spanni?
    Vurrai cu stiddi, e custillazioni
Sculpiri lu so nnomu a littri eterni,
Ma nun mindica l'ostentazioni
Di oggetti esterni.
    Resti la vana gloria dipendenti
Da li parranti vucchi di la Fama,
Chi godi in se beneficenza, e senti
Sazia la brama.
    Cundizioni pocu a invidian
Sarria chidda d'un diu, quannu appujatu
Fussi lu so contentu a tempii, e otari
Di l'omu gratu.

LVII.
A S. E. Sig. Duca d'Ascoli—In occasioni di la sua promozioni a maresciallu di campu.
       Scuvanu ancora da li nidi antichi,
Ristati in funnu di la vecchia lira
Amuri nichi-nichi,
Di cui risona 'ntra l'oricchiu miu
Lu duci ciuciuliu,
Chi 'ntra li noti d'idda si raggira,
E mi richiama in menti li cchiù grati,
Illusioni di la virdi etati.
       M'appena ch'eu mi provu d'affìdari
A li soi cordi d'Asculi lu nnomu,
Si mettinu a trimari
Smarriti l'Amurini; e cui si ammuccia,
Cui sutta l'ali agguccia
La facciuzza scantata...Eu gridu: E comu,
E d'unni mai ssu insolitu timuri
Pri un tantu saggiu, e affabili signuri?
       Nun sai tu, mi rispusiru, chi nati
Semu da l'Oziu, e da la Paci, e semu
D'immagini addivati,
Di curi e di pinseri, non già gravi,
Ma teneri, e suavi?
Nun sai tu quali orruri all'armi avemu,
E a lu tunanti concavu mitallu?
E proponi di campu un maresciallu!
       Oh locchi! eu ripigghiai, l'armi ch'impugna
Supri tiniri arrassu, e pri tagghiari
A' gaddi pizzu, ed ugna.
Chisti, chi reggi vigilanti squatri,
La paci vostra matri,

PRIMA PARTE
ODI
PRIMA PARTE
MONUMENTO A
GIOVANNI MELI
Fannu, comu in so nidu, cca rignari,
Abbrazzata a lu tronu venerannu
Di l'amabili nostru Firdinannu.
       Sacciati ancora, chi a li soi cunsigghi
Fida lu saggiu Re di lu so statu,
Di nui so cari figghi
La saluti nun sulu, ma l'internu
Ordini di governu.
Quantu felici augurj lu Fatu
Cci duna a compromettirni, e a sperari
Da un Asculi a la testa di l'affari!
       A sti grati notizj cunsulanti
Sentu la lira mia, chi rendi un sonu
Cchiù allegru e cchiù brillanti,
L'Amuri da li cordi sbulazzannu
Drittu a li cori vannu.
Però quantu è propiziu lu so tonu
A li gentili, e a li suavi affetti,
Tanta menu è adattata a gran suggetti.

LVIII.
A D. Raffaeli Politi in occasioni di aviri dipintu un graziusu picciriddu in attu di rìdìri.
       'N'amabili, e ridenti
Geniu di un tali risu,
Chi uguali sulamenti
Pò darsi in Paradisu,
       Appena ch'è trasutu
Dintra la stanza mia
Mi à già ringiovenutu
A modu di magia.
       Lu risu so mi spinci

A ridiri, e brillari,.
E l'anni mei costrinci
A jirisi ammucciari.
       Mi apporta 'ntra lu sangu
L'anticu briu, lu focu
Di Anacreonti, a rangu
Cu tutti mi la jocu.
       Oh Chimici affumati,
Pirchì tanti fatichi?
Lu lapis vui circati,
'Ntra storti, e 'ntra lambichi!
       Vuliti rinovari
Li jorna già pirduti?
Vuliti ripigghiari
La prima gioventuti?
       Lassati stu caminu:
Lu lapis truviriti
Sulu ne lu divinu
Pinseddu di Politi.

