Si autem de veritate scandalum sumitur,
utilius permittitur nasci scandalum, quam
veritas relinquatur.
S. GREGOR.MAGN. Homiliae.
Lib. I. Hom. VII, § 5.
Eccoti, lettor maligno, la ristampa di un libro che ti farà rizzare la chioma in capo, se l'hai; intendo la chioma, non il capo.
Il libro è cresciuto di mole e d'insolenza, e sento di qui le accuse che tu mi scagli di corrompitore della gioventù e di introduttore di nuovi iddii. Appunto l'accusa del virtuoso Anito contro Socrate. Ma io non sono Socrate e tu non sei virtuoso. Intanto, lettor maligno, sentiamo i peccatacci di questa scuola che tu chiami nuova, benchè abbia la barba lunga come il Cantico dei Cantici. Prima di tutto, dici, non crede a Dio.
È proprio vero? Può darsi, non te lo nego, che al Dio personale, che al Dio comestibile sotto le specie del pane azimo e del vino puro ci creda così e così; ma di qui all'ateismo c'è tanto di strada. Lo so anch'io che tra gl'inni elzeviriani ce ne son pochi de' sacri; ma pare a te che un disgraziato perchè ha il viziaccio di scriver versi sia obbligato a credere nella immortalità dell'anima? Ma Lucrezio non ne scrisse dei bellini senza crederci? E Guido Cavalcanti che cercò se Dio non fosse? E centomila altri? E poi, vedi, tra questi elzeviriani che ti fanno l'effetto del rosso ai tacchini, ce ne sono degli scettici, dei
panteisti, degli hegeliani, dei materialisti, e chi più n'ha ne metta. Tu intanto ti cavi il cappello al Kant, allo Schelling, all'Hegel, al Moleschott e chi più n'ha ne metta. Credi che i loro studi, comunque la pensi tu, siano un progresso del pensiero umano, ed hai ragione: ma lo credi perchè scrissero in prosa. Se dubitavano della esistenza di Dio in tante ottave, poveri a loro! Tu, buon Geremia, saresti ancora seduto sulle rovine dell'arte a piangere come la fonte del Tettuccio. Dubitare di Dio in prosa, passi. La scienza, l'umanità ed altre belle cose, ne hanno bisogno pel loro avvenire. Ma dubitarne in un sonetto! Sacrilegio, non è vero? Sei logico. Ma se invece di esser logico tu fossi cattolico, credi pure alla Immacolata che il regno de' cieli te lo sei meritato e presta un paio di occhiali a Luigi Alberti. Critico, una volta educato, ha però il brutto vizio di non leggere il titolo dei sonetti. Ne ha portato in giro uno de' miei, quello che finisce Bevendo in fresco e bestemmiando Cristo, come meritevole di un giudizio severo. Non dico di volere un bene sviscerato alla seconda persona della Santissima Trinità, ma il titolo faceva pur vedere che il sonetto era il canto di un ebbro e la chiesa ammette pure l'advocatus diaboli! Sallustio fu un birbante, ma non è giusto giudicarlo dalla orazione che mette in bocca a Catilina. Dopo questo, signor Alberti, non scriva più versi emetici al Rospo, e pazienza se non vuol stringermi la mano che è pulita, quantunque a lei paia non lo siano le pagine che scrisse. Lasciva nobis pagina sed vita proba est. Tollera questa massima, amico mio Gnoli, che non è poi così delittuosa come tu credi e che certo è verissima. Tu poi, lettor maligno, che ci vorresti vedere coi pugni in faccia, brontola pure, ma questo gusto non te lo cavi. Dunque la scuola nuova non è cattolica. Ma chi è il cattolico che infili un sonetto leggibile? Non citarmi il Manzoni. Infecondo da quarant'anni, è morto senatore e scomunicato. No, non vogliamo essere nè cattolici, nè luterani, nè ebrei. Lasciaci sognare o il vago teismo de' francesi, o il materialismo scientifico dei tedeschi, o il nichilismo buddista de' russi. Lasciaci pensare a modo nostro, credere a quel che ci pare, anche non credere, o fammi comprare un po' di fede da chi la vende, ma che non sia sofisticata, ed allora rinuncerò al mondo ed alla carne. Ma finchè trottando per la via di Damasco non cascherò da cavallo, lasciami andare. Se la scuola nuova non è cattolica, ha millanta ragioni per non esserlo. Fagliene invece aver millanta per esserlo e mi farò frate, magari gesuita, e confesserò le educande che me ne vorranno insegnare delle belline, le povere innocenti, quantunque per libro di premio non ricevano i nostri. Altra scusa. La scuola nuova non parla mai della patria. Ah, lettor maligno, come brilli, come capisci bene