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III
Fra il Trilussa favolista e satirico che s'è visto, e quello lirico e idillico di cui diremo ora qualcosa, non ci fu veramente il taglio netto e il salto che le parole vorrebbero. Come il satirico, nel corso della satira, non rinunziava a essere anche un poetico e delicato pittore, così il lirico (aiutandolo in ciò lo stesso dialetto) trovò sempre risorse, estri e scorci nell'arguzia.
Comunque, allo spartiacque tra i due generi, ci metterei le Fiabe: quelle curiose Fiabe di Trilussa che somigliano molto alle sue favole animalesche ma dove ai parlanti animali si sono sostituiti più addobbati personaggi, Re Baiocco, Re Chiodo, Re Carlone, il Nano Orme, il Mago e la Strega, l'Orco innamorato. E aggregherei al gruppo anche le sestine della Porchetta bianca e della Verginella con la coda nera. Con personaggi che possono venirgli dalla tradizione popolare o dal Cunto de li Cunti, e le sestine questa volta insolitamente cadenzate al modo dei cantàri popolari (ma troppo maliziosi cantàri), qui vedi Trilussa che tenta un più disteso o più colorito
narrare. L'impressione ultima è però che il poeta regga il disegno più largo con qualche fatica. E il meglio di quei poemetti resta negli arguti particolari. La poesia più sua resta altrove.
In tutti i libri di Trilussa, ma specie negli ultimi, incontri quadretti, idilli, teneri epigrammi, ricordi, che, a ripensarli insieme, formano un piccolo intimo canzoniere. E strano è che il canzoniere intimo di questo poeta, che in tanta parte dell'opera sua. sta così attaccato al vero e spesso al crudo vero, sia campato quasi tutto nel desiderio o nella nostalgia, e canti di preferenza amori e affetti non goduti o troppo presto perduti; e vi abbia tanta parte il sogno.
A che famiglia di poeti appartenne questo Trilussa?
Dietro il Trilussa giocoso o satirico ci fu chi, oltre i soliti dialettali d'obbligo, avvertì il ricordo o un'aria a volte del Giusti (nelle due direzioni, La chiocciola e L'amor pacifico), e io ci aggiungerei il Pananti delle sestine (Il Poeta di Teatro). Del Trilussa lirico, Pietro Paolo Trompeo, che ha scritto fini pagine sull'argomento, ha giustamente detto che «i suoi primi modelli devono essere stati i poeti della generazione intermedia tra Carducci e D'Annunzio; il sentimentale Stecchetti e il Panzacchi delle romanze per musica». Silvio d'Amico e altri dissero altrettanto bene, e senza perciò contraddire Trompeo, che Trilussa può anche essere considerato un crepuscolare avanti lettera. Avanti o dopo la lettera, non lo so, (è incredibile quanto sia difficile stabilire le precedenze tra poeti contemporanei); ma è certo che in qualche interno di Trilussa risenti cadenze di Gozzano.
Chi poi volesse antologizzare nell'opera sua per frammenti (usava tanto qualche anno fa), vedrebbe quanto questo poeta facile poteva essere segretamente squisito. Una mattina presto:
Doppo una notte movimentatella
ritorno a casa che s'è fatto giorno;
già s'apreno le chiese; l'aria odora
de matina abbonora e scampanella...
Notturno in un orto (quasi alla Burchiello):
Dodici Lucciolette erano scese
co' le lanterne accese
a illuminà li broccoli d'un orto...
Una moralità: come i rospi vedono il mondo:
Nojantri Rospi, senza annà lontano,
vedemo tutto er monno che se specchia
ner fango der pantano.
Dovessi poi dire io quali sono i suoi più belli e originali punti d'arrivo, li indicherei in certe poesie molto brevi che tengono insieme e della favola e della lirica; però senza alcun peso, essendosi favola e lirica prestate, l'una all'altra, soltanto l'arguzia e la leggerezza. La Colomba:
Incuriosita de sapè che c'era
una Colomba scesa in un pantano,
s'inzaccherò le penne e bonasera.
Un Rospo disse: — Commarella mia,
vedo che pure te caschi ner fango...
— Però nun ce rimango... —
rispose la Colomba. E volò via.
Un epigramma così trasparente, più soffiato che detto. Più giuoco, più scherzo c'è in Presunzione:
La luna piena che inargenta l'orto
è più granne der solito: direi
che quasi se la gode a rompe l'anima
a le cose più piccole de lei.
E la Lucciola, forse, nun ha torto
se chiede ar Grillo: — Che maniera è questa?
Un po' va be': però stanotte esaggera! —
E smorza el lume in segno de protesta.
Che cosa vorrà poi dire? Proprio quest'incertezza fa la favola più arguta. Ecco invece soltanto un affilato epigramma: Fischi.
L'Imperatore disse ar Ciambellano:
— Quanno monto in berlina e vado a spasso
sento come un fischietto, piano piano,
che, m'accompagna sempre indove passo.
Io nun so s'è la rota o s'è un cristiano...
Ma in ogni modo daje un po' de grasso.
Autoritratto dell'autore come un momento davvero fu: col piglio ancora giovane, ma la grande vecchiezza trasparente.
La strada è lunga, ma er deppiù l'ho fatto:
so dov'arrivo e nun me pijo pena.
Ciò er core in pace e l'anima serena
der savio che s'ammaschera da matto.
Se me frulla un pensiero che me scoccia
me fermo a beve e chiedo aiuto ar vino:
poi me la canto e seguito er cammino
cór destino in saccoccia.
La favola giovanile certamente non è perfetta (il Gobbetto parla troppo); ma negli ultimi due versi mi pare di sentire, nella voce e cadenza più sua, l'intima morale di Trilussa.
Nel corso del sermone, di proposito, e anche dove la tentazione c'era, mi sono astenuto dal citare il Trilussa più vistoso o famoso. Ma infine ho voluto offrire al presunto lettore meno pratico un piccolo campionario (quasi frecce indicative) di quello che fu il Trilussa più intimo e delicato poeta.
Ora, prima di chiudere, vorrei però mettere tutti i lettori in avviso. Trilussa è un poeta ingannatore. Ci furono, e ci sono, poeti che vi ingannano con l'apparente loro grande complessità, («se vôi l'ammirazione de l'amichi — nun faje capì mai quello che dichi»). Trilussa vi inganna invece con l'apparente estrema semplicità sua. Almeno in ciò, questo poeta somiglia un classico. (E penso che, bene scelto, Trilussa sarebbe piaciuto al Manzoni.) Ci fu in lui tanta e continua ricchezza di vena, di temi, di trovate, di rime; le poesie belle sue ebbero sempre in grado eminente quella spinta, quel movimento che significa vita; ma tutto questo era in lui così naturale che quasi non s'avvertiva. Ci sono nel mondo cose che, per essere naturalmente belle, oppure per essere riuscite benissimo, finché durano, ne godete quasi senza accorgervene. Ve ne accorgete però dopo, vi fanno vuoto quando fiancano.
E così è della poesia di Trilussa. Chi per tanti anni lo seguì e lo sentì poetare gli estri suoi e le sue fantasie, e commentare con quella sua inconfondibile voce e quell'umore i tipi e le cose della vita italiana, oggi, nel suo silenzio, avverte che Trilussa è veramente un'assenza. Trilussa ci manca.
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