LlX.
Su la caduta di Bonaparti.
       Viju la gran catastrofi
Di Europa, e inorridennu
Esclamu: O di l'eserciti
Supremu Diu tremennu.
Ahi! comu lu to sdegnu
Scurri di regnu in regnu!
       Di li Nabbuccodonossor
Li statui colossali
Viju abbattuti cadiri,
Non da colossi uguali,
Ma da pitruddi leggi,

Chi lu io vrazzu reggi.
       Ma comu rutulannusi
Supra nivusi munti
Globbi di nivi ingrossanu
Pri l'autri ad iddi junti,
E fatti immensi massi
Opranu gran fracassi;
       Tali st'infirmi, e debuli
Pitruddi, ch'eligisti
Li forti pri cunfunniri,
'Ngrussati comu chisti
Supra li troni scossi
Sù fatti gran colossi.
       M'ahimè! chi la tirannidi,
Lu fastu, li rapini
Comu vuturi annidanu
Supra li giughi alpini,
Spargennu da ddi auturi
A bassu lu terruri.
       Tali l'Europa infestanu
St'ingigantiti menti
Purtati tantu in autu
Da un vrazzu onnipotenti,
Chi apposta li scigghiu
Pri so flagello riu.
       Crudili inesorabili,
Ch'a li mugghieri e matri
Li spusi, e figghi strappanu,
E 'ntra omicidi squatri
Li esponnu a lu fururi
Di ferru distrutturi.
       Povira Europa, ah misera!
Vidi toi chiaghi e taci!
Li levi ti desolanu,

E a forza un vrazzu audaci,
Chi ti strascina, e afferra,
Ti fa sclamari: Guerra!
       L'umani menzi inutili
Sù a tia, già ti nn'adduni,
Mort'è la fidi pubblica,
Oppressa la ragiuni,
La sula forza vali,
Ritaggiu, ohimè, brutali!
       Forza ch'è in manu all'empj
Unita a ingegnu, e menti,
Chi 'un ànnu cultu a tempj,
Nè drittu di li genti;
Ahimè duvi un viraci
Appoggiu avrà la paci!
       Dunca infelici populu
D'unni sperari poi
Ajutu e refrigeriu
A tanti mali toi?
Cca 'n terra menzi 'un viju,
Ma in celu sulu, e in Diu.
       Oh di misericordia
Tu patri onnipotenti,
Deh spira la cuncordia,
Rischiara tu li menti,
E 'ntra li cori audaci
Spira giustizia, e paci.
       Paci, chi a lu to nasciri
In terra annunziari
Facisti a tutti l'omini;
Falla oggi riturnari.
Cu dari a chista etati
La bona voluntati.
       Un quatru di giustizia,

Gran Diu, nni l'ài mustratu,
La tua clemenza mustranni,
Deh renditi placatu:
Spezza li toi flagelli,
Sù puru a tia rubelli.
       Fu sta prighera in lagrimi
Cu cori ardenti e bonu
Purtata da li Genj
A lu supernu tronu,
Duvi l'eternu Giovi
Regula tuttu e movi;
       Ch'a un cennu formidabili,
Chi movi terra, e celu,
Lu riu colossu è vittima
Di un fulmini di gelu,
E ad un momentu atterra
L'auturi di la guerra.

LX.
Pri un corpu di li soi poesj mandatu ad una celebri poetissa francisa.
       'Na musa sicula
Scausa e in cammisa
S'offri a 'na nobili
Musa francisa.
       La prima è povira,
Cci manca l'isci,
L'autra è magnanima,
La cumpatisci.
       L'una à lu geniu
Pri so parenti,
L'autra lu spiritu
E li talenti.
       L'una li rustici

Ninfi e capanni,
E l'autra celebra
L'eroi, li granni.
       Chist'è ch'Apollini
Scegghi, e destina
A lu gran meritu
Di Carulina.
       Fra macchi ruvidi
D'un voscu cecu
L'autra rannicchiasi
Pri faricci ecu.