che questo è un punto delicato e mi aspetti al varco col fucile alla gola! Sentimi. Dato che noi facciamo professione di dir le cose come sono, non parlare della patria può anche essere carità. Altre volte facemmo il dover nostro e certo non fummo austriacanti prima del cinquantanove per diventare guelfi dappoi e rimpiangere la santa lirica del trentuno e del quarantotto. Ora il meglio da farsi è tacere. Il Carducci un giorno scagliò un verso che rimarrà storico in faccia a chi spinse i Cairoli al calvario di villa Glori e li abbandonò alla ferocia dei crocifissori. L'indignazione gli fece saettare giambi infocati contro la commissione araldica, il battesimo delle navi, i piccioletti ladruncoli bastardi. Di' un poco, credevi tu che il nostro bel paese producesse tante mele fradice quante ne furono scagliate addosso al povero Enotrio? Ma dovremo dunque ricantare Italia mia, dovremo mettere in rima il Primato del quale Massimo d'Azeglio si vergognava? Dovremo cantare le glorie di Lissa, le libertà di villa Ruffi, la opulenza de' bilanci, la moralità dei ministri, la sapienza de' Parlamenti, i trionfi che riportammo dal congresso di Berlino? Facemmo professione di verità e mancammo alla promessa tacendo; ma tacere è patriottismo. E non rimproverarci, noi piccini, se non abbiamo le audacie dell'Alighieri che trattò a quel modo gli uomini del suo tempo e la sua patria stessa. Non rimproverarci se, per carità del natio loco, abbiam chiuso Giovenale con sette suggelli. Grato m'è il sonno. Il resto lo sai. E poi, chi ti dice che come Cassio non aspettiamo anche noi gli Idi di marzo bevendo il cecubo? Chi ti dice che nel mirto sacro a Venere non sia nascosta la spada d'Armodio? Ricordati, lettore morigerato, che la etèra Leena fu l'amante di Aristogitone e che gli ateniesi, proprio ne' forti tempi della potenza loro, le eressero una statua. Non c'è bisogno d'essere Catone per amare la patria e si può cantarla senza essere Catone. Il Béranger diceva:
Aux drames du jour
Laissons la morale;
Sans vivre à la cour
J'aime le scandale.
. . . . . . . . . . . . . . .
Paix, dit à ce moi
Caton, qui fait rage;
Mais il prêche en sot.
Moi je ris en sage.
Bon
La farira dondaine
Gai
La farira dondè.
Senti, Catone, che bella voce aveva il vecchio patriotta? Parliamo male delle donne; parliamo di loro come se fossero tutte... non so come dirlo idealmente, ma si capisce bene. Questa accusa poi, questo è il più bello, viene spesso dalle donne, e spessissimo dagli uomini che dovrebbero esser donne. Logica benedetta! Le accusatrici, qualunque sia il loro sesso, sono poi quelle che strillano perchè nella civil società alle donne non si fa la parte che meriterebbero; che lamentano, ed a ragione, la inferiorità voluta del sesso femminile; che protestano colle più efficaci forme della rettorica contro la tendenza mussulmana dell'epoca, la quale fa della femmina un istrumento di piacere pel maschio e null'altro. E il livello abbassato e l'istruzione e l'educazione e Cornelia madre dei Gracchi e tutti gli altri luoghi topici logori fino alla trama, sono iscritti per lungo e per largo ne' libri polemici, gridati nelle orazioni accademiche, strillati nei convegni, urlati nei caffè. Ma che santa Maria Maddalena vi aiuti le mie donne, quando voi riconoscete che i maschi tiranni tengono abbassato il famoso livello apposta perchè non vi mettiate le brache; quando dallo Stuart Mill a Salvatore Morelli tutti riconoscono che c'è molto da fare per voi altre; e che adesso non siete il tipo della migliore delle donne nel migliore dei mondi possibili, perchè diavolo poi volete che diciamo il contrario e che mettiamo in rima le vostre perfezioni? Dobbiamo affermare come nei libretti d'opera che la donna è un angelo? Possiamo anche farlo e la rettorica ci scuserà. Ma volete poi che diciamo che la donna non ha debolezze, non ha capricci, non ha istinti e muscoli brutali come quelli del maschio e forse peggio per cagione di quel solito livello abbassato? Grideremo calunniosa l'affermazione che molte donne profondano pel capriccio di un vestito quanto basta ad un operaio per vivere un anno e che quelle che non si cavano questo capriccio è perchè non se lo possono cavare?