LXI.
Invitu a Nici, chi dormi di prima matina, ad arrisbigghiarisi.
       Arrisbigghiati, mia Nici,
Vaja nesci di lu lettu,
Senti Zefiru chi dici,
Bedda Nici cca t'aspettu.
       Già l'aurora teni in manu
Lu pinzeddu a culuriri
L'emisferu di luntanu,
E tu pensi di durmiri?
       Febu ardenti a l'orizzonti
Ah! s'affrunta d'acchianari;
Nun fa luciri li fonti,
Nè li munti arrussicari;
       Pirchì 'un trova lu splenduri
Chi cci duna lu to visu,
Unni adduma, e punci amuri
'Ntra lu jocu e 'ntra lu risu,
       L'ocidduzzi armoniusi,
Chi rallegranu lu pratu,
Ciuciulianu cunfusi

Senza briu e senza ciatu,
       Ca nun sannu li mischini
Unn'è Nici ch'è l'oggettu
Di lu briu, e lu gran fini
Di lu cantu e lu dilettu.
       Li ciuriddi 'mmenzu all'erbi
Sfaiddanti di biddizzi,
Ch'intricciavanu superbi
La ghirlanda a li toi trizzi;
       Ora smorti e smusciuliddi
Cu li pampini quagghiati
Nun cuntrastanu a li stiddi
Li splenduri, e sù sprizzati.
       Nè cchiù spanninu lu ciauru,
Chi già l'aria profumava,
Cchiù suavi di l'addauru,
E lu cori cunfurtava.
       La ruggiada trimulanti,
Cristallina e rilucenti,
Chi si mustra 'ntra li pianti
Comu perni d'orienti,
       Cchiù nun pensa di furmari
Dda cullana vaga,e fina,
Chi sirviva pri adurnari
La sua gula alabastrina.
       Dunca, Nici, nun durmiri
Spinsirata sutta l'ali
Di lu sonnu, chi muriri
Fa pri pocu li murtali.
       Ntra li rosi e 'ntra li gigghi
Stai durmennu? Ah dun'accùra
Chi 'nzamai nun t'arrispigghi
Langui tutta la natura!

LXII.
1
       Amicu teni pedi!
Talè ch'è spiritusa!
Talè ch'è curiusa!
Talè chi novità!
       È donna scavunisca?
O Greca orientali?
O qualchi novu armali
Chi si strascinirà?
2
       Cc'è robba pri lu pecuru,
Cc'è fudda assai a lu latti,
Gattianu li gatti
La pasta a manu cc'è.
       Amicu a chi cci semu
Videmunilla tutta;
Sta sira è passa rutta
Pri st'errami tuppè.
3
       Ma nui lassamu a tutti
'Ncugnamunni cu chista,
Nun fa cattiva vista
Lu purtamentu sò.
       Ddi causi a la turchisca,
Ddu cappidduzzu sgherru,
Un pappagaddu, un merru
Esprimiri li pò,
4
       L'amicu so sirventi,
Chi a latu fissu teni,
Cancaru! si manteni
Cu tutta proprietà.

       Cci sù tant'autri a cantu,
Chi fannu li buffoni,
Ma sunnu muscagghiuni
Ch'appizzanu cca e ddà.
5
       La vuci è troppu flebili,
Ch'è modda a lu parrari!
Cui sa si 'ntra l'amari
E' grevia accussì?
       Ma l'apparenza inganna:
Sarrà di bona grazia.
Chi a tutti quantu sazia
Sapennu diri si.
6
       Ma cosa cc'è di malu
Chi smovi lu pitittu
A cui 'un camina drittu,
A cui severu stà?
       Li gammi si cci vidinu,
Lu cintu cumparisci,
Ed accussì cchiù accrisci
La curiusità.
7
       É 'na lanterna magica,
Amicu, sta banchetta;
Statti cuetu aspetta
Cc'è nautra novità.
       A la pittinatura
Mi pari Bradamanti
Cu tanti pinni e tanti,
Chi guirriggiannu và.
8
       Amicu pigghi erruri,
Scappau qualchi cavaddu,

'Mpinnatu, coma un gaddu,
All'usu anticu sò.
       Chi Vai scacciannu, pesta!
Nun senti a lu parrari
Ch'è donna, e si fa amari
Pirchì lu so 'un è sò.
9
       A sta figura nova
Chi tira tanti ucchiati
'Ncugnamucci a li lati
Pri vidiri cui è.
       Ppu chi franzisaria!
Mi suppunia cui era!
Cu tutta sta chimera,
Cu tuttu stu tuppè.
10
       Adaciu ca cc'è robba!
So matri l'ama puru,
Si cridi, chi a lu scuru
Nun si conuscirà:
       E fibbia di scarpa,
Chi porta 'ntra dda testa
Chi cci vegna la pesta
E' 'na difformità,
11
       Ch'è linna, ch'è ammastrata!
Chi bizzarria, chi sfrazzu!
Tale com'un spicchiazzu
Cci luci ddu mimì.
       Aneddi, scocchi, e noliti
Di supra leva, e metti,
E vecchia e bona sdetti
A sti franzisarì.

12
       Mi nni vogghiu iri amicu
Facennumi la cruci,
Li senti quantu vuci,
Chi parracia chi cc'è?
       È na suvirchiaria,
Vonn'essiri sparrati,
E sta sua novitati
Finisci cu l'olè.

LXIII.
AMURI NAVIGATURl.
       Lu regnu d'amuri
Cui voli girari
Bisogna imbarcari
La sua libertà.
       Però cui s'imbarca
Senz'arti, e viscottu
S'annega 'ntra un gottu
Nè junci cchiù ddà.
       Cu multa accurtizza
Si pisca un istanti,
Ca troppu è incostanti
St'Oceanu, oimè!
       S'osservanu prima
Di l'occhi li stiddi,
S'influssi, o faiddi
Di Amuri cci n'è.
       L'Amuri è pilota
Chi ammutta di paru,
Circannu lu scaru
Di geniu sò.
       Cu reguli esatti
Cuntempla, talia

La lattia via
Cchiù dintra chi pò.
       La bussula guarda,
E pri tramuntana
La prima quadana
Ch'acchiana all'ìnsù.
       Appoggia la prua
D'Alcidi a li signi,
E avviva l'ordigni
Chi dintra cci sù.
       Passanu lu capu
Di Bona Spiranza
L'insultu s'avanza
Cchiù granni si fà.
       Lu celebri strittu,
Com'è a Gibilterra,
Nun pena nun guerra,
Ma spassu cci dà.
       Ammutta li rimi
Si vidi la calma,
Li vili poi spalma
Pri curriri cchiù.
       Sbalzatu, agitatu
Da moti ineguali
Si trasi in canali
Va tenilu tù.

LXIV.
1
       Nun cchiù a Porta Filici,
Nun cchiù 'ntra dda marina,
L'Autunnu s'avvicina,
Lu friscu spiacirà.
       Li cafitteri sbignanu,

La musicata speddi,
E li puddicineddi
Nun jocanu cchiù ddà.
2
       Ddi fodiduzzi bianchi
Puliti, e trasparenti
Ddi curti vistimenti
Nun s'usirannu cchiù.
       La donna, chi vinia
Scuverta, ed attillata
Nun po tutt'ammastrata
Nesciri in chiazza cchiù.
3
       Dd'ucchiati, vezzi, e noliti,
Dd'amuri a tutt'in faccia,
Ch'ognuna a fari 'n caccia,
'Ncasa si spiddirà.
       Comu chidda simenza
Chi siminaru alcuni
Dintra ddu bastiuni
All'annu fruttirà.
4
       Diversu briu cumincia
Pri chiddi gran citati,
Cc'è la disparitati
Si fa quantu si pò.
       Pri li signuri nobili
Ridutti, ed opri boni,
La cunvirsazioni
Fissa unni Cisarò.
5
       Pri chisti fa lu munnu,
La carni e lu dimoniu,
Focu di S. Antoniu

Cui si cunvirtirà.
       Quant'aprinu la vucca
Carrozzi, e vulantini
Gran tavuli, e fistini,
Tutti commodità.
6
       Si tratta a la francisa,
Nun sù nenti gilusi,
Sù tutti affittusi,
Nun cc'è nè meu nè tò.
       Pr'iddi è impolizia
Qualura la sua dama
'Un joca, 'un balla, 'un ama,
Ma fa lu fattu sò.
7
       Anzi taluni stilanu
Chi lu maritu và,
Pri stari in libertà
Unni la mogghi 'un cc'è.
       Annu morali a parti,
La liggi sua briusa
'N'è nenti scrupulusa
Ognunu fa per se.
8
       Tutta la sua limosina
Cu li cumidianti,
Pirchì sù casti, e santi,
Nè sannu diri nò.
       Cui nun proteggi a chisti.
Cui nun cci spenni e spanni,
Nun è signuri granni
Nè sa l'obbligu sò.
9
       Ma comucchì l'Invidia