Diremo dunque che la signora A. è la più casta donna del mondo quando i giornali citano persino il numero della porta misteriosa dietro la quale multorum absorbuit ictus? Diremo che la signora B. è il modello delle spose quando vive con un amico divisa dal marito? O che la signora C..., ma non basterebbero le lettere dell'alfabeto, e voi tutte che queste cose le conoscete, sapete ancora che se una volta erano l'eccezione, ora fanno dei gran passi verso la regola. Dica un buon giudice, il signor Bodio che dirige l'ufficio centrale di statistica, se sono i matrimoni che crescono o le case... soggette a certi speciali regolamenti. E voi reclamate per questo la rigenerazione della donna e per questo anche quello della donna è diventato, come si dice adesso, un problema. E perchè vi lamentate dunque quando diciamo quel che sapete? Siate sincere, donnine mie, e rispondete per noi a quei signori che ci accusano di cercare le modelle nostre nei fornici della Suburra, che non c'è bisogno di scendere fin laggiù per questo. Si capisce che non vi piaccia vedervi così fatte, ma noi non sappiamo far le funzioni della pezzuola che con tanta intelligenza svolazza sul centro degli angioletti dipinti nelle chiese: noi non sappiamo velare colle massime di Sant'Ignazio le ulceri aperte, come fanno con tanta vocazione certi collitorti, i quali, quando peccano, voltano verso al muro l'immagine della Madonna. Additiamo francamente, sfacciatamente se volete, il male che vediamo e che avete sott'occhio anche voi. Ci troverà rimedio il medico, ma alla poesia non spettò mai filtrar decotti di legno santo. Ci badi chi ci deve badare, e quelli che piangono a calde lagrime sulla decadenza della donna, si lascino dire che non sono galantuomini quando rimproverano a noi di mostrarla decaduta. Qui saltano sul palo i critici e gridano che tutte le donne non sono così. Grazie tanto! A chi lo dite? Amo Griselda anch'io, ma parmi che anche la Belcolore possa stare nell'arte. Urlano i critici: voi ci parlate solo della Belcolore! Non so se sia vero, ma se lo fosse, scomunichiamo noi Griselda per questo? Cantatela voi e noi canteremo l'altra e tutti pari. Non vogliamo escludere Beatrice, vogliamo che sia accettata anche Fiammetta. Questo è ciò che voi non volete. E qui dovrei parlare di un certo signor Galassini, egregio cattolico ed insegnante nel collegio S. Carlo a Modena, il quale (il Galassini non S. Carlo) ha trovato che la natura al suo primo offrirsi allo sguardo dell'uomo è pura e vergine; vergine alle prime ore del mattino e più tardi, ed ha trovato una filza di altre belle cose ed alcuni argomenti che non sono però da prendere a gabbo, ma ai quali tutti era già fatta la risposta nel primo getto di questo Prologo e che in fondo non si appoggiano che sopra un facile rovesciamento di tesi. Ma lascio stare anche perchè non uso trattare con chi mi dà del voi che non si dà oggi nemmeno alle Guardie di Pubblica Sicurezza; con chi dopo avermi dato, letterariamente s'intende, dell'asino e del porco per quaranta pagine infilate, dichiara poi di amarmi e di stringermi la mano. Grazie tante, ma le mani io me le lavo. Accusa quarta. L'arte nuova è carnale, oscena, brutale. Nientemeno!
C'è davvero una reazione forte contro le svenevolezze degli amori poetici passati che tendevano a fare dell'arte un mare di latte e miele. La donna era esclusa dalla poesia e solo ci si ammetteva un ideale di lei aereo, sentimentale, salice piangente. Questo cant, questa ipocrisia erano innalzati agli onori di canoni d'arte. Il Vittorelli trionfava, e Nice, Silvia, l'amica lontana erano le perpetue modelle. I più audaci arrivarono sino alla Elvira del Lamartine. La donna vera colle sue debolezze, la figlia d'Eva come la fece madre natura, era esclusa dal tempio dell'arte come gli scomunicati una volta; e quando ha tentato di entrarci, i leviti hanno gridato allo scandalo; e la vacuità pomposa del Guerzoni, le professeur malgré lui, la manzonaggine accapponata di cento ipercritici che sbagliarono mestiere, la stitichezza dogmatica di mille dilettanti illetterati, si sono inacidite come le pulzellone al cospetto delle nozze altrui. Hanno lordato gli Dei e inverniciato frate Cristoforo: hanno trullato che il gran Pane è morto proprio nel giorno della sua risurrezione, brontolando che la sposa era brutta perchè natura negò loro la capacità di esser mariti sul serio. Povero ideale sceso agli uffici del mantello di Noè, tolga il senno italiano che Sem e Jafet a forza di trascinarti piamente su tutte le vive libertà del secolo, facciano di te un cencio, spregiato anche dai rigattieri e dai preti!