'Ntra stu paisi regna,
Chi fora a tutti sdegna
Stu bruttu fari ccà.
       La vonnu gariggiari
Cu li signuri nobili,
Pirsuni bassi, e ignobili
Misi in prosperità.
10
       Appena è fattu judici
Un picciulu avvucatu,
Voli mutari statu
Cu fari di lu cchiù.
       Chi lussu! Chi superbia!
'Ntra sta professioni,
Quantu malazioni,
Chi aggravj cci sù.
11
       A forza di dinari
Lu drittu s'è decisu,
Iu puvireddu è 'mpisu:
Chi liggi è chista ccà?
       E, giustu Diu, permetti
Chi doppu la sua morti
Li figghi un fannu sorti,
E tuttu si disfà?
12
       Nescinu ancora in chiazza
Curti niguzianti
Tant'autri mircanti,
Cust'aria accussì.
       Sù misi in cacaticchiu
Taluni professuri,
Chi a forza d'imposturi
Fannu qualchi tarì.

13
       Si vestinu a cridenza,
Tincinu li mircanti,
Scrusciu e carta vacanti,
Badagghi in quantità,
       Cu sei tarì un garzuni
Tennu di piluccheri
Basta chi la mugghieri
Frisata affaccirà.
14
       Nun cc'è suggizioni
Pri li figghiuzzi schetti,
Tuttu si cci permetti;
Ma basta...'Un parru cchiù.
       Cui pri cunvinienza,
Cui pri nicissitati,
E poi sta libertati
Finisci a frustustù.
15
       Ancora 'un sunnu in liti
E lu maritu, e mogghi,
Chi purcarii, chi imbrogghi,
Mischina mia chi cc'è.
       O tempora, o costumi!
Sclamava Ciciruni,
Seculi cchiù briccuni
Di chisti nun cci nn'è.
16
       Chi senti ddu mastricchiu.
Ddu signa piluccheri,
Ddu poviru stafferi
Cu tanta vanità.
       Un misi di scarsizza,
'Na lunga malatia,

La sua baggianaria
Pri l'aria si nni và.
17
       Veni lu scancia, e mancia,
Nun ànnu ch'impignari,
Nun sannu comu fari,
Mugghieri pensa tù.
       Dura nicissitati
Meritamenti poi,
Pri chisti sfrazzi soi,
Pri fari di lu cchiù.
18
       Figghioli cumpatitimi,
Lassatimi parrari,
Facitimi sfugari
Ca scattu masinnò.
............................
19
.............................
       Ma cui s'incugna troppu,
Cui scherza 'ntra stu mari,
Certu s'àvi annigari
Povira umanità.

LXV.
Pri l'elezioni di Diputatu di la Università di li Studii di Palermo in pirsuna di S. E. D. Giuseppi Vintimigghia. Principi di Belmunti.
Dignum laude virum Musa vetat mori.
Hor.od.XIII. lib.IV.
    'Saziu oramai di l'Elicona, e stuffu
Di dari corpu ad umbri, e a vani idei,
O santa Verità, li labbra mei

               'Ntra lu to fonti attuffu.
    Ora chi fridda età cunverti in petra
Lu corpu, e l'ali di la menti in chiummu,
Nun mia, ma vuci pubblica rimbummu,
               Fatt'ecu di Triquetra.
    Non vicenni d'imperj, e di guverni,
Lordi d'umanu sangu sparsu a ciumi,
A nutari vegn'iu 'ntra li volumi
               Di li registri eterni;
    Ma l'omu di la pubblica impurtanza
Portu in cima di l'epochi a Minerva,
Chiddu, chi di l'onuri nni preserva
               Di gotica ignuranza;
    Chiddu chi avviva la dimissa frunti
A li scienzi, e li susteni amicu,
Ch'eternu vivirà Giuseppi, eu dicu,
               Principi di Belmunti.
    Chi da pianeta, chi propiziu raggiu
Assorbì da lu suli, e poi dispenza,
Regia profunni cca munificenza
               A pubblicu vantaggiu.
    Pri cui Filosofia s'allegra e torna
A visitari la sua antica sedi,
Unni a cantu d'Empedocli, e Archimedi
               Gudiu felici jorna.
    E li Siculi Genj sviluppannu
L'ali, chi prima avevanu 'mpicciati,
Volanu pri li spazj esterminati
               Li sferi misurannu.
    Autru la luci anatomizza, e sparti;
Autru la mobil'aria assoda, e fissa;
L'acqua dividi in arj, e poi la stissa
               Da l'arj forma ad arti.
    Cui sciogghi li cumposti, e li sfigura,

E l'elementi rimarita, e unisci,
Vidi li novi corpi, e nni stupisci
               Attonita Natura.
    Autru dà senzu, ed anima a li marmi,
Cui tili avviva, e cui culonni ed archi
Opponi di lu tempu e di li Parchi
               A l'insensibil'armi.
    Focu d'estru immurtali chi rapisci
Sublimi genj a li fortuni, e all'oru,
L'associa in Pindu a lu Pieriu coru,
               Ch'alletta, ed istruisci.
    Chisti ed autri prodigj da vantari
Sicilia ti è accurdatu pri li curi
D'un figghiu a gloria tua natu, e ad onuri,
               Chi divi immurtalari.
    Quali midagghia, o nobili trofeu,
Si divi a la sua gloria in monumentu?
Spirami Apollu tu... basta ti sentu,
               Lu pubblicu Liceu !
    Chistu sarà lu tempiu augustu, e piu.
Unni 'ntra li bell'arti e li scienzi
Li nostri eterni avrà riconoscenzi
               Stu tutelari Diu.

LXVI.
A la Maistà di Firdinannu III Re di li dui
Sicilii — In occasioni di la ricurrenza di lu so jornu nataliziu.
       Privilegiu anticu, e granni
Sempr'è statu pri li Musi
Penetrari a tutti banni,
Puru ancora a porti chiusi;
       Di lu celu 'ntra l'internu
Cu li Dei stari in delizj,

Spissu scurriri l'infernu,
E purtaricci notizj.
       A lu vivu Omeru espressi
Di li Dei l'aggiuntamenti.
Pirchì a tutti ddi congressi
La sua musa fu prisenti.
       Putia mai iddu sapiri,
'Ntra sta bassa terra chiusu
Li cuntrasti, e dispariri,
E l'intrichi di dda susu?
       Danti dici: chi trasiu
Vivu in Diti. Eu nun cci juru;
Chi la Musa sua cci jiu
Chistu sì vi l'assicuru;
       Pirchì ddocu la gran prova
Nun cunsisti 'ntra l'entrari;
Prova granni, ch' 'un si trova
E niscirinni, e scappari.
       Anchi Milton, anchi Tassu
Li soi Musi cci mannaru,
Chi di Plutu, o Satanassu
Li comblotti rappurtaru.
       Ma chi jiri cchiù citannu
Quann'è cosa chiara, e certa,
Chi li Musi unn'è chi vannu
'Annu sempri porta aperta;
       Dunca, Musa mia, tu sai
Quantu divu a lu Suvranu,
Tu, chi ostaculi nun ài
Vacci, e basacci la manu.
       Chiavi 'un àju, 'un sù fasciatu,
Nè su ammisu a un tantu onuri,
Cumpatisci lu miu statu
Vacci tu, fammi favuri.

       Oggi è festa, pri nui, granni
Di alligrizza, pirchì torna
'Ntra lu circulu di l'anni
Lu cchiù bellu di li jorna,
       Chiddu appuntu, chi à purtatu
A la luci stu rignanti,
Chi a vassalli onesti è statu
Un benignu patri amanti.
       Dicci...(cca m'imbrogghiu anch'iu)
Portu augurj...Ma stà a tia
L'avvirarli? Ah vogghia Iddiu,
Tu rispunni, stassi a mia.

Medaglia di bronzo dedicata a G.Meli (Collez. F. Di Rauso - Caserta)