Il rimedio, lo ammetto, è radicale; ma diceva il Botta, per raddrizzare un arboscello storto non basta costringerlo alla linea verticale, bisogna piegarlo dalla parte opposta; ed a chi ha lo stomaco pieno di schifo per abuso di dolciumi, un po' di pepe di Caienna glielo accomoda ed un sorso di gin vince più nausee che non faccia il laudano.
Oh, non ci rinfacciate l'Aretino! Non siamo noi che scriveremo la Vita di Maria Vergine e la Parafrasi dei sette salmi penitenziali. Giulio III e Carlo V non penseranno mai a farci cardinali. Ad altri le sacre elucubrazioni e le simpatie della chiesa. È facile inquinare gli album con versi squisitamente macaronici come questi:
Ed è perciò, caro signor Stecchetti,
Che per quanto in bei versi il sudiciume
Vo' che si spazzi e dal balcon si getti.
Ma la onesta scopa non bada che ne spazza anche di quelli che per la loro innocenza meritarono l'inserzione nei giornali pedagogici tra le favolette ed i problemi d'aritmetica. Non bada, la pia scopa, che spazza quattro quinti delle letterature europee antiche e moderne. Quasi tutta la poesia greca dovrebbe cedere allo spazzatore, tutta la latina, compreso Virgilio ed il famoso pastore Alessi, quasi tutto il nostro trecento, tutto il Risorgimento. Cari miei, ci vuol altro che una scopa benedetta, ci vuol altro che tirare in ballo il Giusti che scrisse anche lui la Mamma educatrice e l'Ave Maria, o il Parini che fece tanti versi per nozze.... Leggeteli. Ma lo scopatore santissimo qui m'interrompe. Nella sua virginea modestia egli crede che tutto questo libro sia stato scritto contro di lui. Nella sua cattolica morale crede lecito sparger copie di un sonetto scritto contro di me, ma non crede che io possa stampare la chiusa. Nella sua manzoniana rassegnazione scrive lettere dolciastre dove si mostra in aspetto di S. Sebastiano martire, ma non dice se le freccie che ha in corpo siano di acciaio buono. Che cosa rispondere a chi non risponde?
Amen.
Ma quel che gli scotta più di tutto è il sentir dire che il suo sonetto è macaronico. Eppure quel sonetto
non è la sua cosa migliore. La migliore è l'Ode alla regina fatta a concorrenza del Carducci, l'Ode dove il poeta sparge il crine di una donna nientemeno che di fronde, siano pure apollinee e dove si trovano versi di così squisita fattura ed armonia come quello che comincia — Voi pur pugnaste per la patria ecc. — Fattura però che non riesce nuova a chi ricorda — Pietro Paolo pittor pinse pittura Per poco prezzo ecc. — Via, via, scopatore santissimo, Enotrio almeno i versi li sa fare. Vittorio Imbriani e lei stanno di casa molto più sotto, molto più basso. Lo creda.... oh, lo creda! Un altro idealista militante grida:
Lungi questa del secolo
Smania del ver proterva
Che a la terrestre Venere
L'arte e la vita asserva.
Benone! e tre strofe dopo:
O viva, viva il turbine
Che l'anime frementi
Rapisce insiem nell'estasi
D'ingenui abbracciamenti!
Come negli occhi tremuli,
O amore, folgoreggi;
Ne' baci ardenti ed umidi
O amor, come spumeggi!
E avanti di questo passo. Ma intendiamoci bene, per amor di Dio! Volete degli amori ideali che spumeggino ne' baci umidi! Ebbene, ci stiamo anche noi! Volete, ebbri d'amore,
....................vivere
Tra le carezze e i canti?
E noi lo stesso. Ma allora perchè ci chiamate poi sacerdoti di un putrido verismo? E voi che cosa siete dunque? Come fa, per esempio, il signor Vitale (Jacopo del Fanfulla) a fulminare i poveri veristi nella prefazione della sua Primavera e poi a scrivere un volume di versi, molti dei quali perfettamente veristi con le sue brave donne così così, i letti osceni, i mariti cornuti e tutti gli accessori ormai andati a male del teatro dove recito anch'io? Mi sembra che non stia bene inalberare una bandiera bianca per coprire un carico di pepe come quello e farlo passare franco alla dogana. Ma che cosa è questo? È paura di saltare il fosso? Saltatelo, benedetti voi, che avete le gambe buone; non restate di là cogli spedati.
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